DIFENDERE LA VERA FEDE

Udienza Generale del Mercoledì Anno 2021

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 15/01/2021 16:35

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    Udienza Generale del Mercoledì Anno 2020


    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 13 gennaio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 21. La preghiera di lode

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Proseguiamo la catechesi sulla preghiera, e oggi diamo spazio alla dimensione della lode.

    Prendiamo spunto da un passaggio critico della vita di Gesù. Dopo i primi miracoli e il coinvolgimento dei discepoli nell’annuncio del Regno di Dio, la missione del Messia attraversa una crisi. Giovanni Battista dubita e gli fa arrivare questo messaggio – Giovanni è in carcere: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). Lui sente questa angoscia di non sapere se ha sbagliato nell’annuncio. Sempre ci sono nella vita momenti bui, momenti di notte spirituale, e Giovanni sta passando questo momento. C’è ostilità nei villaggi sul lago, dove Gesù aveva compiuto tanti segni prodigiosi (cfr Mt 11,20-24). Ora, proprio in questo momento di delusione, Matteo riferisce un fatto davvero sorprendente: Gesù non eleva al Padre un lamento, ma un inno di giubilo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Cioè, in piena crisi, in pieno buio nell’anima di tanta gente, come Giovanni il Battista, Gesù benedice il Padre, Gesù loda il Padre. Ma perché?

    Anzitutto lo loda per quello che è: «Padre, Signore del cielo e della terra». Gesù gioisce nel suo spirito perché sa e sente che suo Padre è il Dio dell’universo, e viceversa il Signore di tutto ciò che esiste è il Padre, “il Padre mio”. Da questa esperienza di sentirsi “il figlio dell’Altissimo” scaturisce la lode. Gesù si sente figlio dell’Altissimo.

    E poi Gesù loda il Padre perché predilige i piccoli. È quello che Lui stesso sperimenta, predicando nei villaggi: i “dotti” e i “sapienti” rimangono sospettosi e chiusi, fanno dei calcoli; mentre i “piccoli” si aprono e accolgono il messaggio. Questo non può che essere volontà del Padre, e Gesù se ne rallegra. Anche noi dobbiamo gioire e lodare Dio perché le persone umili e semplici accolgono il Vangelo. Io gioisco quando io vedo questa gente semplice, questa gente umile che va in pellegrinaggio, che va a pregare, che canta, che loda, gente alla quale forse mancano tante cose ma l’umiltà li porta a lodare Dio. Nel futuro del mondo e nelle speranze della Chiesa ci sono sempre i “piccoli”: coloro che non si reputano migliori degli altri, che sono consapevoli dei propri limiti e dei propri peccati, che non vogliono dominare sugli altri, che, in Dio Padre, si riconoscono tutti fratelli.

    Dunque, in quel momento di apparente fallimento, dove tutto è buio, Gesù prega lodando il Padre. E la sua preghiera conduce anche noi, lettori del Vangelo, a giudicare in maniera diversa le nostre sconfitte personali, le situazioni in cui non vediamo chiara la presenza e l’azione di Dio, quando sembra che il male prevalga e non ci sia modo di arrestarlo. Gesù, che pure ha tanto raccomandato la preghiera di domanda, proprio nel momento in cui avrebbe avuto motivo di chiedere spiegazioni al Padre, invece si mette a lodarlo. Sembra una contraddizione, ma è lì, la verità.

    A chi serve la lode? A noi o a Dio? Un testo della liturgia eucaristica ci invita a pregare Dio in questa maniera, dice così: «Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva» (Messale Romano, Prefazio comune IV). Lodando siamo salvati.

    La preghiera di lode serve a noi. Il Catechismo la definisce così: «una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella Gloria» (n. 2639). Paradossalmente deve essere praticata non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma soprattutto nei momenti difficili, nei momenti bui quando il cammino si inerpica in salita. È anche quello il tempo della lode, come Gesù che nel momento buio loda il Padre. Perché impariamo che attraverso quella salita, quel sentiero difficile, quel sentiero faticoso, quei passaggi impegnativi si arriva a vedere un panorama nuovo, un orizzonte più aperto. Lodare è come respirare ossigeno puro: ti purifica l’anima, ti fa guardare lontano, non ti lascia imprigionato nel momento difficile e buio delle difficoltà.

    C’è un grande insegnamento in quella preghiera che da otto secoli non ha mai smesso di palpitare, che San Francesco compose sul finire della sua vita: il “Cantico di frate sole” o “delle creature”. Il Poverello non lo compose in un momento di gioia, di benessere, ma al contrario in mezzo agli stenti. Francesco è ormai quasi cieco, e avverte nel suo animo il peso di una solitudine che mai prima aveva provato: il mondo non è cambiato dall’inizio della sua predicazione, c’è ancora chi si lascia dilaniare da liti, e in più avverte i passi della morte che si fanno più vicini. Potrebbe essere il momento della delusione, di quella delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, in quell’istante buio prega. Come prega? “Laudato si’, mi Signore…”. Prega lodando. Francesco loda Dio per tutto, per tutti i doni del creato, e anche per la morte, che con coraggio chiama “sorella”, “sorella morte”. Questi esempi dei Santi, dei cristiani, anche di Gesù, di lodare Dio nei momenti difficili, ci aprono le porte di una strada molto grande verso il Signore e ci purificano sempre. La lode purifica sempre.

    I Santi e le Sante ci dimostrano che si può lodare sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché Dio è l’Amico fedele. Questo è il fondamento della lode: Dio è l’Amico fedele, e il suo amore non viene mai meno. Sempre Lui è accanto a noi, Lui ci aspetta sempre. Qualcuno diceva: “E’ la sentinella che è vicino a te e ti fa andare avanti con sicurezza”. Nei momenti difficili e bui, troviamo il coraggio di dire: “Benedetto sei tu, o Signore”. Lodare il Signore. Questo ci farà tanto bene.


     

    Saluti:

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, esortando a mettere Cristo al centro della propria vita per essere portatori di luce e di speranza nella società.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Attingete ogni giorno dal Signore la forza per andare avanti ed essere testimoni di pace e di amore.

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    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 20 gennaio 2021

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    Catechesi - La preghiera per l’unità dei cristiani

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa catechesi mi soffermerò sulla preghiera per l’unità dei cristiani. Infatti, la settimana che va dal 18 al 25 gennaio è dedicata in particolare a questo, a invocare da Dio il dono dell’unità per superare lo scandalo delle divisioni tra i credenti in Gesù. Egli, dopo l’Ultima Cena, ha pregato per i suoi, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). È la sua preghiera prima della Passione, potremmo dire il suo testamento spirituale. Notiamo, però, che il Signore non ha comandato ai discepoli l’unità. Nemmeno ha tenuto loro un discorso per motivarne l’esigenza. No, ha pregato il Padre per noi, perché fossimo una cosa sola. Ciò significa che non bastiamo noi, con le nostre forze, a realizzare l’unità. L’unità è anzitutto un dono, è una grazia da chiedere con la preghiera.

    Ciascuno di noi ne ha bisogno. Infatti, ci accorgiamo che non siamo capaci di custodire l’unità neppure in noi stessi. Anche l’apostolo Paolo sentiva dentro di sé un conflitto lacerante: volere il bene ed essere inclinato al male (cfr Rm 7,19). Aveva così colto che la radice di tante divisioni che ci sono attorno a noi – tra le persone, in famiglia, nella società, tra i popoli e pure tra i credenti – è dentro di noi. Il Concilio Vaticano II afferma che «gli squilibri di cui soffre il mondo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. […] Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società» (Gaudium et spes, 10). Dunque, la soluzione alle divisioni non è opporsi a qualcuno, perché la discordia genera altra discordia. Il vero rimedio comincia dal chiedere a Dio la pace, la riconciliazione, l’unità.

    Questo vale prima di tutto per i cristiani: l’unità può giungere solo come frutto della preghiera. Gli sforzi diplomatici e i dialoghi accademici non bastano. Gesù lo sapeva e ci ha aperto la via, pregando. La nostra preghiera per l’unità è così un’umile ma fiduciosa partecipazione alla preghiera del Signore, il quale ha promesso che ogni preghiera fatta nel suo nome sarà ascoltata dal Padre (cfr Gv 15,7). A questo punto possiamo chiederci: “Io prego per l’unità?”. È la volontà di Gesù ma, se passiamo in rassegna le intenzioni per cui preghiamo, probabilmente ci accorgeremo di aver pregato poco, forse mai, per l’unità dei cristiani. Eppure da essa dipende la fede nel mondo; il Signore infatti ha chiesto l’unità tra noi «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Il mondo non crederà perché lo convinceremo con buoni argomenti, ma se avremo testimoniato l’amore che ci unisce e ci fa vicini a tutti.

    In questo tempo di gravi disagi è ancora più necessaria la preghiera perché l’unità prevalga sui conflitti. È urgente accantonare i particolarismi per favorire il bene comune, e per questo è fondamentale il nostro buon esempio: è essenziale che i cristiani proseguano il cammino verso l’unità piena, visibile. Negli ultimi decenni, grazie a Dio, sono stati fatti molti passi in avanti, ma occorre perseverare nell’amore e nella preghiera, senza sfiducia e senza stancarsi. È un percorso che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, nei cristiani e in tutti noi, e dal quale non torneremo più indietro. Sempre avanti!

    Pregare significa lottare per l’unità. Sì, lottare, perché il nostro nemico, il diavolo, come dice la parola stessa, è il divisore. Gesù chiede l’unità nello Spirito Santo, a fare unità. Il diavolo sempre divide, perché è conveniente per lui dividere. Lui insinua la divisione, ovunque e in tutti i modi, mentre lo Spirito Santo fa sempre convergere in unità. Il diavolo, in genere, non ci tenta sull’alta teologia, ma sulle debolezze dei fratelli. È astuto: ingigantisce gli sbagli e i difetti altrui, semina discordia, provoca la critica e crea fazioni. La via di Dio è un’altra: ci prende come siamo, ci ama tanto, ma ci ama come siamo e ci prende come siamo; ci prende differenti, ci prende peccatori, e sempre ci spinge all’unità. Possiamo fare una verifica su noi stessi e chiederci se, nei luoghi in cui viviamo, alimentiamo la conflittualità o lottiamo per far crescere l’unità con gli strumenti che Dio ci ha dato: la preghiera e l’amore. Invece alimentare la conflittualità si fa con il chiacchiericcio, sempre, sparlando degli altri. Il chiacchiericcio è l’arma più alla mano che ha il diavolo per dividere la comunità cristiana, per dividere la famiglia, per dividere gli amici, per dividere sempre. Lo Spirito Santo ci ispira sempre l’unità.

    Il tema di questa Settimana di preghiera riguarda proprio l’amore: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Gv 15,5-9). La radice della comunione è l’amore di Cristo, che ci fa superare i pregiudizi per vedere nell’altro un fratello e una sorella da amare sempre. Allora scopriamo che i cristiani di altre confessioni, con le loro tradizioni, con la loro storia, sono doni di Dio, sono doni presenti nei territori delle nostre comunità diocesane e parrocchiali. Cominciamo a pregare per loro e, quando possibile, con loro. Così impareremo ad amarli e ad apprezzarli. La preghiera, ricorda il Concilio, è l’anima di tutto il movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, 8). Sia pertanto, la preghiera, il punto di partenza per aiutare Gesù a realizzare il suo sogno: che tutti siano una cosa sola.


     

    Saluti:


    APPELLO

    Dopodomani, venerdì 22 gennaio, entrerà in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che vieta esplicitamente questi ordigni, il cui utilizzo ha un impatto indiscriminato, colpisce in breve tempo una grande quantità di persone e provoca danni all’ambiente di lunghissima durata.

    Incoraggio vivamente tutti gli Stati e tutte le persone a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, contribuendo all’avanzamento della pace e della cooperazione multilaterale, di cui oggi l’umanità ha tanto bisogno.

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, esortando a seguire sempre Cristo con umiltà e docilità, per essere testimoni di verità e di carità.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. In questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani vi invito a farvi carico di questo problema, pregando perché tutti i cristiani accolgano l’invito del Signore all’unità della fede nell’unica Chiesa da Lui fondata.


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    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 27 gennaio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 22. La preghiera con le Sacre Scritture

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi vorrei soffermarmi sulla preghiera che possiamo fare a partire da un brano della Bibbia. Le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sul papiro, sulla pergamena o sulla carta, ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore. La parola di Dio va al cuore. Il Catechismo afferma: «La lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera – la Bibbia non può essere letta come un romanzo –, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo» (n. 2653). Così ti porta la preghiera, perché è un dialogo con Dio. Quel versetto della Bibbia è stato scritto anche per me, secoli e secoli fa, per portarmi una parola di Dio. È stato scritto per ognuno di noi. A tutti i credenti capita questa esperienza: un passo della Scrittura, ascoltato già tante volte, un giorno improvvisamente mi parla e illumina una situazione che sto vivendo. Ma bisogna che io, quel giorno, sia lì, all’appuntamento con quella Parola, sia lì, ascoltando la Parola. Tutti i giorni Dio passa e getta un seme nel terreno della nostra vita. Non sappiamo se oggi troverà un suolo arido, dei rovi, oppure una terra buona, che farà crescere quel germoglio (cfr Mc 4,3-9). Dipende da noi, dalla nostra preghiera, dal cuore aperto con cui ci accostiamo alle Scritture perché diventino per noi Parola vivente di Dio. Dio passa, continuamente, tramite la Scrittura. E riprendo quello che ho detto la settimana scorsa, che diceva Sant’Agostino: “Ho timore del Signore quando passa”. Perché timore? Che io non lo ascolti, che non mi accorga che è il Signore.

    Attraverso la preghiera avviene come una nuova incarnazione del Verbo. E siamo noi i “tabernacoli” dove le parole di Dio vogliono essere ospitate e custodite, per poter visitare il mondo. Per questo bisogna accostarsi alla Bibbia senza secondi fini, senza strumentalizzarla. Il credente non cerca nelle Sacre Scritture l’appoggio per la propria visione filosofica o morale, ma perché spera in un incontro; sa che esse, quelle parole, sono state scritte nello Spirito Santo, e che pertanto in quello stesso Spirito vanno accolte, vanno comprese, perché l’incontro si realizzi.

    A me dà un po’ di fastidio quando sento cristiani che recitano versetti della Bibbia come i pappagalli. “Oh, sì, il Signore dice…, vuole così…”. Ma tu ti sei incontrato con il Signore, con quel versetto? Non è un problema solo di memoria: è un problema della memoria del cuore, quella che ti apre per l’incontro con il Signore. E quella parola, quel versetto, di porta all’incontro con il Signore.

    Noi, dunque, leggiamo le Scritture perché esse “leggano noi”. Ed è una grazia potersi riconoscere in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione. La Bibbia non è scritta per un’umanità generica, ma per noi, per me, per te, per uomini e donne in carne e ossa, uomini e donne che hanno nome e cognome, come me, come te. E la Parola di Dio, impregnata di Spirito Santo, quando è accolta con un cuore aperto, non lascia le cose come prima, mai, cambia qualcosa. E questa è la grazia e la forza della Parola di Dio.

    La tradizione cristiana è ricca di esperienze e di riflessioni sulla preghiera con la Sacra Scrittura. In particolare, si è affermato il metodo della “lectio divina”, nato in ambiente monastico, ma ormai praticato anche dai cristiani che frequentano le parrocchie. Si tratta anzitutto di leggere il brano biblico con attenzione, di più, direi con “obbedienza” al testo, per comprendere ciò che significa in sé stesso. Successivamente si entra in dialogo con la Scrittura, così che quelle parole diventino motivo di meditazione e di orazione: sempre rimanendo aderente al testo, comincio a interrogarmi su che cosa “dice a me”. È un passaggio delicato: non bisogna scivolare in interpretazioni soggettivistiche ma inserirsi nel solco vivente della Tradizione, che unisce ciascuno di noi alla Sacra Scrittura. E l’ultimo passo della lectio divina è la contemplazione. Qui le parole e i pensieri lasciano il posto all’amore, come tra innamorati ai quali a volte basta guardarsi in silenzio. Il testo biblico rimane, ma come uno specchio, come un’icona da contemplare. E così si ha il dialogo.

    Attraverso la preghiera, la Parola di Dio viene ad abitare in noi e noi abitiamo in essa. La Parola ispira buoni propositi e sostiene l’azione; ci dà forza, ci dà serenità, e anche quando ci mette in crisi ci dà pace. Nelle giornate “storte” e confuse, assicura al cuore un nucleo di fiducia e di amore che lo protegge dagli attacchi del maligno.

    Così la Parola di Dio si fa carne – mi permetto di usare questa espressione: si fa carne – in coloro che la accolgono nella preghiera. In qualche testo antico affiora l’intuizione che i cristiani si identificano talmente con la Parola che, se anche bruciassero tutte le Bibbie del mondo, se ne potrebbe ancora salvare il “calco” attraverso l’impronta che ha lasciato nella vita dei santi. È una bella espressione, questa.

    La vita cristiana è opera, nello stesso tempo, di obbedienza e di creatività. Un buon cristiano deve essere obbediente, ma deve essere creativo. Obbediente, perché ascolta la Parola di Dio; creativo, perché ha lo Spirito Santo dentro che lo spinge a praticarla, a portarla avanti. Gesù lo dice alla fine di un suo discorso pronunciato in parabole, con questo paragone: «Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro – il cuore – cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Le Sacre Scritture sono un tesoro inesauribile. Il Signore ci conceda, a tutti noi, di attingervi sempre più, mediante la preghiera. Grazie.


     

    Saluti:

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Domani ricorre la memoria liturgica di San Tommaso d’Aquino, patrono delle scuole cattoliche. Il suo esempio spinga tutti, specialmente gli studenti, a vedere in Gesù l’unico maestro di vita; mentre la sua dottrina vi incoraggi ad affidarvi alla sapienza del cuore per adempiere la vostra missione.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Auspico che ciascuno, nella propria condizione, contribuisca con generosità a diffondere la gioia di amare e servire Gesù.


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    [Modificato da Caterina63 01/02/2021 10:29]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 04/02/2021 00:42

    UDIENZA GENERALE


    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 3 febbraio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 23. Pregare nella liturgia

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Si è più volte registrata, nella storia della Chiesa, la tentazione di praticare un cristianesimo intimistico, che non riconosce ai riti liturgici pubblici la loro importanza spirituale. Spesso questa tendenza rivendicava la presunta maggiore purezza di una religiosità che non dipendesse dalle cerimonie esteriori, ritenute un peso inutile o dannoso. Al centro delle critiche finiva non una particolare forma rituale, o un determinato modo di celebrare, ma la liturgia stessa, la forma liturgica di pregare.

    In effetti, si possono trovare nella Chiesa certe forme di spiritualità che non hanno saputo integrare adeguatamente il momento liturgico. Molti fedeli, pur partecipando assiduamente ai riti, specialmente alla Messa domenicale, hanno attinto alimento per la loro fede e la loro vita spirituale piuttosto da altre fonti, di tipo devozionale.

    Negli ultimi decenni, molto si è camminato. La Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II rappresenta lo snodo di questo lungo tragitto. Essa ribadisce in maniera completa e organica l’importanza della divina liturgia per la vita dei cristiani, i quali trovano in essa quella mediazione oggettiva richiesta dal fatto che Gesù Cristo non è un’idea o un sentimento, ma una Persona vivente, e il suo Mistero un evento storico. La preghiera dei cristiani passa attraverso mediazioni concrete: la Sacra Scrittura, i Sacramenti, i riti liturgici, la comunità. Nella vita cristiana non si prescinde dalla sfera corporea e materiale, perché in Gesù Cristo essa è diventata via di salvezza. Potremmo dire che dobbiamo pregare anche con il corpo: il corpo entra nella preghiera.

    Dunque, non esiste spiritualità cristiana che non sia radicata nella celebrazione dei santi misteri. Il Catechismo scrive: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega» (n. 2655). La liturgia, in sé stessa, non è solo preghiera spontanea, ma qualcosa di più e di più originario: è atto che fonda l’esperienza cristiana tutta intera e, perciò, anche la preghiera è evento, è accadimento, è presenza, è incontro. È un incontro con Cristo. Cristo si rende presente nello Spirito Santo attraverso i segni sacramentali: da qui deriva per noi cristiani la necessità di partecipare ai divini misteri. Un cristianesimo senza liturgia, io oserei dire che forse è un cristianesimo senza Cristo. Senza il Cristo totale. Perfino nel rito più spoglio, come quello che alcuni cristiani hanno celebrato e celebrano nei luoghi di prigionia, o nel nascondimento di una casa durante i tempi di persecuzione, Cristo si rende realmente presente e si dona ai suoi fedeli.

    La liturgia, proprio per la sua dimensione oggettiva, chiede di essere celebrata con fervore, perché la grazia effusa nel rito non vada dispersa ma raggiunga il vissuto di ciascuno. Il Catechismo spiega molto bene e dice così: «La preghiera interiorizza e assimila la Liturgia durante e dopo la sua celebrazione» (ibid.). Molte preghiere cristiane non provengono dalla liturgia, ma tutte, se sono cristiane, presuppongono la liturgia, cioè la mediazione sacramentale di Gesù Cristo. Ogni volta che celebriamo un Battesimo, o consacriamo il pane e il vino nell’Eucaristia, o ungiamo con l’Olio santo il corpo di un malato, Cristo è qui! È Lui che agisce ed è presente come quando risanava le membra deboli di un infermo, o consegnava nell’Ultima Cena il suo testamento per la salvezza del mondo.

    La preghiera del cristiano fa propria la presenza sacramentale di Gesù. Ciò che è esterno a noi diventa parte di noi: la liturgia lo esprime perfino con il gesto così naturale del mangiare. La Messa non può essere solo “ascoltata”: è anche un’espressione non giusta, “io vado ad ascoltare Messa”. La Messa non può essere solo ascoltata, come se noi fossimo solo spettatori di qualcosa che scivola via senza coinvolgerci. La Messa è sempre celebrata, e non solo dal sacerdote che la presiede, ma da tutti i cristiani che la vivono. E il centro è Cristo! Tutti noi, nella diversità dei doni e dei ministeri, tutti ci uniamo alla sua azione, perché è Lui, Cristo, il Protagonista della liturgia.

    Quando i primi cristiani iniziarono a vivere il loro culto, lo fecero attualizzando i gesti e le parole di Gesù, con la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché la loro vita, raggiunta da quella grazia, diventasse sacrificio spirituale offerto a Dio. Questo approccio fu una vera “rivoluzione”. Scrive San Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (12,1). La vita è chiamata a diventare culto a Dio, ma questo non può avvenire senza la preghiera, specialmente la preghiera liturgica. Questo pensiero ci aiuti tutti quando si va a Messa: vado a pregare in comunità, vado a pregare con Cristo che è presente. Quando andiamo alla celebrazione di un Battesimo, per esempio, è Cristo lì, presente, che battezza. “Ma, Padre, questa è un’idea, un modo di dire”: no, non è un modo di dire. Cristo è presente e nella liturgia tu preghi con Cristo che è accanto a te.


    Saluti:


    APPELLO

    Domani si celebrerà la Prima Giornata Internazionale della Fratellanza Umana, come stabilito da una recente Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tale iniziativa tiene conto anche dell’incontro del 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, quando il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb e io abbiamo firmato il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Sono molto lieto che le Nazioni del mondo intero si uniscano in questa celebrazione, volta a promuovere il dialogo interreligioso e interculturale. Perciò domani pomeriggio parteciperò a un incontro virtuale con il Grande Imam di Al-Azhar, con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Signor António Guterres, e con altre personalità. La citata Risoluzione delle Nazioni Unite riconosce «il contributo che il dialogo tra tutti i gruppi religiosi può apportare per migliorare la consapevolezza e la comprensione dei valori comuni condivisi da tutta l’umanità». Sia questa oggi la nostra preghiera e il nostro impegno ogni giorno dell’anno.


    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Vi incoraggio a nutrirvi spesso della parola di Dio, specialmente nella liturgia, applicandola ad ogni circostanza della vostra vita quotidiana.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la festa  della Presentazione del Signore al tempio per le mani della Vergine Maria: Ella presentò a Dio Gesù. Nutriamo la viva speranza che Lei, la Regina del cielo, presenti a Dio anche ciascuno di noi e le nostre necessità. Non stancatevi di mettere la vostra vita nelle mani misericordiose di Dio Padre.


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    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 10 febbraio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 24. Pregare nella vita quotidiana

    Cari fratelle e sorelle, buongiorno!

    Nella catechesi precedente abbiamo visto come la preghiera cristiana sia “ancorata” alla Liturgia. Oggi metteremo in luce come dalla Liturgia essa ritorni sempre alla vita quotidiana: per le strade, negli uffici, sui mezzi di trasporto... E lì continua il dialogo con Dio: chi prega è come l’innamorato, che porta sempre nel cuore la persona amata, ovunque egli si trovi.

    In effetti, tutto viene assunto in questo dialogo con Dio: ogni gioia diventa motivo di lode, ogni prova è occasione per una richiesta di aiuto. La preghiera è sempre viva nella vita, come fuoco di brace, anche quando la bocca non parla, ma il cuore parla. Ogni pensiero, pur se apparentemente “profano”, può essere permeato di preghiera. Anche nell’intelligenza umana c’è un aspetto orante; essa infatti è una finestra affacciata sul mistero: rischiara i pochi passi che stanno davanti a noi e poi si apre alla realtà tutta intera, questa realtà che la precede e la supera. Questo mistero non ha un volto inquietante o angosciante, no: la conoscenza di Cristo ci rende fiduciosi che là dove i nostri occhi e gli occhi della nostra mente non possono vedere, non c’è il nulla, ma c’è qualcuno che ci aspetta, c’è una grazia infinita. E così la preghiera cristiana trasfonde nel cuore umano una speranza invincibile: qualsiasi esperienza tocchi il nostro cammino, l’amore di Dio può volgerla in bene.

    A questo proposito, il Catechismo dice: «Noi impariamo a pregare in momenti particolari, quando ascoltiamo la Parola del Signore e quando partecipiamo al suo Mistero pasquale; ma è in ogni tempo, nelle vicende di ogni giorno, che ci viene dato il suo Spirito perché faccia sgorgare la preghiera. […] Il tempo è nelle mani del Padre; è nel presente che lo incontriamo: né ieri né domani, ma oggi» (n. 2659). Oggi incontro Dio, sempre c’è l’oggi dell’incontro.

    Non esiste altro meraviglioso giorno che l’oggi che stiamo vivendo. La gente che vive sempre pensando al futuro: “Ma, il futuro sarà meglio…”, ma non prende l’oggi come viene: è gente che vive nella fantasia, non sa prendere il concreto del reale. E l’oggi è reale, l’oggi è concreto. E la preghiera avviene nell’oggi. Gesù ci viene incontro oggi, questo oggi che stiamo vivendo. Ed è la preghiera a trasformare lo questo oggi in grazia, o meglio, a trasformarci: placa l’ira, sostiene l’amore, moltiplica la gioia, infonde la forza di perdonare. In qualche momento ci sembrerà di non essere più noi a vivere, ma che la grazia viva e operi in noi mediante la preghiera. E quando ci viene un pensiero di rabbia, di scontento, che ci porta verso l’amarezza. Fermiamoci e diciamo al Signore: “Dove stai? E dove sto andando io?” E il Signore è lì, il Signore ci darà la parola giusta, il consiglio per andare avanti senza questo succo amaro del negativo. Perché sempre la preghiera, usando una parola profana, è positiva. Sempre. Ti porta avanti. Ogni giorno che inizia, se accolto nella preghiera, si accompagna al coraggio, così che i problemi da affrontare non siano più intralci alla nostra felicità, ma appelli di Dio, occasioni per il nostro incontro con Lui. E quando uno è accompagnato dal Signore, si sente più coraggioso, più libero, e anche più felice.

    Preghiamo dunque sempre per tutto e per tutti, anche per i nemici. Gesù ci ha consigliato questo: “Pregate per i nemici”. Preghiamo per i nostri cari, ma anche per quelli che non conosciamo; preghiamo perfino per i nostri nemici, come ho detto, come spesso ci invita a fare la Scrittura. La preghiera dispone a un amore sovrabbondante. Preghiamo soprattutto per le persone infelici, per coloro che piangono nella solitudine e disperano che ci sia ancora un amore che pulsa per loro. La preghiera compie miracoli; e i poveri allora intuiscono, per grazia di Dio, che, anche in quella loro situazione di precarietà, la preghiera di un cristiano ha reso presente la compassione di Gesù: Lui infatti guardava con grande tenerezza le folle affaticate e smarrite come pecore senza pastore (cfr Mc 6,34). Il Signore è – non dimentichiamo – il Signore della compassione, della vicinanza, della tenerezza: tre parole da non dimenticare mai. Perché è lo stile del Signore: compassione, vicinanza, tenerezza.

    La preghiera ci aiuta ad amare gli altri, nonostante i loro sbagli e i loro peccati. La persona è sempre più importante delle sue azioni, e Gesù non ha giudicato il mondo, ma lo ha salvato. È una brutta vita quella di quelle persone che sempre giudicano gli altri, sempre stanno condannando, giudicando: è una vita brutta, infelice. Gesù è venuto per salvarci: apri il tuo cuore, perdona, giustifica gli altri, capisci, anche tu sii vicino agli altri, abbi compassione, abbi tenerezza come Gesù. Bisogna voler bene a tutti e a ciascuno ricordando, nella preghiera, che siamo tutti quanti peccatori e nello stesso tempo amati da Dio ad uno ad uno. Amando così questo mondo, amandolo con tenerezza, scopriremo che ogni giorno e ogni cosa porta nascosto in sé un frammento del mistero di Dio.

    Scrive ancora il Catechismo: «Pregare negli avvenimenti di ogni giorno e di ogni istante è uno dei segreti del Regno rivelati ai “piccoli”, ai servi di Cristo, ai poveri delle beatitudini. È cosa buona e giusta pregare perché l’avvento del Regno di giustizia e di pace influenzi il cammino della storia, ma è altrettanto importante “impastare” mediante la preghiera le umili situazioni quotidiane. Tutte le forme di preghiera possono essere quel lievito al quale il Signore paragona il Regno» (n. 2660).

    L’uomo – la persona umana, l’uomo e la donna – è come un soffio, come un filo d’erba (cfr Sal 144,4; 103,15). Il filosofo Pascal scriveva: «Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo».[1] Siamo esseri fragili, ma sappiamo pregare: questa è la nostra più grande dignità, anche è la nostra fortezza. Coraggio. Pregare in ogni momento, in ogni situazione, perché il Signore ci è vicino. E quando una preghiera è secondo il cuore di Gesù, ottiene miracoli.


    [1] Pensieri, 186.


     

    Saluti:

    Pozdrawiam serdecznie Polaków. Myśląc o codziennej modlitwie, życzę, by w każdej życia sytuacji towarzyszyła wam serdeczna rozmowa z Chrystusem; nie tylko ta przed Najświętszym Sakramentem, przed krzyżem, czy obrazem, ale także ta zanoszona w drodze do pracy, w podróży, czy podczas codziennych zajęć. Niech taka modlitwa stanie się waszym dobrym zwyczajem. Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi. Pensando alla preghiera quotidiana, auguro che in ogni situazione della vita vi accompagni un colloquio con Cristo da cuore a cuore; non soltanto davanti al Santissimo, alla croce o a un’immagine sacra, ma anche mentre vi recate al lavoro, in viaggio e durante gli impegni quotidiani. Che questa preghiera diventi la vostra buona abitudine. Vi benedico di cuore.]


    APPELLI

    1. Esprimo la mia vicinanza alle vittime della calamità accaduta tre giorni fa nel nord dell’India, dove parte di un ghiacciaio si è staccata provocando una violenta inondazione, che ha travolto i cantieri di due centrali elettriche. Prego per gli operai defunti e per i loro familiari, e per tutte le persone ferite e danneggiate.

    2. Nell’Estremo Oriente e in varie parti del mondo, il prossimo venerdì 12 febbraio molti milioni di uomini e donne celebreranno il Capodanno lunare. A tutti loro e alle loro famiglie desidero inviare il mio cordiale saluto, unitamente all’augurio che il nuovo anno porti frutti di fraternità e solidarietà. In questo particolare momento, nel quale forti sono le preoccupazioni per affrontare le sfide della pandemia, che tocca non solo il fisico e l’anima delle persone ma influisce anche sulle relazioni sociali, formulo l’auspicio che ognuno possa godere di piena salute e di serenità di vita. Mentre invito, infine, a pregare per il dono della pace e di ogni altro bene, ricordo che essi si ottengono con bontà, rispetto, lungimiranza e coraggio, non dimenticando mai di avere una cura preferenziale verso i più poveri e i più deboli.



    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. In una società che continua ad essere lacerata da contrasti e divisioni, siate segno di un progetto di riconciliazione e di fraternità che affonda le sue radici nel Vangelo e nell’aiuto indispensabile della preghiera.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes. Vi auguro di imitare la Madonna nella piena disponibilità alla volontà di Dio. Grazie.

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    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 3 marzo 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 25. La preghiera e la Trinità. 1

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel nostro cammino di catechesi sulla preghiera, oggi e la prossima settimana vogliamo vedere come, grazie a Gesù Cristo, la preghiera ci spalanca alla Trinità – al Padre, al Figlio e allo Spirito –, al mare immenso di Dio che è Amore. È Gesù ad averci aperto il Cielo e proiettati nella relazione con Dio. È stato Lui a fare questo: ci ha aperto questo rapporto con il Dio Trino: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. È ciò che afferma l’apostolo Giovanni, a conclusione del prologo del suo Vangelo: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (1,18). Gesù ci ha rivelato l’identità, questa identità di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Noi davvero non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio. In quella richiesta rivolta dai discepoli al Maestro, che spesso abbiamo ricordato nel corso di queste catechesi, c’è tutto il brancolamento dell’uomo, i suoi ripetuti tentativi, spesso falliti, di rivolgersi al Creatore: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).

    Non tutte le preghiere sono uguali, e non tutte sono convenienti: la Bibbia stessa ci attesta il cattivo esito di tante preghiere, che vengono respinte. Forse Dio a volte non è contento delle nostre orazioni e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Dio guarda le mani di chi prega: per renderle pure non bisogna lavarle, semmai bisogna astenersi da azioni malvage. San Francesco pregava: «Nullu homo ène dignu te mentovare», cioè “nessun uomo è degno di nominarti” (Cantico di frate sole).

    Ma forse il riconoscimento più commovente della povertà della nostra preghiera è fiorito sulle labbra di quel centurione romano che un giorno supplicò Gesù di guarire il suo servo malato (cfr Mt 8,5-13). Egli si sentiva del tutto inadeguato: non era ebreo, era ufficiale dell’odiato esercito di occupazione. Ma la preoccupazione per il servo lo fa osare, e dice: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (v. 8). È la frase che anche noi ripetiamo in ogni liturgia eucaristica. Dialogare con Dio è una grazia: noi non ne siamo degni, non abbiamo alcun diritto da accampare, noi “zoppichiamo” con ogni parola e ogni pensiero… Però Gesù è la porta che ci apre a questo dialogo con Dio.

    Perché l’uomo dovrebbe essere amato da Dio? Non ci sono ragioni evidenti, non c’è proporzione… Tanto è vero che in buona parte delle mitologie non è contemplato il caso di un dio che si preoccupi delle vicende umane; anzi, esse sono fastidiose e noiose, del tutto trascurabili. Ricordiamo la frase di Dio al Suo popolo, ripetuta nel Deuteronomio: “Pensa, quale popolo ha i suoi dei vicini a sé, come voi avete Me vicino a voi?”. Questa vicinanza di Dio è la rivelazione! Alcuni filosofi dicono che, Dio può solo pensare a sé stesso. Semmai siamo noi umani che cerchiamo di imbonire la divinità e di risultare gradevoli ai suoi occhi. Di qui il dovere di “religione”, con il corteo di sacrifici e di devozioni da offrire in continuazione per ingraziarsi un Dio muto, un Dio indifferente. Non c’è dialogo. Solo è stato Gesù, solo è stata la rivelazione di Dio prima di Gesù a Mosè, quando Dio si è presentato; solo è stata la Bibbia ad aprirci il cammino del dialogo con Dio. Ricordiamo: “Quale popolo ha i suoi dei vicini a sé come tu hai Me vicino a te?”. Questa vicinanza di Dio che ci apre al dialogo con Lui.

