00 25/01/2023 13:16


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 25 gennaio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 3. Gesù maestro dell’annuncio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mercoledì scorso abbiamo riflettuto su Gesù modello dell’annuncio, sul suo cuore pastorale sempre proteso agli altri. Oggi guardiamo a Lui come maestro dell’annuncio. Lasciamoci guidare dall’episodio in cui Lui predica nella sinagoga del suo villaggio, Nazaret. Gesù legge un passo del profeta Isaia (cfr 61,1-2) e poi sorprende tutti con una “predica” brevissima, di una sola frase, una sola frase. E dice così: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Questa è stata la predica di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Ciò significa che per Gesù quel passo profetico contiene l’essenziale di quanto Egli vuole dire di sé. Dunque, ogni volta che noi parliamo di Gesù, dovremmo ricalcare quel suo primo annuncio. Vediamo allora in che cosa consiste questo primo annuncio. Si possono identificare cinque elementi essenziali.

Il primo elemento è la gioia. Gesù proclama: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; […] mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (v. 18), cioè un annuncio di letizia, di gioia. Lieto annuncio: non si può parlare di Gesù senza gioia, perché la fede è una stupenda storia d’amore da condividere. Testimoniare Gesù, fare qualcosa per gli altri nel suo nome, è dire tra le righe della vita di aver ricevuto un dono così bello che nessuna parola basta a esprimerlo. Invece, quando manca la gioia, il Vangelo non passa, perché esso – lo dice la parola stessa – è buon annuncio, e Vangelo vuol dire buon annuncio, annuncio di gioia. Un cristiano triste può parlare di cose bellissime ma è tutto vano se l’annuncio che trasmette non è lieto. Diceva un pensatore: “un cristiano triste è un triste cristiano”: non dimenticare questo.

Veniamo al secondo aspetto: la liberazione. Gesù dice di essere stato mandato «a proclamare ai prigionieri la liberazione» (ibid.). Ciò significa che chi annuncia Dio non può fare proselitismo, no, non può far pressione sugli altri, ma alleggerirli: non imporre pesi, ma sollevare da essi; portare pace, non portare sensi di colpa. Certo, seguire Gesù comporta un’ascesi, comporta dei sacrifici; d’altronde, se ogni cosa bella ne richiede, quanto più la realtà decisiva della vita! Però chi testimonia Cristo mostra la bellezza della meta, più che la fatica del cammino. Ci sarà capitato di raccontare a qualcuno un bel viaggio che abbiamo fatto. Per esempio, avremo parlato della bellezza dei luoghi, di quanto visto e vissuto, non del tempo per arrivarci e delle code in aeroporto, no! Così ogni annuncio degno del Redentore deve comunicare liberazione. Come quello di Gesù. Oggi c’è la gioia, perché sono venuto a liberare.

Terzo aspetto: la luce. Gesù dice di essere venuto a portare «ai ciechi la vista» (ibid.). Colpisce che in tutta la Bibbia, prima di Cristo, non compaia mai la guarigione di un cieco, mai. Era infatti un segno promesso che sarebbe giunto con il Messia. Ma qui non si tratta solo della vista fisica, bensì di una luce che fa vedere la vita in modo nuovo. C’è un “venire alla luce”, una rinascita che avviene solo con Gesù. Se ci pensiamo, così è iniziata per noi la vita cristiana: con il Battesimo, che anticamente era chiamato proprio “illuminazione”. E quale luce ci dona Gesù? Ci porta la luce della figliolanza: Lui è il Figlio amato del Padre, vivente per sempre; e con Lui anche noi siamo figli di Dio amati per sempre, nonostante i nostri sbagli e difetti. Allora la vita non è più un cieco avanzare verso il nulla, no: non è questione di sorte o fortuna. Non è qualcosa che dipende dal caso o dagli astri, e nemmeno dalla salute o dalle finanze, no. La vita dipende dall’amore, dall’amore del Padre, che si prende cura di noi, suoi figli amati. Che bello condividere con gli altri questa luce! Avete pensato voi che la vita di ognuno di noi – la mia vita, la tua vita, la nostra vita – è un gesto di amore? È un invito all’amore? Questo è meraviglioso! Ma tante volte dimentichiamo questo, davanti alle difficoltà, davanti alle brutte notizie, anche davanti – e questo è brutto – alla mondanità, al modo di vivere mondano.