    Un Dio che ama l’uomo, noi non avremmo mai avuto il coraggio di crederlo se non avessimo conosciuto Gesù. La conoscenza di Gesù ci ha fatto capire questo, ci ha rivelato questo. È lo scandalo che troviamo scolpito nella parabola del padre misericordioso, o in quella del pastore che va in cerca della pecora perduta (cfr Lc 15). Racconti del genere non avremmo potuto concepirli, nemmeno comprenderli, se non avessimo incontrato Gesù. Quale Dio è disposto a morire per gli uomini? Quale Dio ama sempre e pazientemente, senza la pretesa di essere riamato? Quale Dio accetta la tremenda mancanza di riconoscenza di un figlio che gli chiede in anticipo l’eredità e se ne va via di casa sperperando tutto? (cfr Lc 15,12-13).

    È Gesù a rivelare il cuore di Dio. Così Gesù ci racconta con la sua vita in che misura Dio sia Padre. Tam Pater nemo: Nessuno è Padre come Lui. La paternità che è vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo queste tre parole che sono lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. È il modo di esprimere la Sua paternità con noi. Noi immaginiamo a fatica e molto da lontano l’amore di cui la Trinità Santissima è gravida, e quale abisso di benevolenza reciproca intercorra tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Le icone orientali ci lasciano intuire qualcosa di questo mistero che è l’origine e la gioia di tutto l’universo.

    Soprattutto era lungi da noi credere che questo amore divino si sarebbe dilatato, approdando sulla nostra sponda umana: siamo il termine di un amore che non trova eguali sulla terra. Il Catechismo spiega: «La santa umanità di Gesù è la via mediante la quale lo Spirito Santo ci insegna a pregare Dio nostro Padre» (n. 2664). E questa è la grazia della nostra fede. Davvero non potevamo sperare vocazione più alta: l’umanità di Gesù – Dio si è fatto vicino in Gesù – ha reso disponibile per noi la vita stessa della Trinità, ha aperto, ha spalancato questa porta del mistero dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


     

    Saluti:

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è un’opportunità per intensificare la preghiera e l’adesione ai sacramenti, per esercitare il digiuno e la carità, e per vivere più profondamente il mistero dell’amore misericordioso del Padre, rivelato nel Figlio e diffuso nello Spirito Santo. Cogliete questa occasione come tempo speciale di grazia. Vi benedico di cuore.]


    APPELLI

    Giungono ancora dal Myanmar tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane. Desidero richiamare l’attenzione delle Autorità coinvolte perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia. Rivolgo anche un appello alla Comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza. Ai giovani di quell’amata terra sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione. Ripeto, infine, l’auspicio espresso un mese fa: che il cammino verso la democrazia, intrapreso negli ultimi anni dal Myanmar, possa riprendere attraverso il gesto concreto della liberazione dei diversi leader politici incarcerati (cfr Discorso al Corpo Diplomatico, 8 febbraio 2021).

    * * *

    Dopodomani, Dio volendo, mi recherò in Iraq per un pellegrinaggio di tre giorni. Da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto; incontrare quella Chiesa martire nella terra di Abramo. Insieme con gli altri leader religiosi, faremo anche un altro passo avanti nella fratellanza tra i credenti. Vi chiedo di accompagnare con la preghiera questo viaggio apostolico, perché possa svolgersi nel migliore dei modi e portare i frutti sperati. Il popolo iracheno ci aspetta; aspettava San Giovanni Paolo II, al quale è stato vietato di andare. Non si può deludere un popolo per la seconda volta. Preghiamo perché questo viaggio si possa fare bene.


    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Auguro che il tempo quaresimale conduca ciascuno ad una maggiore intimità con Cristo e ad una sua più assidua imitazione.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Sappiate scoprire nel mistero di Dio, che si dona per la salvezza di tutti, la forza per affrontare i momenti difficili. A tutti la mia benedizione.


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    [Modificato da Caterina63 04/03/2021 21:18]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 24/03/2021 17:00

    UDIENZA GENERALE

    Biblioteca del Palazzo Apostolico
    Mercoledì, 17 marzo 2021

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    Catechesi sulla preghiera: 26. La preghiera e la Trinità. 2

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi completiamo la catechesi sulla preghiera come relazione con la Santissima Trinità, in particolare con lo Spirito Santo.

    Il primo dono di ogni esistenza cristiana è lo Spirito Santo. Non è uno dei tanti doni, ma il Dono fondamentale. Lo Spirito è il dono che Gesù aveva promesso di inviarci. Senza lo Spirito non c’è relazione con Cristo e con il Padre. Perché lo Spirito apre il nostro cuore alla presenza di Dio e lo attira in quel “vortice” di amore che è il cuore stesso di Dio. Noi non siamo solo ospiti e pellegrini nel cammino su questa terra, siamo anche ospiti e pellegrini nel mistero della Trinità. Siamo come Abramo, che un giorno, accogliendo nella propria tenda tre viandanti, incontrò Dio. Se possiamo in verità invocare Dio chiamandolo “Abbà - Papà”, è perché in noi abita lo Spirito Santo; è Lui che ci trasforma nel profondo e ci fa sperimentare la gioia commovente di essere amati da Dio come veri figli. Tutto il lavoro spirituale dentro di noi verso Dio lo fa lo Spirito Santo, questo dono. Lavora in noi per portare avanti la nostra vita cristiana verso il Padre, con Gesù.

    Il Catechismo, al riguardo, dice: «Ogni volta che incominciamo a pregare Gesù, è lo Spirito Santo che, con la sua grazia preveniente, ci attira sul cammino della preghiera. Poiché Egli ci insegna a pregare ricordandoci Cristo, come non pregare Lui stesso? Ecco perché la Chiesa ci invita a implorare ogni giorno lo Spirito Santo, soprattutto all’inizio e al termine di qualsiasi azione importante» (n. 2670). Ecco qual è l’opera dello Spirito in noi. Egli ci “ricorda” Gesù e lo rende presente a noi – possiamo dire che è la nostra memoria trinitaria, è la memoria di Dio in noi - e lo fa presente a Gesù, perché non si riduca a personaggio del passato: cioè lo Spirito porta al presente Gesù nella nostra coscienza. Se Cristo fosse solo lontano nel tempo, noi saremmo soli e smarriti nel mondo. Sì, ricorderemmo Gesù, lì, lontano ma è lo Spirito che lo porta oggi, adesso, in questo momento nel nostro cuore. Ma nello Spirito tutto è vivificato: ai cristiani di ogni tempo e luogo è aperta la possibilità di incontrare Cristo. È aperta la possibilità di incontrare Cristo non soltanto come un personaggio storico. No: Lui attira Cristo nei nostri cuori, è lo Spirito che ci fa incontrare con Cristo. Lui non è distante, lo Spirito è con noi: ancora Gesù educa i suoi discepoli trasformando il loro cuore, come fece con Pietro, con Paolo, con Maria di Magdala, con tutti gli apostoli. Ma perché è presente Gesù? Perché è lo Spirito a portarlo in noi.

    È l’esperienza che hanno vissuto tanti oranti: uomini e donne che lo Spirito Santo ha formato secondo la “misura” di Cristo, nella misericordia, nel servizio, nella preghiera, nella catechesi… È una grazia poter incontrare persone così: ci si accorge che in loro pulsa una vita diversa, il loro sguardo vede “oltre”. Non pensiamo solo ai monaci, agli eremiti; si trovano anche tra la gente comune, gente che ha intessuto una lunga storia di dialogo con Dio, a volte di lotta interiore, che purifica la fede. Questi testimoni umili hanno cercato Dio nel Vangelo, nell’Eucaristia ricevuta e adorata, nel volto del fratello in difficoltà, e custodiscono la sua presenza come un fuoco segreto.

    Il primo compito dei cristiani è proprio mantenere vivo questo fuoco, che Gesù ha portato sulla terra (cfr Lc 12,49), e qual è questo fuoco? È l’amore, l’Amore di Dio, lo Spirito Santo. Senza il fuoco dello Spirito le profezie si spengono, la tristezza soppianta la gioia, l’abitudine sostituisce l’amore, il servizio si trasforma in schiavitù. Viene in mente l’immagine della lampada accesa accanto al tabernacolo, dove si conserva l’Eucaristia. Anche quando la chiesa si svuota e scende la sera, anche quando la chiesa è chiusa, quella lampada rimane accesa, continua ad ardere: non la vede nessuno, eppure arde davanti al Signore. Così lo Spirito nel nostro cuore, è sempre presente come quella lampada.

    Troviamo ancora scritto nel Catechismo: «Lo Spirito Santo, la cui Unzione impregna tutto il nostro essere, è il Maestro interiore della preghiera cristiana. È l’artefice della tradizione vivente della preghiera. Indubbiamente, ci sono tanti cammini di preghiera quanti sono coloro che pregano, ma è lo stesso Spirito che agisce in tutti e con tutti. È nella comunione dello Spirito Santo che la preghiera cristiana è preghiera nella Chiesa» (n. 2672). Tante volte succede che noi non preghiamo, non abbiamo voglia di pregare o tante volte preghiamo come pappagalli con la bocca ma il cuore è lontano. Questo è il momento di dire allo Spirito: “Vieni, vieni Spirito Santo, riscalda il mio cuore. Vieni e insegnami a pregare, insegnami a guardare il Padre, a guardare il Figlio. Insegnami com’è la strada della fede. Insegnami come amare e soprattutto insegnami ad avere un atteggiamento di speranza”. Si tratta di chiamare lo Spirito continuamente perché sia presente nelle nostre vite.

    È dunque lo Spirito a scrivere la storia della Chiesa e del mondo. Noi siamo pagine aperte, disponibili a ricevere la sua calligrafia. E in ciascuno di noi lo Spirito compone opere originali, perché non c’è mai un cristiano del tutto identico a un altro. Nel campo sterminato della santità, l’unico Dio, Trinità d’Amore, fa fiorire la varietà dei testimoni: tutti uguali per dignità, ma anche unici nella bellezza che lo Spirito ha voluto si sprigionasse in ciascuno di coloro che la misericordia di Dio ha reso suoi figli. Non dimentichiamo, lo Spirito è presente, è presente in noi. Ascoltiamo lo Spirito, chiamiamo lo Spirito - è il dono, il regalo che Dio ci ha fatto - e diciamogli: “Spirito Santo, io non so com’è la tua faccia – non lo conosciamo – ma so che tu sei la forza, che tu sei la luce, che tu sei capace di farmi andare avanti e di insegnarmi come pregare. Vieni Spirito Santo”. Una bella preghiera questa: “Vieni, Spirito Santo”.

    *

    APPELLO

    Durante esta semana me han preocupado las noticias que llegan desde Paraguay.

    Por intercesión de Nuestra Señora de los Milagros de Caacupé, pido al Señor Jesús, Príncipe de la Paz, que se pueda encontrar un camino de diálogo sincero para hallar soluciones adecuadas a las actuales dificultades, y así construir juntos la paz tan añorada. Recordemos que la violencia siempre es autodestructiva. Con ella no se gana nada, sino que se pierde mucho y a veces todo.

    Ancora una volta e con tanta tristezza sento l’urgenza di evocare la drammatica situazione in Myanmar, dove tante persone, soprattutto giovani, stanno perdendo la vita per offrire speranza al loro Paese. Anch’io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza! Anch’io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo! Il sangue non risolve niente. Prevalga il dialogo.

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Dopo domani celebreremo la Solennità di San Giuseppe. Mi è particolarmente gradito indicarvi l’esempio di questo grande Santo ed affidare a Lui la vostra esistenza. Siate saggi come Lui, pronti a comprendere e mettere in pratica il Vangelo.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani e ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Nella vita, nel lavoro, nella famiglia, nei momenti di gioia e di dolore San Giuseppe ha costantemente cercato e amato il Signore, meritando l’elogio della Scrittura come uomo giusto e saggio. Invocatelo sempre, specialmente nei momenti difficili che potrete incontrare. A tutti la mia benedizione!





    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 24 marzo 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 27. Pregare in comunione con Maria

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi la catechesi è dedicata alla preghiera in comunione con Maria, e ricorre proprio alla vigilia della solennità dell’Annunciazione. Sappiamo che la via maestra della preghiera cristiana è l’umanità di Gesù. Infatti, la confidenza tipica dell’orazione cristiana sarebbe priva di significato se il Verbo non si fosse incarnato, donandoci nello Spirito la sua relazione filiale con il Padre. Abbiamo sentito, nella lettura, di quel raduno dei discepoli, le pie donne e Maria, pregando, dopo l’Assunzione di Gesù: è la prima comunità cristiana che aspettava il dono di Gesù, la promessa di Gesù.

    Cristo è il Mediatore, il ponte che attraversiamo per rivolgerci al Padre (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2674). È l’unico Redentore: non ci sono co-redentori con Cristo. È il Mediatore per eccellenza, è il Mediatore. Ogni preghiera che eleviamo a Dio è per Cristo, con Cristo e in Cristo e si realizza grazie alla sua intercessione. Lo Spirito Santo estende la mediazione di Cristo ad ogni tempo e ogni luogo: non c’è altro nome nel quale possiamo essere salvati (cfr At 4,12). Gesù Cristo: l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini.

    Dall’unica mediazione di Cristo prendono senso e valore gli altri riferimenti che il cristiano trova per la sua preghiera e la sua devozione, primo tra tutti quello alla Vergine Maria, la Madre di Gesù.

    Ella occupa nella vita e, quindi, anche nella preghiera del cristiano un posto privilegiato, perché è la Madre di Gesù. Le Chiese d’Oriente l’hanno spesso raffigurata come l’Odigitria, colei che “indica la via”, cioè il Figlio Gesù Cristo. Mi viene in mente quel bel dipinto antico dell’Odigitria nella cattedrale di Bari, semplice: la Madonna che mostra Gesù, nudo. Poi gli hanno messo la camicia per coprire quella nudità, ma la verità è che Gesù è ritratto nudo, ad indicare che lui, uomo nato da Maria, è il Mediatore. E lei segnala il Mediatore: lei è la Odigitria. Nell’iconografia cristiana la sua presenza è ovunque, a volte anche in grande risalto, ma sempre in relazione al Figlio e in funzione di Lui. Le sue mani, i suoi occhi, il suo atteggiamento sono un “catechismo” vivente e sempre segnalano il cardine, il centro: Gesù. Maria è totalmente rivolta a Lui (cfr CCC, 2674). A tal punto, che possiamo dire che è più discepola che Madre. Quella segnalazione, alle nozze di Cana: Maria dice “Fate quello che Lui vi dirà”. Sempre segnala Cristo; ne è la prima discepola.

    Questo è il ruolo che Maria ha occupato per tutta la sua vita terrena e che conserva per sempre: essere l’umile ancella del Signore, niente di più. A un certo punto, nei Vangeli, ella sembra quasi scomparire; ma ritorna nei momenti cruciali, come a Cana, quando il Figlio, grazie al suo intervento premuroso, fece il primo “segno” (cfr Gv 2,1-12), e poi sul Golgota, ai piedi della croce.

    Gesù ha esteso la maternità di Maria a tutta la Chiesa quando le ha affidato il discepolo amato, poco prima di morire in croce. Da quel momento, noi siamo collocati tutti sotto il suo manto, come si vede in certi affreschi o quadri medievali. Anche la prima antifona latina – Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix: la Madonna che, come Madre alla quale Gesù ci ha affidati, avvolge tutti noi; ma come Madre, non come dea, non come corredentrice: come Madre. È vero che la pietà cristiana sempre le dà dei titoli belli, come un figlio alla mamma: quante cose belle dice un figlio alla mamma alla quale vuole bene! Ma stiamo attenti: le cose belle che la Chiesa e i Santi dicono di Maria nulla tolgono all’unicità redentrice di Cristo. Lui è l’unico Redentore. Sono espressioni d’amore come un figlio alla mamma – alcune volte esagerate. Ma l’amore, noi sappiamo, sempre ci fa fare cose esagerate, ma con amore.

    E così abbiamo cominciato a pregarla con alcune espressioni a lei dirette, presenti nei Vangeli: “piena di grazia”, “benedetta fra le donne” (cfr CCC, 2676s.). Nella preghiera dell’Ave Maria sarebbe presto approdato anche il titolo “Theotokos”, “Madre di Dio”, sancito dal Concilio di Efeso. E, analogamente a come avviene nel Padre Nostro, dopo la lode aggiungiamo la supplica: chiediamo alla Madre di pregare per noi peccatori, perché interceda con la sua tenerezza, “adesso e nell’ora della nostra morte”. Adesso, nelle concrete situazioni della vita, e nel momento finale, perché ci accompagni – come Madre, come prima discepola – nel passaggio alla vita eterna.

    Maria è sempre presente al capezzale dei suoi figli che partono da questo mondo. Se qualcuno si ritrova solo e abbandonato, ella è Madre, è lì vicino, come era accanto al suo Figlio quando tutti l’avevano abbandonato.

    Maria è stata ed è presente nei giorni di pandemia, vicino alle persone che purtroppo hanno concluso il loro cammino terreno in una condizione di isolamento, senza il conforto della vicinanza dei loro cari. Maria è sempre lì, accanto a noi, con la sua tenerezza materna.

    Le preghiere rivolte a lei non sono vane. Donna del “sì”, che ha accolto con prontezza l’invito dell’Angelo, risponde pure alle nostre suppliche, ascolta le nostre voci, anche quelle che rimangono chiuse nel cuore, che non hanno la forza di uscire ma che Dio conosce meglio di noi stessi. Le ascolta come Madre. Come e più di ogni buona madre, Maria ci difende nei pericoli, si preoccupa per noi, anche quando noi siamo presi dalle nostre cose e perdiamo il senso del cammino, e mettiamo in pericolo non solo la nostra salute ma la nostra salvezza. Maria è lì, a pregare per noi, a pregare per chi non prega. A pregare con noi. Perché? Perché lei è la nostra Madre.


     

     

    APPELLI

    Ho appreso con dolore la notizia dei recenti attacchi terroristici in Niger, che hanno provocato la morte di 137 persone. Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie e per l’intera popolazione, affinché la violenza subita non faccia smarrire la fiducia nel cammino della democrazia, della giustizia e della pace.

    In questi giorni, grandi inondazioni hanno causato gravi danni nello Stato del Nuovo Galles del Sud, in Australia. Sono vicino alle persone e alle famiglie colpite ancora da questa calamità, specialmente a quanti hanno visto distrutte le loro case, e incoraggio coloro che si stanno prodigando per cercare i dispersi e portare soccorso.

    Oggi è la Giornata Mondiale per la lotta contro la Tubercolosi. Possa questa ricorrenza favorire un rinnovato impulso nella cura di tale malattia e una accresciuta solidarietà nei confronti di quanti ne soffrono. Su di loro e sulle loro famiglie invoco il conforto del Signore.


    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Vi incoraggio ad essere sempre fervorosi e generosi nella vita cristiana, specialmente nella testimonianza della carità verso gli ultimi.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domani si celebra la solennità dell’Annunciazione del Signore, nella quale ricorderemo la Vergine che accoglie con il suo Sì il disegno salvifico dell’Altissimo. Siate anche voi sempre così disponibili e docili alla volontà di Dio! Amate e pregate Maria Santissima, affinché illumini e conforti la vostra vita.

    A tutti la mia benedizione!


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    Mercoledì, 7 aprile 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 28. Pregare in comunione con i santi

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi vorrei soffermarmi sul legame tra la preghiera e la comunione dei santi. In effetti, quando preghiamo, non lo facciamo mai da soli: anche se non ci pensiamo, siamo immersi in un fiume maestoso di invocazioni che ci precede e che prosegue dopo di noi.

    Nelle preghiere che troviamo nella Bibbia, e che spesso risuonano nella liturgia, c’è la traccia di antiche storie, di prodigiose liberazioni, di deportazioni e tristi esili, di commossi ritorni, di lodi sgorgate davanti alle meraviglie del creato... E così queste voci si tramandano di generazione in generazione, in un continuo intreccio tra l’esperienza personale e quella del popolo e dell’umanità a cui apparteniamo. Nessuno può staccarsi dalla propria storia, dalla storia del proprio popolo, sempre nelle abitudini portiamo questa eredità e anche nella preghiera. Nella preghiera di lode, specialmente in quella che sboccia nel cuore dei piccoli e degli umili, riecheggia qualcosa del canto del Magnificat che Maria innalzò a Dio davanti alla sua parente Elisabetta; o dell’esclamazione del vecchio Simeone che, prendendo in braccio il Bambino Gesù, disse così: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,29).

    Le preghiere – quelle buone – sono “diffusive”, si propagano in continuazione, con o senza messaggi sui “social”: dalle corsie di ospedale, dai momenti di ritrovo festoso come da quelli in cui si soffre in silenzio… Il dolore di ciascuno è il dolore di tutti, e la felicità di qualcuno si travasa nell’animo di altri. Il dolore e la felicità, fanno parte dell’unica storia: sono storie che si fanno storia nella propria vita. Si rivive la storia con le proprie parole, ma l’esperienza è la stessa.

    Le preghiere rinascono sempre: ogni volta che congiungiamo le mani e apriamo il cuore a Dio, ci ritroviamo in una compagnia di santi anonimi e di santi riconosciuti che con noi pregano, e che per noi intercedono, come fratelli e sorelle maggiori transitati per la nostra stessa avventura umana. Nella Chiesa non c’è un lutto che resti solitario, non c’è lacrima che sia versata nell’oblio, perché tutto respira e partecipa di una grazia comune. Non è un caso che nelle antiche chiese le sepolture fossero proprio nel giardino intorno all’edificio sacro, come a dire che ad ogni Eucaristia partecipa in qualche modo la schiera di chi ci ha preceduto. Ci sono i nostri genitori e i nostri nonni, ci sono i padrini e le madrine, ci sono i catechisti e gli altri educatori… Quella fede tramandata, trasmessa, che noi abbiamo ricevuto: con la fede è stato trasmesso anche il modo di pregare, la preghiera.

    I santi sono ancora qui, non lontani da noi; e le loro raffigurazioni nelle chiese evocano quella “nube di testimoni” che sempre ci circonda (cfr Eb 12,1). Abbiamo sentito all’inizio la lettura del brano della Lettera agli Ebrei. Sono testimoni che non adoriamo – beninteso, non adoriamo questi santi –, ma che veneriamo e che in mille modi diversi ci rimandano a Gesù Cristo, unico Signore e Mediatore tra Dio e l’uomo. Un Santo che non ti rimanda a Gesù Cristo non è un santo, neppure cristiano. Il Santo ti fa ricordare Gesù Cristo perché ha percorso il cammino della vita come cristiano. I Santi ci ricordano che anche nella nostra vita, pur debole e segnata dal peccato, può sbocciare la santità. Nei Vangeli leggiamo che il primo santo “canonizzato” è stato un ladro e “canonizzato” non da un Papa, ma dallo stesso Gesù. La santità è un percorso di vita, di incontro con Gesù, sia lungo sia breve, sia in un istante, ma sempre è una testimonianza. Un Santo è la testimonianza di un uomo o una donna che ha incontrato Gesù e che ha seguito Gesù. Non è mai troppo tardi per convertirsi al Signore, che è buono e grande nell’amore (cfr Sal 102,8).

    Il Catechismo spiega che i santi «contemplano Dio, lo lodano e non cessano di prendersi cura di coloro che hanno lasciato sulla terra. […] La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli di intercedere per noi e per il mondo intero» (CCC, 2683). In Cristo c’è una misteriosa solidarietà tra quanti sono passati all’altra vita e noi pellegrini in questa: i nostri cari defunti, dal Cielo continuano a prendersi cura di noi. Loro pregano per noi e noi preghiamo per loro, e noi preghiamo con loro.

    Questo legame di preghiera fra noi e i Santi, cioè fra noi e la gente che è arrivata alla pienezza della vita, questo legame di preghiera lo sperimentiamo già qui, nella vita terrena: preghiamo gli uni per gli altri, domandiamo e offriamo preghiere... Il primo modo di pregare per qualcuno è parlare a Dio di lui o di lei. Se facciamo questo frequentemente, ogni giorno, il nostro cuore non si chiude, rimane aperto ai fratelli. Pregare per gli altri è il primo modo di amarli e ci spinge alla vicinanza concreta. Anche nei momenti di conflitti, un modo di sciogliere il conflitto, di ammorbidirlo, è pregare per la persona con la quale io sono in conflitto. E qualcosa cambia con la preghiera. La prima cosa che cambia è il mio cuore, è il mio atteggiamento. Il Signore lo cambia per rendere possibile un incontro, un nuovo incontro ed evitare che il conflitto divenga una guerra senza fine.

    Il primo modo per affrontare un tempo di angustia è quello di chiedere ai fratelli, ai santi soprattutto, che preghino per noi. Il nome che ci è stato dato nel Battesimo non è un’etichetta o una decorazione! È di solito il nome della Vergine, di un Santo o di una Santa, i quali non aspettano altro che di “darci una mano” nella vita, di darci una mano per ottenere da Dio le grazie di cui abbiamo più bisogno. Se nella nostra vita le prove non hanno superato il colmo, se ancora siamo capaci di perseveranza, se malgrado tutto andiamo avanti con fiducia, forse tutto questo, più che ai nostri meriti, lo dobbiamo all’intercessione di tanti santi, alcuni in Cielo, altri pellegrini come noi sulla terra, che ci hanno protetto e accompagnato perché tutti sappiamo che qui sulla terra c’è gente santa, uomini e donne santi che vivono in santità. Loro non lo sanno, neppure noi lo sappiamo, ma ci sono dei santi, dei santi di tutti i giorni, dei santi nascosti o come mi piace dire i “santi della porta accanto”, quelli che convivono nella vita con noi, che lavorano con noi, e conducono una vita di santità.

    Sia dunque benedetto Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, insieme a questa immensa fioritura di santi e sante, che popolano la terra e che hanno fatto della propria vita una lode a Dio. Perché – come affermava San Basilio – «per lo Spirito il santo è una dimora particolarmente adatta, poiché si offre ad abitare con Dio ed è chiamato suo tempio» (Liber de Spiritu Sancto, 26, 62: PG 32, 184A; cfr CCC, 2684).

     

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Il messaggio che scaturisce dalla Risurrezione di Cristo, sia per voi un impegno di testimonianza: riconoscete che nell’evento di Cristo risorto è annunciata la più profonda verità sull’uomo.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La gioia e la pace, doni del Risorto, siano per ciascuno di voi motivo di consolazione e di sicura speranza.

    A tutti la mia benedizione!


    [Modificato da Caterina63 08/04/2021 23:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Catechesi sulla preghiera - 29. La Chiesa maestra di preghiera

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La Chiesa è una grande scuola di preghiera. Molti di noi hanno imparato a sillabare le prime orazioni stando sulle ginocchia dei genitori o dei nonni. Forse custodiamo il ricordo della mamma e del papà che ci insegnavano a recitare le preghiere prima di andare a dormire. Quei momenti di raccoglimento sono spesso quelli in cui i genitori ascoltano dai figli qualche confidenza intima e possono dare il loro consiglio ispirato dal Vangelo. Poi, nel cammino della crescita, si fanno altri incontri, con altri testimoni e maestri di preghiera (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2686-2687). Fa bene ricordarli.

    La vita di una parrocchia e di ogni comunità cristiana è scandita dai tempi della liturgia e della preghiera comunitaria. Quel dono che nell’infanzia abbiamo ricevuto con semplicità, ci accorgiamo che è un patrimonio grande, un patrimonio ricchissimo, e che l’esperienza della preghiera merita di essere approfondita sempre di più (cfr ibid., 2688). L’abito della fede non è inamidato, si sviluppa con noi; non è rigido, cresce, anche attraverso momenti di crisi e risurrezioni; anzi, non si può crescere senza momenti di crisi, perché la crisi ti fa crescere: è un modo necessario per crescere entrare in crisi. E il respiro della fede è la preghiera: cresciamo nella fede tanto quanto impariamo a pregare. Dopo certi passaggi della vita, ci accorgiamo che senza la fede non avremmo potuto farcela e che la preghiera è stata la nostra forza. Non solo la preghiera personale, ma anche quella dei fratelli e delle sorelle, e della comunità che ci ha accompagnato e sostenuto, della gente che ci conosce, della gente alla quale chiediamo di pregare per noi.

    Anche per questo nella Chiesa fioriscono in continuazione comunità e gruppi dediti alla preghiera. Qualche cristiano sente perfino la chiamata a fare della preghiera l’azione principale delle sue giornate. Nella Chiesa ci sono monasteri, ci sono conventi, eremi, dove vivono persone consacrate a Dio e che spesso diventano centri di irradiazione spirituale. Sono comunità di preghiera che irradiano spiritualità. Sono piccole oasi in cui si condivide una preghiera intensa e si costruisce giorno per giorno la comunione fraterna. Sono cellule vitali, non solo per il tessuto ecclesiale ma per la società stessa. Pensiamo, per esempio, al ruolo che ha avuto il monachesimo per la nascita e la crescita della civiltà europea, e anche in altre culture. Pregare e lavorare in comunità manda avanti il mondo. È un motore.

    Tutto nella Chiesa nasce nella preghiera, e tutto cresce grazie alla preghiera. Quando il Nemico, il Maligno, vuole combattere la Chiesa, lo fa prima di tutto cercando di prosciugare le sue fonti, impedendole di pregare. Per esempio, lo vediamo in certi gruppi che si mettono d’accordo per portare avanti riforme ecclesiali, cambiamenti nella vita della Chiesa… Ci sono tutte le organizzazioni, ci sono i media che informano tutti… Ma la preghiera non si vede, non si prega. “Dobbiamo cambiare questo, dobbiamo prendere questa decisione che è un po’ forte…”. È interessante la proposta, è interessante, solo con la discussione, solo con i media, ma dov’è la preghiera? La preghiera è quella che apre la porta allo Spirto Santo, che è quello che ispira per andare avanti. I cambiamenti nella Chiesa senza preghiera non sono cambiamenti di Chiesa, sono cambiamenti di gruppo. E quando il Nemico – come ho detto – vuole combattere la Chiesa, lo fa prima di tutto cercando di prosciugare le sue fonti, impedendole di pregare, e [inducendola a] fare queste altre proposte. Se cessa la preghiera, per un po’ sembra che tutto possa andare avanti come sempre – per inerzia –, ma dopo poco tempo la Chiesa si accorge di essere diventata come un involucro vuoto, di aver smarrito l’asse portante, di non possedere più la sorgente del calore e dell’amore.

    Le donne e gli uomini santi non hanno una vita più facile degli altri, anzi, hanno anch’essi i loro problemi da affrontare e, in più, sono spesso oggetto di opposizioni. Ma la loro forza è la preghiera, che attingono sempre dal “pozzo” inesauribile della madre Chiesa. Con la preghiera alimentano la fiamma della loro fede, come si faceva con l’olio delle lampade. E così vanno avanti camminando nella fede e nella speranza. I santi, che spesso agli occhi del mondo contano poco, in realtà sono quelli che lo sostengono, non con le armi del denaro e del potere, dei media di comunicazione e così via, ma con le armi della preghiera.

    Nel Vangelo di Luca, Gesù pone una domanda drammatica che sempre ci fa riflettere: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8), o troverà soltanto organizzazioni, come un gruppo di “imprenditori della fede”, tutti organizzati bene, che fanno della beneficenza, tante cose…, o troverà fede? «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Questa domanda sta alla fine di una parabola che mostra la necessità di pregare con perseveranza, senza stancarsi (cfr vv. 1-8). Dunque, possiamo concludere che la lampada della fede sarà sempre accesa sulla terra finché ci sarà l’olio della preghiera. La lampada della vera fede della Chiesa sarà sempre accesa sulla terra finché ci sarà l’olio della preghiera. È quello che porta avanti la fede e porta avanti la nostra povera vita, debole, peccatrice, ma la preghiera la porta avanti con sicurezza. È una domanda che noi cristiani dobbiamo farci: prego? Preghiamo? Come prego? Come dei pappagalli o prego con il cuore? Come prego? Prego sicuro che sono nella Chiesa e prego con la Chiesa, o prego un po’ secondo le mie idee e faccio che le mie idee diventino preghiera? Questa è una preghiera pagana, non cristiana. Ripeto: possiamo concludere che la lampada della fede sarà sempre accesa sulla terra finché ci sarà l’olio della preghiera.

    E questo è un compito essenziale della Chiesa: pregare ed educare a pregare. Trasmettere di generazione in generazione la lampada della fede con l’olio della preghiera. La lampada della fede che illumina, che sistema le cose davvero come sono, ma che può andare avanti solo con l’olio della preghiera. Altrimenti si spegne. Senza la luce di questa lampada, non potremmo vedere la strada per evangelizzare, anzi, non potremmo vedere la strada per credere bene; non potremmo vedere i volti dei fratelli da avvicinare e da servire; non potremmo illuminare la stanza dove incontrarci in comunità… Senza la fede, tutto crolla; e senza la preghiera, la fede si spegne. Fede e preghiera, insieme. Non c’è un’altra via. Per questo la Chiesa, che è casa e scuola di comunione, è casa e scuola di fede e di preghiera.

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Auspico che, nel clima della gioia pasquale, possiate mettervi a servizio del Vangelo e dei fratelli. Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Tutti incoraggio a condurre un’esistenza generosa, edificata sulla roccia, cioè su Cristo, nostra unica e salda speranza.

    A tutti la mia benedizione!



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    Catechesi sulla preghiera - 30. La preghiera vocale

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La preghiera è dialogo con Dio; e ogni creatura, in un certo senso, “dialoga” con Dio. Nell’essere umano, la preghiera diventa parola, invocazione, canto, poesia... La Parola divina si è fatta carne, e nella carne di ogni uomo la parola torna a Dio nella preghiera.

    Le parole sono nostre creature, ma sono anche nostre madri, e in qualche misura ci plasmano. Le parole di una preghiera ci fanno attraversare senza pericolo una valle oscura, ci dirigono verso prati verdi e ricchi di acque, facendoci banchettare sotto gli occhi di un nemico, come ci insegna a recitare il salmo (cfr Sal 23). Le parole nascono dai sentimenti, ma esiste anche il cammino inverso: quello per cui le parole modellano i sentimenti. La Bibbia educa l’uomo a far sì che tutto venga alla luce della parola, che nulla di umano venga escluso, censurato. Soprattutto il dolore è pericoloso se rimane coperto, chiuso dentro di noi… Un dolore chiuso dentro di noi, che non può esprimersi o sfogarsi, può avvelenare l’anima; è mortale.

    È per questa ragione che la Sacra Scrittura ci insegna a pregare anche con parole talvolta audaci. Gli scrittori sacri non vogliono illuderci sull’uomo: sanno che nel suo cuore albergano anche sentimenti poco edificanti, addirittura l’odio. Nessuno di noi nasce santo, e quando questi sentimenti cattivi bussano alla porta del nostro cuore bisogna essere capaci di disinnescarli con la preghiera e con le parole di Dio. Nei salmi troviamo anche espressioni molto dure contro i nemici – espressioni che i maestri spirituali ci insegnano a riferire al diavolo e ai nostri peccati –; eppure sono parole che appartengono alla realtà umana e che sono finite nell’alveo delle Sacre Scritture. Sono lì a testimoniarci che, se davanti alla violenza non esistessero le parole, per rendere inoffensivi i cattivi sentimenti, per incanalarli così che non nuocciano, il mondo ne sarebbe tutto quanto sommerso.

    La prima preghiera umana è sempre una recita vocale. Per prime si muovono sempre le labbra. Anche se tutti sappiamo che pregare non significa ripetere parole, tuttavia la preghiera vocale è la più sicura ed è sempre possibile esercitarla. I sentimenti invece, per quanto nobili, sono sempre incerti: vanno e vengono, ci abbandonano e ritornano. Non solo, anche le grazie della preghiera sono imprevedibili: in qualche momento le consolazioni abbondano, ma nei giorni più bui sembrano evaporare del tutto. La preghiera del cuore è misteriosa e in certi momenti latita. La preghiera delle labbra, quella che si bisbiglia o che si recita in coro, è invece sempre disponibile, e necessaria come il lavoro manuale. Il Catechismo afferma: «La preghiera vocale è una componente indispensabile della vita cristiana. Ai discepoli, attratti dalla preghiera silenziosa del loro Maestro, questi insegna una preghiera vocale: il Padre Nostro» (n. 2701). “Insegnaci a pregare”, chiedono i discepoli a Gesù, e Gesù insegna una preghiera vocale: il Padre Nostro. E in quella preghiera c’è tutto.

    Tutti dovremmo avere l’umiltà di certi anziani che, in chiesa, forse perché ormai il loro udito non è più fine, recitano a mezza voce le preghiere che hanno imparato da bambini, riempiendo la navata di bisbigli. Quella preghiera non disturba il silenzio, ma testimonia la fedeltà al dovere dell’orazione, praticata per tutta una vita, senza venire mai meno. Questi oranti dalla preghiera umile sono spesso i grandi intercessori delle parrocchie: sono le querce che di anno in anno allargano le fronde, per offrire ombra al maggior numero di persone. Solo Dio sa quando e quanto il loro cuore fosse unito a quelle preghiere recitate: sicuramente anche queste persone hanno dovuto affrontare notti e momenti di vuoto. Però alla preghiera vocale si può restare sempre fedeli. È come un ancora: aggrapparsi alla corda per restare lì, fedeli, accada quel che accada.

    Abbiamo tutti da imparare dalla costanza di quel pellegrino russo, di cui parla una celebre opera di spiritualità, il quale ha appreso l’arte della preghiera ripetendo per infinite volte la stessa invocazione: “Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di noi, peccatori!” (cfr CCC, 26162667). Ripeteva solo questo. Se arriveranno grazie nella sua vita, se l’orazione si farà un giorno caldissima tanto da percepire la presenza del Regno qui in mezzo a noi, se il suo sguardo si trasformerà fino ad essere come quello di un bambino, è perché ha insistito nella recita di una semplice giaculatoria cristiana. Alla fine, essa diventa parte del suo respiro. È bella la storia del pellegrino russo: è un libro alla portata di tutti. Vi consiglio di leggerlo: vi aiuterà a capire cos’è la preghiera vocale.

    Dunque, non dobbiamo disprezzare la preghiera vocale. Qualcuno dice: “Eh, è cosa per i bambini, per la gente ignorante; io sto cercando la preghiera mentale, la meditazione, il vuoto interiore perché venga Dio”. Per favore, non bisogna cadere nella superbia di disprezzare la preghiera vocale. È la preghiera dei semplici, quella che ci ha insegnato Gesù: Padre nostro, che sei nei cieli … Le parole che pronunciamo ci prendono per mano; in qualche momento restituiscono il gusto, destano anche il più assonnato dei cuori; risvegliano sentimenti di cui avevamo smarrito la memoria, e ci portano per mano verso l’esperienza di Dio. E soprattutto sono le sole, in maniera sicura, che indirizzano a Dio le domande che Lui vuole ascoltare. Gesù non ci ha lasciato nella nebbia. Ci ha detto: “Voi, quando pregate, dite così!”. E ha insegnato la preghiera del Padre Nostro (cfr Mt 6,9).


     

    Saluti:

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Il tempo pasquale che stiamo vivendo favorisca in voi la rinascita nello Spirito Santo, per vivere una vita nuova, piena di amore e di entusiasmo. Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. In questo periodo pasquale, che ci invita a meditare sul mistero della Risurrezione di Cristo, possa la gloria del Signore essere per ognuno sorgente di nuove energie nel cammino verso la salvezza.

    A tutti la mia benedizione!

     

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    Mercoledì, 28 aprile 2021

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    Catechesi sulla preghiera: 31. La meditazione

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi parliamo di quella forma di preghiera che è la meditazione. Per un cristiano “meditare” è cercare una sintesi: significa mettersi davanti alla grande pagina della Rivelazione per provare a farla diventare nostra, assumendola completamente. E il cristiano, dopo aver accolto la Parola di Dio, non la tiene chiusa dentro di sé, perché quella Parola deve incontrarsi con «un altro libro», che il Catechismo chiama «quello della vita» (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2706). È ciò che tentiamo di fare ogni volta che meditiamo la Parola.

    La pratica della meditazione ha ricevuto in questi anni una grande attenzione. Di essa non parlano solamente i cristiani: esiste una pratica meditativa in pressoché tutte le religioni del mondo. Ma si tratta di un’attività diffusa anche tra persone che non hanno una visione religiosa della vita. Tutti abbiamo bisogno di meditare, di riflettere, di ritrovare noi stessi, è una dinamica umana. Soprattutto nel vorace mondo occidentale si cerca la meditazione perché essa rappresenta un argine elevato contro lo stress quotidiano e il vuoto che ovunque dilaga. Ecco, dunque, l’immagine di giovani e adulti seduti in raccoglimento, in silenzio, con gli occhi socchiusi… Ma possiamo domandarci: cosa fanno queste persone? Meditano. È un fenomeno da guardare con favore: infatti noi non siamo fatti per correre in continuazione, possediamo una vita interiore che non può sempre essere calpestata. Meditare è dunque un bisogno di tutti. Meditare, per così dire, assomiglierebbe a fermarsi e fare un respiro nella vita.

    Però ci accorgiamo che questa parola, una volta accolta in un contesto cristiano, assume una specificità che non dev’essere cancellata. Meditare è una dimensione umana necessaria, ma meditare nel contesto cristiano va oltre: è una dimensione che non deve essere cancellata. La grande porta attraverso la quale passa la preghiera di un battezzato – lo ricordiamo ancora una volta – è Gesù Cristo. Per il cristiano la meditazione entra dalla porta di Gesù Cristo. Anche la pratica della meditazione segue questo sentiero. E il cristiano, quando prega, non aspira alla piena trasparenza di sé, non si mette in ricerca del nucleo più profondo del suo io. Questo è lecito, ma il cristiano cerca un’altra cosa. La preghiera del cristiano è anzitutto incontro con l’Altro, con l’Altro ma con la A maiuscola: l’incontro trascendente con Dio. Se un’esperienza di preghiera ci dona la pace interiore, o la padronanza di noi stessi, o la lucidità sul cammino da intraprendere, questi risultati sono, per così dire, effetti collaterali della grazia della preghiera cristiana che è l’incontro con Gesù, cioè meditare è andare all’incontro con Gesù, guidati da una frase o da una parola della Sacra Scrittura.

    Il termine “meditazione” nel corso della storia ha avuto significati diversi. Anche all’interno del cristianesimo esso si riferisce a esperienze spirituali diverse. Tuttavia, si può rintracciare qualche linea comune, e in questo ci aiuta ancora il Catechismo, che dice così: «I metodi di meditazione sono tanti quanti i maestri spirituali. […] Ma un metodo non è che una guida; l’importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull’unica via della preghiera: Cristo Gesù» (n. 2707). E qui viene segnalato un compagno di cammino, uno che ci guida: lo Spirito Santo. Non è possibile la meditazione cristiana senza lo Spirito Santo. È Lui che ci guida all’incontro con Gesù. Gesù ci aveva detto: “Vi invierò lo Spirito Santo. Lui vi insegnerà e vi spiegherà. Vi insegnerà e vi spiegherà”. E anche nella meditazione, lo Spirito Santo è la guida per andare avanti nell’incontro con Gesù Cristo.

    Dunque, sono tanti i metodi di meditazione cristiana: alcuni molto sobri, altri più articolati; alcuni accentuano la dimensione intellettiva della persona, altri piuttosto quella affettiva ed emotiva. Sono metodi. Tutti sono importanti e tutti sono degni di essere praticati, in quanto possono aiutare l’esperienza della fede a diventare un atto totale della persona: non prega solo la mente, prega tutto l’uomo, la totalità della persona, come non prega solo il sentimento. Gli antichi solevano dire che l’organo della preghiera è il cuore, e così spiegavano che è tutto l’uomo, a partire dal suo centro, dal cuore, che entra in relazione con Dio, e non solamente alcune sue facoltà. Perciò si deve sempre ricordare che il metodo è una strada, non una meta: qualsiasi metodo di preghiera, se vuole essere cristiano, fa parte di quella sequela Christi che è l’essenza della nostra fede. I metodi di meditazione sono strade da percorrere per arrivare all’incontro con Gesù, ma se tu ti fermi nella strada e guardi soltanto la strada, non troverai mai Gesù. Farai della strada un dio, ma la strada è un mezzo per portarti a Gesù. Il Catechismo precisa: «La meditazione mette in azione il pensiero, l’immaginazione, l’emozione e il desiderio. Questa mobilitazione è necessaria per approfondire le convinzioni di fede, suscitare la conversione del cuore e rafforzare la volontà di seguire Cristo. La preghiera cristiana di preferenza si sofferma a meditare “i misteri di Cristo”» (n. 2708).

    Ecco, dunque, la grazia della preghiera cristiana: Cristo non è lontano, ma è sempre in relazione con noi. Non c’è aspetto della sua persona divino-umana che non possa diventare per noi luogo di salvezza e di felicità. Ogni momento della vita terrena di Gesù, attraverso la grazia della preghiera, può diventare a noi contemporaneo, grazie allo Spirito Santo, la guida. Ma voi sapete che non si può pregare senza la guida dello Spirito Santo. È Lui che ci guida! E grazie allo Spirito Santo, anche noi siamo presenti presso il fiume Giordano, quando Gesù vi si immerge per ricevere il battesimo. Anche noi siamo commensali alle nozze di Cana, quando Gesù dona il vino più buono per la felicità degli sposi, cioè è lo Spirito Santo che ci collega con questi misteri della vita di Cristo perché nella contemplazione di Gesù facciamo l’esperienza della preghiera per unirci più a Lui. Anche noi assistiamo stupiti alle mille guarigioni compiute dal Maestro. Prendiamo il Vangelo, facciamo la meditazione di quei misteri del Vangelo e lo Spirito ci guida ad essere presenti lì. E nella preghiera – quando preghiamo – tutti noi siamo come il lebbroso purificato, il cieco Bartimeo che riacquista la vista, Lazzaro che esce dal sepolcro... Anche noi siamo guariti nella preghiera come è stato guarito il cieco Bartimeo, quell’altro, il lebbroso … Anche noi siamo risorti, come è stato risuscitato Lazzaro, perché la preghiera di meditazione guidata dallo Spirito Santo, ci porta a rivivere questi misteri della vita di Cristo e a incontrarci con Cristo e a dire, con il cieco: “Signore, abbi pietà di me! Abbi pietà di me”- “E cosa vuoi?” - “Vedere, entrare in quel dialogo”. E la meditazione cristiana, guidata dallo Spirito ci porta questo dialogo con Gesù. Non c’è pagina di Vangelo in cui non ci sia posto per noi. Meditare, per noi cristiani, è un modo di incontrare Gesù. E così, solo così, di ritrovare noi stessi. E questo non è un ripiegamento su noi stessi, no: andare da Gesù e da Gesù incontrare noi stessi, guariti, risorti, forti per la grazia di Gesù. E incontrare Gesù salvatore di tutti, anche di me. E questo grazie alla guida dello Spirito Santo.


     

    Saluti:

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. in questo tempo pasquale vi invito a rinnovare con generosità il vostro impegno nel servire Dio e i fratelli. Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Siate coraggiosi testimoni del Cristo risorto, il quale mostra ai discepoli le piaghe, ormai gloriose, della sua Passione.

    A tutti la mia benedizione!











    Fraternamente CaterinaLD

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    Catechesi sulla preghiera: 32. La preghiera contemplativa


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


    Continuiamo le catechesi sulla preghiera e in questa catechesi vorrei soffermarmi sulla preghiera di contemplazione.


    La dimensione contemplativa dell’essere umano – che non è ancora la preghiera contemplativa – è un po’ come il “sale” della vita: dà sapore, dà gusto alle nostre giornate. Si può contemplare guardando il sole che sorge al mattino, o gli alberi che si rivestono di verde a primavera; si può contemplare ascoltando una musica o il canto degli uccelli, leggendo un libro, davanti a un’opera d’arte o a quel capolavoro che è il volto umano… Carlo Maria Martini, inviato come Vescovo a Milano, intitolò la sua prima Lettera pastorale “La dimensione contemplativa della vita”: in effetti, chi vive in una grande città, dove tutto – possiamo dire - è artificiale, dove tutto è funzionale, rischia di perdere la capacità di contemplare. Contemplare non è prima di tutto un modo di fare, ma è un modo di essere: essere contemplativo.


    Essere contemplativi non dipende dagli occhi, ma dal cuore. E qui entra in gioco la preghiera, come atto di fede e d’amore, come “respiro” della nostra relazione con Dio. La preghiera purifica il cuore e, con esso, rischiara anche lo sguardo, permettendo di cogliere la realtà da un altro punto di vista. Il Catechismo descrive questa trasformazione del cuore da parte della preghiera citando una famosa testimonianza del Santo Curato d’Ars: «La contemplazione è sguardo di fede fissato su Gesù. “Io lo guardo ed egli mi guarda”, diceva al suo santo curato il contadino di Ars in preghiera davanti al Tabernacolo. […] La luce dello sguardo di Gesù illumina gli occhi del nostro cuore; ci insegna a vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715). Tutto nasce da lì: da un cuore che si sente guardato con amore. Allora la realtà viene contemplata con occhi diversi.


    “Io guardo Lui, e Lui guarda me!”. È così: nella contemplazione amorosa, tipica della preghiera più intima, non servono tante parole: basta uno sguardo, basta essere convinti che la nostra vita è circondata da un amore grande e fedele da cui nulla ci potrà mai separare.


    Gesù è stato maestro di questo sguardo. Nella sua vita non sono mai mancati i tempi, gli spazi, i silenzi, la comunione amorosa che permette all’esistenza di non essere devastata dalle immancabili prove, ma di custodire intatta la bellezza. Il suo segreto era la relazione con il Padre celeste.


    Pensiamo all’avvenimento della Trasfigurazione. I Vangeli collocano questo episodio nel momento critico della missione di Gesù, quando crescono intorno a Lui la contestazione e il rifiuto. Perfino tra i suoi discepoli molti non lo capiscono e se ne vanno; uno dei Dodici cova pensieri di tradimento. Gesù comincia a parlare apertamente delle sofferenze e della morte che lo attendono a Gerusalemme. È in questo contesto che Gesù sale su un alto monte con Pietro, Giacomo e Giovanni. Dice il Vangelo di Marco: «Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (9,2-3). Proprio nel momento in cui Gesù è incompreso - se ne andavano, lo lasciavano solo perché non lo capivano -, in questo momento che lui è incompreso, proprio quando tutto sembra offuscarsi in un vortice di malintesi, è lì che risplende una luce divina. È la luce dell’amore del Padre, che riempie il cuore del Figlio e trasfigura tutta la sua Persona.


    Alcuni maestri di spiritualità del passato hanno inteso la contemplazione come opposta all’azione, e hanno esaltato quelle vocazioni che fuggono dal mondo e dai suoi problemi per dedicarsi interamente alla preghiera. In realtà, in Gesù Cristo nella sua persona e nel Vangelo non c’è contrapposizione tra contemplazione e azione, no. Nel Vangelo in Gesù non c’è contraddizione. Essa è venuta forse dall’influsso di qualche filosofo neoplatonico ma sicuramente si tratta di un dualismo che non appartiene al messaggio cristiano.


    C’è un’unica grande chiamata nel Vangelo, ed è quella a seguire Gesù sulla via dell’amore. Questo è l’apice, è il centro di tutto. In questo senso, carità e contemplazione sono sinonimi, dicono la medesima cosa. San Giovanni della Croce sosteneva che un piccolo atto di puro amore è più utile alla Chiesa di tutte le altre opere messe insieme. Ciò che nasce dalla preghiera e non dalla presunzione del nostro io, ciò che viene purificato dall’umiltà, anche se è un atto di amore appartato e silenzioso, è il più grande miracolo che un cristiano possa realizzare. E questa è la strada della preghiera di contemplazione: io Lo guardo, Lui mi guarda! Questo atto di amore nel dialogo silenzioso con Gesù fa tanto bene alla Chiesa.




     


    Saluti:

    [Saluto i fedeli di lingua araba. San Giovanni della Croce sosteneva che un piccolo atto di puro amore è più utile alla Chiesa di tutte le altre opere messe insieme. Ciò che nasce dalla preghiera e non dalla presunzione del nostro io, ciò che viene purificato dall’umiltà, anche se è un atto di amore appartato e silenzioso, è il più grande miracolo che un cristiano possa realizzare. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Miesiąc maj, poświęcony Najświętszej Maryi Pannie jest Wam szczególnie bliski. Zgodnie z tradycją Waszych ojców, gromadzicie się w kościołach, domach, a także przed obrazami i figurami Matki Bożej, umieszczonymi na placach, skrzyżowaniach dróg oraz w przydomowych kapliczkach, po to, aby kontemplować Jej piękno, miłość i dobroć. Niech Dziewica Niepokalana, wyzwoli ludzkość z dramatu pandemii oraz prowadzi Waszą Ojczyznę i Wasze rodziny do Swojego Syna, Jezusa Chrystusa. Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Il mese di maggio, dedicato alla Beata Vergine Maria è particolarmente caro a voi. Secondo la tradizione dei vostri padri, vi riunite nelle chiese, nelle case e anche davanti alle immagini e alle statue della Madre di Dio, poste sulle piazze, sui crocicchi delle strade e nelle cappelle domestiche, per contemplare la sua bellezza, l’amore e la bontà. La Vergine Immacolata liberi l’umanità dal dramma della pandemia e guidi la vostra Patria e le vostre famiglie verso il suo Figlio, Gesù Cristo. Vi benedico di cuore.]


    APPELLO

    Guidati dai Santuari sparsi nel mondo, in questo mese di maggio recitiamo il Rosario per invocare la fine della pandemia e la ripresa delle attività sociali e lavorative. Oggi guida questa preghiera mariana il Santuario della Beata Vergine del Rosario a Namyang, in Corea del Sud. Ci uniamo a quanti sono raccolti in questo Santuario, pregando specialmente per i bambini e gli adolescenti.

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. La tradizione popolare dedica il mese di maggio alla Madonna. Vi esorto alla recita del Rosario, con cui la Vergine Maria è particolarmente onorata. A tale proposito, Vi invito ad unirvi spiritualmente alla Supplica alla Madonna del Rosario che si terrà sabato prossimo 8 maggio a mezzogiorno al Santuario di Pompei. Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Pregate Maria, modello di fede e testimone operosa della parola di Cristo, per ottenere vigore cristiano nelle scelte e nelle difficoltà della vita.

    A tutti la mia benedizione!




    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 12 maggio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 33. Il combattimento della preghiera

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono contento di riprendere questo incontro faccia a faccia, perché vi dico una cosa: non è bello parlare davanti al niente, a una telecamera. Non è bello. E adesso, dopo tanti mesi, grazie al coraggio di monsignor Sapienza - che ha detto: “No, la facciamo lì” – siamo qui riuniti. E bravo monsignor Sapienza! E trovare la gente, e trovare voi, ognuno con la propria storia, gente che viene da tutte le parti, dall’Italia, dagli Stati Uniti, dalla Colombia, poi quella piccola equipe di calcio di quattro fratellini svizzeri – credo – che sono lì … quattro. Manca la sorellina, speriamo che arriva … E vedere ognuno di voi a me fa piacere, perché siamo tutti fratelli nel Signore e guardarci ci aiuta a pregare l’uno per l’altro. Anche la gente che è lontana ma sempre si fa vicino. L’immancabile sœur Geneviève che viene da Lunapark, gente che lavora: sono tanti e sono qui tutti. Grazie per la vostra presenza e la vostra visita. Portate il messaggio del Papa a tutti. Il messaggio del Papa è che io prego per tutti, e chiedo di pregare per me uniti nella preghiera.

    E parlando della preghiera, la preghiera cristiana, come tutta la vita cristiana, non è una “passeggiata”. Nessuno dei grandi oranti che incontriamo nella Bibbia e nella storia della Chiesa ha avuto una preghiera “comoda”. Sì, si può pregare come i pappagalli – bla, bla, bla, bla, bla – ma questa non è preghiera. La preghiera certamente dona una grande pace, ma attraverso un combattimento interiore, a volte duro, che può accompagnare periodi anche lunghi della vita. Pregare non è una cosa facile e per questo noi scappiamo dalla preghiera. Ogni volta che vogliamo farlo, subito ci vengono in mente tante altre attività, che in quel momento appaiono più importanti e più urgenti. Questo succede anche a me: vado a pregare un po’ ... E no, devo fare questo e l’altro … Noi fuggiamo dalla preghiera, non so perché, ma è così. Quasi sempre, dopo aver rimandato la preghiera, ci accorgiamo che quelle cose non erano affatto essenziali, e che magari abbiamo sprecato del tempo. Il Nemico ci inganna così.

    Tutti gli uomini e le donne di Dio riferiscono non solamente la gioia della preghiera, ma anche il fastidio e la fatica che essa può procurare: in qualche momento è una dura lotta tenere fede ai tempi e ai modi della preghiera. Qualche santo l’ha portata avanti per anni senza provarne alcun gusto, senza percepirne l’utilità. Il silenzio, la preghiera, la concentrazione sono esercizi difficili, e qualche volta la natura umana si ribella. Preferiremmo stare in qualsiasi altra parte del mondo, ma non lì, su quella panca della chiesa a pregare. Chi vuole pregare deve ricordarsi che la fede non è facile, e qualche volta procede in un’oscurità quasi totale, senza punti di riferimento. Ci sono momenti della vita di fede che sono oscuri e per questo qualche Santo li chiama: “La notte oscura”, perché non si sente nulla. Ma io continuo a pregare.

    Il Catechismo elenca una lunga serie di nemici della preghiera, quelli che rendono difficile pregare, che mettono delle difficoltà. (cfr nn. 2726-2728). Qualcuno dubita che essa possa raggiungere veramente l’Onnipotente: ma perché Dio sta in silenzio? Se Dio è Onnipotente, potrebbe dire due parole e finire la storia. Davanti all’inafferrabilità del divino, altri sospettano che la preghiera sia una mera operazione psicologica; qualcosa che magari è utile, ma non vera né necessaria: e si potrebbe addirittura essere praticanti senza essere credenti. E così via, tante spiegazioni.

    I nemici peggiori della preghiera sono però dentro di noi. Il Catechismo li chiama così: «Scoraggiamento dinanzi alle nostre aridità, tristezza di non dare tutto al Signore, poiché abbiamo “molti beni”, delusione per non essere esauditi secondo la nostra volontà, ferimento del nostro orgoglio che si ostina sulla nostra indegnità di peccatori, allergia alla gratuità della preghiera» (n. 2728). Si tratta chiaramente di un elenco sommario, che potrebbe essere allungato.

    Cosa fare nel tempo della tentazione, quando tutto sembra vacillare? Se perlustriamo la storia della spiritualità, notiamo subito come i maestri dell’anima avessero ben chiara la situazione che abbiamo descritto. Per superarla, ognuno di essi ha offerto qualche contributo: una parola di sapienza, oppure un suggerimento per affrontare i tempi irti di difficoltà. Non si tratta di teorie elaborate a tavolino, no, quanto di consigli nati dall’esperienza, che mostrano l’importanza di resistere e di perseverare nella preghiera.

    Sarebbe interessante passare in rassegna almeno alcuni di questi consigli, perché ciascuno merita di essere approfondito. Ad esempio, gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola sono un libretto di grande sapienza, che insegna a mettere ordine nella propria vita. Fa capire che la vocazione cristiana è militanza, è decisione di stare sotto la bandiera di Gesù Cristo e non sotto quella del diavolo, cercando di fare il bene anche quando ciò diventa difficile.

    Nei tempi di prova è bene ricordarsi che non siamo soli, che qualcuno veglia al nostro fianco e ci protegge. Anche Sant’Antonio abate, il fondatore del monachesimo cristiano, in Egitto, affrontò momenti terribili, in cui la preghiera si trasformava in dura lotta. Il suo biografo Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria, narra che uno degli episodi peggiori capitò al Santo eremita intorno ai trentacinque anni, età di mezzo che per molti comporta una crisi. Antonio fu turbato da quella prova, ma resistette. Quando finalmente tornò il sereno, si rivolse al suo Signore con un tono quasi di rimprovero: «Dov’eri? Perché non sei venuto subito a porre fine alle mie sofferenze?». E Gesù rispose: «Antonio, io ero là. Ma aspettavo di vederti combattere» (Vita di Antonio, 10). Combattere nella preghiera. E tante volte la preghiera è un combattimento. Mi viene alla memoria una cosa che ho vissuto da vicino, quando ero nell’altra diocesi. C’era una coppia che aveva una figlia di nove anni, con una malattia che i medici non sapevano cosa fosse. E alla fine, in ospedale, il medico disse alla mamma: “Signora, chiami suo marito”. E il marito era a lavoro; erano operai, lavoravano tutti i giorni. E disse al padre: “La bambina non passa la notte. È un’infezione, non possiamo fare nulla”. Quell’uomo, forse non andava tutte le domeniche a Messa, ma aveva una fede grande. Uscì piangendo, lasciò la moglie lì con la bambina nell’ospedale, prese il treno e fece i settanta chilometri di distanza verso la Basilica della Madonna di Luján, la Patrona dell’Argentina. E lì - la basilica era già chiusa, erano quasi le dieci di notte, di sera – lui si aggrappò alle grate della Basilica e tutta la notte pregando la Madonna, combattendo per la salute della figlia. Questa non è una fantasia; l’ho visto io! L’ho vissuto io. Combattendo quell’uomo lì. Alla fine, alle sei del mattino, si aprì la chiesa e lui entrò a salutare la Madonna: tutta la notte a “combattere”, e poi tornò a casa. Quando arrivò, cercò la moglie, ma non la trovò e pensò: “Se ne è andata. No, la Madonna non può farmi questo”. Poi la trovò, sorridente che diceva: “Ma non so cosa è successo; i medici dicono che è cambiato così e che adesso è guarita”. Quell’uomo lottando con la preghiera ha avuto la grazia della Madonna. La Madonna lo ha ascoltato. E questo l’ho visto io: la preghiera fa dei miracoli, perché la preghiera va proprio al centro della tenerezza di Dio che ci ama come un padre. E quando non ci fa la grazia, ce ne farà un’altra che poi vedremo con il tempo. Ma sempre occorre il combattimento nella preghiera per chiedere la grazia. Sì, delle volte noi chiediamo una grazia di cui abbiamo bisogno, ma la chiediamo così, senza voglia, senza combattere, ma non si chiedono così le cose serie. La preghiera è un combattimento e il Signore sempre è con noi.

    Se in un momento di cecità non riusciamo a scorgere la sua presenza, ci riusciremo in futuro. Capiterà anche a noi di ripetere la stessa frase che disse un giorno il patriarca Giacobbe: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Alla fine della nostra vita, volgendo all’indietro lo sguardo, anche noi potremo dire: “Pensavo di essere solo, ma no, non lo ero: Gesù era con me”. Tutti potremo dire questo.

    Saluti:

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Durante questo mese di maggio, dedicato alla Vergine Santa, invoco la celeste protezione della Madonna su ciascuno di voi e sulle vostre rispettive famiglie.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

    Ricorrete spesso a Maria, Madre dei credenti! Le varie forme di devozione mariana, e specialmente la recita del Santo Rosario, vi aiuteranno a vivere il vostro cammino di fede e di testimonianza cristiana.



    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 19 maggio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 34. Distrazioni, aridità, accidia

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Seguendo la falsariga del Catechismo, in questa catechesi ci riferiamo all’esperienza vissuta della preghiera, cercando di mostrarne alcune difficoltà molto comuni, che vanno identificate e superate. Pregare non è facile: ci sono tante difficoltà che vengono nella preghiera. Bisogna conoscerle, individuarle e superarle.

    Il primo problema che si presenta a chi prega è la distrazione. (cfr CCC, 2729). Tu incominci a pregare e poi la mente gira, gira per tutto il mondo; il tuo cuore è lì, la mente è lì … la distrazione dalla preghiera. La preghiera convive spesso con la distrazione. Infatti, la mente umana fatica a soffermarsi a lungo su un solo pensiero. Tutti sperimentiamo questo continuo turbinio di immagini e di illusioni in perenne movimento, che ci accompagna persino durante il sonno. E tutti sappiamo che non è bene dare seguito a questa inclinazione scomposta.

    La lotta per conquistare e mantenere la concentrazione non riguarda solo la preghiera. Se non si raggiunge un sufficiente grado di concentrazione non si può studiare con profitto e nemmeno si può lavorare bene. Gli atleti sanno che le gare non si vincono solo con l’allenamento fisico ma anche con la disciplina mentale: soprattutto con la capacità di stare concentrati e di mantenere desta l’attenzione.

    Le distrazioni non sono colpevoli, però vanno combattute. Nel patrimonio della nostra fede c’è una virtù che spesso viene dimenticata, ma che è tanto presente nel Vangelo. Si chiama “vigilanza”. E Gesù lo dice tanto: “Vigilate. Pregate”. Il Catechismo la cita esplicitamente nella sua istruzione sulla preghiera (cfr n. 2730). Spesso Gesù richiama i discepoli al dovere di una vita sobria, guidata dal pensiero che prima o poi Lui ritornerà, come uno sposo dalle nozze o un padrone da un viaggio. Non conoscendo però il giorno e l’ora del suo ritorno, tutti i minuti della nostra vita sono preziosi e non vanno dispersi in distrazioni. In un istante che non conosciamo risuonerà la voce del nostro Signore: in quel giorno, beati quei servi che Egli troverà operosi, ancora concentrati su ciò che veramente conta. Non si sono dispersi inseguendo ogni attrattiva che si affacciava alla loro mente, ma hanno cercato di camminare sulla strada giusta, facendo il bene e facendo il proprio compito. Questa è la distrazione: che l’immaginazione gira, gira, gira … Santa Teresa chiamava questa immaginazione che gira, gira nella preghiera, “la pazza della casa”: è come una pazza che ti fa girare, girare … Dobbiamo fermarla e ingabbiarla, con l’attenzione.

    Un discorso diverso merita il tempo dell’aridità. Il Catechismo lo descrive in questo modo: «Il cuore è insensibile, senza gusto per i pensieri, i ricordi e i sentimenti anche spirituali. È il momento della fede pura, che rimane con Gesù nell’agonia e nella tomba» (n. 2731). L’aridità ci fa pensare al Venerdì Santo, alla notte e al Sabato Santo, tutta la giornata: Gesù non c’è, è nella tomba; Gesù è morto: siamo soli. E questo è il pensiero-madre dell’aridità. Spesso non sappiamo quali siano le ragioni dell’aridità: può dipendere da noi stessi, ma anche da Dio, che permette certe situazioni della vita esteriore o interiore. O, alle volte, può essere un mal di testa o un mal di fegato che ti impedisce di entrare nella preghiera. Spesso non sappiamo bene la ragione. I maestri spirituali descrivono l’esperienza della fede come un continuo alternarsi di tempi di consolazione e di desolazione; momenti in cui tutto è facile, mentre altri sono segnati da una grande pesantezza. Tante volte, quando noi troviamo un amico, diciamo. “Come stai?” – “Oggi sto giù”. Tante volte siamo “giù”, cioè non abbiamo dei sentimenti, non abbiamo consolazioni, non ce la facciamo. Sono quei giorni grigi … e ce ne sono, tanti, nella vita! Ma il pericolo è avere il cuore grigio: quando questo “essere giù” arriva al cuore e lo ammala … e c’è gente che vive con il cuore grigio. Questo è terribile: non si può pregare, non si può sentire la consolazione con il cuore grigio! O non si può portare avanti un’aridità spirituale con il cuore grigio. Il cuore dev’essere aperto e luminoso, perché entri la luce del Signore. E se non entra, bisogna aspettarla con speranza. Ma non chiuderla nel grigio.

    Poi, una cosa diversa è l’accidia, un altro difetto, un altro vizio, che è una vera e propria tentazione contro la preghiera e, più in generale, contro la vita cristiana. L’accidia è «una forma di depressione dovuta al rilassamento dell’ascesi, a un venire meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore» (CCC, 2733). È uno dei sette “vizi capitali” perché, alimentato dalla presunzione, può condurre alla morte dell’anima.

    Come fare dunque in questo succedersi di entusiasmi e avvilimenti? Si deve imparare a camminare sempre. Il vero progresso della vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nell’essere capaci di perseverare in tempi difficili: cammina, cammina, cammina … E se sei stanco, fermati un po’ e torna a camminare. Ma con perseveranza. Ricordiamo la parabola di San Francesco sulla perfetta letizia: non è nelle fortune infinite piovute dal Cielo che si misura la bravura di un frate, ma nel camminare con costanza, anche quando non si è riconosciuti, anche quando si è maltrattati, anche quando tutto ha perso il gusto degli inizi. Tutti i santi sono passati per questa “valle oscura”, e non scandalizziamoci se, leggendo i loro diari, ascoltiamo il resoconto di serate di preghiera svogliata, vissuta senza gusto. Bisogna imparare a dire: “Anche se Tu, Dio mio, sembri far di tutto perché io smetta di credere in Te, io invece continuo a pregarti”. I credenti non spengono mai la preghiera! Essa a volte può assomigliare a quella di Giobbe, il quale non accetta che Dio lo tratti ingiustamente, protesta e lo chiama in giudizio. Ma, tante volte, anche protestare davanti a Dio è un modo di pregare o, come diceva quella vecchietta, “arrabbiarsi con Dio è un modo di preghiera, pure”, perché tante volte il figlio si arrabbia con il papà: è un modo di rapporto con il papà; perché lo riconosce “padre”, si arrabbia …

    E anche noi, che siamo molto meno santi e pazienti di Giobbe, sappiamo che alla fine, al termine di questo tempo di desolazione, in cui abbiamo elevato al Cielo grida mute e tanti “perché?”, Dio ci risponderà. Non dimenticare la preghiera del “perché?”: è la preghiera che fanno i bambini quando incominciano a non capire le cose e gli psicologi la chiamano “l’età dei perché”, perché il bambino domanda al papà: “Papà, perché …? Papà, perché …? Papà, perché …?”. Ma stiamo attenti: il bambino non ascolta la risposta del papà. Il papà incomincia a rispondere e il bambino arriva con un altro perché. Soltanto vuole attirare su di sé lo sguardo del papà; e quando noi ci arrabbiamo un po’ con Dio e incominciamo a dire dei perché, stiamo attirando il cuore di nostro Padre verso la nostra miseria, verso la nostra difficoltà, verso la nostra vita. Ma sì, abbiate il coraggio di dire a Dio: “Ma perché …?”. Perché a volte, arrabbiarsi un po’ fa bene, perché ci fa svegliare questo rapporto da figlio a Padre, da figlia a Padre, che noi dobbiamo avere con Dio. E anche le nostre espressioni più dure e più amare, Egli le raccoglierà con l’amore di un padre, e le considererà come un atto di fede, come una preghiera.

    Saluti:

    Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. La festa, ormai vicina, della Pentecoste mi offre lo spunto per incoraggiarvi a implorare con più fervore lo Spirito Santo, perché riempia del Suo amore il cuore delle persone, faccia risplendere nel mondo la Sua luce, e susciti in tutti propositi e azioni di pace.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Invoco su ciascuno lo Spirito Santo, affinché con i Suoi doni di grazia vi sia di sostegno e di consolazione nel cammino della vita.




    [Modificato da Caterina63 19/05/2021 17:44]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 31/05/2021 10:38

    UDIENZA GENERALE


    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 26 maggio 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 35. La certezza di essere ascoltati

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    C’è una contestazione radicale alla preghiera, che deriva da una osservazione che tutti facciamo: noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate: ciò che abbiamo chiesto – per noi o per gli altri – non si è realizzato. Noi abbiamo questa esperienza, tante volte. Se poi il motivo per cui abbiamo pregato era nobile (come può essere l’intercessione per la salute di un malato, o perché cessi una guerra), il non esaudimento ci appare scandaloso. Per esempio, per le guerre: noi stiamo pregando perché finiscano le guerre, queste guerre in tante parti del mondo, pensiamo allo Yemen, pensiamo alla Siria, Paesi che sono in guerra da anni, da anni! Paesi martoriati dalle guerre, noi preghiamo e non finiscono. Ma come mai può essere questo? «Alcuni smettono perfino di pregare perché, pensano, la loro supplica non è esaudita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2734). Ma se Dio è Padre, perché non ci ascolta? Lui che ha assicurato di dare cose buone ai figli che gliele chiedono (cfr Mt 7,10), perché non risponde alle nostre richieste? Tutti noi abbiamo esperienza di questo: abbiamo pregato, pregato, per la malattia di questo amico, di questo papà, di questa mamma e poi se ne sono andati, Dio non ci ha esauditi. È un’esperienza di tutti noi.

    Il Catechismo ci offre una buona sintesi sulla questione. Ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico. La preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore. In effetti, quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi (cfr n. 2735). Ecco allora una preghiera che sempre reclama, che vuole indirizzare gli avvenimenti secondo il nostro disegno, che non ammette altri progetti se non i nostri desideri. Gesù invece ha avuto una grande sapienza mettendoci sulle labbra il “Padre nostro”. È una preghiera di sole domande, come sappiamo, ma le prime che pronunciamo sono tutte dalla parte di Dio. Chiedono che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo. Meglio lasciar fare a Lui: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà» (Mt 6,9-10).

    E l’apostolo Paolo ci ricorda che noi non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare (cfr Rm 8,26). Noi domandiamo per le nostre necessità, i nostri bisogni, le cose che noi vogliamo, “ma questo è più conveniente o no?”. Paolo ci dice: noi neppure sappiamo cosa è conveniente chiedere. Quando preghiamo dobbiamo essere umili: questo è il primo atteggiamento per andare a pregare. Così come c’è l’abitudine in tanti posti che per andare a pregare in chiesa, le donne si mettono il velo o si prende l’acqua benedetta per iniziare a pregare, così dobbiamo dirci, prima della preghiera, ciò che sia più conveniente, che Dio mi dia quello che conviene di più: Lui sa. Quando preghiamo dobbiamo essere umili, perché le nostre parole siano effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge. Si può anche pregare per motivi sbagliati: ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra. È facile scrivere su uno stendardo “Dio è con noi”; molti sono ansiosi di assicurare che Dio sia con loro, ma pochi si preoccupano di verificare se loro sono effettivamente con Dio. Nella preghiera, è Dio che deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio. È l’umiltà. Io vado a pregare ma Tu, Signore, converti il mio cuore perché chieda quello che è conveniente, chieda quello che sarà meglio per la mia salute spirituale.

    Tuttavia, rimane lo scandalo: quando gli uomini pregano con cuore sincero, quando domandano beni che corrispondono al Regno di Dio, quando una mamma prega per il figlio malato, perché a volte sembra che Dio non ascolti? Per rispondere a questa domanda, bisogna meditare con calma i Vangeli. I racconti della vita di Gesù sono pieni di preghiere: tante persone ferite nel corpo e nello spirito gli chiedono di essere guarite; c’è chi lo prega per un amico che non cammina più; ci sono padri e madri che gli portano figli e figlie malati... Sono tutte preghiere impregnate di sofferenza. È un immenso coro che invoca: “Abbi pietà di noi!”.

    Vediamo che a volte la risposta di Gesù è immediata, invece in qualche altro caso essa è differita nel tempo: sembra che Dio non risponda. Pensiamo alla donna cananea che supplica Gesù per la figlia: questa donna deve insistere a lungo per essere esaudita (cfr Mt 15,21-28). Ha anche l’umiltà di sentire una parola di Gesù che sembra un po’ offensiva: non dobbiamo buttare il pane ai cani, ai cagnolini. Ma a questa donna non importa l’umiliazione: importa la salute della figlia. E va avanti: “Sì, anche i cagnolini mangiano quello che cade dalla mensa”, e questo piacque a Gesù. Il coraggio nella preghiera. Oppure pensiamo al paralitico portato dai suoi quattro amici: inizialmente Gesù perdona i suoi peccati e solo in un secondo tempo lo guarisce nel corpo (cfr Mc 2,1-12). Dunque, in qualche occasione la soluzione del dramma non è immediata. Anche nella nostra vita, ognuno di noi ha questa esperienza. Abbiamo un po’ di memoria: quante volte abbiamo chiesto una grazia, un miracolo, diciamolo così, e non è accaduto nulla. Poi, con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo di Dio, il modo divino, non secondo quello che noi volevamo in quel momento. Il tempo di Dio non è il nostro tempo.

    Da questo punto di vista, merita attenzione soprattutto la guarigione della figlia di Giairo (cfr Mc 5,21-33). C’è un padre che corre trafelato: sua figlia sta male e per questo motivo chiede l’aiuto di Gesù. Il Maestro accetta subito, ma mentre vanno verso casa succede un’altra guarigione, e poi giunge la notizia che la bambina è morta. Sembra la fine, invece Gesù dice al padre: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36). “Continua ad avere fede”: perché è la fede che sostiene la preghiera. E infatti, Gesù risveglierà quella bambina dal sonno della morte. Ma per un certo tempo, Giairo ha dovuto camminare nel buio, con la sola fiammella della fede. Signore, dammi la fede! Che la mia fede cresca! Chiedere questa grazia, di avere fede. Gesù, nel Vangelo, dice che la fede sposta le montagne. Ma, avere la fede sul serio. Gesù, davanti alla fede dei suoi poveri, dei suoi uomini, cade vinto, sente una tenerezza speciale, davanti a quella fede. E ascolta.

    Anche la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel Getsemani sembra rimanere inascoltata: “Padre, se possibile, allontana da me questo che mi aspetta”. Sembra che il Padre non lo ha ascoltato. Il Figlio dovrà bere fino in fondo il calice della passione. Ma il Sabato Santo non è il capitolo finale, perché il terzo giorno, cioè la domenica, c’è la risurrezione. Il male è signore del penultimo giorno: ricordate bene questo. Il male mai è un signore dell’ultimo giorno, no: del penultimo, il momento dove è più buia la notte, proprio prima dell’aurora. Lì, nel penultimo giorno c’è la tentazione dove il male ci fa capire che ha vinto: “Hai visto?, ho vinto io!”. Il male è signore del penultimo giorno: l’ultimo giorno c’è la risurrezione. Ma il male mai è signore dell’ultimo giorno: Dio è il Signore dell’ultimo giorno. Perché quello appartiene solo a Dio, ed è il giorno in cui si compiranno tutti gli aneliti umani di salvezza. Impariamo questa pazienza umile di aspettare la grazia del Signore, aspettare l’ultimo giorno. Tante volte, il penultimo giorno è molto brutto, perché le sofferenze umane sono brutte. Ma il Signore c’è e all’ultimo giorno Lui risolve tutto.

    Saluti:

    [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. In questo mese di maggio, in cui veneriamo la Beata Vergine Maria, affido alla sua intercessione tutte le madri, soprattutto quelle che attendono la nascita dei figli. La Madre di Dio estenda la sua protezione premurosa su tutte le donne e invochi dal suo Figlio per ciascuna le grazie necessarie e la benedizione sulla vita famigliare, materna e professionale. Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Si celebra oggi la memoria liturgica di San Filippo Neri, comunemente chiamato il “santo della gioia”. La letizia rasserenante, dono del Signore, accompagni e arricchisca il cammino di ciascuno di voi. Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Vi esorto a coltivate la preghiera, perché solo con essa si alimenta la fede, nella cui luce tutto si può comprendere ed accogliere.





    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 2 giugno 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 36. Gesù modello e anima di ogni preghiera

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    I Vangeli ci mostrano quanto la preghiera sia stata fondamentale nella relazione di Gesù con i suoi discepoli. Ciò appare già nella scelta di coloro che poi diverranno gli Apostoli. Luca colloca la loro elezione in un preciso contesto di preghiera e dice così: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (6,12-13). Gesù li sceglie dopo una notte di preghiera. Pare che non ci sia altro criterio in questa scelta se non la preghiera, il dialogo di Gesù con il Padre. A giudicare da come si comporteranno poi quegli uomini, sembrerebbe che la scelta non sia stata delle migliori perché tutti sono fuggiti, lo hanno lasciato da solo prima della Passione; ma è proprio questo, specialmente la presenza di Giuda, il futuro traditore, a dimostrare che quei nomi erano scritti nel disegno di Dio.

    Continuamente riaffiora nella vita di Gesù la preghiera in favore dei suoi amici. Gli Apostoli qualche volta diventano per Lui motivo di preoccupazione, ma Gesù, come li ha ricevuti dal Padre, dopo la preghiera, così li porta nel suo cuore, anche nei loro errori, anche nelle loro cadute. In tutto questo scopriamo come Gesù sia stato maestro e amico, sempre disponibile ad attendere con pazienza la conversione del discepolo. Il vertice più alto di questa attesa paziente è la “tela” d’amore che Gesù tesse intorno a Pietro. Nell’Ultima Cena gli dice: «Simone, Simone, Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). Impressiona, nel tempo del cedimento, sapere che in quel momento non cessa l’amore di Gesù, - “Ma padre se io sono in peccato mortale c’è l’amore di Gesù? – Sì- E Gesù continua a pregare per me? – Sì – Ma se io ho fatto delle cose più brutte e tanti peccati, Gesù continua ad amarmi? – Sì”. L’amore e la preghiera di Gesù per ognuno di noi non cessano, anzi si fanno più intensi e noi siamo al centro della sua preghiera! Questo dobbiamo sempre ricordarlo: Gesù prega per me, sta pregando adesso davanti al Padre e gli fa vedere le piaghe che ha portato con sé, per far vedere al Padre il prezzo della nostra salvezza, è l’amore che nutre per noi. Ma in questo momento ognuno di noi pensi: in questo momento Gesù sta pregando per me? Sì. Questa è una sicurezza grande che noi dobbiamo avere.

    La preghiera di Gesù ritorna puntuale in un momento cruciale del suo cammino, quello della verifica sulla fede dei discepoli. Ascoltiamo ancora l’evangelista Luca: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”. Essi risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Allora domandò loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro rispose a nome di tutti: “Il Cristo di Dio”. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno» (9,18-21). Le grandi svolte della missione di Gesù sono sempre precedute dalla preghiera ma non così en passant, ma dalla preghiera intensa, prolungata. Sempre in quei momenti c’è la preghiera. Questa verifica della fede sembra un traguardo e invece è un rinnovato punto di partenza per i discepoli, perché, da lì in avanti, è come se Gesù salisse di un tono nella sua missione, parlando loro apertamente della sua passione, morte e risurrezione.

    In questa prospettiva, che istintivamente suscita repulsione, sia nei discepoli, sia in noi che leggiamo il Vangelo, la preghiera è la sola fonte di luce e di forza. Occorre pregare più intensamente, ogni volta che la strada imbocca una salita.

    E infatti, dopo aver preannunciato ai discepoli ciò che lo attende a Gerusalemme, avviene l’episodio della Trasfigurazione. «Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregareMentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,28-31), cioè la Passione. Dunque, questa manifestazione anticipata della gloria di Gesù è avvenuta nella preghiera, mentre il Figlio era immerso nella comunione con il Padre e acconsentiva pienamente alla sua volontà d’amore, al suo disegno di salvezza. E, da quella preghiera, esce una parola chiara per i tre discepoli coinvolti: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35). Dalla preghiera viene l’invito ad ascoltare Gesù, sempre dalla preghiera.

    Da questo veloce percorso attraverso il Vangelo, ricaviamo che Gesù non solo vuole che preghiamo come Lui prega, ma ci assicura che, se anche i nostri tentativi di preghiera fossero del tutto vani e inefficaci, noi possiamo sempre contare sulla sua preghiera. Dobbiamo essere consapevoli: Gesù prega per me. Una volta, un Vescovo bravo mi raccontò che in un momento molto brutto della sua vita e di una prova grande, un momento di buio, guardò in Basilica in alto e vide scritta questa frase: “Io Pietro pregherò per te”. E questo gli ha dato forza e conforto. E questo succede ogni volta che ognuno di noi sa che Gesù prega per lui. Gesù prega per noi. In questo momento, in questo momento. Fate questo esercizio di memoria di ripetere questo. Quando c’è qualche difficoltà, quando siete nell’orbita delle distrazioni: Gesù sta pregando per me. Ma padre questo è vero? È  vero, lo ha detto Lui stesso. Non dimentichiamo che quello che sostiene ognuno di noi nella vita è la preghiera di Gesù per ognuno di noi, con nome, cognome, davanti al Padre, facendogli vedere le piaghe che sono il prezzo della nostra salvezza.

    Anche se le nostre preghiere fossero solo balbettii, se fossero compromesse da una fede vacillante, non dobbiamo mai smettere di confidare in Lui, io non so pregare ma Lui prega per me. Sorrette dalla preghiera di Gesù, le nostre timide preghiere si appoggiano su ali d’aquila e salgono fino al Cielo. Non dimenticatevi: Gesù sta pregando per me - Adesso? – Adesso. Nel momento della prova, nel momento del peccato, anche in quel momento, Gesù con tanto amore sta pregando per me.

    Saluti:

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana; in particolare ai sacerdoti novelli di Verona e al pellegrinaggio della diocesi di Chioggia, con il Vescovo Mons. Adriano Tessarollo, che ricorda il 50° anniversario di sacerdozio, tanti auguri. Cari fratelli e sorelle, domani si celebra la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che in Italia e in altri Paesi è trasferita a domenica prossima. Possiate trovare nell’Eucaristia, mistero di amore e di gloria, quella fonte di grazia e di luce che illumina i sentieri della vita.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il Corpo e il Sangue di Cristo siano per ciascuno di voi presenza e sostegno tra le difficoltà, sublime conforto nella sofferenza di ogni giorno e pegno di eterna risurrezione. A tutti la mia Benedizione.

     

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 9 giugno 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 37. Perseverare nell’amore

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa penultima catechesi sulla preghiera parliamo della perseveranza nel pregare. È un invito, anzi, un comando che ci viene dalla Sacra Scrittura. L’itinerario spirituale del Pellegrino russo comincia quando si imbatte in una frase di San Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie» (5,17-18). La parola dell’Apostolo colpisce quell’uomo ed egli si domanda come sia possibile pregare senza interruzione, dato che la nostra vita è frammentata in tanti momenti diversi, che non sempre rendono possibile la concentrazione. Da questo interrogativo comincia la sua ricerca, che lo condurrà a scoprire quella che viene chiamata la preghiera del cuore. Essa consiste nel ripetere con fede: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Una semplice preghiera, ma molto bella. Una preghiera che, a poco a poco, si adatta al ritmo del respiro e si estende a tutta la giornata. In effetti, il respiro non smette mai, nemmeno mentre dormiamo; e la preghiera è il respiro della vita.

    Come è dunque possibile custodire sempre uno stato di preghiera? Il Catechismo ci offre bellissime citazioni, tratte dalla storia della spiritualità, che insistono sulla necessità di una preghiera continua, che sia il fulcro dell’esistenza cristiana. Ne riprendo alcune.

    Afferma il monaco Evagrio Pontico: «Non ci è stato comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente – no, questo non è stato domandato -, mentre la preghiera incessante è una legge per noi» (n. 2742). Il cuore in preghiera. C’è dunque un ardore nella vita cristiana, che non deve mai venire meno. È un po’ come quel fuoco sacro che si custodiva nei templi antichi, che ardeva senza interruzione e che i sacerdoti avevano il compito di tenere alimentato. Ecco: ci deve essere un fuoco sacro anche in noi, che arda in continuazione e che nulla possa spegnere. E non è facile, ma deve essere così.

    San Giovanni Crisostomo, un altro pastore attento alla vita concreta, predicava così: «Anche al mercato o durante una passeggiata solitaria è possibile fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate» (n. 2743). Piccole preghiere: “Signore, abbi pietà di noi”, “Signore, aiutami”. Dunque, la preghiera è una sorta di rigo musicale, dove noi collochiamo la melodia della nostra vita. Non è in contrasto con l’operosità quotidiana, non entra in contraddizione con i tanti piccoli obblighi e appuntamenti, semmai è il luogo dove ogni azione ritrova il suo senso, il suo perché, la sua pace.

    Certo, mettere in pratica questi principi non è facile. Un papà e una mamma, presi da mille incombenze, possono sentire nostalgia per un periodo della loro vita in cui era facile trovare tempi cadenzati e spazi di preghiera. Poi, i figli, il lavoro, le faccende della vita famigliare, i genitori che diventano anziani… Si ha l’impressione di non riuscire mai ad arrivare in capo a tutto. Allora fa bene pensare che Dio, nostro Padre, il quale deve occuparsi di tutto l’universo, si ricorda sempre di ognuno noi. Dunque, anche noi dobbiamo sempre ricordarci di Lui!

    Possiamo poi ricordare che nel monachesimo cristiano è sempre stato tenuto in grande onore il lavoro, non solo per il dovere morale di provvedere a sé stessi e agli altri, ma anche per una sorta di equilibrio, un equilibrio interiore: è rischioso per l’uomo coltivare un interesse talmente astratto da perdere il contatto con la realtà. Il lavoro ci aiuta a rimanere in contatto con la realtà. Le mani giunte del monaco portano i calli di chi impugna badile e zappa. Quando, nel Vangelo di Luca (cfr 10,38-42), Gesù dice a Santa Marta che la sola cosa veramente necessaria è ascoltare Dio, non vuol affatto disprezzare i molti servizi che lei stava compiendo con tanto impegno.

    Nell’essere umano tutto è “binario”: il nostro corpo è simmetrico, abbiamo due braccia, due occhi, due mani... Così anche il lavoro e la preghiera sono complementari. La preghiera – che è il “respiro” di tutto – rimane come il sottofondo vitale del lavoro, anche nei momenti in cui non è esplicitata. È disumano essere talmente assorbiti dal lavoro da non trovare più il tempo per la preghiera.

    Nello stesso tempo, non è sana una preghiera che sia aliena dalla vita. Una preghiera che ci aliena dalla concretezza del vivere diventa spiritualismo, oppure, peggio, ritualismo. Ricordiamo che Gesù, dopo aver mostrato ai discepoli la sua gloria sul monte Tabor, non volle prolungare quel momento di estasi, ma scese con loro dal monte e riprese il cammino quotidiano. Perché quella esperienza doveva rimanere nei cuori come luce e forza della loro fede; anche una luce e forza per i giorni che sarebbero stati prossimi venturi: quelli della Passione. Così, i tempi dedicati a stare con Dio ravvivano la fede, la quale ci aiuta nella concretezza del vivere, e la fede, a sua volta, alimenta la preghiera, senza interruzione. In questa circolarità fra fede, vita e preghiera, si mantiene acceso quel fuoco dell’amore cristiano che Dio si attende da noi.

    E ripetiamo la preghiera semplice che è tanto bello ripetere durante il giorno, tutti insieme: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.

    * * *

    Saluti: 

    [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Venerdì prossimo celebreremo la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. In quel giorno, nel centesimo Anniversario della consacrazione del Popolo polacco al Sacratissimo Cuore di Gesù, i vostri Vescovi rinnoveranno solennemente quest’atto. Vi esorto, affinché permeati dell’amore Divino, possiate operare per la costruzione della civiltà dell’amore. Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai giovani comunicatori che hanno aderito all’iniziativa del Dicastero per la Comunicazione, ai ragazzi del gruppo “Contatto” di Torino, ai ragazzi di Grottaferrata che hanno raccolto fondi per i vaccini ai più bisognosi, agli studenti della Regione Abruzzo che hanno partecipato al concorso sul presepe. Dopodomani celebreremo la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, nel quale l’amore di Dio s’è fatto incontro all’intera umanità. Invito ciascuno di voi a guardare con fiducia al Sacro Cuore di Gesù e a ripetere spesso, soprattutto durante questo mese di giugno: Gesù mite e umile di cuore, trasforma i nostri cuori ed insegnaci ad amare Dio e il prossimo con generosità.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il Cuore di Cristo, fonte dell’amore che ha redento il mondo, vi accompagni e vi sostenga sempre.

    A tutti la mia Benedizione.

     






    [Modificato da Caterina63 10/06/2021 15:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 19/06/2021 10:21

    UDIENZA GENERALE


    Cortile San Damaso
    Mercoledì, 16 giugno 2021

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    Catechesi sulla preghiera - 38. La preghiera pasquale di Gesù per noi

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Abbiamo più volte richiamato in questa serie di catechesi come la preghiera sia una delle caratteristiche più evidenti della vita di Gesù: Gesù pregava, e pregava tanto. Nel corso della sua missione, Gesù si immerge in essa, perché il dialogo con il Padre è il nucleo incandescente di tutta la sua esistenza.

    I Vangeli testimoniano come la preghiera di Gesù si sia fatta ancora più intensa e fitta nell’ora della sua passione e morte. Questi avvenimenti culminanti della sua vita costituiscono il nucleo centrale della predicazione cristiana: quelle ultime ore vissute da Gesù a Gerusalemme sono il cuore del Vangelo non solo perché a questa narrazione gli Evangelisti riservano, in proporzione, uno spazio maggiore, ma anche perché l’evento della morte e risurrezione – come un lampo – getta luce su tutto il resto della vicenda di Gesù. Egli non è stato un filantropo che si è preso cura delle sofferenze e delle malattie umane: è stato ed è molto di più. In Lui non c’è solamente la bontà: c’è qualcosa di più, c’è la salvezza, e non una salvezza episodica - quella che mi salva da una malattia o da un momento di sconforto - ma la salvezza totale, quella messianica, quella che fa sperare nella vittoria definitiva della vita sulla morte.

    Nei giorni della sua ultima Pasqua, troviamo dunque Gesù pienamente immerso nella preghiera.

    Egli prega in maniera drammatica nell’orto del Getsemani – l’abbiamo sentito –, assalito da un’angoscia mortale. Eppure Gesù, proprio in quel momento, si rivolge a Dio chiamandolo “Abbà”, Papà (cfr Mc 14,36). Questa parola aramaica – che era la lingua di Gesù – esprime intimità, esprime fiducia. Proprio mentre sente le tenebre addensarsi intorno a Sé, Gesù le attraversa con quella piccola parola: Abbà, Papà

    Gesù prega anche sulla croce, oscuramente avvolto dal silenzio di Dio. Eppure sulle sue labbra affiora ancora una volta la parola “Padre”. È la preghiera più ardita, perché sulla croce Gesù è l’intercessore assoluto: prega per gli altri, prega per tutti, anche per coloro che lo condannano, senza che nessuno, tranne un povero malfattore, si schieri dalla sua parte. Tutti erano contro di Lui o indifferenti, soltanto quel malfattore riconosce il potere. «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Nel pieno del dramma, nel dolore atroce dell’anima e del corpo, Gesù prega con le parole dei salmi; con i poveri del mondo, specialmente con quelli dimenticati da tutti, pronuncia le parole tragiche del salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (v. 2): Lui sentiva l’abbandono e pregava. Sulla croce si compie il dono del Padre, che offre l’amore, cioè si compie la nostra salvezza. E anche, una volta, lo chiama “Dio mio”, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”: cioè, tutto, tutto è preghiera, nelle tre ore della Croce.

    Gesù dunque prega nelle ore decisive della passione e della morte. E con la risurrezione il Padre esaudirà la preghiera. La preghiera di Gesù è intensa, la preghiera di Gesù è unica e diviene anche il modello della nostra preghiera. Gesù ha pregato per tutti, ha pregato anche per me, per ognuno di voi. Ognuno di noi può dire: “Gesù, sulla croce, ha pregato per me”. Ha pregato. Gesù può dire a ognuno di noi: “Ho pregato per te, nell’Ultima Cena e sul legno della Croce”. Anche nella più dolorosa delle nostre sofferenze, non siamo mai soli. La preghiera di Gesù è con noi. “E adesso, Padre, qui, noi che stiamo ascoltando questo, Gesù prega per noi?”. Sì, continua a pregare perché la Sua parola ci aiuti ad andare avanti. Ma pregare e ricordare che Lui prega per noi.

    E questa mi sembra la cosa più bella da ricordare. Questa è l’ultima catechesi di questo ciclo sulla preghiera: ricordare la grazia che noi non solamente preghiamo, ma che, per così dire, siamo stati “pregati”, siamo già accolti nel dialogo di Gesù con il Padre, nella comunione dello Spirito Santo. Gesù prega per me: ognuno di noi può mettere questo nel cuore: non bisogna dimenticarlo. Anche nei momenti più brutti. Siamo già accolti nel dialogo di Gesù con il Padre nella comunione dello Spirito Santo. Siamo stati voluti in Cristo Gesù, e anche nell’ora della passione, morte e risurrezione tutto è stato offerto per noi. E allora, con la preghiera e con la vita, non ci resta che avere coraggio, speranza e con questo coraggio e speranza sentire forte la preghiera di Gesù e andare avanti: che la nostra vita sia un dare gloria a Dio nella consapevolezza che Lui prega per me il Padre, che Gesù prega per me.

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    [Saluto cordialmente i polacchi. San Paolo ci incoraggia a pregare incessantemente (cf. 1 Ts 5,17). La preghiera è una necessità vitale, perché è il respiro dell’anima; tutto nella vita è il frutto di essa. Com’è la preghiera cosi è la vita: lo stato della nostra anima e le nostre opere. Il colloquio personale e intimo con Cristo vi aiuti ad essere sempre vicini a Dio, a trovare la risposta ad ogni vostra domanda e ai problemi che vi assillano. Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Forlì-Bertinoro, guidati dal vescovo Livio Corazza che celebra il 40.mo di sacerdozio: e tanti auguri! Saluto anche l’Associazione Collaboratrici familiari delle ACLI, el’Associazione Nazionale Ambulanti. Mentre vi ringrazio per la vostra presenza, vi incoraggio a perseverare nei vostri buoni propositi, auspicando per ciascuno di voi doni di gioia e di pace.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Auguro che il periodo estivo possa essere tempo di serenità e una bella occasione per contemplare Dio nel capolavoro del Suo creato.

    A tutti voi la mia Benedizione.




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    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 23 giugno 2021

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    Udienza Generale sulla Lettera ai Galati - 1. Introduzione alla Lettera ai Galati

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Dopo il lungo itinerario dedicato alla preghiera, oggi diamo inizio a un nuovo ciclo di catechesi. Mi auguro che con questo itinerario della preghiera, siamo riusciti a pregare un po’ meglio, a pregare un po’ di più. Oggi desidero riflettere su alcuni temi che l’apostolo Paolo propone nella sua Lettera ai Galati. È una Lettera molto importante, direi anzi decisiva, non solo per conoscere meglio l’Apostolo, ma soprattutto per considerare alcuni argomenti che egli affronta in profondità, mostrando la bellezza del Vangelo. In questa Lettera, Paolo riporta parecchi riferimenti biografici, che ci permettono di conoscere la sua conversione e la decisione di mettere la sua vita a servizio di Gesù Cristo. Egli affronta, inoltre, alcune tematiche molto importanti per la fede, come quelle della libertà, della grazia e del modo di vivere cristiano, che sono estremamente attuali perché toccano tanti aspetti della vita della Chiesa dei nostri giorni. È una Lettera molto attuale questa. Sembra scritta per i nostri tempi.

    Il primo tratto che emerge da questa Lettera è la grande opera di evangelizzazione messa in atto dall’Apostolo, che almeno per due volte aveva visitato le comunità della Galazia durante i suoi viaggi missionari. Paolo si rivolge ai cristiani di quel territorio. Non sappiamo di preciso a quale zona geografica si riferisca, né possiamo affermare con certezza la data in cui scrisse questa Lettera. Sappiamo che i Galati erano un’antica popolazione celtica che, attraverso tante peripezie, si erano stabiliti in quella estesa regione dell’Anatolia che aveva il capoluogo nella città di Ancyra, oggi Ankara, la capitale della Turchia. Paolo riferisce soltanto che, a causa di una malattia, fu costretto a fermarsi in quella regione (cfr Gal 4,13). San Luca, negli Atti degli Apostoli, trova invece una motivazione più spirituale. Dice che «attraversarono la Frigia e la regione della Galazia perché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia» (16,6). I due fatti non sono in contraddizione: indicano piuttosto che la via dell’evangelizzazione non dipende sempre dalla nostra volontà e dai nostri progetti, ma richiede la disponibilità a lasciarsi plasmare e a seguire altri percorsi che non erano previsti. Fra voi c’è una famiglia che mi ha salutato: dicono che devono imparare il lettone, e non so che altra lingua, perché andranno missionari in quelle terre. Lo Spirito porta anche oggi tanti missionari che lasciano la patria e vanno in un’altra terra a fare la missione. Ciò che verifichiamo, comunque, è che nella sua indefessa opera evangelizzatrice l’Apostolo era riuscito a fondare diverse piccole comunità, sparse nella regione della Galazia. Paolo, quando arrivava in una città, in una regione, non faceva subito una grande cattedrale, no. Faceva le piccole comunità che sono il lievito della nostra cultura cristiana di oggi. Incominciava facendo piccole comunità. E queste piccole comunità crescevano, crescevano e andavano avanti. Anche oggi questo metodo pastorale si fa in ogni regione missionaria. Ho ricevuto una lettera, la settimana scorsa, di un missionario della Papua Nuova Guinea; mi dice che sta predicando il Vangelo nella selva, alla gente che non sa neppure chi fosse Gesù Cristo. È bello! Si iniziano a fare le piccole comunità. Anche oggi questo metodo è il metodo evangelizzatore della prima evangelizzazione.

    Ciò che a noi preme notare è la preoccupazione pastorale di Paolo che è tutto fuoco. Egli, dopo aver fondato queste Chiese, si accorge di un grande pericolo - il pastore è come il papà o la mamma che subito si accorgono dei pericoli dei figli - che corrono per la loro crescita nella fede. Crescono e vengono i pericoli. Come diceva uno: “Vengono gli avvoltoi a fare strage nella comunità”.
    Si erano infatti infiltrati alcuni cristiani venuti dal giudaismo, i quali con astuzia cominciarono a seminare teorie contrarie all’insegnamento dell’Apostolo, giungendo perfino a denigrare la sua persona. Incominciano con la dottrina “questa no, questa sì”, e poi denigrano l’Apostolo. È la strada di sempre: togliere l’autorità all’Apostolo. Come si vede, è una pratica antica questa, di presentarsi in alcune occasioni come gli unici possessori della verità - i puri - e puntare a sminuire anche con la calunnia il lavoro svolto dagli altri. Questi avversari di Paolo sostenevano che anche i pagani dovevano essere sottoposti alla circoncisione e vivere secondo le regole della legge mosaica. Tornano indietro alle osservanze di prima, le cose che sono state oltrepassate dal Vangelo. I Galati, quindi, avrebbero dovuto rinunciare alla loro identità culturale per assoggettarsi a norme, a prescrizioni e usanze tipiche degli ebrei. Non solo. Quegli avversari sostenevano che Paolo non era un vero apostolo e quindi non aveva nessuna autorità per predicare il Vangelo. E tante volte noi vediamo questo. Pensiamo in qualche comunità cristiana o in qualche diocesi: si incominciano le storie e poi finiscono per screditare il parroco, il vescovo. È proprio la strada del maligno, di questa gente che divide, che non sa costruire. E in questa Lettera ai Galati vediamo questa procedura.

    I Galati si trovavano in una situazione di crisi. Che dovevano fare? Ascoltare e seguire quanto Paolo aveva loro predicato, oppure dare retta ai nuovi predicatori che lo accusavano? È facile immaginare lo stato di incertezza che animava i loro cuori. Per loro, avere conosciuto Gesù e creduto all’opera di salvezza realizzata con la sua morte e risurrezione, era davvero inizio di una vita nuova, di una vita di libertà. Avevano intrapreso un percorso che permetteva loro di essere finalmente liberi, nonostante la loro storia fosse intessuta da tante forme di violenta schiavitù, non da ultimo quella che li sottometteva all’imperatore di Roma. Pertanto, davanti alle critiche dei nuovi predicatori, si sentivano smarriti e si sentivano incerti su come comportarsi: “Ma chi ha ragione? Questo Paolo, o questa gente che viene adesso insegnando altre cose? A chi devo dare retta? Insomma, la posta in gioco era davvero grande!

    Questa condizione non è lontana dall’esperienza che diversi cristiani vivono ai nostri giorni. Non mancano nemmeno oggi, infatti, predicatori che, soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, possono turbare le comunità. Si presentano non anzitutto per annunciare il Vangelo di Dio che ama l’uomo in Gesù Crocifisso e Risorto, ma per ribadire con insistenza, da veri e propri “custodi della verità” – così si chiamano loro -, quale sia il modo migliore per essere cristiani. E con forza affermano che il cristianesimo vero è quello a cui sono legati loro, spesso identificato con certe forme del passato, e che la soluzione alle crisi odierne è ritornare indietro per non perdere la genuinità della fede. Anche oggi, come allora, c’è insomma la tentazione di rinchiudersi in alcune certezze acquisite in tradizioni passate. Ma come possiamo riconoscere questa gente?
    Per esempio, una delle tracce del modo di procedere è la rigidità. Davanti alla predicazione del Vangelo che ci fa liberi, ci fa gioiosi, questi sono dei rigidi. Sempre la rigidità: si deve far questo, si deve fare quell’altro … La rigidità è proprio di questa gente. Seguire l’insegnamento dell’Apostolo Paolo nella Lettera ai Galati ci farà bene per comprendere quale strada seguire. Quella indicata dall’Apostolo è la via liberante e sempre nuova di Gesù Crocifisso e Risorto; è la via dell’annuncio, che si realizza attraverso l’umiltà e la fraternità, i nuovi predicatori non conoscono cosa sia umiltà, cosa sia fraternità; è la via della fiducia mite e obbediente, i nuovi predicatori non conoscono la mitezza né l’obbedienza. E questa via mite e obbediente va avanti nella certezza che lo Spirito Santo opera in ogni epoca della Chiesa. In ultima istanza, la fede nello Spirito Santo presente nella Chiesa, ci porta avanti e ci salverà.

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    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Domani ricorre la festa della natività di San Giovanni Battista, mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce e preparare al Signore un popolo ben disposto. Per sua intercessione auspico per ciascuno di voi abbondanti grazie, perché siano rafforzati i vostri generosi propositi di fedeltà alla chiamata del Signore.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Mentre vi esorto a rinnovare propositi di generosa testimonianza cristiana, invoco su ciascuno di voi la continua assistenza del Signore.

    A tutti la mia Benedizione.



    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 30 giugno 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati  - 
    2. Paolo vero apostolo

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    Ci addentriamo poco alla volta nella Lettera ai Galati. Abbiamo visto che questi cristiani si vengono a trovare in conflitto su come vivere la fede. L’apostolo Paolo inizia a scrivere la sua Lettera ricordando loro i rapporti trascorsi, il disagio per la lontananza e l’immutato amore che nutre per ciascuno di loro. Non manca di far notare comunque la sua preoccupazione perché i Galati abbiano a seguire la giusta strada: è la preoccupazione di un padre, che ha generato le comunità nella fede. Il suo intento è molto chiaro: è necessario ribadire la novità del Vangelo, che i Galati hanno ricevuto dalla sua predicazione, per costruire la vera identità su cui fondare la propria esistenza. E questo è il principio: ribadire la novità del Vangelo, quello che i Galati hanno ricevuto dall’Apostolo.

    Scopriamo da subito che Paolo è un profondo conoscitore del mistero di Cristo. Fin dall’inizio della sua Lettera non segue le basse argomentazioni utilizzate dai suoi detrattori. L’Apostolo “vola alto” e indica anche a noi come comportarci quando si creano conflitti all’interno della comunità. Solo verso la fine della Lettera, infatti, viene esplicitato che il nocciolo della diatriba suscitata è quello della circoncisione, dunque della principale tradizione giudaica. Paolo sceglie la strada di andare più in profondità, perché la posta in gioco è la verità del Vangelo e la libertà dei cristiani, che ne è parte integrante. Non si ferma alla superfice dei problemi, dei conflitti, come spesso siamo tentati di fare noi per trovare subito una soluzione che illude di mettere tutti d’accordo con un compromesso. Paolo ama Gesù e sa che Gesù non è un uomo-Dio di compromessi. Non è così che funziona con il Vangelo e l’Apostolo ha scelto di seguire la via più impegnativa. Scrive così: «È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio?» Lui non cerca di fare la pace con tutti. E continua: «O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» (Gal 1,10).

    In primo luogo, Paolo si sente in dovere di ricordare ai Galati di essere un vero apostolo non per proprio merito, ma per la chiamata di Dio. Lui stesso racconta la storia della sua vocazione e conversione, coincisa con l’apparizione di Cristo Risorto durante il viaggio verso Damasco (cfr At 9,1-9). È interessante osservare quanto afferma della sua vita precedente a quell’avvenimento: «Perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri» (Gal 1,13-14). Paolo osa affermare che lui nel giudaismo superava tutti, era un vero fariseo zelante, «irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge» (Fil 3,6). Per ben due volte sottolinea che lui era stato un difensore delle «tradizioni dei padri» e un «convinto sostenitore della legge». Questa è la storia di Paolo.

    Da una parte, egli insiste nel sottolineare che aveva ferocemente perseguitato la Chiesa e che era stato un «bestemmiatore, un persecutore, un violento» (1 Tm 1,13) non risparmia aggettivi: lui stessi si qualifica così -, dall’altra parte, evidenzia la misericordia di Dio nei suoi confronti, che lo porta a vivere una trasformazione radicale, ben conosciuta da tutti. Scrive: «Non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo; avevano soltanto sentito dire: “Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere”» (Gal 1,22-23). Si è convertito, è cambiato, è cambiato il cuore. Paolo mette così in evidenza la verità della sua vocazione attraverso l’impressionante contrasto che si era venuto a creare nella sua vita: da persecutore dei cristiani perché non osservavano le tradizioni e la legge, era stato chiamato a diventare apostolo per annunciare il Vangelo di Gesù Cristo. Ma vediamo che Paolo è libero: è libero per annunciare il Vangelo ed è anche libero per confessare i suoi peccati. “Io ero così”: è la verità che dà la libertà del cuore, è la libertà di Dio.

    Ripensando a questa sua storia, Paolo è pieno di meraviglia e di riconoscenza. È come se volesse dire ai Galati che lui tutto sarebbe potuto essere tranne che un apostolo. Era stato educato fin da ragazzo per essere un irreprensibile osservante della Legge mosaica, e le circostanze lo avevano portato a combattere i discepoli di Cristo. Tuttavia, qualcosa d’inaspettato era accaduto: Dio, con la sua grazia, gli aveva rivelato suo Figlio morto e risorto, perché lui ne diventasse annunciatore in mezzo ai pagani (cfr Gal 1,15-6).

    Come sono imperscrutabili le strade del Signore! Lo tocchiamo con mano ogni giorno, ma soprattutto se ripensiamo ai momenti in cui il Signore ci ha chiamato. Non dobbiamo mai dimenticare il tempo e il modo in cui Dio è entrato nella nostra vita: tenere fisso nel cuore e nella mente quell’incontro con la grazia, quando Dio ha cambiato la nostra esistenza. Quante volte, davanti alle grandi opere del Signore, viene spontanea la domanda: ma com’è possibile che Dio si serva di un peccatore, di una persona fragile e debole, per realizzare la sua volontà? Eppure, non c’è nulla di casuale, perché tutto è stato preparato nel disegno di Dio. Lui tesse la nostra storia, la storia di ognuno di noi: Lui tesse la nostra storia e, se noi corrispondiamo con fiducia al suo piano di salvezza, ce ne accorgiamo. La chiamata comporta sempre una missione a cui siamo destinati; per questo ci viene chiesto di prepararci con serietà, sapendo che è Dio stesso che ci invia, Dio stesso che ci sostiene con la sua grazia. Fratelli e sorelle, lasciamoci condurre da questa consapevolezza: il primato della grazia trasforma l’esistenza e la rende degna di essere posta al servizio del Vangelo. Il primato della grazia copre tutti i peccati, cambia i cuori, cambia la vita, ci fa vedere strade nuove. Non dimentichiamo questo!

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    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i ragazzi della Professione di Fede delle parrocchie di Montesolaro, Carimate e Novedrate.

    Auguro che il periodo estivo sia occasione per approfondire la propria relazione con Dio e seguirlo più liberamente sul sentiero dei Suoi comandamenti.

    Qui, in Vaticano, c’è tanta varietà di gente che lavora: i preti, i cardinali, le suore, tanti laici, tanti; e oggi io vorrei soffermarmi per ringraziare un laico, che oggi va in pensione, Renzo Cestiè. Lui ha incominciato a lavorare a 14 anni, veniva in bicicletta. Oggi è l’autista del Papa: ha fatto tutto questo. Un applauso a Renzo e alla sua fedeltà! È una di quelle persone che porta avanti la Chiesa con il suo lavoro, con la sua benevolenza e con la sua preghiera. Lo ringrazio tanto e anche approfitto dell’opportunità per ringraziare tutti i laici che lavorano con noi in Vaticano.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, l’esempio e la costante protezione di queste colonne della Chiesa sostengano ciascuno di voi nello sforzo di seguire Cristo.

    A tutti la mia Benedizione.



    [Modificato da Caterina63 01/07/2021 08:09]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 05/08/2021 14:09

    UDIENZA GENERALE


    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 4 agosto 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 3. Il Vangelo è uno solo

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    Quando si tratta del Vangelo e della missione di evangelizzare, Paolo si entusiasma, esce fuori di sé. Sembra non vedere altro che questa missione che il Signore gli ha affidato. Tutto in lui è dedicato a questo annuncio, e non possiede altro interesse se non il Vangelo. È l’amore di Paolo, l’interesse di Paolo, il mestiere di Paolo: annunciare. Arriva perfino a dire: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo» (1 Cor 1,17). Paolo interpreta tutta la sua esistenza come una chiamata a evangelizzare, a far conoscere il messaggio di Cristo, a far conoscere il Vangelo: «Guai a me – dice – se non annuncio il Vangelo» (1 Cor 9,16). E scrivendo ai cristiani di Roma, si presenta semplicemente così: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1). Questa è la sua vocazione. Insomma, la sua consapevolezza è di essere stato “messo a parte” per portare il Vangelo a tutti, e non può fare altro che dedicarsi con tutte le sue forze a questa missione.

    Si comprende quindi la tristezza, la delusione e perfino l’amara ironia dell’Apostolo nei confronti dei Galati, che ai suoi occhi stanno prendendo una strada sbagliata, che li porterà a un punto di non ritorno: hanno sbagliato strada. Il perno intorno a cui tutto ruota è il Vangelo. Paolo non pensa ai “quattro vangeli”, come è spontaneo per noi. Infatti, mentre sta inviando questa Lettera, nessuno dei quattro vangeli è ancora stato scritto. Per lui il Vangelo è ciò che lui predica, questo che si chiama il kerygma, cioè l’annuncio. E quale annuncio? Della morte e risurrezione di Gesù come fonte di salvezza. Un Vangelo che si esprime con quattro verbi: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepoltoè risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa» (1 Cor 15,3-5). Questo è l’annuncio di Paolo, l’annuncio che ci dà vita a tutti. Questo Vangelo è il compimento delle promesse ed è la salvezza offerta a tutti gli uomini. Chi lo accoglie viene riconciliato con Dio, è accolto come un vero figlio e ottiene in eredità la vita eterna.

    Davanti a un dono così grande che è stato fatto ai Galati, l’Apostolo non riesce a spiegarsi come mai essi stiano pensando di accogliere un altro “vangelo”, forse più sofisticato, più intellettuale… un altro “vangelo”. È da notare comunque che questi cristiani non hanno ancora abbandonato il Vangelo annunciato da Paolo. L’Apostolo sa che sono ancora in tempo a non compiere un passo falso, ma li ammonisce con forza, con tanta forza. La sua prima argomentazione punta direttamente sul fatto che la predicazione compiuta dai nuovi missionari – questi che predicano la novità – non può essere il Vangelo. Anzi, è un annuncio che stravolge il vero Vangelo perché impedisce di raggiungere la libertà – una parola chiave -  acquisita venendo alla fede. I Galati sono ancora “principianti” e il loro disorientamento è comprensibile. Non conoscono ancora la complessità della Legge mosaica e l’entusiasmo nell’abbracciare la fede in Cristo li spinge a dare ascolto a questi nuovi predicatori, illudendosi che il loro messaggio sia complementare a quello di Paolo. E non è così.

    L’Apostolo, però, non può rischiare che si creino compromessi su un terreno così decisivo. Il Vangelo è uno solo ed è quello che lui ha annunciato; un altro non può esistere. Attenzione! Paolo non dice che il vero Vangelo è il suo perché è stato lui ad annunciarlo, no! Questo non lo dice. Questo sarebbe presuntuoso, sarebbe vanagloria. Afferma, piuttosto, che il “suo” Vangelo, lo stesso che gli altri Apostoli andavano annunciando altrove, è l’unico autentico, perché è quello di Gesù Cristo. Scrive così: «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11). Si comprende allora perché Paolo utilizzi termini molto duri. Per due volte usa l’espressione “anatema”, che indica l’esigenza di tenere lontano dalla comunità ciò che minaccia le sue fondamenta. E questo nuovo “vangelo” minaccia le fondamenta della comunità. Insomma, su questo punto l’Apostolo non lascia spazio alla trattativa: non si può negoziare. Con la verità del Vangelo non si può negoziare. O tu ricevi il Vangelo come è, come è stato annunciato, o ricevi un’altra cosa. Ma non si può negoziare, con il Vangelo. Non si può scendere a compromessi: la fede in Gesù non è merce da contrattare: è salvezza, è incontro, è redenzione. Non si vende a buon mercato.

    Questa situazione descritta all’inizio della Lettera appare paradossale, perché tutti i soggetti in questione sembrano animati da buoni sentimenti. I Galati che danno ascolto ai nuovi missionari pensano che con la circoncisione potranno essere ancora più dediti alla volontà di Dio e quindi essere ancora più graditi a Paolo. I nemici di Paolo sembrano essere animati dalla fedeltà alla tradizione ricevuta dai padri e ritengono che la fede genuina consista nell’osservanza della Legge. Davanti a questa somma fedeltà giustificano perfino le insinuazioni e i sospetti su Paolo, ritenuto poco ortodosso nei confronti della tradizione. Lo stesso Apostolo è ben cosciente che la sua missione è di natura divina – è stata rivelata da Cristo stesso, a lui! – e quindi è mosso da totale entusiasmo per la novità del Vangelo, che è una novità radicale, non è una novità passeggera: non ci sono vangeli “alla moda”, il Vangelo è sempre nuovo, è la novità. La sua ansia pastorale lo porta a essere severo, perché vede il grande rischio incombente sui giovani cristiani. Insomma, in questo labirinto di buone intenzioni è necessario districarsi, per cogliere la verità suprema che si presenta come la più coerente con la Persona e la predicazione di Gesù e la sua rivelazione dell’amore del Padre. Questo è importante: saper discernere. Tante volte abbiamo visto nella storia, e anche lo vediamo oggi, qualche movimento che predica il Vangelo con una modalità propria, alle volte con carismi veri, propri; ma poi esagera e riduce tutto il Vangelo al “movimento”. E questo non è il Vangelo di Cristo: questo è il Vangelo del fondatore, della fondatrice e questo sì, potrà aiutare all’inizio, ma alla fine non fa frutti perché non ha radici profonde. Per questo, la parola chiara e decisa di Paolo fu salutare per i Galati ed è salutare anche per noi. Il Vangelo è il dono di Cristo a noi, è Lui stesso a rivelarlo. È questo che ci dà vita.

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    Saluti ___________________

    APPELLO

    A un anno dalla terribile esplosione avvenuta nel porto di Beirut, capitale del Libano, che ha provocato morte e distruzione, il mio pensiero va a quel caro Paese, soprattutto alle vittime, alle loro famiglie, ai tanti feriti e a quanti hanno perso la casa e il lavoro, e tanti hanno perso l’illusione di vivere.

    Nella Giornata di preghiera e di riflessione per il Libano, il 1° luglio scorso, insieme ai Leader religiosi cristiani, abbiamo accolto le aspirazioni e le attese del popolo libanese, stanco e deluso, e invocato da Dio luce di speranza per superare la dura crisi. Oggi faccio appello anche alla Comunità internazionale, chiedendo di aiutare il Libano a compiere un cammino di “risurrezione”, con gesti concreti, non soltanto con parole, ma con gesti concreti. Auspico che in tal senso sia proficua la Conferenza in via di svolgimento, promossa dalla Francia e dalle Nazioni Unite.

    Cari Libanesi, il mio desiderio di venire a visitarvi è grande, e non mi stanco di pregare per voi, perché il Libano ritorni a essere un messaggio di fratellanza, un messaggio di pace per tutto il Medio Oriente.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ai bambini della Scuola Primaria di Montalto Uffugo, agli adolescenti di Bovisio Masciago, agli alunni della quarta superiore di Volpago del Montello, all’Associazione “I Sorrisi degli Ultimi” e ai pellegrini che sono venuti da Brno in bicicletta: bravi, bravi.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, che sono la nostra saggezza, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Vi affido alla materna protezione della Vergine Maria, che la Liturgia di domani, festa della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, ci invita a contemplare nell’icona della Salus Populi Romani.

    A tutti la mia Benedizione.

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    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 11 agosto 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 4. La Legge di Mosè

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    «Perché la legge?» (Gal 3,19). Ecco l’interrogativo che, seguendo San Paolo, vogliamo approfondire oggi, per riconoscere la novità della vita cristiana animata dallo Spirito Santo. Ma se c’è lo Spirito Santo, se c’è Gesù che ci ha redenti perché la Legge? Su questo dobbiamo riflettere oggi. L’Apostolo scrive: «Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge» (Gal 5,18). Invece i detrattori di Paolo sostenevano che i Galati avrebbero dovuto seguire la Legge per essere salvati. Tornavano indietro. Erano come nostalgici di altri tempi, dei tempi prima di Gesù Cristo. L’Apostolo non è affatto d’accordo. Non è in questi termini che si era accordato con gli altri Apostoli a Gerusalemme. Egli ricorda bene le parole di Pietro quando sosteneva: «Perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?» (At 15,10). Le disposizioni emerse da quel “primo concilio” – il primo concilio ecumenico era stato quello di Gerusalemme e le disposizioni emerse da quel concilio erano molto chiare, e dicevano: «È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime» (At 15,28-29). Alcune cose che toccavano il culto a Dio, l’idolatria e toccavano anche il modo di capire la vita di quel tempo.

    Quando Paolo parla della Legge, fa riferimento normalmente alla Legge mosaica, alla Legge di Mosè, ai Dieci Comandamenti. Essa era in relazione con l’Alleanza che Dio aveva stabilito con il suo popolo, un cammino per preparare questa Alleanza. Secondo vari testi dell’Antico Testamento, la Torah – che è il termine ebraico con cui si indica la Legge – è la raccolta di tutte quelle prescrizioni e norme che gli Israeliti devono osservare, in forza dell’Alleanza con Dio. Una sintesi efficace di cosa sia la Torah la si può trovare in questo testo del Deuteronomio che dice così: «Il Signore gioirà di nuovo per te facendoti felice, come gioiva per i tuoi padri, quando obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e quando ti sarai convertito al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima» (30,9-10). L’osservanza della Legge garantiva al popolo i benefici dell’Alleanza e garantiva il legame particolare con Dio. Questo popolo, questa gente, questa persone, sono legati a Dio e fanno vedere questa unione con Dio nel compimento, nell’osservanza della Legge. Stringendo l’Alleanza con Israele, Dio gli aveva offerto la Torah, la Legge, perché potesse comprendere la sua volontà e vivere nella giustizia. Pensiamo che in quel tempo c’era bisogno di una Legge così, è stato un grande dono che Dio ha dato al suo popolo, perché? Perché in quel tempo c’era il paganesimo dappertutto, l’idolatria dappertutto e le condotte umane che derivano dall’idolatria e per questo il grande dono di Dio al suo popolo è la Legge per andare avanti. Più volte, soprattutto nei libri dei profeti, si riscontra che la non osservanza dei precetti della Legge costituiva un vero tradimento all’Alleanza, provocando la reazione dell’ira di Dio. Il legame tra Alleanza e Legge era talmente stretto che le due realtà erano inseparabili. La Legge è l’espressione che una persona, un popolo è in alleanza con Dio.

    Alla luce di tutto questo è facile capire come avessero buon gioco quei missionari che si erano infiltrati presso i Galati nel sostenere che l’adesione all’Alleanza comportava anche l’osservanza della Legge mosaica, così com’era in quel tempo. Tuttavia, proprio su questo punto possiamo scoprire l’intelligenza spirituale di San Paolo e le grandi intuizioni che egli ha espresso, sostenuto dalla grazia ricevuta per la sua missione evangelizzatrice.

    L’Apostolo spiega ai Galati che, in realtà, l’Alleanza con Dio e la Legge mosaica non sono legate in maniera indissolubile. Il primo elemento su cui fa leva è che l’Alleanza stabilita da Dio con Abramo era basata sulla fede nel compimento della promessa e non sull’osservanza della Legge, che ancora non c’era. Abramo incominciò a camminare secoli prima della Legge. Scrive l’Apostolo: «Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso [con Abramo], non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo [con Mosè], annullando così la promessa. Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa» (Gal 3,17-18). La promessa era prima della Legge e la promessa ad Abramo, poi è venuta la legge 430 anni dopo. La parola “promessa” è molto importante: il popolo di Dio, noi cristiani, camminiamo nella vita guardando una promessa; la promessa è proprio ciò che ci attira, ci attira per andare avanti all’incontro con il Signore.

    Con questo ragionamento, Paolo ha raggiunto un primo obiettivo: la Legge non è alla base dell’Alleanza perché è giunta successivamente, era necessaria e giusta ma prima cera la promessa, l’Alleanza.

    Un’argomentazione come questa mette fuori gioco quanti sostengono che la Legge mosaica sia parte costitutiva dell’Alleanza. No, l’Alleanza è prima, è la chiamata ad Abramo. La Torah, La legge in effetti, non è inclusa nella promessa fatta ad Abramo. Detto questo, non si deve però pensare che san Paolo fosse contrario alla Legge mosaica. No, la osservava. Più volte, nelle sue Lettere, ne difende l’origine divina e sostiene che essa possiede un ruolo ben preciso nella storia della salvezza. La Legge però non dà la vita, non offre il compimento della promessa, perché non è nella condizione di poterla realizzare. La Legge è un cammino che ti porta avanti verso l’incontro. Paolo usa una parola molto importante, la Legge è il “pedagogo” verso Cristo, il pedagogo verso la fede in Cristo, cioè il maestro che ti porta per mano all’incontro. Chi cerca la vita ha bisogno di guardare alla promessa e alla sua realizzazione in Cristo.

    Carissimi, questa prima esposizione dell’Apostolo ai Galati presenta la radicale novità della vita cristiana: tutti quelli che hanno la fede in Gesù Cristo sono chiamati a vivere nello Spirito Santo, che libera dalla Legge e nello stesso tempo la porta a compimento secondo il comandamento dell’amore. Questo è molto importante, la Legge ci porta a Gesù. Ma qualcuno di voi può dirmi: “Ma, padre, una cosa: questo vuol dire che se io prego il Credo non devo osservare i Comandamenti?”. No, i Comandamenti hanno attualità nel senso che sono dei “pedagoghi” che ti portano all’incontro con Gesù. Ma se tu lasci da parte l’incontro con Gesù e vuoi tornare a dare più importanza ai Comandamenti, questo non va bene. E proprio questo era il problema di questi missionari fondamentalisti che si sono immischiati fra i Galati per disorientarli. Il Signore ci aiuti a camminare sulla strada dei Comandamenti, ma guardando l’amore a Cristo verso l’incontro con Cristo, sapendo che l’incontro con Gesù è più importante di tutti i Comandamenti.

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    Saluti

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono tanti! In particolare, saluto con affetto i partecipanti al “Latium Festival” di Cori (Latina). Su tutti invoco l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo per un rinnovato fervore spirituale e apostolico.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria di Santa Chiara d’Assisi, luminoso modello di chi ha saputo vivere con coraggio e generosità la sua adesione a Cristo. Imitate il suo esempio perché possiate come lei rispondere fedelmente alla chiamata del Signore.

    A tutti la mia Benedizione.

     



    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 18 agosto 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 5. Il valore propedeutico della Legge

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    San Paolo, innamorato di Gesù Cristo e che aveva capito bene cosa fosse la salvezza, ci ha insegnato che i «figli della promessa» (Gal 4,28) - cioè tutti noi, giustificati da Gesù Cristo -, non stanno sotto il vincolo della Legge, ma sono chiamati allo stile di vita impegnativo nella libertà del Vangelo. La Legge, però, esiste. Ma esiste con un altro modo: la stessa Legge, i Dieci Comandamenti, ma con un altro modo, perché da se stessa non può giustificare una volta che è venuto il Signore Gesù.  E perciò, nella catechesi di oggi io vorrei spiegare questo. E ci chiediamo: qual è, secondo la Lettera ai Galati, il ruolo della Legge? Nel brano che abbiamo ascoltato, Paolo sostiene che la Legge è stata come un pedagogo. È una bella immagine, quella del pedagogo di cui abbiamo parlato nell’udienza scorsa, un’immagine che merita di essere compresa nel suo giusto significato.

    L’Apostolo sembra suggerire ai cristiani di dividere la storia della salvezza in due, e anche la sua storia personale. Sono due i momenti: prima di essere diventati credenti in Cristo Gesù e dopo avere ricevuto la fede. Al centro si pone l’evento della morte e risurrezione di Gesù, che Paolo ha predicato per suscitare la fede nel Figlio di Dio, fonte di salvezza e in Cristo Gesù noi siamo giustificati. Siamo giustificati per la gratuità della fede in Cristo Gesù. Dunque, a partire dalla fede in Cristo c’è un “prima” e un “dopo” nei confronti della stessa Legge, perché la legge c’è, i Comandamenti ci sono, ma c’è un atteggiamento prima della venuta di Gesù e poi dopo. La storia precedente è determinata dall’essere “sotto la Legge”. E chi andava sulla strada della Legge si salvava, era giustificato; quella successiva – dopo la venuta di Gesù - va vissuta seguendo lo Spirito Santo (cfr Gal 5,25). È la prima volta che Paolo utilizza questa espressione: essere “sotto la Legge”. Il significato sotteso comporta l’idea di un asservimento negativo, tipico degli schiavi: “essere sotto”. L’Apostolo lo esplicita dicendo che quando si è “sotto la Legge” si è come dei “sorvegliati” e dei “rinchiusi”, una specie di custodia preventiva. Questo tempo, dice San Paolo, è durato a lungo – da Mosè, alla venuta di Gesù -, e si perpetua finché si vive nel peccato.

    La relazione tra la Legge e il peccato verrà esposta in maniera più sistematica dall’Apostolo nella sua Lettera ai Romani, scritta pochi anni dopo quella ai Galati. In sintesi, la Legge porta a definire la trasgressione e a rendere le persone consapevoli del proprio peccato: “Hai fatto questo, pertanto la Legge – i Dieci Comandamenti – dice questo: tu sei in peccato”. Anzi, come insegna l’esperienza comune, il precetto finisce per stimolare la trasgressione. Scrive così nella Lettera ai Romani: «Quando eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge» (7,5-6). Perché? Perché è venuta la giustificazione di Gesù Cristo. Paolo fissa la sua visione della Legge: «Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge» (1 Cor 15,56). Un dialogo: tu sei sotto la Legge, e sei lì con la porta aperta al peccato.

    In questo contesto acquista il suo senso pieno il riferimento al ruolo pedagogico svolto dalla Legge. Ma la Legge è il pedagogo, che ti porta, dove? A Gesù. Nel sistema scolastico dell’antichità il pedagogo non aveva la funzione che oggi noi gli attribuiamo, vale a dire quella di sostenere l’educazione di un ragazzo o di una ragazza. All’epoca, si trattava invece di uno schiavo che aveva l’incarico di accompagnare dal maestro il figlio del padrone e poi riportarlo a casa. Doveva così proteggerlo dai pericoli, sorvegliarlo perché non assumesse comportamenti scorretti. La sua funzione era piuttosto disciplinare. Quando il ragazzo diventava adulto, il pedagogo cessava dalle sue funzioni. Il pedagogo al quale si riferisce Paolo, non era l’insegnante, ma era quello che accompagnava a scuola, sorvegliava il ragazzo e lo portava a casa.

    Riferirsi alla Legge in questi termini permette a San Paolo di chiarificare la funzione da essa svolta nella storia di Israele. La Torah, cioè la Legge, era stata un atto di magnanimità da parte di Dio nei confronti del suo popolo. Dopo l’elezione di Abramo, l’altro atto grande è stata la Legge: fissare la strada per andare avanti. Certamente aveva avuto delle funzioni restrittive, ma nello stesso tempo aveva protetto il popolo, lo aveva educato, disciplinato e sostenuto nella sua debolezza, soprattutto la protezione davanti al paganesimo; c’erano tanti atteggiamenti pagani in quei tempi. La Torah dice: “C’è un unico Dio e ci ha messo in cammino”. Un atto di bontà del Signore. E certamente, come avevo detto, aveva avuto delle funzioni restrittive, ma nello stesso tempo aveva protetto il popolo, lo aveva educato, lo aveva disciplinato, lo aveva sostenuto nella sua debolezza. È per questo che l’Apostolo si sofferma successivamente nel descrivere la fase dell’età minorenne. E dice così: «Per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4,1-3). Insomma, la convinzione dell’Apostolo è che la Legge possiede certamente una sua funzione positiva - quindi come pedagogo nel portare avanti -, ma è una funzione limitata nel tempo. Non si può estendere la sua durata oltre misura, perché è legata alla maturazione delle persone e alla loro scelta di libertà. Una volta che si giunge alla fede, la Legge esaurisce la sua valenza propedeutica e deve cedere il posto a un’altra autorità. Questo cosa vuol dire? Che finita la Legge noi possiamo dire: “Crediamo in Gesù Cristo e facciamo quello che vogliamo? “No! I Comandamenti ci sono, ma non ci giustificano. Quello che ci giustifica è Gesù Cristo. I Comandamenti si devono osservare, ma non ci danno la giustizia; c’è la gratuità di Gesù Cristo, l’incontro con Gesù Cristo che ci giustifica gratuitamente. Il merito della fede è ricevere Gesù. L’unico merito: aprire il cuore. E che cosa facciamo con i Comandamenti? Dobbiamo osservarli, ma come aiuto all’incontro con Gesù Cristo.

    Questo insegnamento sul valore della legge è molto importante e merita di essere considerato con attenzione per non cadere in equivoci e compiere passi falsi. Ci farà bene chiederci se viviamo ancora nel periodo in cui abbiamo bisogno della Legge, o se invece siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore. Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo? È una bella domanda. E anche la seconda: disprezzo i Comandamenti? No. Li osservo, ma non come assoluti, perché so che quello che mi giustifica è Gesù Cristo.

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    Saluti

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Fratelli della Carità, i sacerdoti novelli di Mantova e di Parma, i giovani dell’Oratorio di Nembro, i fedeli di Castello di Godego.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli.

    Cari anziani e cari ammalati, abbiate nella vecchiaia e nella sofferenza il conforto della presenza materna di Maria, segno di sicura speranza. E voi, cari giovani, nel costruire il vostro futuro mettete sempre al primo posto la chiamata di Cristo. A voi, cari sposi novelli, auguro che il vostro amore sia specchio di quello infinito ed eterno di Dio.

    A tutti la mia Benedizione.


    [Modificato da Caterina63 18/08/2021 13:47]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 25/08/2021 13:54

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 25 agosto 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 6. I pericoli della Legge

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    La Lettera ai Galati riporta un fatto piuttosto sorprendente. Come abbiamo ascoltato, Paolo dice di avere rimproverato Cefa, cioè Pietro, davanti alla comunità di Antiochia, perché il suo comportamento non era buono. Cos’era successo di così grave da obbligare Paolo a rivolgersi in termini duri addirittura a Pietro? Forse Paolo ha esagerato, ha lasciato troppo spazio al suo carattere senza sapersi trattenere? Vedremo che non è così, ma che ancora una volta è in gioco il rapporto tra la Legge e la libertà. E dobbiamo tornare su questo tante volte.

    Scrivendo ai Galati, Paolo menziona volutamente questo episodio che era accaduto ad Antiochia anni prima. Intende ricordare ai cristiani di quelle comunità che non devono assolutamente dare ascolto a quanti predicano la necessità di farsi circoncidere e quindi cadere “sotto la Legge” con tutte le sue prescrizioni. Ricordiamo che sono questi predicatori fondamentalisti che sono arrivati lì e hanno creato confusione, e hanno anche tolto la pace a quella comunità. Oggetto della critica nei confronti di Pietro era il suo comportamento nella partecipazione alla mensa. A un giudeo, la Legge proibiva di prendere i pasti con i non ebrei. Ma lo stesso Pietro, in un’altra circostanza, era andato a Cesarea nella casa del centurione Cornelio, pur sapendo di trasgredire la Legge. Allora affermò: «Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo» (At 10,28). Una volta rientrato a Gerusalemme, i cristiani circoncisi fedeli alla Legge mosaica rimproverarono Pietro per questo suo comportamento, ma lui si giustificò dicendo: «Mi ricordai di quella parola del Signore che diceva: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo”. Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?”» (At 11,16-17). Ricordiamo che lo Spirito Santo è venuto in quel momento nella casa di Cornelio quando Pietro è andato lì.

    Un fatto simile era accaduto anche ad Antiochia in presenza di Paolo. Prima Pietro stava a mensa senza alcuna difficoltà con i cristiani venuti dal paganesimo; quando però giunsero in città alcuni cristiani circoncisi da Gerusalemme – coloro che venivano dal giudaesimo –allora non lo fece più, per non incorrere nelle loro critiche. È questo lo sbaglio: era più attento alle critiche, a fare buona figura. E questo è grave agli occhi di Paolo, anche perché Pietro veniva imitato da altri discepoli, primo fra tutti Barnaba, che con Paolo aveva evangelizzato proprio i Galati (cfr Gal 2,13). Senza volerlo, Pietro, con quel modo di fare – un po’ così, un po’ colà… non chiaro, non trasparente – creava di fatto un’ingiusta divisione nella comunità: “Io sono puro… io vado per questa linea, io devo andare così, questo non si può…”

    Paolo, nel suo rimprovero – e qui è il nocciolo del problema – utilizza un termine che permette di entrare nel merito della sua reazione: ipocrisia (cfr Gal 2,13). Questa è una parola che tornerà tante volte: ipocrisia. Credo che tutti noi capiamo cosa significa. L’osservanza della Legge da parte dei cristiani portava a questo comportamento ipocrita, che l’apostolo intende combattere con forza e convinzione. Paolo era retto, aveva dei suoi difetti – tanti, il suo carattere era terribile – ma era retto. Cos’è l’ipocrisia? Quando noi diciamo: state attento che quello è un ipocrita: cosa vogliamo dire? Cosa è l’ipocrisia? Si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità. “Ho paura di procedere come io sono e mi trucco con questi atteggiamenti”. E la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto. La finzione ti porta a questo: alle mezze verità. E le mezze verità sono una finzione: perché la verità è verità o non è verità. Ma le mezze verità sono questo modo di agire non vero. Si preferisce, come ho detto, fingere piuttosto che essere sé stesso, e la finzione impedisce quel coraggio, di dire apertamente la verità. E così ci si sottrae all’obbligo - e questo è un comandamento - di dire sempre la verità, dirla dovunque e dirla nonostante tutto. E in un ambiente dove le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo, si diffonde facilmente il virus dell’ipocrisia. Quel sorriso che non viene dal cuore, quel cercare di stare bene con tutti, ma con nessuno…

    Nella Bibbia si trovano diversi esempi in cui si combatte l’ipocrisia. Una bella testimonianza per combattere l’ipocrisia è quella del vecchio Eleazaro, al quale veniva chiesto di fingere di mangiare la carne sacrificata alle divinità pagane pur di salvare la sua vita: far finta che la mangiava, ma non la mangiava. O far finta che mangiava la carne suina ma gli amici gliene avevano preparata un’altra. Ma quell’uomo timorato di Dio rispose: «Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleazaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia» (2 Mac 6,24-25). Onesto: non entra sulla strada dell’ipocrisia. Che bella pagina su cui riflettere per allontanarsi dall’ipocrisia! Anche i Vangeli riportano diverse situazioni in cui Gesù rimprovera fortemente coloro che appaiono giusti all’esterno, ma dentro sono pieni di falsità e d’iniquità (cfr Mt 23,13-29). Se avete un po’ di tempo oggi prendete il capitolo 23 del Vangelo di San Matteo e vedete quante volte Gesù dice: “ipocriti, ipocriti, ipocriti”, e svela cosa sia l’ipocrisia.

    L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità. Per questo, non è capace di amare veramente – un ipocrita non sa amare – si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore. Ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia. Spesso si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato. È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti. Non dovremmo mai dimenticare le parole del Signore: “Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Fratelli e sorelle, pensiamo oggi a ciò che Paolo condanna e che Gesù condanna: l’ipocrisia. E non abbiamo paura di essere veritieri, di dire la verità, di sentire la verità, di conformarci alla verità. Così potremo amare. Un ipocrita non sa amare. Agire altrimenti dalla verità significa mettere a repentaglio l’unità nella Chiesa, quella per la quale il Signore stesso ha pregato.

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    Saluti

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    APPELLO

    Ieri, a Tokio, hanno preso il via le Paralimpiadi. Invio il mio saluto agli atleti e li ringrazio perché offrono a tutti una testimonianza di speranza e di coraggio. Essi, infatti, manifestano come l’impegno sportivo aiuti a superare difficoltà apparentemente insormontabili. 

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Capitolari delle Suore Oblate del Bambino Gesù: ad esse e all’intero Istituto rivolgo il mio incoraggiamento affinché sappiano affrontare i problemi dell’educazione con grande fiducia, seminando con gioia nei cuori dei giovani la parola di Dio.

    Saluto altresì i fedeli di Montegallo, che il 24 agosto di 5 anni fa sono stati colpiti dal terremoto. Cari fratelli e sorelle, la vostra presenza mi offre l’occasione per volgere il mio pensiero alle vittime e alle comunità dell’Italia centrale, tra cui Accumoli e Amatrice, che hanno subito le dure conseguenze di quell’evento sismico. Con il concreto aiuto delle Istituzioni, è necessario dare prova di “rinascita” senza lasciarsi abbattere dalla sfiducia. Esorto tutti ad andare avanti con speranza. Coraggio!

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Si accresca nel cuore di tutti voi il desiderio di entrare sempre più in amicizia con Cristo e di trovare in Lui serenità e cristiana speranza.

    A tutti la mia Benedizione.

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    UDIENZA GENERALE

    Cortile di San Damaso
    Mercoledì, 1 settembre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 7. Stolti Galati

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    Continueremo la spiegazione della Lettera di San Paolo ai Galati. Questa non è una cosa nuova, questa spiegazione, una cosa mia: questo che stiamo studiando è quello che dice San Paolo, in un conflitto molto serio, ai Galati. Ed è anche Parola di Dio, perché è entrata nella Bibbia. Non sono cose che qualcuno si inventa, no. È una cosa che è successa in quel tempo e che può ripetersi. E di fatto abbiamo visto che nella storia si è ripetuto, questo. Questa semplicemente è una catechesi sulla Parola di Dio espressa nella Lettera di Paolo ai Galati, non è un’altra cosa. Bisogna tenere sempre presente questo. Nelle catechesi precedenti abbiamo visto come l’apostolo Paolo mostra ai primi cristiani della Galazia quanto sia pericoloso lasciare la strada che hanno iniziato a percorrere accogliendo il Vangelo. Il rischio infatti è quello di cadere nel formalismo, che è una delle tentazioni che ci porta all’ipocrisia, della quale abbiamo parlato l’altra volta. Cadere nel formalismo e rinnegare la nuova dignità che essi hanno ricevuto: la dignità di redenti da Cristo. Il brano che abbiamo appena ascoltato dà inizio alla seconda parte della Lettera. Fino a qui, Paolo ha parlato della sua vita e della sua vocazione: di come la grazia di Dio ha trasformato la sua esistenza, mettendola completamente a servizio dell’evangelizzazione. A questo punto, interpella direttamente i Galati: li pone davanti alle scelte che hanno compiuto e alla loro condizione attuale, che potrebbe vanificare l’esperienza di grazia vissuta.

    E i termini con cui l’Apostolo si rivolge ai Galati non sono certo di cortesia: l’abbiamo sentito. Nelle altre Lettere è facile trovare l’espressione “fratelli” oppure “carissimi”, qui no. Perché è arrabbiato. Dice in modo generico “Galati” e per ben due volte li chiama “stolti”, che non è un termine di cortesia. Stolti, insensati e tante cose può dire … Lo fa non perché non siano intelligenti, ma perché, quasi senza accorgersene, rischiano di perdere la fede in Cristo che hanno accolto con tanto entusiasmo. Sono stolti perché non si rendono conto che il pericolo è quello di perdere il tesoro prezioso, la bellezza della novità di Cristo. La meraviglia e la tristezza dell’Apostolo sono evidenti. Non senza amarezza, egli provoca quei cristiani a ricordare il primo annuncio da lui compiuto, con il quale ha offerto loro la possibilità di acquisire una libertà fino a quel momento insperata.

    L’Apostolo rivolge ai Galati delle domande, nell’intento di scuotere le loro coscienze: per questo è così forte. Si tratta di interrogativi retorici, perché i Galati sanno benissimo che la loro venuta alla fede in Cristo è frutto della grazia ricevuta con la predicazione del Vangelo. Li porta all’inizio della vocazione cristiana. La parola che avevano ascoltato da Paolo si concentrava sull’amore di Dio, manifestatosi pienamente nella morte e risurrezione di Gesù. Paolo non poteva trovare espressione più convincente di quella che probabilmente aveva ripetuto loro più volte nella sua predicazione: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Paolo non voleva sapere altro che Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2). I Galati devono guardare a questo evento, senza lasciarsi distogliere da altri annunci. Insomma, l’intento di Paolo è di mettere alle strette i cristiani perché si rendano conto della posta in gioco e non si lascino incantare dalla voce delle sirene che vogliono portarli a una religiosità basata unicamente sull’osservanza scrupolosa di precetti. Perché loro, questi predicatori nuovi che sono arrivati lì in Galazia, li hanno convinti che dovevano andare indietro e prendere anche i precetti che si osservavano e che portavano alla perfezione prima della venuta di Cristo, che è la gratuità della salvezza.

    I Galati, d’altronde, comprendevano molto bene ciò a cui l’Apostolo faceva riferimento. Avevano fatto certamente esperienza dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità: come nelle altre Chiese, così anche tra loro si erano manifestati la carità e vari altri carismi. Messi alle strette, devono per forza rispondere che quanto hanno vissuto era frutto della novità dello Spirito. All’inizio del loro venire alla fede, pertanto, c’era l’iniziativa di Dio, non degli uomini. Lo Spirito Santo era stato il protagonista della loro esperienza; metterlo ora in secondo piano per dare il primato alle proprie opere – cioè al compimento dei precetti della Legge – sarebbe stato da insensati. La santità viene dallo Spirito Santo e che è la gratuità della redenzione di Gesù: questo ci giustifica.

    In questo modo, San Paolo invita anche noi a riflettere: come viviamo la fede? L’amore di Cristo crocifisso e risorto rimane al centro della nostra vita quotidiana come fonte di salvezza, oppure ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per metterci la coscienza a posto? Come viviamo la fede, noi? Siamo attaccati al tesoro prezioso, alla bellezza della novità di Cristo, oppure gli preferiamo qualcosa che al momento ci attira ma poi ci lascia il vuoto dentro?  L’effimero bussa spesso alla porta delle nostre giornate, ma è una triste illusione, che ci fa cadere nella superficialità e impedisce di discernere su cosa valga veramente la pena vivere. Fratelli e sorelle, manteniamo comunque ferma la certezza che, anche quando siamo tentati di allontanarci, Dio continua ancora a elargire i suoi doni. Sempre nella storia, anche oggi, succedono cose che assomigliano a quello che è successo ai Galati. Anche oggi alcuni ci vengono a riscaldare le orecchie dicendo: “No, la santità è in questi precetti, in queste cose, dovete fare questo e questo”, e ci propongono una religiosità rigida, la rigidità che ci toglie quella libertà nello Spirito che ci dà la redenzione di Cristo. State attenti davanti alle rigidità che vi propongono: state attenti. Perché dietro ogni rigidità c’è qualche cosa brutta, non c’è lo Spirito di Dio. E per questo, questa Lettera ci aiuterà a non ascoltare queste proposte un po’ fondamentaliste che ci portano indietro nella nostra vita spirituale, e ci aiuterà ad andare avanti nella vocazione pasquale di Gesù.
    È quanto l’Apostolo ribadisce ai Galati ricordando che il Padre «dona con abbondanza lo Spirito e opera miracoli in mezzo a voi» (3,5). Parla al presente, non dice “il Padre ha donato lo Spirito con abbondanza”, capitolo 3, versetto 5, no: dice “dona”; non dice “ha operato”, no: “opera”. Perché, nonostante tutte le difficoltà che noi possiamo porre alla sua azione, anche nonostante i nostri peccati, Dio non ci abbandona ma rimane con noi col suo amore misericordioso. Dio sempre è vicino a noi con la sua bontà. È come quel padre che tutti i giorni saliva sul terrazzo per vedere se tornava il figlio: l’amore del Padre non si stanca di noi. Domandiamo la saggezza di accorgerci sempre di questa realtà e di mandare via i fondamentalisti che ci propongono una vita di ascesi artificiale, lontana dalla resurrezione di Cristo. L’ascesi è necessaria, ma l’ascesi saggia, non artificiale.

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    Saluti

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i fedeli di Cuneo e di Fossano, qui convenuti con il loro Vescovo Mons. Piero Delbosco in occasione del Sinodo diocesano: auspico che questo evento possa rappresentare un rinnovato cammino spirituale, nel segno della comunione e della corresponsabilità. Saluto le Missionarie Francescane del Verbo incarnato, riunite nel Capitolo generale, e le incoraggio a proseguire con gioia nella sequela di Cristo.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli, invocando su ciascuno l’effusione della grazia di Dio. Questo dono ineffabile del Signore è forza redentrice che conforta e sostiene nel cammino della vita.

    A tutti la mia Benedizione.

     

     

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 8 settembre 2021

    [Multimedia]

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati - 8. Siamo figli di Dio

    Fratelli e sorelle, buongiorno!

    Proseguiamo il nostro itinerario di approfondimento della fede – della nostra fede – alla luce della Lettera di San Paolo ai Galati. L’Apostolo insiste con quei cristiani perché non dimentichino la novità della rivelazione di Dio che è stata loro annunciata. In pieno accordo con l’evangelista Giovanni (cfr 1 Gv 3,1-2), Paolo sottolinea che la fede in Gesù Cristo ci ha permesso di diventare realmente figli di Dio e anche suoi eredi. Noi cristiani diamo spesso per scontato questa realtà di essere figli di Dio. È bene invece fare sempre memoria grata del momento in cui lo siamo diventati, quello del nostro battesimo, per vivere con più consapevolezza il grande dono ricevuto.

    Se io oggi domandassi: chi di voi sa la data del proprio battesimo?, credo che le mani alzate non sarebbero tante. E invece è la data nella quale siamo stati salvati, è la data nella quale siamo diventati figli di Dio. Adesso, coloro che non la conoscono domandino al padrino, alla madrina, al papà, alla mamma, allo zio, alla zia: “Quando sono stato battezzato? Quando sono stata battezzata?”; e ricordare ogni anno quella data: è la data nella quale siamo stati fatti figli di Dio. D’accordo? Farete questo? [rispondono: sì!] È un “sì” così, eh? [ridono] Andiamo avanti…

    Infatti, una volta che è «sopraggiunta la fede» in Gesù Cristo (v. 25), si crea la condizione radicalmente nuova che immette nella figliolanza divina. La figliolanza di cui parla Paolo non è più quella generale che coinvolge tutti gli uomini e le donne in quanto figli e figlie dell’unico Creatore. Nel brano che abbiamo ascoltato egli afferma che la fede permette di essere figli di Dio «in Cristo» (v. 26): questa è la novità. È questo “in Cristo” che fa la differenza. Non soltanto figli di Dio, come tutti: tutti gli uomini e donne siamo figli di Dio, tutti, qualsiasi sia la religione che abbiamo. No. Ma “in Cristo” è quello che fa la differenza nei cristiani, e questo soltanto avviene nella partecipazione alla redenzione di Cristo e in noi nel sacramento del battesimo, così incomincia. Gesù è diventato nostro fratello, e con la sua morte e risurrezione ci ha riconciliati con il Padre. Chi accoglie Cristo nella fede, per il battesimo viene “rivestito” di Lui e della dignità filiale (cfr v. 27).

    San Paolo nelle sue Lettere fa riferimento più volte al battesimo. Per lui, essere battezzati equivale a prendere parte in maniera effettiva e reale al mistero di Gesù. Per esempio, nella Lettera ai Romani giungerà perfino a dire che, nel battesimo, siamo morti con Cristo e sepolti con Lui per poter vivere con Lui (cfr 6,3-14). Morti con Cristo, sepolti con Lui per poter vivere con Lui. E questa è la grazia del battesimo: partecipare della morte e resurrezione di Gesù. Il battesimo, quindi, non è un mero rito esteriore. Quanti lo ricevono vengono trasformati nel profondo, nell’essere più intimo, e possiedono una vita nuova, appunto quella che permette di rivolgersi a Dio e invocarlo con il nome di “Abbà”, cioè “papà”. “Padre”? No, “papà” (cfr Gal 4,6).

    L’Apostolo afferma con grande audacia che quella ricevuta con il battesimo è un’identità totalmente nuova, tale da prevalere rispetto alle differenze che ci sono sul piano etnico-religioso. Cioè, lo spiega così: «non c’è Giudeo né Greco»; e anche su quello sociale: «non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina» (Gal 3,28). Si leggono spesso con troppa fretta queste espressioni, senza cogliere il valore rivoluzionario che possiedono. Per Paolo, scrivere ai Galati che in Cristo “non c’è Giudeo né Greco” equivaleva a un’autentica sovversione in ambito etnico-religioso. Il Giudeo, per il fatto di appartenere al popolo eletto, era privilegiato rispetto al pagano (cfr Rm 2,17-20), e Paolo stesso lo afferma (cfr Rm 9,4-5). Non stupisce, dunque, che questo nuovo insegnamento dell’Apostolo potesse suonare come eretico. “Ma come, uguali tutti? Siamo differenti!”. Suona un po’ eretico, no? Anche la seconda uguaglianza, tra “liberi” e “schiavi”, apre prospettive sconvolgenti. Per la società antica era vitale la distinzione tra schiavi e cittadini liberi. Questi godevano per legge di tutti i diritti, mentre agli schiavi non era riconosciuta nemmeno la dignità umana. Questo succede anche oggi: tanta gente nel mondo, tanta, milioni, che non hanno diritto a mangiare, non hanno diritto all’educazione, non hanno diritto al lavoro: sono i nuovi schiavi, sono coloro che sono alle periferie, che sono sfruttati da tutti. Anche oggi c’è la schiavitù. Pensiamo un poco a questo. Noi neghiamo a questa gente la dignità umana, sono schiavi. Così infine, l’uguaglianza in Cristo supera la differenza sociale tra i due sessi, stabilendo un’uguaglianza tra uomo e donna allora rivoluzionaria e che c’è bisogno di riaffermare anche oggi. C’è bisogno di riaffermarla anche oggi. Quante volte noi sentiamo espressioni che disprezzano le donne! Quante volte abbiamo sentito: “Ma no, non fare nulla, [sono] cose di donne”. Ma guarda che uomo e donna hanno la stessa dignità, e c’è nella storia, anche oggi, una schiavitù delle donne: le donne non hanno le stesse opportunità degli uomini. Dobbiamo leggere quello che dice Paolo: siamo uguali in Cristo Gesù.

    Come si può vedere, Paolo afferma la profonda unità che esiste tra tutti i battezzati, a qualsiasi condizione appartengano, siano uomini o donne, uguali, perché ciascuno di loro, in Cristo, è una creatura nuova. Ogni distinzione diventa secondaria rispetto alla dignità di essere figli di Dio, il quale con il suo amore realizza una vera e sostanziale uguaglianza. Tutti, tramite la redenzione di Cristo e il battesimo che abbiamo ricevuto, siamo uguali: figli e figlie di Dio. Uguali.

    Fratelli e sorelle, siamo dunque chiamati in modo più positivo a vivere una nuova vita che trova nella figliolanza con Dio la sua espressione fondante. Uguali perché figli di Dio, e figli di Dio perché ci ha redento Gesù Cristo e siamo entrati in questa dignità tramite il battesimo. È decisivo anche per tutti noi oggi riscoprire la bellezza di essere figli di Dio, di essere fratelli e sorelle tra di noi perché inseriti in Cristo che ci ha redenti. Le differenze e i contrasti che creano separazione non dovrebbero avere dimora presso i credenti in Cristo. E uno degli apostoli, nella Lettera di Giacomo, dice così: “State attenti con le differenze, perché voi non siete giusti quando nell’assemblea (cioè nella Messa) entra uno che porta un anello d’oro, è ben vestito: ‘Ah, avanti, avanti!’, e lo fanno sedere al primo posto. Poi, se entra un altro che, poveretto, appena si può coprire e si vede che è povero, povero, povero: ‘sì, sì, accomodati lì, in fondo’”. Queste differenze le facciamo noi, tante volte, in modo inconscio. No, siamo uguali. La nostra vocazione è piuttosto quella di rendere concreta ed evidente la chiamata all’unità di tutto il genere umano (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 1). Tutto quello che esaspera le differenze tra le persone, causando spesso discriminazioni, tutto questo, davanti a Dio, non ha più consistenza, grazie alla salvezza realizzata in Cristo. Ciò che conta è la fede che opera seguendo il cammino dell’unità indicato dallo Spirito Santo. E la nostra responsabilità è camminare decisamente su questa strada dell’uguaglianza, ma l’uguaglianza che è sostenuta, che è stata fatta dalla redenzione di Gesù.

    Grazie. E non dimenticatevi, quando tornerete a casa: “Quando sono stata battezzata? Quando sono stato battezzato?”. Domandare, per avere sempre in mente quella data. E anche festeggiare quando arriverà la data. Grazie.

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    Saluti

    Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Wyrażam radość z bliskiej już beatyfikacji kardynała Stefana Wyszyńskiego i matki Elżbiety Róży Czackiej. Niech duchowy testament Prymasa Tysiąclecia: „Wszystko postawiłem na Maryję” i ufność matki Elżbiety Róży pokładana w Krzyżu Chrystusa będą zawsze mocą waszego narodu. O kardynale Wyszyńskim św. Jan Paweł II wypowiedział historyczne słowa: „Nie byłoby na Stolicy Piotrowej tego Papieża-Polaka gdyby nie było Twojej wiary, niecofającej się przed więzieniem i cierpieniem, Twojej heroicznej nadziei, Twego zawierzenia bez reszty Matce Kościoła”. Niech Bóg błogosławi Polskę. Niech was wspierają wasi wielcy święci i błogosławieni.

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi. Esprimo la mia gioia per la prossima beatificazione del Cardinale Stefano Wyszyński e madre Elisabetta Rosa Czacka. Che il testamento spirituale del Primate del Millennio: “Tutto affido a Maria” e la confidenza della madre Elisabetta Rosa nella Croce di Cristo siano sempre la forza della vostra nazione. Sul Cardinale Wyszyński San Giovanni Paolo II ha pronunciato le storiche parole: “Sulla Sede di Pietro non ci sarebbe questo Papa polacco, se non ci fosse stata la tua fede, che non si è piegata davanti alla prigione e alla sofferenza, la tua eroica speranza, il tuo fidarti fino in fondo della Madre della Chiesa”. Dio benedica la Polonia. Vi sostengano i vostri grandi santi e beati.]

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    APPELLO

    Il prossimo 11 settembre in Etiopia si celebrerà il Capodanno. Rivolgo al popolo etiope il mio più cordiale e affettuoso saluto, in modo particolare a quanti soffrono a motivo del conflitto in atto e della grave situazione umanitaria da esso causata. Sia questo un tempo di fraternità e di solidarietà in cui dare ascolto al comune desiderio di pace.

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, ai membri dell’Arciconfraternita “Maria Santissima Addolorata” di Casolla (Caserta), e agli Ufficiali e agli Allievi della Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli e alle Suore Schiave del Sacro Cuore. Auguro a tutti voi, qui pellegrini, che la visita alle tombe degli Apostoli vi rinsaldi nell’adesione al Signore e vi renda suoi testimoni nella vita di ogni giorno.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la Natività della Beata Vergine Maria. Questa festa ci ricorda che Dio è fedele alle sue promesse e, attraverso Maria Santissima, ha voluto abitare in mezzo a noi: sia in ciascuno di voi la gioia di accogliere la Sua presenza di pace di gioia!

    Vi benedico di cuore.





    [Modificato da Caterina63 26/09/2021 10:28]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 26/09/2021 10:31

    UDIENZA GENERALE


    Mercoledì, 22 settembre 2021


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    Catechesi: Il Viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia


    Fratelli e sorelle, buongiorno!


    Oggi vorrei parlarvi del Viaggio Apostolico che ho compiuto a Budapest e in Slovacchia, e che si è concluso proprio una settimana fa, mercoledì scorso. Lo riassumerei così: è stato un pellegrinaggio di preghiera, un pellegrinaggio alle radici, un pellegrinaggio di speranza. Preghiera, radici e speranza.


    1. La prima tappa è stata a Budapest, per la Santa Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Internazionale, rinviata di un anno esatto a causa della pandemia. Grande è stata la partecipazione a questa celebrazione. Il popolo santo di Dio, nel giorno del Signore, si è riunito davanti al mistero dell’Eucaristia, dal quale continuamente è generato e rigenerato. Era abbracciato dalla Croce che campeggiava sopra l’altare, a mostrare la stessa direzione indicata dall’Eucaristia, cioè la via dell’amore umile e disinteressato, dell’amore generoso e rispettoso verso tutti, della via della fede che purifica dalla mondanità e conduce all’essenzialità. Questa fede ci purifica sempre e ci allontana dalla mondanità che ci rovina tutti: è un tarlo che ci rovina da dentro.


    E il pellegrinaggio di preghiera si è concluso in Slovacchia nella Festa di Maria Addolorata. Anche là, a Šaštín, presso il Santuario della Vergine dei Sette Dolori, un grande popolo di figli è accorso per la festa della Madre, che è anche la festa religiosa nazionale. Il mio è stato così un pellegrinaggio di preghiera nel cuore dell’Europa, cominciato con l’adorazione e concluso con la pietà popolare. Pregare, perché a questo è chiamato anzitutto il Popolo di Dio: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza, e in tutto questo sentire la pace e la gioia che ci dà il Signore. La nostra vita dev’essere così: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza. E ciò ha una particolare importanza nel continente europeo, dove la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni: la presenza di Dio viene annacquata - dal consumismo e dai “vapori” di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. E questo ci allontana dalla familiarità con il Signore, dalla familiarità con Dio. Anche in tale contesto, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza e dall’amore umile. L’amore umile che serve. Riprendiamo questa idea: il cristiano è per servire.


    È quello che ho visto nell’incontro con il popolo santo di Dio. Cosa ho visto? Un popolo fedele, che ha sofferto la persecuzione ateista. L’ho visto anche nei volti dei nostri fratelli e sorelle ebrei, con i quali abbiamo ricordato la Shoah. Perché non c’è preghiera senza memoria. Non c’è preghiera senza memoria. Cosa vuol dire, questo? Che noi, quando preghiamo, dobbiamo fare memoria della nostra vita, della vita del nostro popolo, della vita di tanta gente che ci accompagna nella città, tenendo conto di qual è stata la loro storia. Uno dei Vescovi slovacchi, già anziano, nel salutarmi mi ha detto: “Io ho fatto il conduttore di tram per nascondermi dai comunisti”. È bravo, questo Vescovo: nella dittatura, nella persecuzione lui era un conduttore di tram, poi di nascosto faceva il suo “mestiere” di Vescovo e nessuno lo sapeva. Così è nella persecuzione. Non c’è preghiera senza memoria. La preghiera, la memoria della propria vita, della vita del proprio popolo, della propria storia: fare memoria e ricordare. Questo fa bene e aiuta a pregare.


    2. Secondo aspetto: questo viaggio è stato un pellegrinaggio alle radiciIncontrando i fratelli Vescovi, sia a Budapest sia a Bratislava, ho potuto toccare con mano il ricordo grato di queste radici di fede e di vita cristiana, vivide nell’esempio luminoso di testimoni della fede, come il Cardinal Mindszenty e il Cardinal Korec, come il Beato Vescovo Pavel Peter Gojdič. Radici che scendono in profondità fino al nono secolo, fino all’opera evangelizzatrice dei santi fratelli Cirillo e Metodio, che hanno accompagnato questo viaggio come una presenza costante. Ho percepito la forza di queste radici nella celebrazione della Divina Liturgia in rito bizantino, a Prešov, nella festa della Santa Croce. Nei canti ho sentito vibrare il cuore del santo popolo fedele, forgiato da tante sofferenze patite per la fede.


    Più volte ho insistito sul fatto che queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa. No. Questo vorrebbe dire tradirle e sterilizzarle! Cirillo e Metodio non sono per noi personaggi da commemorare, ma modelli da imitare, maestri da cui sempre imparare lo spirito e il metodo dell’evangelizzazione, come pure dell’impegno civile – durante questo viaggio nel cuore dell’Europa ho pensato spesso ai padri dell’Unione europea, come l’hanno sognata non come un’agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda, no, come l’hanno sognata loro –. Così intese e vissute, le radici sono garanzia di futuro: da esse germogliano folti rami di speranza. Anche noi abbiamo radici: ognuno di noi ha le proprie radici. Ricordiamo le nostre radici? Dei padri, dei nonni? E siamo collegati ai nonni che sono un tesoro? “Ma, sono vecchi …”. No, no: loro ti danno la linfa, tu devi andare da loro e prendere per crescere e portare avanti. Noi non diciamo: “Va’, e rifugiati nelle radici”: no, no. “Va’ alle radici, prendi da lì la linfa e vai avanti. Vai al tuo posto”. Non dimenticatevi di questo. E vi ripeto quello che ho detto tante volte, quel verso tanto bello: “Tutto quello che l’albero ha di fiorito gli viene da quello che ha di sotterrato”. Tu puoi crescere nella misura in cui sei unito alle radici: ti viene la forza da lì. Se tu tagli le radici, tutto nuovo, ideologie nuove, non ti porta a nulla questo, non ti fa crescere: finirai male.


    3. Il terzo aspetto di questo Viaggio è stato un pellegrinaggio di speranza. Preghiera, radici e speranza, i tre tratti. Ho visto tanta speranza negli occhi dei giovani, nell’indimenticabile incontro allo stadio di Košice. Questo anche mi ha dato speranza, vedere tante, tante coppie giovani e tanti bambini. E ho pensato all’inverno demografico che noi stiamo vivendo, e quei Paesi fioriscono di coppie giovani e di bambini: un segno di speranza. Specialmente in tempo di pandemia, questo momento di festa è stato un segno forte e incoraggiante, anche grazie alla presenza di numerose coppie giovani, coi loro bambini. Come forte e profetica è la testimonianza della Beata Anna Kolesárová, ragazza slovacca che a costo della vita difese la propria dignità contro la violenza: una testimonianza più che mai attuale, purtroppo, perché la violenza sulle donne è una piaga aperta dappertutto.


    Ho visto speranza in tante persone che, silenziosamente, si occupano e si preoccupano del prossimo. Penso alle Suore Missionarie della Carità del Centro Betlemme a Bratislava, brave suorine, che ricevono gli scartati della società: pregano e servono, pregano e aiutano. E pregano tanto e aiutano tanto, senza pretese. Sono gli eroi di questa civilizzazione. Io vorrei che tutti noi facessimo una riconoscenza a Madre Teresa e a queste suore: tutti insieme un applauso a queste suore brave! Queste suore accolgono le persone senzatetto. Penso alla comunità Rom e a quanti si impegnano con loro per un cammino di fraternità e di inclusione. È stato commovente condividere la festa della comunità Rom: una festa semplice, che sapeva di Vangelo. I Rom sono dei fratelli nostri: dobbiamo accoglierli, dobbiamo essere vicini come fanno i Padri salesiani lì a Bratislava, vicinissimi ai Rom.


    Cari fratelli e sorelle, questa speranza, questa speranza di Vangelo che ho potuto vedere nel viaggio, si realizza, si fa concreta solo se declinata con un’altra parola: insieme. La speranza mai delude, la speranza non va mai da sola, ma insieme. A Budapest e in Slovacchia ci siamo trovati insieme con i diversi riti della Chiesa Cattolica, insieme con i fratelli di altre Confessioni cristiane, insieme con i fratelli Ebrei, insieme con i credenti di altre religioni, insieme con i più deboli. Questa è la strada, perché il futuro sarà di speranza se sarà insieme, non da soli: questo è importante.


    E dopo questo viaggio, nel mio cuore c’è un grande “grazie”. Grazie ai Vescovi, grazie alle Autorità civili, grazie al Presidente dell’Ungheria e alla Presidente della Slovacchia; grazie a tutti i collaboratori nell’organizzazione; grazie ai tanti volontari; grazie a ciascuno di quanti hanno pregato. Per favore, aggiungete ancora una preghiera, perché i semi sparsi durante il Viaggio portino buoni frutti. Preghiamo per questo.


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    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Torrita di Siena con il Vescovo Mons. Stefano Manetti; le Suore di Sant’Anna che celebrano il loro Capitolo generale; i migranti ospiti del Centro Mondo Migliore, di Rocca di Papa. A ciascuno il mio incoraggiamento e l’assicurazione della mia preghiera. E’ anche bella quella scritta lì: grazie, grazie tante. E’ molto bello: per un mondo migliore. Avanti!

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La festa dell’evangelista San Matteo, che abbiamo celebrato ieri, mi offre lo spunto per invitarvi a mettervi alla scuola del Vangelo, la guida sicura per affrontare il cammino della vita.

    A tutti voi la mia Benedizione.





    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 29 settembre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 9. La vita nella fede 

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel nostro percorso per comprendere meglio l’insegnamento di San Paolo, ci incontriamo oggi con un tema difficile ma importante, quello della giustificazione. Cos’è, la giustificazione? Noi, da peccatori, siamo diventati giusti. Chi ci ha fatto giusti? Questo processo di cambiamento è la giustificazione. Noi, davanti a Dio, siamo giusti. È vero, abbiamo i nostri peccati personali, ma alla base siamo giusti. Questa è la giustificazione. Si è tanto discusso su questo argomento, per trovare l’interpretazione più coerente con il pensiero dell’Apostolo e, come spesso accade, si è giunti anche a contrapporre le posizioni. Nella Lettera ai Galati, come pure in quella ai Romani, Paolo insiste sul fatto che la giustificazione viene dalla fede in Cristo. “Ma, io sono giusto perché compio tutti i comandamenti!”. Sì, ma da lì non ti viene la giustificazione, ti viene prima: qualcuno ti ha giustificato, qualcuno ti ha fatto giusto davanti a Dio. “Sì, ma sono peccatore!”. Sì sei giusto, ma peccatore, ma alla base sei giusto. Chi ti ha fatto giusto? Gesù Cristo. Questa è la giustificazione.

    Cosa si nasconde dietro la parola “giustificazione”, che è così decisiva per la fede? Non è facile arrivare a una definizione esaustiva, però nell’insieme del pensiero di San Paolo si può dire semplicemente che la giustificazione è la conseguenza della «misericordia di Dio che offre il perdono» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1990). E questo è il nostro Dio, così tanto buono, misericordioso, paziente, pieno di misericordia, che continuamente dà il perdono, continuamente. Lui perdona, e la giustificazione è Dio che perdona dall’inizio ognuno, in Cristo. La misericordia di Dio che dà il perdono. Dio, infatti, attraverso la morte di Gesù - e questo dobbiamo sottolinearlo: attraverso la morte di Gesù – ha distrutto il peccato e ci ha donato in maniera definitiva il perdono e la salvezza. Così giustificati, i peccatori sono accolti da Dio e riconciliati con Lui. È come un ritorno al rapporto originario tra il Creatore e la creatura, prima che intervenisse la disobbedienza del peccato. La giustificazione che Dio opera, pertanto, ci permette di recuperare l’innocenza perduta con il peccato. Come avviene la giustificazione? Rispondere a questo interrogativo equivale a scoprire un’altra novità dell’insegnamento di San Paolo: che la giustificazione avviene per grazia. Solo per grazia: noi siamo stati giustificati per pura grazia. “Ma io non posso, come fa qualcuno, andare dal giudice e pagare perché mi dia giustizia?”. No, in questo non si può pagare, ha pagato uno per tutti noi: Cristo. E da Cristo che è morto per noi viene quella grazia che il Padre dà a tutti: la giustificazione avviene per grazia.

    L’Apostolo ha sempre presente l’esperienza che ha cambiato la sua vita: l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco. Paolo era stato un uomo fiero, religioso, zelante, convinto che nella scrupolosa osservanza dei precetti consistesse la giustizia. Adesso, però, è stato conquistato da Cristo, e la fede in Lui lo ha trasformato nel profondo, permettendogli di scoprire una verità fino ad allora nascosta: non siamo noi con i nostri sforzi che diventiamo giusti, no: non siamo noi; ma è Cristo con la sua grazia a renderci giusti. Allora Paolo, per avere una piena conoscenza del mistero di Gesù, è disposto a rinunciare a tutto ciò di cui prima era ricco (cfr Fil 3,7), perché ha scoperto che solo la grazia di Dio lo ha salvato. Noi siamo stati giustificati, siamo stati salvati per pura grazia, non per i nostri meriti. E questo ci dà una fiducia grande. Siamo peccatori, sì; ma andiamo sulla strada della vita con questa grazia di Dio che ci giustifica ogni volta che noi chiediamo perdono. Ma non in quel momento, giustifica: siamo già giustificati, ma viene a perdonarci un’altra volta.

    La fede ha per l’Apostolo un valore onnicomprensivo. Tocca ogni momento e ogni aspetto della vita del credente: dal battesimo fino alla partenza da questo mondo, tutto è impregnato dalla fede nella morte e risurrezione di Gesù, che dona la salvezza. La giustificazione per fede sottolinea la priorità della grazia, che Dio offre a quanti credono nel Figlio suo senza distinzione alcuna.

    Perciò non dobbiamo concludere, comunque, che per Paolo la Legge mosaica non abbia più valore; essa, anzi, resta un dono irrevocabile di Dio, è – scrive l’Apostolo – «santa» (Rm 7,12). Pure per la nostra vita spirituale è essenziale osservare i comandamenti, ma anche in questo non possiamo contare sulle nostre forze: è fondamentale la grazia di Dio che riceviamo in Cristo, quella grazia che ci viene dalla giustificazione che ci ha dato Cristo, che ha già pagato per noi. Da Lui riceviamo quell’amore gratuito che ci permette, a nostra volta, di amare in modo concreto.

    In questo contesto, è bene ricordare anche l’insegnamento che proviene dall’apostolo Giacomo, il quale scrive: «L’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede – sembrerebbe il contrario, ma non è il contrario –. […] Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Gc 2,24.26). La giustificazione, se non fiorisce con le nostre opere, sarà lì, sotto terra, come morta. C’è, ma noi dobbiamo attuarla con il nostro operato. Così le parole di Giacomo integrano l’insegnamento di Paolo. Per entrambi, quindi, la risposta della fede esige di essere attivi nell’amore per Dio e nell’amore per il prossimo. Perché “attivi in quell’amore”? Perché quell’amore ci ha salvato tutti, ci ha giustificati gratuitamente, gratis!

    La giustificazione ci inserisce nella lunga storia della salvezza, che mostra la giustizia di Dio: di fronte alle nostre continue cadute e alle nostre insufficienze, Egli non si è rassegnato, ma ha voluto renderci giusti e lo ha fatto per grazia, attraverso il dono di Gesù Cristo, della sua morte e risurrezione. Alcune volte ho detto com’è il modo di agire di Dio, qual è lo stile di Dio, e l’ho detto con tre parole: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Sempre è vicino a noi, è compassionevole e tenero. E la giustificazione è proprio la vicinanza più grande di Dio con noi, uomini e donne, la compassione più grande di Dio verso di noi, uomini e donne, la tenerezza più grande del Padre. La giustificazione è questo dono di Cristo, della morte e risurrezione di Cristo che ci fa liberi. “Ma, Padre, io sono peccatore, ho rubato…”. Sì, ma alla base sei un giusto. Lascia che Cristo attui quella giustificazione. Noi non siamo condannati, alla base, no: siamo giusti. Permettetemi la parola: siamo santi, alla base. Ma poi, con il nostro operato diventiamo peccatori. Ma, alla base, si è santi: lasciamo che la grazia di Cristo venga su e quella giustizia, quella giustificazione ci dia la forza di andare avanti. Così, la luce della fede ci permette di riconoscere quanto sia infinita la misericordia di Dio, la grazia che opera per il nostro bene. Ma la stessa luce ci fa anche vedere la responsabilità che ci è affidata per collaborare con Dio nella sua opera di salvezza. La forza della grazia ha bisogno di coniugarsi con le nostre opere di misericordia, che siamo chiamati a vivere per testimoniare quanto è grande l’amore di Dio. Andiamo avanti con questa fiducia: tutti siamo stati giustificati, siamo giusti in Cristo. Dobbiamo attuare questa giustizia con il nostro operato.

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    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Apostole del Sacro Cuore e l’Arciconfraternita dell’Addolorata di Casolla. Esorto ciascuno a saper riconoscere e seguire la voce del Maestro interiore, che parla nel segreto della coscienza.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli, che oggi sono tanti. L’odierna festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, insieme con quella imminente dei santi Angeli Custodi, costituisce un invito ad essere sempre attenti ai disegni divini ed alla loro manifestazione. Non esitate a percorrere con fiducia le vie che la divina Provvidenza ogni giorno vi indica. E anche non dimentichiamo la prossima festa di Santa Teresa di Gesù Bambino: lei, con la sua semplicità, con la sua strada breve, quella piccola strada, ci aiuti ad andare avanti nella via della santità e ci benedica.

    A tutti la mia benedizione.



    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 6 ottobre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 10. Cristo ci ha liberati

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Riprendiamo oggi la nostra riflessione sulla Lettera ai Galati. In essa, San Paolo ha scritto parole immortali sulla libertà cristiana. Cosa è la libertà cristiana? Oggi ci soffermeremo su questo tema: la libertà cristiana.

    La libertà è un tesoro che si apprezza realmente solo quando la si perde. Per molti di noi, abituati a vivere nella libertà, spesso appare più come un diritto acquisito che come un dono e un’eredità da custodire. Quanti fraintendimenti intorno al tema della libertà, e quante visioni differenti si sono scontrate nel corso dei secoli!

    Nel caso dei Galati, l’Apostolo non poteva sopportare che quei cristiani, dopo avere conosciuto e accolto la verità di Cristo, si lasciassero attirare da proposte ingannevoli, passando dalla libertà alle schiavitù: dalla presenza liberante di Gesù alla schiavitù del peccato, del legalismo e così via. Anche oggi il legalismo è un problema nostro, di tanti cristiani che si rifugiano nel legalismo, nella casistica. Paolo invita quindi i cristiani a rimanere saldi nella libertà che hanno ricevuto col battesimo, senza lasciarsi mettere di nuovo sotto il «giogo della schiavitù» (Gal 5,1). Egli è giustamente geloso della libertà. È consapevole che alcuni «falsi fratelli» - così li chiama – si sono insinuati nella comunità per «spiare – così scrive –la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi» (Gal 2,4), tornare indietro, e Paolo questo non può tollerarlo. Una predicazione che dovesse precludere la libertà in Cristo non sarebbe mai evangelica: sarebbe forse pelagiana o giansenista o cosa del genere, ma non evangelica. Non si può mai forzare nel nome di Gesù, non si può rendere nessuno schiavo in nome di Gesù che ci rende liberi. La libertà è un dono che ci è dato nel battesimo.

    Ma l’insegnamento di San Paolo sulla libertà è soprattutto positivo. L’Apostolo propone l’insegnamento di Gesù, che troviamo anche nel Vangelo di Giovanni: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (8,31-32). Il richiamo, dunque, è anzitutto quello di rimanere in Gesù, fonte della verità che ci fa liberi. La libertà cristiana, quindi, si fonda su due pilastri fondamentali: primo, la grazia del Signore Gesù; secondo, la verità che Cristo ci svela e che è Lui stesso.

    Anzitutto è dono del Signore. La libertà che i Galati hanno ricevuto – e noi come loro con il battesimo – è frutto della morte e risurrezione di Gesù. L’Apostolo concentra tutta la sua predicazione su Cristo, che lo ha liberato dai legami con la sua vita passata: solo da Lui scaturiscono i frutti della vita nuova secondo lo Spirito. Infatti, la libertà più vera, quella dalla schiavitù del peccato, è scaturita dalla Croce di Cristo. Siamo liberi dalla schiavitù del peccato per la croce di Cristo. Proprio lì dove Gesù si è lasciato inchiodare, si è fatto schiavo, Dio ha posto la sorgente della liberazione dell’uomo. Questo non cessa di stupirci: che il luogo dove siamo spogliati di ogni libertà, cioè la morte, possa diventare fonte della libertà. Ma questo è il mistero dell’amore di Dio: non lo si capisce facilmente, lo si vive. Gesù stesso lo aveva annunciato quando disse: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). Gesù attua la sua piena libertà nel consegnarsi alla morte; Egli sa che solo in questo modo può ottenere la vita per tutti.

    Paolo, lo sappiamo, aveva sperimentato in prima persona questo mistero d’amore. Per questo dice ai Galati, con un’espressione estremamente audace: «Sono stato crocifisso con Cristo» (Gal 2,19). In quell’atto di suprema unione con il Signore egli sa di avere ricevuto il dono più grande della sua vita: la libertà. Sulla Croce, infatti, ha inchiodato «la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (5,24). Comprendiamo quanta fede animava l’Apostolo, quanto grande fosse la sua intimità con Gesù e mentre, da un lato, sentiamo che a noi questo manca, dall’altro, la testimonianza dell’Apostolo ci incoraggia ad andare avanti in questa vita libera. Il cristiano è libero, deve essere libero ed è chiamato a non tornare a essere schiavo di precetti, di cose strane.

    Il secondo pilastro della libertà è la verità. Anche in questo caso è necessario ricordare che la verità della fede non è una teoria astratta, ma la realtà di Cristo vivo, che tocca direttamente il senso quotidiano e complessivo della vita personale. Quanta gente che non ha studiato, neppure sa leggere e scrivere ma ha capito bene il messaggio di Cristo, ha questa saggezza che li fa liberi. È la saggezza di Cristo che è entrata tramite lo Spirito Santo con il battesimo. Quanta gente troviamo che vive la vita di Cristo più dei grandi teologi per esempio, offrendo una testimonianza grande della libertà del Vangelo. La libertà rende liberi nella misura in cui trasforma la vita di una persona e la orienta verso il bene. Per essere davvero liberi abbiamo bisogno non solo di conoscere noi stessi, a livello psicologico, ma soprattutto di fare verità in noi stessi, a un livello più profondo. E lì, nel cuore, aprirci alla grazia di Cristo. La verità ci deve inquietare – torniamo a questa parola tanto cristiana: l’inquietudine. Noi sappiamo che ci sono cristiani che mai si inquietano: vivono sempre uguali, non c’è movimento nel loro cuore, manca l’inquietudine. Perché? Perché l’inquietudine è il segnale che sta lavorando lo Spirito Santo dentro di noi e la libertà è una libertà attiva, suscitata dalla grazia dello Spirito Santo. Per questo dico che la libertà ci deve inquietare, ci deve porre continuamente delle domande, affinché possiamo andare sempre più al fondo di ciò che realmente siamo. Scopriamo in questo modo che quello della verità e della libertà è un cammino faticoso che dura tutta la vita. È faticoso rimanere libero, è faticoso; ma non è impossibile. Coraggio, andiamo avanti su questo, ci farà bene. È un cammino in cui ci guida e ci sostiene l’Amore che viene dalla Croce: l’Amore che ci rivela la verità e ci dona la libertà. E questo è il cammino della felicità. La libertà ci fa liberi, ci fa gioiosi, ci fa felici.

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    APPELLO

    Sorelle e fratelli,

    Ieri la Conferenza episcopale e la Conferenza dei religiosi e delle religiose francesi hanno ricevuto il rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa, incaricata di valutare l’ampiezza del fenomeno delle aggressioni e delle violenze sessuali compiute sui minori dal 1950 in poi. Ne risultano, purtroppo, numeri considerevoli. Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza e il mio dolore per i traumi che hanno subito e la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna, per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni, assicurando loro la mia preghiera. E prego e preghiamo insieme tutti: “A te Signore la gloria, a noi la vergogna”: questo è il momento della vergogna. Incoraggio i vescovi e voi, cari fratelli che siete venuti qui a condividere questo momento, incoraggio i vescovi e i superiori religiosi a continuare a compiere tutti gli sforzi affinché drammi simili non si ripetano. Esprimo ai sacerdoti di Francia vicinanza e paterno sostegno davanti a questa prova, che è dura ma è salutare, e invito i cattolici francesi ad assumere le loro responsabilità per garantire che la Chiesa sia una casa sicura per tutti. Grazie.

    Rivolgo il mio affettuoso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli delle parrocchie della Madonna dell’Olmo, in Olmobello di Cisterna di Latina, e di Sant’Anna, in Foggia, il secondo Reggimento Aviazione dell’Esercito “Sirio”, da Lamezia Terme, e la Rappresentanza di dipendenti Atac, Cotral, Ferrovie dello Stato, Ama e Alitalia.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domani la Chiesa celebrerà la festa della Madonna del Rosario. Vi invito a valorizzare questa preghiera così cara alla tradizione del popolo cristiano.

    A tutti la mia Benedizione.







    [Modificato da Caterina63 07/10/2021 07:55]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Mercoledì, 13 ottobre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 11. La libertà cristiana, fermento universale di liberazione

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel nostro itinerario di catechesi sulla Lettera ai Galati, abbiamo potuto mettere a fuoco qual è per San Paolo il nucleo centrale della libertà: il fatto che, con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. In altri termini: siamo liberi perché siamo stati liberati, liberati per grazia – non per pagamento -, liberati dall’amore, che diventa la legge somma e nuova della vita cristiana. L’amore: noi siamo liberi perché siamo stati liberati gratuitamente. Questo è appunto il punto chiave.

    Oggi vorrei sottolineare come questa novità di vita ci apra ad accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). Credere che siamo stati liberati e credere in Gesù Cristo che ci ha liberati: questa è la fede operosa per la carità. I detrattori di Paolo – questi fondamentalisti che erano arrivati lì - lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per “piacere a tutti”, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. È lo stesso discorso dei fondamentalisti d’oggi: la storia di ripete sempre. Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle. Paolo, comunque, non rimane in silenzio. Risponde con parresia - è una parola greca che indica coraggio, forza – e dice: «È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» (Gal 1,10). Già nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi si era espresso in termini simili, dicendo che nella sua predicazione non aveva mai usato «parole di adulazione, né […] avuto intenzioni di cupidigia […]. E neppure […] cercato la gloria umana» (1 Ts 2,5-6), che sono le strade del “far finta di”; una fede che non è fede, è mondanità.

    Il pensiero di Paolo si mostra ancora una volta di una profondità ispirata. Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo. La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse. Accettare che noi siamo stati liberati da Cristo – la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione – è accettare e portare la pienezza anche alle diverse tradizioni di ogni popolo. La vera pienezza.

    Nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo. Qual è questo vero senso? Essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture. Non è una cosa facile! Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile. Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! La uniformità come regola di vita non è cristiana! L’unità sì, l’uniformità no! A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista. Pensiamo alle guerre. In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni. Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana! Per esempio, mi viene in mente quando si è affermato il modo di fare apostolato in Cina con padre Ricci o nell’India con padre De Nobili. … [Qualcuno diceva]: “E no, questo non è cristiano!”. Sì, è cristiano, sta nella cultura del popolo.

    Insomma, la visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 22). E questo vuol dire che non c’è uniformità, c’è invece la varietà, ma varietà unita. Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante. È questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica: non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani. Cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, la universalità. Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti.

    La cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione. Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio. Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana – la libertà cristiana - non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce ma sempre con la stessa natura. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà. E questo è il grande dono che ci ha dato Gesù Cristo. Il Signore ci ha liberato dalla schiavitù gratuitamente e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà.

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    Saluti

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Suore Serve di Maria Riparatrici, che celebrano il loro Capitolo generale, e le incoraggio a proseguire con fedeltà e gioia il loro servizio al Vangelo e ai fratelli. Saluto le Suore Scalabriniane, che partecipano ad un corso di formazione, e le esorto ad essere generose testimoni di accoglienza e di fraternità. Voi che lavorate tanto con i migranti, continuate così. Brave! Saluto e ringrazio la Delegazione del Comune di Cervia, qui convenuta per il tradizionale dono del sale. E il mio cuore ricorda monsignor Mario Marini, di santa memoria.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Oggi ricordiamo l’ultima apparizione della Madonna di Fatima. Alla celeste Madre di Dio affido tutti voi, perché vi accompagni con tenerezza materna nel vostro cammino e vi sia di conforto nelle prove della vita.

    A tutti la mia benedizione.



    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 20 ottobre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 12. La libertà si realizza nella carità

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questi giorni stiamo parlando della libertà della fede, ascoltando la Lettera ai Galati. Ma mi è venuto in mente quello che Gesù diceva sulla spontaneità e la libertà dei bambini, quando questo bambino ha avuto la libertà di avvicinarsi e muoversi come se fosse a casa sua … E Gesù ci dice: “Anche voi, se non vi fate come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il coraggio di avvicinarsi al Signore, di essere aperti al Signore, di non avere paura del Signore: io ringrazio questo bambino per la lezione che ha dato a tutti noi. E che il Signore lo aiuti nella sua limitazione, nella sua crescita perché ha dato questa testimonianza che gli è venuta dal cuore. I bambini non hanno un traduttore automatico dal cuore alla vita: il cuore va avanti.

    L’Apostolo Paolo, con la sua Lettera ai Galati, poco alla volta ci introduce nella grande novità della fede, lentamente. È davvero una grande novità, perché non rinnova solo qualche aspetto della vita, ma ci porta dentro quella “vita nuova” che abbiamo ricevuto con il Battesimo. Lì si è riversato su di noi il dono più grande, quello di essere figli di Dio. Rinati in Cristo, siamo passati da una religiosità fatta di precetti alla fede viva, che ha il suo centro nella comunione con Dio e con i fratelli, cioè nella carità. Siamo passati dalla schiavitù della paura e del peccato alla libertà dei figli di Dio. Un’altra volta la parola libertà.

    Cerchiamo oggi di capire meglio qual è per l’Apostolo il cuore di questa libertà. Paolo afferma che essa è tutt’altro che «un pretesto per la carne» (Gal 5,13): la libertà, cioè, non è un vivere libertino, secondo la carne ovvero secondo l’istinto, le voglie individuali e le proprie pulsioni egoistiche; al contrario, la libertà di Gesù ci conduce a essere – scrive l’Apostolo – «a servizio gli uni degli altri» (ibid.). Ma questo è schiavitù? Eh sì, la libertà in Cristo ha qualche “schiavitù”, qualche dimensione che ci porta al servizio, a vivere per gli altri. La vera libertà, in altre parole, si esprime pienamente nella carità. Ancora una volta ci troviamo davanti al paradosso del Vangelo: siamo liberi nel servire, non nel fare quello che vogliamo. Siamo liberi nel servire, e lì viene la libertà; ci troviamo pienamente nella misura in cui ci doniamo. Ci troviamo pienamente noi nella misura in cui ci doniamo, abbiamo il coraggio di donarci; possediamo la vita se la perdiamo (cfr Mc 8,35). Questo è Vangelo puro.

    Ma come si spiega questo paradosso? La risposta dell’Apostolo è tanto semplice quanto impegnativa: «mediante l’amore» (Gal 5,13). Non c’è libertà senza amore. La libertà egoistica del fare quello che voglio non è libertà, perché torna su se stessa, non è feconda. È l’amore di Cristo che ci ha liberati ed è ancora l’amore che ci libera dalla schiavitù peggiore, quella del nostro io; perciò la libertà cresce con l’amore. Ma attenzione: non con l’amore intimistico, con l’amore da telenovela, non con la passione che ricerca semplicemente quello che ci va e ci piace, ma con l’amore che vediamo in Cristo, la carità: questo è l’amore veramente libero e liberante. È l’amore che risplende nel servizio gratuito, modellato su quello di Gesù, che lava i piedi ai suoi discepoli e dice: «Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Servire gli uni gli altri.

    Per Paolo dunque la libertà non è “fare quello che pare e piace”. Questo tipo di libertà, senza un fine e senza riferimenti, sarebbe una libertà vuota, una libertà da circo: non va. E infatti lascia il vuoto dentro: quante volte, dopo aver seguito solo l’istinto, ci accorgiamo di restare con un grande vuoto dentro e di aver usato male il tesoro della nostra libertà, la bellezza di poter scegliere il vero bene per noi e per gli altri. Solo questa libertà è piena, concreta, e ci inserisce nella vita reale di ogni giorno. La vera libertà ci libera sempre, invece quando ricerchiamo quella libertà di “quello che mi piace e non mi piace”, alla fine rimaniamo vuoti.

    In un’altra lettera, la prima ai Corinzi, l’Apostolo risponde a chi sostiene un’idea sbagliata di libertà. «Tutto è lecito!», dicono questi. «Sì, ma non tutto giova», risponde Paolo. «Tutto è lecito, ma non tutto edifica», ribatte l’Apostolo. Il quale poi aggiunge:«Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri» (1 Cor 10,23-24). Questa è la regola per smascherare qualsiasi libertà egoistica. Anche, a chi è tentato di ridurre la libertà solo ai propri gusti, Paolo pone dinanzi l’esigenza dell’amore. La libertà guidata dall’amore è l’unica che rende liberi gli altri e noi stessi, che sa ascoltare senza imporre, che sa voler bene senza costringere, che edifica e non distrugge, che non sfrutta gli altri per i propri comodi e fa loro del bene senza ricercare il proprio utile. Insomma, se la libertà non è a servizio – questo è il test – se la libertà non è a servizio del bene rischia di essere sterile e non portare frutto. Invece, la libertà animata dall’amore conduce verso i poveri, riconoscendo nei loro volti quello di Cristo. Perciò il servizio degli uni verso gli altri permette a Paolo, scrivendo ai Galati, di fare una sottolineatura niente affatto secondaria: così, parlando della libertà che gli altri Apostoli gli diedero di evangelizzare, sottolinea che gli raccomandarono solo una cosa: di ricordarsi dei poveri (cfr Gal 2,10). Interessante questo. Quando dopo quella lotta ideologica tra Paolo e gli Apostoli si sono messi d’accordo, cosa gli hanno detto gli Apostoli: “Vai avanti, vai avanti e non dimenticarti dei poveri”, cioè che la tua libertà di predicatore sia una libertà al servizio degli altri, non per te stesso, di fare quello che ti piace.

    Sappiamo invece che una delle concezioni moderne più diffuse sulla libertà è questa: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Ma qui manca la relazione, il rapporto! È una visione individualistica. Invece, chi ha ricevuto il dono della liberazione operata da Gesù non può pensare che la libertà consista nello stare lontano dagli altri, sentendoli come fastidi, non può vedere l’essere umano arroccato in sé stesso, ma sempre inserito in una comunità. La dimensione sociale è fondamentale per i cristiani, e consente loro di guardare al bene comune e non all’interesse privato.

    Soprattutto in questo momento storico, abbiamo bisogno di riscoprire la dimensione comunitaria, non individualista, della libertà: la pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma non basta saperlo, occorre sceglierlo ogni giorno concretamente, decidere su quella strada. Diciamo e crediamo che gli altri non sono un ostacolo alla mia libertà, ma sono la possibilità per realizzarla pienamente. Perché la nostra libertà nasce dall’amore di Dio e cresce nella carità.

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    Saluti

    [Saluto i fedeli di lingua araba. La pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma non basta saperlo, occorre sceglierlo ogni giorno concretamente. Diciamo e crediamo che gli altri non sono un ostacolo alla mia libertà, ma la possibilità per realizzarla pienamente. Perché la nostra libertà nasce dall’amore di Dio e cresce nella carità. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Capitolari delle Serve di Maria Ministre degli Infermi ed auspico per l’intera Congregazione un rinnovato e generoso impegno di testimonianza evangelica. Saluto poi i fedeli delle parrocchie di San Pellegrino in Reggio Emilia e quelli di Santa Maria Assunta in Scigliano. Vi auguro che il soggiorno romano contribuisca a far crescere nell’animo di ciascuno l’amore e la fedeltà a Cristo.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. In questo mese di ottobre la Chiesa esorta a pregare per le missioni e ad accogliere l’invito di Cristo ad essere suoi attivi collaboratori. Date al Signore la vostra generosa disponibilità e offrite le vostre sofferenze perché si compia il disegno salvifico del Padre celeste.

    A tutti la mia benedizione.



    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 27 ottobre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 13. Il frutto dello Spirito

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La predicazione di San Paolo è tutta incentrata su Gesù e sul suo mistero pasquale. L’Apostolo infatti si presenta come annunciatore di Cristo, e di Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2). Ai Galati, tentati di basare la loro religiosità sull’osservanza di precetti e tradizioni, egli ricorda il centro della salvezza e della fede: la morte e la risurrezione del Signore. Lo fa mettendo davanti a loro il realismo della croce di Gesù. Scrive così: «Chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!» (Gal 3,1). Chi vi ha incantati per allontanarti da Cristo Crocifisso? È un momento brutto dei Galati …

    Ancora oggi, molti sono alla ricerca di sicurezze religiose prima che del Dio vivo e vero, concentrandosi su rituali e precetti piuttosto che abbracciare con tutto sé stessi il Dio dell’amore. E questa è la tentazione dei nuovi fondamentalisti, di coloro ai quali sembra la strada da percorrere faccia paura e non vanno avanti ma indietro perché si sentono più sicuri: cercano la sicurezza di Dio e non il Dio della sicurezza. Per questo Paolo chiede ai Galati di ritornare all’essenziale, a Dio che ci dà la vita in Cristo crocifisso. Ne dà testimonianza in prima persona: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). E verso la fine della Lettera, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14).

    Se noi perdiamo il filo della vita spirituale, se mille problemi e pensieri ci assillano, facciamo nostro il consiglio di Paolo: mettiamoci davanti a Cristo Crocifisso, ripartiamo da Lui. Prendiamo il Crocifisso tra le mani, teniamolo stretto sul cuore. Oppure sostiamo in adorazione davanti all’Eucaristia, dove Gesù è Pane spezzato per noi, Crocifisso Risorto, potenza di Dio che riversa il suo amore nei nostri cuori.

    E ora, sempre guidati da San Paolo, facciamo un passo ulteriore. Chiediamoci: che cosa succede quando incontriamo nella preghiera Gesù Crocifisso? Succede quello che accadde sotto la croce: Gesù consegna lo Spirito (cfr Gv 19,30),dona cioè la sua stessa vita. E lo Spirito, che scaturisce dalla Pasqua di Gesù, è il principio della vita spirituale. È Lui che cambia il cuore: non le nostre opere. È Lui che cambia il cuore, non le cose che noi facciamo, ma l’azione dello Spirito Santo in noi cambia il cuore! È Lui che guida la Chiesa, e noi siamo chiamati a obbedire alla sua azione, che spazia dove e come vuole. D’altronde, fu proprio la constatazione che lo Spirito Santo scendeva sopra tutti e che la sua grazia operava senza esclusione alcuna a convincere anche i più restii tra gli Apostoli che il Vangelo di Gesù era destinato a tutti e non a pochi privilegiati. E quelli che cercano la sicurezza, il piccolo gruppo, le cose chiare come allora, si allontanano dallo Spirito, non lasciano che la libertà dello Spirito entri in loro. Così, la vita della comunità si rigenera nello Spirito Santo; ed è sempre grazie a Lui che alimentiamo la nostra vita cristiana e portiamo avanti la nostra lotta spirituale.

    Proprio il combattimento spirituale è un altro grande insegnamento della Lettera ai Galati. L’Apostolo presenta due fronti contrapposti: da una parte le «opere della carne», dall’altra il «frutto dello Spirito». Che cosa sono le opere della carne? Sono i comportamenti contrari allo Spirito di Dio. L’Apostolo le chiama opere della carne non perché nella nostra carne umana ci sia qualcosa di sbagliato o cattivo; anzi, abbiamo visto come egli insista sul realismo della carne umana portata da Cristo sulla croce! Carne è una parola che indica l’uomo nella sua dimensione solo terrena, chiuso in sé stesso, in una vita orizzontale, dove si seguono gli istinti mondani e si chiude la porta allo Spirito, che ci innalza e ci apre a Dio e agli altri. Ma la carne ricorda anche che tutto questo invecchia, che tutto questo passa, marcisce, mentre lo Spirito dà la vita. Paolo elenca dunque le opere della carne, che fanno riferimento all’uso egoistico della sessualità, alle pratiche magiche che sono idolatria e a quanto mina le relazioni interpersonali, come «discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie…» (cfr Gal 5,19-21 Tutto questo è il frutto – diciamo così – della carne, di un comportamento soltanto umano, “ammalatamente” umano. perché l’umano ha dei suoi valori, ma tutto questo è “ammalatamente” umano.

    Il frutto dello Spirito, invece, è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22): così dice Paolo. I cristiani, che nel battesimo si sono «rivestiti di Cristo» (Gal 3,27), sono chiamati a vivere così. Può essere un buon esercizio spirituale, per esempio, leggere l’elenco di San Paolo e guardare alla propria condotta, per vedere se corrisponde, se la nostra vita è veramente secondo lo Spirito Santo, se porta questi frutti. La mia vita produce questi frutti di amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé? Ad esempio, i primi tre elencati sono l’amore, la pace e la gioia: da qui si riconosce una persona abitata dallo Spirito Santo. Una persona che è in pace, che è gioiosa e che ama: con queste tre tracce si vede l’azione dello Spirito.

    Questo insegnamento dell’Apostolo pone una bella sfida anche alle nostre comunità. A volte, chi si accosta alla Chiesa ha l’impressione di trovarsi davanti a una fitta mole di comandi e precetti: ma no, questo non è la Chiesa! Questo può essere qualsiasi associazione. Ma, in realtà, non si può cogliere la bellezza della fede in Gesù Cristo partendo da troppi comandamenti e da una visione morale che, sviluppandosi in molti rivoli, può far dimenticare l’originaria fecondità dell’amore, nutrito di preghiera che dona la pace e di gioiosa testimonianza. Allo stesso modo, la vita dello Spirito che si esprime nei Sacramenti non può essere soffocata da una burocrazia che impedisce di accedere alla grazia dello Spirito, autore della conversione del cuore. E quante volte noi stessi, preti o vescovi, facciamo tanta burocrazia per dare un Sacramento, per accogliere la gente, che di conseguenza dice: “No, questo non mi piace”, e se ne va, e non vede in noi, tante volte, la forza dello Spirito che rigenera, che ci fa nuovi. Abbiamo dunque la grande responsabilità di annunciare Cristo crocifisso e risorto animati dal soffio dello Spirito d’amore. Perché è solo questo Amore che possiede la forza di attirare e cambiare il cuore dell’uomo.

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    Saluti

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Su richiesta della fondazione polacca “Sì alla vita”, oggi ho benedetto le campane che portano il nome: “La voce dei non nati”. Sono destinate all’Ecuador e all’Ucraina. Per queste nazioni e per tutti siano segno di impegno in favore della difesa della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che il loro suono annunci al mondo il “Vangelo della vita”, desti le coscienze degli uomini e il ricordo dei non nati. Affido alla vostra preghiera ogni bambino concepito, la cui vita è sacra e inviolabile. Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto la Fondazione San Vito di Mazara del Vallo, l’Associazione Diversa-Mente e la comunità sri-lankese di Napoli.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli – sono tanti! Vi incoraggio a testimoniare il messaggio di salvezza evangelica che i Santi Apostoli Simone e Giuda, dei quali domani celebreremo la festa, hanno testimoniato con la loro vita.

    A tutti la mia benedizione.












    [Modificato da Caterina63 29/10/2021 15:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 03/11/2021 16:09

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    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 3 novembre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 14. Camminare secondo lo Spirito

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel brano della Lettera ai Galati che abbiamo appena ascoltato, San Paolo esorta i cristiani a camminare secondo lo Spirito Santo (cfr 5,16.25. C’è uno stile: camminare secondo lo Spirito Santo. In effetti, credere in Gesù significa seguirlo, andare dietro a Lui sulla sua strada, come hanno fatto i primi discepoli. E significa nello stesso tempo evitare la strada opposta, quella dell’egoismo, del cercare il proprio interesse, che l’Apostolo chiama «desiderio della carne» (v. 16). Lo Spirito è la guida di questo cammino sulla via di Cristo, un cammino stupendo ma anche faticoso, che comincia nel Battesimo e dura per tutta la vita. Pensiamo a una lunga escursione in alta montagna: è affascinante, la meta ci attrae, ma richiede tanta fatica e tenacia.

    Questa immagine può esserci utile per entrare nel merito delle parole dell’Apostolo: “camminare secondo lo Spirito”, “lasciarsi guidare” da Lui. Sono espressioni che indicano un’azione, un movimento, un dinamismo che impedisce di fermarsi alle prime difficoltà, ma provoca a confidare nella «forza che viene dall’alto» (Pastore di Erma, 43, 21). Percorrendo questo cammino, il cristiano acquista una visione positiva della vita. Ciò non significa che il male presente nel mondo sia come sparito, o che vengano meno gli impulsi negativi dell’egoismo e dell’orgoglio; vuol dire piuttosto credere che Dio è sempre più forte delle nostre resistenze e più grande dei nostri peccati. E questo è importante!

    Mentre esorta i Galati a percorrere questa strada, l’Apostolo si mette sul loro piano. Abbandona il verbo all’imperativo – «camminate» (v. 16) – e usa il “noi” all’indicativo: «camminiamo secondo lo Spirito» (v. 25). Come dire: poniamoci lungo la stessa linea e lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. È un’esortazione, un modo esortativo. Questa esortazione San Paolo la sente necessaria anche per sé stesso. Pur sapendo che Cristo vive in lui (cfr 2,20), è anche convinto di non aver ancora raggiunto la meta, la cima della montagna (cfr Fil 3,12). L’Apostolo non si mette al di sopra della sua comunità, non dice: “Io sono il capo, voi siete gli altri; io sono arrivato all’alto della montagna e voi siete in cammino” – non dice questo -, ma si colloca in mezzo al cammino di tutti, per dare l’esempio concreto di quanto sia necessario obbedire a Dio, corrispondendo sempre più e sempre meglio alla guida dello Spirito. E che bello quando noi troviamo pastori che camminano con il loro popolo e che non si staccano da esso. È tanto bello questo; fa bene all’anima.

    Questo “camminare secondo lo Spirito” non è solo un’azione individuale: riguarda anche la comunità nel suo insieme. In effetti, costruire la comunità seguendo la via indicata dall’Apostolo è entusiasmante, ma impegnativo. I “desideri della carne”, “le tentazioni” - diciamo così - che tutti noi abbiamo, cioè le invidie, i pregiudizi, le ipocrisie, i rancori continuano a farsi sentire, e il ricorso a una rigidità precettistica può essere una facile tentazione, ma così facendo si uscirebbe dal sentiero della libertà e, invece di salire alla vetta, si tornerebbe verso il basso. Percorrere la via dello Spirito richiede in primo luogo di dare spazio alla grazia e alla carità. Fare spazio alla grazia di Dio, non avere paura. Paolo, dopo aver fatto sentire in modo severo la sua voce, invita i Galati a farsi carico ognuno delle difficoltà dell’altro e, se qualcuno dovesse sbagliare, a usare mitezza (cfr 5,22). Ascoltiamo le sue parole: «Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri» (6,1-2). Un atteggiamento ben differente dal chiacchiericcio; no, questo non è secondo lo Spirito. Secondo lo Spirito è avere questa dolcezza con il fratello nel correggerlo e vigilare su noi stessi con umiltà per non cadere noi in quei peccati.

    In effetti, quando siamo tentati di giudicare male gli altri, come spesso avviene, dobbiamo anzitutto riflettere sulla nostra fragilità. Quanto facile è criticare gli altri! Ma c’è gente che sembra di essere laureata in chiacchiericcio. Tutti i giorni criticano gli altri. Ma guarda te stesso! È bene domandarci che cosa ci spinge a correggere un fratello o una sorella, e se non siamo in qualche modo corresponsabili del suo sbaglio. Lo Spirito Santo, oltre a farci dono della mitezza, ci invita alla solidarietà, a portare i pesi degli altri. Quanti pesi sono presenti nella vita di una persona: la malattia, la mancanza di lavoro, la solitudine, il dolore…! E quante altre prove che richiedono la vicinanza e l’amore dei fratelli! Ci possono aiutare anche le parole di Sant’Agostino quando commenta questo stesso brano: «Perciò, fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, […] correggetelo in questa maniera, con mitezza. E se tu alzi la voce, ama interiormente. Sia che incoraggi, che ti mostri paterno, che rimproveri, che sia severo, ama» (Discorsi 163/B 3). Ama sempre. La regola suprema della correzione fraterna è l’amore: volere il bene dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Si tratta di tollerare i problemi degli altri, i difetti degli altri in silenzio nella preghiera, per poi trovare la strada giusta per aiutarlo a correggersi. E questo non è facile. La strada più facile è il chiacchiericcio. "Spellare" l’altro come se io fossi perfetto. E questo non si deve fare. Mitezza. Pazienza. Preghiera. Vicinanza.

    Camminiamo con gioia e con pazienza su questa strada, lasciandoci guidare dallo Spirito Santo.

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    Saluti

    [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Ieri, celebrando la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, abbiamo affidato alla Divina Misericordia i nostri cari e, in modo particolare, coloro che aspettano il nostro aiuto orante per entrare nella gioia della vita eterna.
    La preghiera per i Defunti, sostenuta dalla speranza donataci da Cristo Risorto, non è la celebrazione del culto della morte, ma è un atto di carità verso i nostri fratelli e sorelle e un portare i pesi gli uni degli altri. Vi benedico di cuore!
    ]

    * * *

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al gruppo Amici dello Sport di Falconara Marittima e ai fedeli della parrocchia di Bellagio (Como). Vi esorto a testimoniare in ogni ambiente l’amore infinito con cui Dio circonda ogni uomo.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei Fedeli Defunti, che abbiamo recentemente celebrato, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sul significato dell’esistenza terrena e sul suo valore per l’eternità. Questi giorni di riflessione e di preghiera costituiscano per tutti un invito ad imitare i Santi, rimasti fedeli al progetto divino per tutta la vita.

    A ciascuno di voi la mia benedizione.




    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 10 novembre 2021

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    Catechesi sulla Lettera ai Galati: 15. Non lasciamoci prendere dalla stanchezza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Siamo giunti alla conclusione delle catechesi sulla Lettera ai Galati. Su quanti altri contenuti, presenti in questo scritto di San Paolo, si sarebbe potuto riflettere! La Parola di Dio è una sorgente inesauribile. E l’Apostolo in questa Lettera ci ha parlato come evangelizzatore, come teologo e come pastore.

    Il santo vescovo Ignazio di Antiochia ha una bella espressione, quando scrive: «Vi è un solo maestro il quale parlò e ciò che disse fu fatto; ma le cose che egli fece tacendo sono degne del Padre. Chi possiede la parola di Gesù può ascoltare anche il suo silenzio» (Ad Ephesios, 15,1-2). Possiamo dire che l’apostolo Paolo è stato capace di dare voce a questo silenzio di Dio. Le sue intuizioni più originali ci aiutano a scoprire la sconvolgente novità racchiusa nella rivelazione di Gesù Cristo. È stato un vero teologo, che ha contemplato il mistero di Cristo e l’ha trasmesso con la sua intelligenza creativa. Ed è stato anche capace di esercitare la sua missione pastorale nei confronti di una comunità smarrita e confusa. Lo ha fatto con metodi differenti: ha usato di volta in volta l’ironia, il rigore, la mansuetudine… Ha rivendicato la propria autorità di apostolo, ma nello stesso tempo non ha nascosto le debolezze del suo carattere. Nel suo cuore la forza dello Spirito ha realmente scavato: l’incontro con Cristo Risorto ha conquistato e trasformato tutta la sua vita, e lui l’ha spesa interamente al servizio del Vangelo.

    Paolo non ha mai pensato a un cristianesimo dai tratti irenici, privo di mordente e di energia, al contrario. Ha difeso la libertà portata da Cristo con una passione che fino ad oggi commuove, soprattutto se pensiamo alle sofferenze e alla solitudine che ha dovuto subire. Era convinto di avere ricevuto una chiamata a cui solo lui poteva rispondere; e ha voluto spiegare ai Galati che erano anch’essi chiamati a quella libertà, che li affrancava da ogni forma di schiavitù, perché li rendeva eredi della promessa antica e, in Cristo, figli di Dio. E consapevole dei rischi che questa concezione della libertà portava, non ha mai minimizzato le conseguenze. Lui era consapevole dei rischi che porta la libertà cristiana, ma non ha minimizzato le conseguenze. Ha ribadito con parresia, cioè con coraggio, ai credenti che la libertà non equivale affatto a libertinaggio, né conduce a forme di presuntuosa autosufficienza. Al contrario, Paolo ha posto la libertà all’ombra dell’amore e ha stabilito il suo coerente esercizio nel servizio della carità. Tutta questa visione è stata posta nell’orizzonte della vita secondo lo Spirito Santo, che porta a compimento la Legge donata da Dio a Israele e impedisce di ricadere sotto la schiavitù del peccato. La tentazione è sempre quella di tornare indietro. Una definizione dei cristiani, che è nella Scrittura, dice che noi cristiani non siamo gente che va indietro, che torna indietro. Una bella definizione. E la tentazione è questa di andare indietro per essere più sicuri; tornare soltanto alla Legge, trascurando la vita nuova dello Spirito. È questo che Paolo ci insegna: la vera Legge ha la sua pienezza in questa vita dello Spirito che Gesù ci ha dato. E questa vita dello Spirito può essere vissuta soltanto nella libertà, la libertà cristiana. E questa è una delle cose più belle.

    Al termine di questo itinerario di catechesi, mi pare che possa nascere in noi un duplice atteggiamento. Da una parte, l’insegnamento dell’Apostolo genera in noi entusiasmo; ci sentiamo spinti a seguire subito la via della libertà, a “camminare secondo lo Spirito”. Sempre camminare secondo lo Spirito: ci fa liberi. Dall’altra parte, siamo consapevoli dei nostri limiti, perché tocchiamo con mano ogni giorno quanto facciamo fatica ad essere docili allo Spirito, ad assecondare la sua benefica azione. Allora può sopraggiungere la stanchezza che frena l’entusiasmo. Ci si sente scoraggiati, deboli, a volte emarginati rispetto allo stile di vita secondo la mentalità mondana. Sant’Agostino ci suggerisce come reagire in questa situazione, rifacendosi all’episodio evangelico della tempesta sul lago. Dice così: «La fede di Cristo nel tuo cuore è come Cristo nella barca. Ascolti insulti, ti affatichi, sei sconvolto, e Cristo dorme. Risveglia Cristo, scuoti la tua fede! Persino nel turbamento sei in grado di fare qualcosa. Scuoti la tua fede. Cristo si desti e ti parli… Perciò risveglia Cristo… Credi ciò che è stato detto, e si fa grande bonaccia nel tuo cuore» (Discorsi 163/B 6). Nei momenti di difficoltà siamo come – dice Sant’Agostino qui – nella barca nel momento della tempesta. E cosa hanno fatto gli Apostoli? Hanno svegliato Cristo che dormiva mentre c’era la tempesta; ma Lui era presente. L’unica cosa che possiamo fare nei momenti brutti è quella di “svegliare” Cristo che è dentro di noi, ma “dorme” come nella barca. È proprio così. Dobbiamo risvegliare Cristo nel nostro cuore e solo allora potremo contemplare le cose con il suo sguardo, perché Lui vede oltre la tempesta. Attraverso quel suo sguardo sereno, possiamo vedere un panorama che, da soli, non è neppure pensabile scorgere.

    In questo cammino impegnativo ma affascinante, l’Apostolo ci ricorda che non possiamo permetterci alcuna stanchezza nel fare il bene. Non stancatevi di fare il bene. Dobbiamo confidare che lo Spirito viene sempre in aiuto alla nostra debolezza e ci concede il sostegno di cui abbiamo bisogno. Dunque, impariamo a invocare più spesso lo Spirito Santo! Qualcuno può dire: “E come si invoca lo Spirito Santo? Perché io so pregare il Padre, con il Padre Nostro; so pregare la Madonna con l’Ave Maria; so pregare Gesù con la Preghiera delle Piaghe, ma lo Spirito? Quale è la preghiera dello Spirito Santo?”. La preghiera allo Spirito Santo è spontanea: deve nascere dal tuo cuore. Tu devi dire nei momenti di difficoltà: “Santo Spirito, vieni”. La parola chiave è questa: “vieni”. Ma devi dirlo tu con il tuo linguaggio, con le tue parole. Vieni, perché sono in difficoltà, vieni perché sono nell’oscurità, nel buio; vieni perché non so cosa fare; vieni perché sto per cadere. Vieni. Vieni. È la parola dello Spirito per chiamare lo Spirito. Impariamo a invocare più spesso lo Spirito Santo. Possiamo farlo con parole semplici, nei vari momenti della giornata. E possiamo portare con noi, magari dentro il nostro Vangelo tascabile, la bella preghiera che la Chiesa recita a Pentecoste: «Vieni, Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce! / Vieni, padre dei poveri, / vieni, datore dei doni, / vieni, luce dei cuori! / Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima / dolcissimo sollievo…». Vieni. E così prosegue, è una preghiera bellissima. Il nocciolo della preghiera è “vieni”, così la Madonna e gli Apostoli pregavano dopo che Gesù era salito in Cielo; erano soli nel Cenacolo e invocavano lo Spirito. Ci farà bene pregare spesso: Vieni, Spirito Santo. E con la presenza dello Spirito noi salvaguardiamo la libertà. Saremo liberi, cristiani liberi, non attaccati al passato nel senso negativo della parola, non incatenati a pratiche, ma liberi della libertà cristiana, quella che ci fa maturare. Ci aiuterà questa preghiera a camminare nello Spirito, nella libertà e nella gioia, perché quando viene lo Spirito Santo viene la gioia, la vera gioia. Il Signore vi benedica.

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    Saluti

    [Carissimi fedeli di lingua portoghese, il mese di novembre ci ricorda il destino eterno che ci attende; e lo fa in diversi modi, uno dei quali è il ricordo nostalgico dei nostri cari defunti. Essi un giorno ci hanno lasciati con la richiesta, tacita o esplicita, del nostro aiuto spirituale nella loro traversata verso l'Aldilà; come sapete, le nostre mani in preghiera giungono al Cielo, e così possiamo accompagnarli fin là, consolidando in loro e in noi stessi i vincoli che ci legano all'eternità. Con tale richiamo che si fa preghiera per i vostri parenti defunti, v’imparto la Benedizione Apostolica.]

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Associazioni del Clero e le Unioni degli Addetti al Culto – Sacrestani: esprimo il mio apprezzamento per il vostro servizio, che vi incoraggio a compiere sempre con viva sensibilità pastorale. Saluto i rappresentanti della Polizia Penitenziaria, dei Vigili del Fuoco e di altre realtà sindacali del comparto Sicurezza e difesa: auspico che la vostra professione sia intesa come “missione”, da svolgere con competenza e responsabilità morale.  

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Oggi la liturgia ricorda San Leone Magno, Papa e Dottore della Chiesa, che ha consacrato la sua esistenza alla difesa e alla diffusione della verità evangelica. Per sua intercessione, possiate vivere la vostra fede con gioia ed essere sereni testimoni dell’amore del Signore.

    A ciascuno di voi la mia benedizione.



    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 17 novembre 2021

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    Catechesi su San Giuseppe - 1. San Giuseppe e l’ambiente in cui è vissuto

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    L’8 dicembre 1870 il Beato Pio IX proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa universale. A 150 anni da quell’evento, stiamo vivendo un anno speciale dedicato a San Giuseppe, e nella Lettera Apostolica Patris corde ho raccolto alcune riflessioni sulla sua figura. Mai come oggi, in questo tempo segnato da una crisi globale con diverse componenti, egli può esserci di sostegno, di conforto e di guida. Per questo ho deciso di dedicargli un ciclo di catechesi, che spero possano aiutarci ulteriormente a lasciarci illuminare dal suo esempio e dalla sua testimonianza. Per alcune settimane parleremo di San Giuseppe.

    Nella Bibbia esistono più di dieci personaggi che portano il nome Giuseppe. Il più importante tra questi è il figlio di Giacobbe e di Rachele, che, attraverso varie peripezie, da schiavo diventa la seconda persona più importante in Egitto dopo il faraone (cfr Gen 37-50). Il nome Giuseppe in ebraico significa “Dio accresca, Dio faccia crescere”. È un augurio, una benedizione fondata sulla fiducia nella provvidenza e riferita specialmente alla fecondità e alla crescita dei figli. In effetti, proprio questo nome ci rivela un aspetto essenziale della personalità di Giuseppe di Nazaret. Egli è un uomo pieno di fede nella sua provvidenza: crede nella provvidenza di Dio, ha fede nella provvidenza di Dio. Ogni sua azione narrata dal Vangelo è dettata dalla certezza che Dio “fa crescere”, che Dio “aumenta”, che Dio “aggiunge”, cioè che Dio provvede a mandare avanti il suo disegno di salvezza. E, in questo, Giuseppe di Nazaret assomiglia molto a Giuseppe d’Egitto.

    Anche i principali riferimenti geografici che si riferiscono a Giuseppe: Betlemme e Nazaret, assumono un ruolo importante nella comprensione della sua figura.

    Nell’Antico Testamento la città di Betlemme è chiamata con il nome Beth Lechem, cioè “Casa del pane”, o anche Efrata, a causa della tribù insediatasi in quel territorio. In arabo, invece, il nome significa “Casa della carne”, probabilmente per la grande quantità di greggi di pecore e capre presenti nella zona. Non a caso, infatti, quando nacque Gesù, i pastori furono i primi testimoni dell’evento (cfr Lc 2,8-20). Alla luce della vicenda di Gesù, queste allusioni al pane e alla carne rimandano al mistero Eucaristico: Gesù è il pane vivo disceso dal cielo (cfr Gv 6,51). Egli stesso dirà di sé: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6,54).

    Betlemme è citata più volte nella Bibbia, fin dal Libro della Genesi. A Betlemme è anche legata la storia di Rut e Noemi, narrata nel piccolo ma stupendo Libro di Rut. Rut partorì un figlio chiamato Obed dal quale a sua volta nacque Iesse, il padre del re Davide. E proprio dalla discendenza di Davide viene Giuseppe, il padre legale di Gesù. Su Betlemme, poi, il profeta Michea predisse grandi cose: «E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). L’evangelista Matteo riprenderà questa profezia, la collegherà alla storia di Gesù come alla sua evidente realizzazione.

    In effetti, il Figlio di Dio non sceglie Gerusalemme come luogo della sua incarnazione, ma Betlemme e Nazaret, due villaggi periferici, lontani dai clamori della cronaca e del potere del tempo. Eppure Gerusalemme era la città amata dal Signore (cfr Is 62,1-12), la «città santa» (Dn 3,28), scelta da Dio per abitarvi (cfr Zc 3,2; Sal 132,13). Qui, infatti, risiedevano i dottori della Legge, gli scribi e i farisei, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo (cfr Lc 2,46; Mt 15,1; Mc 3,22; Gv 1,19; Mt 26,3).

    Ecco perché la scelta di Betlemme e Nazaret ci dice che la periferia e la marginalità sono predilette da Dio. Gesù non nacque a Gerusalemme con tutta la corte …no: nacque in una periferia e ha trascorso la sua vita, fino a 30 anni, in quella periferia, facendo il falegname, come Giuseppe. Per Gesù, le periferie e le marginalità sono predilette. Non prendere sul serio questa realtà equivale a non prendere sul serio il Vangelo e l’opera di Dio, che continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali. Il Signore agisce sempre di nascosto nelle periferie, anche nella nostra anima, nelle periferie dell’anima, dei sentimenti, forse sentimenti di cui ci vergogniamo; ma il Signore è lì per aiutarci ad andare avanti. Il Signore continua a manifestarsi nelle periferie, sia quelle geografiche, sia quelle esistenziali. In particolare, Gesù va a cercare i peccatori, entra nelle loro case, parla con loro, li chiama alla conversione. Ed è anche rimproverato per questo: “Ma guarda, questo Maestro – dicono i dottori della legge – guarda questo Maestro: mangia con i peccatori, si sporca, va a cercare quelli che il male non lo hanno fatto ma lo hanno subìto: i malati, gli affamati, i poveri, gli ultimi. Sempre Gesù va verso le periferie. E questo ci deve dare tanta fiducia, perché il Signore conosce le periferie del nostro cuore, le periferie della nostra anima, le periferie della nostra società, della nostra città, della nostra famiglia, cioè quella parte un po’ oscura che noi non facciamo vedere forse per vergogna.

    Sotto questo aspetto, la società di allora non è molto diversa dalla nostra. Anche oggi esistono un centro e una periferia. E la Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie. Giuseppe, che è un falegname di Nazaret e che si fida del progetto di Dio sulla sua giovane promessa sposa e su di lui, ricorda alla Chiesa di fissare lo sguardo su ciò che il mondo ignora volutamente. Oggi Giuseppe ci insegna questo: “Non guardare tanto le cose che il mondo loda, guarda agli angoli, guarda alle ombre, guarda alle periferie, quello che il mondo non vuole”. Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano. In questo senso è davvero un maestro dell’essenziale: ci ricorda che ciò che davvero vale non attira la nostra attenzione, ma esige un paziente discernimento per essere scoperto e valorizzato. Scoprire quello che vale. Chiediamo a lui di intercedere affinché tutta la Chiesa recuperi questo sguardo, questa capacità di discernere, questa capacità di valutare l’essenziale. Ripartiamo da Betlemme, ripartiamo da Nazaret.

    Vorrei oggi mandare un messaggio a tutti gli uomini e le donne che vivono le periferie geografiche più dimenticate del mondo o che vivono situazioni di marginalità esistenziale. Possiate trovare in San Giuseppe il testimone e il protettore a cui guardare. A lui possiamo rivolgerci con questa preghiera, preghiera “fatta in casa”, ma uscita dal cuore:

    San Giuseppe,
    tu che sempre ti sei fidato di Dio,
    e hai fatto le tue scelte
    guidato dalla sua provvidenza,
    insegnaci a non contare tanto sui nostri progetti,
    ma sul suo disegno d’amore.
    Tu che vieni dalle periferie,
    aiutaci a convertire il nostro sguardo
    e a preferire ciò che il mondo scarta e mette ai margini.
    Conforta chi si sente solo
    e sostieni chi si impegna in silenzio
    per difendere la vita e la dignità umana. Amen.

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    Saluti

    APPELLI

    Domani in Italia si celebra la prima Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, promossa dalla Conferenza Episcopale. Auspico che questa iniziativa possa essere occasione di riflessione, di sensibilizzazione e di preghiera per sostenere i cammini di recupero umano e spirituale delle vittime. È dovere imprescindibile di quanti hanno qualche responsabilità educativa in famiglia, in parrocchia, nella scuola, nei luoghi ricreativi e sportivi, proteggere e rispettare gli adolescenti e i ragazzi loro affidati, perché è proprio in questi posti che succedono la maggior parte degli abusi.

    * * *

    Il mio pensiero va ai lavoratori di Borgo Valbelluna e della zona, preoccupati per il loro futuro lavorativo. Di fronte ai loro assillanti problemi, mi unisco ai Vescovi e ai parroci del territorio, esprimendo la mia vicinanza. Rivolgo un accorato appello, affinché in questa situazione, così come in altre simili che mettono in difficoltà tante famiglie, non prevalga la logica del profitto, ma quella della condivisione equa e solidale. Al centro di ogni questione lavorativa, va sempre posta la persona e la sua dignità; quando non si guadagna il pane, si perde la dignità! Dobbiamo pregare tanto per questa gente.

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    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al Convegno del Collegamento Nazionale Santuari, il gruppo del Policlinico San Matteo di Pavia, e i fedeli di Sant’Elpidio a Mare. Vi incoraggio ad aderire con gioia alla volontà di Dio, affidandovi alla materna protezione della Vergine Maria.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. L’odierna liturgia fa memoria di santa Elisabetta d’Ungheria, donna di fede e di carità ardente. L’esempio e l’intercessione di questa illustre Santa della carità, aiuti ciascuno di voi a vivere una vita virtuosa, andando incontro, con animo aperto, ai poveri e quanti si trovano nel bisogno.

    A tutti voi la mia benedizione.


    [Modificato da Caterina63 24/11/2021 19:20]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 24/11/2021 19:22

    UDIENZA GENERALE


    Basilica di San Pietro e Aula Paolo VI
    Mercoledì, 24 novembre 2021

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    Saluto del Santo Padre, in Basilica Vaticana, ad alcuni gruppi di fedeli provenienti dall'Italia

    Catechesi del Santo Padre

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    SALUTO DEL SANTO PADRE

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono lieto di accogliervi in questa Basilica e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto.

    Saluto la Famiglia Vincenziana di tutt’Italia che ha promosso il pellegrinaggio della Madonna della Medaglia Miracolosa in tutte le Regioni italiane, unitamente alle diocesi e alle parrocchie. In questi mesi di pandemia, la vostra missione ha portato speranza, facendo sperimentare a molti la misericordia di Dio. Penso, in particolare alle persone sole, agli ammalati negli ospedali, a quanti vivono nelle carceri, nei centri di accoglienza e nelle periferie esistenziali. Grazie, perché avete testimoniato lo stile della “Chiesa in uscita” che raggiunge tutti, a partire dagli esclusi e dagli emarginati. Continuate su questa strada e apritevi sempre più all’azione dello Spirito Santo, che infonde la forza per annunciare con audacia la novità del Vangelo.

    Saluto i pellegrini dell’Associazione Giovanni Paolo II di Bisceglie. Cari amici, imitate l’esempio di questo Santo Pontefice e sforzatevi di comprendere e accogliere l’amore di Dio, sorgente e motivo della nostra vera gioia. In comunione con i vostri Pastori, annunciate Cristo con la vostra vita, in famiglia e in ogni ambiente.

    Il mio saluto va infine all’Associazione Italiana Vittime della violenza. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per l’opera di assistenza e di supporto a coloro che hanno subito maltrattamenti e vivono in situazione di angoscia e di disagio. È brutta la violenza, è brutta; è  molto brutto l’atteggiamento violento. Con la vostra importante attività, voi contribuite a costruire una società più giusta e solidale. Il vostro esempio susciti in tutti un rinnovato impegno, affinché le vittime della violenza vengano protette e le loro sofferenze prese in considerazione e ascoltate.

    E grazie a tutti voi per questa visita! Proprio in Basilica: questo è bello … Di cuore imparto a ciascuno la mia Benedizione, che estendo alle vostre famiglie e alle vostre comunità. Adesso vi invito a pregare insieme la Madonna, che è qui presente. Ave o Maria, …

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    CATECHESI DEL SANTO PADRE

    Catechesi su San Giuseppe - 2. San Giuseppe nella storia della salvezza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Mercoledì scorso abbiamo iniziato il ciclo di catechesi sulla figura di San Giuseppe – sta finendo l’anno a lui dedicato –. Oggi proseguiamo questo percorso soffermandoci sul suo ruolo nella storia della salvezza.

    Gesù nei Vangeli è indicato come «figlio di Giuseppe» (Lc 3,23; 4,22; Gv 1,45; 6,42) e «figlio del carpentiere» (Mt 13,55; Mc 6,3). Gli Evangelisti Matteo e Luca, narrando l’infanzia di Gesù, danno spazio al ruolo di Giuseppe. Entrambi compongono una “genealogia”, per evidenziare la storicità di Gesù. Matteo, rivolgendosi soprattutto ai giudeo-cristiani, parte da Abramo per arrivare a Giuseppe, definito «lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù detto il Cristo» (1,16). Luca, invece, risale fino ad Adamo, iniziando direttamente da Gesù, che «era figlio di Giuseppe», ma precisa: «come si riteneva» tale (3,23). Dunque, ambedue gli Evangelisti presentano Giuseppe non come padre biologico, ma comunque come padre di Gesù a pieno titolo. Tramite lui, Gesù realizza il compimento della storia dell’alleanza e della salvezza intercorsa tra Dio e l’uomo. Per Matteo questa storia ha inizio con Abramo, per Luca con l’origine stessa dell’umanità, cioè con Adamo.

    L’evangelista Matteo ci aiuta a comprendere che la figura di Giuseppe, seppur apparentemente marginale, discreta, in seconda linea, rappresenta invece un tassello centrale nella storia della salvezza. Giuseppe vive il suo protagonismo senza mai volersi impadronire della scena. Se ci pensiamo, «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste […]. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli, con gesti quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti» (Lett. ap. Patris corde, 1). Così, tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, della presenza discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. Egli ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. Il mondo ha bisogno di questi uomini e di queste donne: uomini e donne in seconda linea, ma che sostengono lo sviluppo della nostra vita, di ognuno di noi, e che con la preghiera, con l’esempio, con l’insegnamento ci sostengono sulla strada della vita.

    Nel Vangelo di Luca, Giuseppe appare come il custode di Gesù e di Maria. E per questo egli è anche «il Custode della Chiesa”: ma, se è stato il custode di Gesù e di Maria, lavora, adesso che sei nei cieli, e continua a fare il custode, in questo caso della Chiesa; perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa – per favore, non dimenticatevi di questo: oggi, Giuseppe protegge la Chiesa – continua a proteggere il Bambino e sua madre» (ibid., 5). Questo aspetto della custodia di Giuseppe è la grande risposta al racconto della Genesi. Quando Dio chiede conto a Caino della vita di Abele, egli risponde: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (4,9). Giuseppe, con la sua vita, sembra volerci dire che siamo chiamati sempre a sentirci custodi dei nostri fratelli, custodi di chi ci è messo accanto, di chi il Signore ci affida attraverso tante circostanze della vita.

    Una società come la nostra, che è stata definita “liquida”, perché sembra non avere consistenza. Io correggerò quel filosofo che ha coniato questa definizione e dirò: più che liquida, gassosa, una società propriamente gassosa. Questa società liquida, gassosa trova nella storia di Giuseppe un’indicazione ben precisa sull’importanza dei legami umani. Infatti, il Vangelo ci racconta la genealogia di Gesù, oltre che per una ragione teologica, per ricordare a ognuno di noi che la nostra vita è fatta di legami che ci precedono e ci accompagnano. Il Figlio di Dio, per venire al mondo, ha scelto la via dei legami, la via della storia: non è sceso nel mondo magicamente, no. Ha fatto la strada storica che facciamo tutti noi.

    Cari fratelli e sorelle, penso a tante persone che fanno fatica a ritrovare dei legami significativi nella loro vita, e proprio per questo arrancano, si sentono soli, non hanno la forza e il coraggio per andare avanti. Vorrei concludere con una preghiera che aiuti loro e tutti noi a trovare in San Giuseppe un alleato, un amico e un sostegno.

    San Giuseppe,
    tu che hai custodito il legame con Maria e con Gesù,
    aiutaci ad avere cura delle relazioni nella nostra vita.
    Nessuno sperimenti quel senso di abbandono
    che viene dalla solitudine.
    Ognuno si riconcili con la propria storia,
    con chi lo ha preceduto,
    e riconosca anche negli errori commessi
    un modo attraverso cui la Provvidenza si è fatta strada,
    e il male non ha avuto l’ultima parola.
    Mostrati amico per chi fa più fatica,
    e come hai sorretto Maria e Gesù nei momenti difficili,
    così sostieni anche noi nel nostro cammino. Amen.

    _____________________________________

    Saluti

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Figlie della Misericordia del Terz’Ordine Regolare di San Francesco, riunite nel Capitolo Generale, e le esorto a proseguire con gioia la missione in fedeltà al carisma della fondatrice, la Beata Maria di Gesù Crocifisso. Saluto i sacerdoti ex alunni del Seminario Romano Maggiore, che celebrano il 25° anniversario di sacerdozio, incoraggiandoli ad essere generosi servitori del popolo santo di Dio.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La prossima domenica segnerà l’inizio dell’Avvento, il periodo liturgico che precede e prepara la celebrazione del Santo Natale. Auguro a ciascuno di voi di aprire il cuore al Signore, per preparare la strada a Colui che viene a colmare con la luce della sua presenza ogni nostra umana debolezza.

    A tutti voi la mia benedizione.

     

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 1 dicembre 2021

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    Catechesi su San Giuseppe - 3. Giuseppe, uomo giusto e sposo di Maria

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Continuiamo il nostro cammino di riflessione sulla figura di San Giuseppe. Oggi vorrei approfondire il suo essere “giusto” e “promesso sposo di Maria”, e dare così un messaggio a tutti i fidanzati, anche ai novelli sposi. Molte vicende legate a Giuseppe popolano i racconti dei vangeli apocrifi, cioè non canonici, che hanno influenzato anche l’arte e diversi luoghi di culto. Questi scritti che non sono nella Bibbia – sono racconti che la pietà cristiana faceva in quel tempo - rispondono al desiderio di colmare i vuoti narrativi dei Vangeli canonici, quelli che sono nella Bibbia, i quali ci danno tutto ciò che è essenziale per la fede e la vita cristiana.

    L’evangelista Matteo. Questo è importante: cosa dice il Vangelo su Giuseppe? Non cosa dicono questi vangeli apocrifi, che non sona una cosa brutta o cattiva,; sono belli, ma non sono la Parola di Dio. Invece i Vangeli, che sono nella Bibbia, sono la Parola di Dio. Fra questi l’evangelista Matteo che definisce Giuseppe uomo “giusto”. Ascoltiamo il suo racconto: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (1,18-19). Perché i fidanzati, quando la fidanzata non era fedele o rimaneva incinta, dovevano denunciarla!. E le donne in quel tempo erano lapidate. Ma Giuseppe era giusto. Dice: “No, questo non lo farò. Me ne sto zitto”.

    Per comprendere il comportamento di Giuseppe nei confronti di Maria, è utile ricordare le usanze matrimoniali dell’antico Israele. Il matrimonio comprendeva due fasi ben definite. La prima era come un fidanzamento ufficiale, che comportava già una situazione nuova: in particolare la donna, pur continuando a vivere nella casa paterna ancora per un anno, era considerata di fatto “moglie” del promesso sposo. Ancora non vivevano insieme, ma era come se fosse la moglie. Il secondo atto era il trasferimento della sposa dalla casa paterna alla casa dello sposo. Ciò avveniva con una festosa processione, che completava il matrimonio. E le amiche della sposa la accompagnavano lì. In base a queste usanze, il fatto che «prima che andassero a vivere insieme, Maria si trovò incinta», esponeva la Vergine all’accusa di adulterio. E questa colpa, secondo la Legge antica, doveva essere punita con la lapidazione (cfr Dt 22,20-21). Tuttavia, nella prassi giudaica successiva aveva preso piede un’interpretazione più moderata che imponeva solo l’atto del ripudio ma con conseguenze civili e penali per la donna, ma non la lapidazione.

    Il Vangelo dice che Giuseppe era “giusto” proprio perché sottomesso alla legge come ogni uomo pio israelita. Ma dentro di lui l’amore per Maria e la fiducia che ha in lei gli suggeriscono un modo che salvi l’osservanza della legge e l’onore della sposa: decide di darle l’atto di ripudio in segreto, senza clamore, senza sottoporla all’umiliazione pubblica. Sceglie la via della riservatezza, senza processo e rivalsa. Ma quanta santità in Giuseppe! Noi, che appena abbiamo una notizia un po' folcloristica o un po' brutta su qualcuno, andiamo al chiacchiericcio subito! Giuseppe invece sta zitto.

    Ma aggiunge subito l’evangelista Matteo: «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”» (1,20-21). Interviene nel discernimento di Giuseppe la voce di Dio che, attraverso un sogno, gli svela un significato più grande della sua stessa giustizia. E quanto è importante per ciascuno di noi coltivare una vita giusta e allo stesso tempo sentirci sempre bisognosi dell’aiuto di Dio! Per poter allargare i nostri orizzonti e considerare le circostanze della vita da un punto di vista diverso, più ampio. Tante volte ci sentiamo prigionieri di quello che ci è accaduto: “Ma guarda cosa mi è successo!” e noi rimaniamo prigionieri di quella cosa brutta che ci è accaduta; ma proprio davanti ad alcune circostanze della vita, che ci appaiono inizialmente drammatiche, si nasconde una Provvidenza che con il tempo prende forma e illumina di significato anche il dolore che ci ha colpiti. La tentazione è chiuderci in quel dolore, in quel pensiero delle cose non belle che sono successe a noi. E questo non fa bene. Questo porta alla tristezza e all’amarezza. Il cuore amaro è così brutto.

    Vorrei che ci fermassimo a riflettere su un dettaglio di questa storia narrata dal Vangelo e che molto spesso trascuriamo. Maria e Giuseppe sono due fidanzati che probabilmente hanno coltivato dei sogni e delle aspettative rispetto alla loro vita e al loro futuro. Dio sembra inserirsi come un imprevisto nella loro vicenda e, seppure con una iniziale fatica, entrambi spalancano il cuore alla realtà che si pone loro innanzi.

    Cari fratelli e care sorelle, molto spesso la nostra vita non è come ce la immaginiamo. Soprattutto nei rapporti di amore, di affetto, facciamo fatica a passare dalla logica dell’innamoramento a quella dell’amore maturo. E si deve passare dall’innamoramento all’amore maturo. Voi novelli sposi, pensate bene a questo. La prima fase è sempre segnata da un certo incanto, che ci fa vivere immersi in un immaginario che spesso non corrisponde alla realtà dei fatti. Ma proprio quando l’innamoramento con le sue aspettative sembra finire, lì può cominciare l’amore vero. Amare infatti non è pretendere che l’altro o la vita corrisponda alla nostra immaginazione; significa piuttosto scegliere in piena libertà di prendersi la responsabilità della vita così come ci si offre. Ecco perché Giuseppe ci dà una lezione importante, sceglie Maria “a occhi aperti”. E possiamo dire con tutti i rischi. Pensate, nel Vangelo di Giovanni, un rimprovero che fanno i dottori della legge a Gesù è questo: “Noi non siamo figli che provengono di là”, in riferimento alla prostituzione. Ma perché questi sapevano come Maria è rimasta incinta e volevano sporcare la mamma di Gesù. Per me è il passaggio più sporco, più demoniaco del Vangelo. E il rischio di Giuseppe ci dà questa lezione: prende la vita come viene. Dio è intervenuto lì? La prendo. E Giuseppe fa come gli aveva ordinato l’angelo del Signore: Dice infatti il Vangelo: «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (Mt 1,24-25). I fidanzati cristiani sono chiamati a testimoniare un amore così, che abbia il coraggio di passare dalle logiche dell’innamoramento a quelle dell’amore maturo. E questa è una scelta esigente, che invece di imprigionare la vita, può fortificare l’amore perché sia durevole di fronte alle prove del tempo. L’amore di una coppia va avanti nella vita e matura ogni giorno. L’amore del fidanzamento è un po' – permettetemi la parola –, un po' romantico. Voi lo avete vissuto tutto, ma poi comincia l’amore maturo, di tutti i giorni, il lavoro, i bambini che arrivano. E alle volte quel romanticismo sparisce un po’. Ma non c’è amore? Sì, ma amore maturo. “Ma sa, padre, noi delle volte litighiamo ...” Questo succede dal tempo di Adamo ed Eva ad oggi: che gli sposi litigano è il pane nostro di ogni giorno. “Ma non si deve litigare?” Sì, si può. “E padre, ma alle volte alziamo la voce” – “Succede”. “E anche alle volte volano i piatti” - “Succede”. Ma come fare perché questo non danneggi la vita del matrimonio? Ascoltate bene: non finire mai la giornata senza fare la pace. Abbiamo litigato, io ti ho detto delle parolacce Dio mio, ti ho detto cose brutte. Ma adesso finisce la giornata: devo fare la pace. Sapete perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è pericolosissima. Non permettere che il giorno dopo incominci in guerra. Per questo fare la pace prima di andare a letto. Ricordatevi sempre: mai finire la giornata senza fare la pace. E questo vi aiuterà nella vita matrimoniale. Questo percorso dall’innamoramento all’amore maturo è una scelta esigente, ma dobbiamo andare su quella strada.

    E anche questa volta concludiamo con una preghiera a San Giuseppe.
    San Giuseppe,
    tu che hai amato Maria con libertà,
    e hai scelto di rinunciare al tuo immaginario per fare spazio alla realtà,
    aiuta ognuno di noi a lasciarci sorprendere da Dio
    e ad accogliere la vita non come un imprevisto da cui difendersi,
    ma come un mistero che nasconde il segreto della vera gioia.
    Ottieni a tutti i fidanzati cristiani la gioia e la radicalità,
    conservando però sempre la consapevolezza
    che solo la misericordia e il perdono rendono possibile l’amore. Amen.

    ---------------

    Domani mi recherò a Cipro e poi in Grecia per compiere una visita alle care popolazioni di quei Paesi ricchi di storia, di spiritualità e di civiltà. Sarà un viaggio alle sorgenti della fede apostolica e della fraternità tra cristiani di varie confessioni. Avrò anche l’opportunità di avvicinare un’umanità ferita nella carne di tanti migranti in cerca di speranza: mi recherò a Lesvos. Vi chiedo, per favore, di accompagnarmi con la preghiera. Grazie!

    * * *

    Nel salutare i pellegrini di lingua italiana, rivolgo il mio pensiero agli Istituti religiosi femminili che celebrano il loro Capitolo Generale: le Suore di San Giuseppe di Chambéry, le Suore Missionarie del Catechismo, le Suore Missionarie dell’Apostolato Cattolico e le Suore Ospedaliere della Misericordia. E sono brave queste suore, tutte! Sono brave. Per ciascuna invoco la continua assistenza del Signore, affinché i momenti di riflessione e di discernimento le rafforzino nel generoso impegno di fedeltà al Vangelo.

    Saluto il Gruppo Ologramma di Modena ed auguro che le musiche, apprese ed eseguite con tanto impegno, diventino un richiamo a vivere con gioia ogni stagione dell’esistenza.  Questa orchestra ci ha portato tanta gioia ed è composta da persone che hanno quella via aperta della tenerezza più che gli altri. Fanno la musica con quella tenerezza che è propria del loro modo di essere. Ringrazio tanto.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Agli anziani: non trascurarli e se potete tenerli in famiglia, non mandateli fuori perché gli anziani sono le nostre radici e non vanno trascurati. Il tempo d’Avvento ci invita a prepararci al Natale, accogliendo senza timore Gesù Cristo che viene in mezzo a noi. Se gli spalanchiamo la porta della vita, tutto acquista una luce nuova e la famiglia, il lavoro, il dolore, la salute, l’amicizia, e così avanti, diventano altrettante occasioni per scoprire la sua consolante presenza, la presenza di Gesù nella nostra vita, presenza di Emmanuele, del Dio che viene, che vuol dire Dio con noi e per testimoniare questa sua presenza agli altri. Prepariamoci così, allargando il cuore per il Natale.

     

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    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 15 dicembre 2021

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    Catechesi su San Giuseppe: 4. San Giuseppe uomo del silenzio

    Cari fratelli e care sorelle, buongiorno!

    Continuiamo il nostro cammino di riflessione su San Giuseppe. Dopo aver illustrato l’ambiente in cui è vissuto, il suo ruolo nella storia della salvezza e il suo essere giusto e sposo di Maria, oggi vorrei prendere in esame un altro aspetto importante della sua figura: il silenzio. Tante volte oggi ci vuole il silenzio. Il silenzio è importante, a me colpisce un versetto del Libro della Sapienza che è stato letto pensando al Natale e dice: “Quando la notte era nel più profondo silenzio, lì la tua parola è discesa sulla terra”. Il momento di più silenzio Dio si è manifestato. E’ importante pensare al silenzio in quest’epoca che esso sembra non abbia tanto valore.

    I Vangeli non ci riportano nessuna parola di Giuseppe di Nazaret, niente, non ha mai parlato. Ciò non significa che egli fosse taciturno, no, c’è un motivo più profondo. Con questo suo silenzio, Giuseppe conferma quello che scrive Sant’Agostino: «Nella misura in cui cresce in noi la Parola – il Verbo fatto uomo – diminuiscono le parole». [1] Nella misura che Gesù - la vita spirituale - cresce, le parole diminuiscono. Questo che possiamo definire il “pappagallismo” parlare come pappagalli, continuamente, diminuisce un po’. Lo stesso Giovanni Battista, che è «la voce che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”» ( Mt 3,1), dice nei confronti del Verbo: «Egli deve crescere e io devo diminuire» ( Gv 3,30). Questo vuol dire che Lui deve parlare e io stare zitto e Giuseppe con il suo silenzio ci invita a lasciare spazio alla Presenza della Parola fatta carne, a Gesù.

    Il silenzio di Giuseppe non è mutismo; è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio operoso, un silenzio che fa emergere la sua grande interiorità. «Una parola pronunciò il Padre, e fu suo Figlio – commenta San Giovanni della Croce, – ed essa parla sempre in eterno silenzio, e nel silenzio deve essere ascoltata dall’anima». [2]

    Gesù è cresciuto a questa “scuola”, nella casa di Nazaret, con l’esempio quotidiano di Maria e Giuseppe. E non meraviglia il fatto che Lui stesso, cercherà spazi di silenzio nelle sue giornate (cfr Mt 14,23) e inviterà i suoi discepoli a fare tale esperienza per esempio: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Mc 6,31).

    Come sarebbe bello se ognuno di noi, sull’esempio di San Giuseppe, riuscisse a recuperare questa dimensione contemplativa della vita spalancata proprio dal silenzio. Ma tutti noi sappiamo per esperienza che non è facile: il silenzio un po’ ci spaventa, perché ci chiede di entrare dentro noi stessi e di incontrare la parte più vera di noi. E tanta gente ha paura del silenzio, deve parlare, parlare, parlare o ascoltare, radio, televisione …, ma il silenzio non può accettarlo perché ha paura. Il filosofo Pascal osservava che «tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera». [3]

    Cari fratelli e sorelle, impariamo da San Giuseppe a coltivare spazi di silenzio, in cui possa emergere un’altra Parola cioè Gesù, la Parola: quella dello Spirito Santo che abita in noi e che porta Gesù. Non è facile riconoscere questa Voce, che molto spesso è confusa insieme alle mille voci di preoccupazioni, tentazioni, desideri, speranze che ci abitano; ma senza questo allenamento che viene proprio dalla pratica del silenzio, può ammalarsi anche il nostro parlare. Senza la pratica del silenzio si ammala il nostro parlare. Esso, invece di far splendere la verità, può diventare un’arma pericolosa. Infatti le nostre parole possono diventare adulazione, vanagloria, bugia, maldicenza, calunnia. È un dato di esperienza che, come ci ricorda il Libro del Siracide, «ne uccide più la lingua che la spada» (28,18). Gesù lo ha detto chiaramente: chi parla male del fratello e della sorella, chi calunnia il prossimo, è omicida (cfr Mt 5,21-22). Uccide con la lingua. Noi non crediamo a questo ma è la verità. Pensiamo un po’ alle volte che abbiamo ucciso con la lingua, ci vergogneremmo! Ma ci farà tanto bene, tanto bene.

    La sapienza biblica afferma che «morte e vita sono in potere della lingua: chi ne fa buon uso, ne mangerà i frutti» (Pr 18,21). E l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera, sviluppa questo antico tema del potere, positivo e negativo, della parola con esempi folgoranti e dice così: «Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. […] anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. […] Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini, che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni” (3,2-10).

    Questo è il motivo per cui dobbiamo imparare da Giuseppe a coltivare il silenzio: quello spazio di interiorità nelle nostre giornate in cui diamo la possibilità allo Spirito di rigenerarci, di consolarci, di correggerci. Non dico di cadere in un mutismo, no, ma di coltivare il silenzio. Ognuno guardi dentro a se stesso: tante volte stiamo facendo un lavoro e quando finiamo subito cerchiamo il telefonino per fare un’altra cosa, sempre stiamo così. E questo non aiuta, questo ci fa scivolare nella superficialità. La profondità del cuore cresce col silenzio, silenzio che non è mutismo, come ho detto, ma che lascia spazio alla saggezza, alla riflessione e allo Spirito Santo. Noi a volte abbiamo paura dei momenti di silenzio, ma non dobbiamo avere paura! Ci farà tanto bene il silenzio. E il beneficio del cuore che ne avremo guarirà anche la nostra lingua, le nostre parole e soprattutto le nostre scelte. Infatti Giuseppe ha unito al silenzio l’azione. Egli non ha parlato, ma ha fatto, e ci ha mostrato così quello che un giorno Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Parole feconde quando parliamo e noi abbiamo il ricordo di quella canzone “Parole, parole, parole…” e niente di sostanziale. Silenzio, parlare giusto, qualche volta mordersi un po’ la lingua, che fa bene, invece di dire stupidaggini.

    Concludiamo con una preghiera:

    San Giuseppe, uomo del silenzio,
    tu che nel Vangelo non hai pronunciato nessuna parola,
    insegnaci a digiunare dalle parole vane,
    a riscoprire il valore delle parole che edificano, incoraggiano, consolano, sostengono.
    Fatti vicino a coloro che soffrono a causa delle parole che feriscono,
    come le calunnie e le maldicenze,
    e aiutaci a unire sempre alle parole i fatti. Amen.

    _______________________________________

    [1] Discorso 288, 5: PL 38, 1307.

    [2] Dichos de luz y amor, BAC, Madrid, 417, n. 99.

    [3] Pensieri, 139.



    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della parrocchia di Santa Maria del Popolo in Surbo (Lecce), i calciatori della Nazionale Old Italia di Roma e i componenti dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Arezzo. Sono lieto di accogliere gli alunni della scuola Bartolena di Livorno, accompagnati dagli insegnanti e da varie Autorità: cari ragazzi, vi ringrazio della vostra visita e vi incoraggio a coltivare i valori della solidarietà e del dialogo fraterno fra voi.

    Il mio pensiero va infine in modo speciale agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Cari anziani e ammalati, grazie per il vostro esempio, prego perché portiate la vostra croce con la pazienza mite e docile di San Giuseppe. Cari giovani, vi invito a guardare San Giuseppe come guida per i sogni della vostra giovinezza, il custode dei sogni. Cari sposi, possiate trovare nella santa Famiglia di Nazaret le virtù e la serenità per il vostro cammino di vita. A tutti la mia Benedizione.






    [Modificato da Caterina63 20/12/2021 18:32]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)