Quarto aspetto dell’annuncio: la guarigione. Gesù dice di essere venuto «a rimettere in libertà gli oppressi» (ibid.)Oppresso è chi nella vita si sente schiacciato da qualcosa che succede: malattie, fatiche, pesi sul cuore, sensi di colpa, sbagli, vizi, peccati… Oppressi da questo: pensiamo per esempio ai sensi di colpa. Quanti di noi hanno sofferto questo? Pensiamo un po’ a un senso di colpa di quello, dell’altro… A opprimerci, soprattutto, è proprio quel male che nessuna medicina o rimedio umano possono risanare: il peccato. E se uno ha senso di colpa di qualcosa che ha fatto, e questo si sente male… Ma la buona notizia è che con Gesù questo male antico, il peccato, che sembra invincibile, non ha più l’ultima parola. Io posso peccare perché sono debole. Ognuno di noi può farlo, ma questa non è l’ultima parola. L’ultima parola è la mano tesa di Gesù che ti rialza dal peccato. E padre, questo quando lo fa? Una volta? No. Due? No. Tre? No. Sempre. Ogni volta che tu stai male, il Signore sempre ha la mano tesa. Soltanto bisogna aggrapparsi e lasciarsi portare. La buona notizia è che con Gesù questo male antico non ha più l’ultima parola: l’ultima parola è la mano tesa di Gesù che ti porta avanti.  Dal peccato Gesù ci guarisce sempre. E quanto devo pagare per la guarigione? Niente. Ci guarisce sempre e gratuitamente. Egli invita quanti sono «stanchi e oppressi» – lo dice nel Vangelo – invita ad andare a Lui (cfr Mt 11,28). E allora accompagnare qualcuno all’incontro con Gesù è portare dal medico del cuore, che risolleva la vita. È dire: “Fratello, sorella, io non ho risposte a tanti tuoi problemi, ma Gesù ti conosce, Gesù ti ama, ti può guarire e rasserenare il cuore”. Chi porta dei pesi ha bisogno di una carezza sul passato. Tante volte sentiamo: “Ma io avrei bisogno di guarire il mio passato… ho bisogno di una carezza su quel passato che mi pesa tanto…” Ha bisogno di perdono. E chi crede in Gesù ha proprio questo da donare agli altri: la forza del perdono, che libera l’anima da ogni debito. Fratelli, sorelle, non dimenticare: Dio dimentica tutto. Come mai? Sì, dimentica tutti i nostri peccati, di essi non ha memoria. Dio perdona tutto perché dimentica i nostri peccati. Soltanto bisogna avvicinarsi al Signore e Lui ci perdona tutto. Pensate a qualcosa del Vangelo, di quello che ha incominciato a parlare: “Signore ho peccato!” Quel figlio… E il papà gli mette la mano in bocca. “No, va bene, niente…” Non gli lascia finire… E questo è bello. Gesù ci aspetta per perdonarci, per risanarci. E quanto? Una volta? Due volte? No. Sempre. “Ma padre, io faccio le stesse cose sempre…” E anche lui farà le sue stesse cose sempre: perdonarti, abbracciarti. Per favore, non abbiamo sfiducia in questo. Così si ama il Signore. Chi porta dei pesi e ha bisogno di una carezza sul passato, ha bisogno di perdono, sappia che Gesù lo fa. Ed è questo che dà Gesù: liberare l’anima da ogni debito. Nella Bibbia si parla di un anno in cui si era liberati dal peso dei debiti: il Giubileo, l’anno di grazia. Come fosse l’ultimo punto dell’annuncio.

Gesù dice infatti di essere venuto «a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19). Non era un giubileo programmato, come quelli che stiamo facendo adesso, che tutto è programmato e si pensa a come fare come non fare… No. Ma con Cristo la grazia che fa nuova la vita arriva e stupisce sempre. Cristo è il Giubileo di ogni giorno, di ogni ora, che ti avvicina, per accarezzarti, per perdonarti. E l’annuncio di Gesù deve portare sempre lo stupore della grazia. Questo stupore… “Non posso credere, sono stato perdonato, sono stata perdonata” Ma così grande è il nostro Dio! Perché non siamo noi a fare grandi cose, ma è la grazia del Signore che, anche attraverso di noi, compie cose imprevedibili. E queste sono le sorprese di Dio. Dio è un maestro delle sorprese. Sempre ci sorprende, sempre ci aspetta. Noi arriviamo, e Lui sta aspettando. Sempre. Il Vangelo si accompagna ad un senso di meraviglia e di novità che ha un nome: Gesù.

Lui ci aiuti ad annunciarlo come desidera, comunicando gioia, liberazione, luce, guarigione e stupore. Così si comunica Gesù.

Un’ultima cosa: questo lieto annuncio, che dice il Vangelo, è rivolto «ai poveri» (v. 18). Spesso ci dimentichiamo di loro, eppure sono i destinatari esplicitamente menzionati, perché sono i prediletti di Dio. Ricordiamoci di loro e ricordiamoci che, per accogliere il Signore, ciascuno di noi deve farsi “povero dentro”. Con quella povertà che fa dire…“Signore ho bisogno di perdono, ho bisogno di aiuto, ho bisogno di forza”. Questa povertà che tutti noi abbiamo: farsi povero da dentro. Si tratta di vincere ogni pretesa di autosufficienza per comprendersi bisognoso di grazia, e sempre bisognoso di Lui. Se qualcuno mi dice: Padre, ma quale è la via più breve per incontrare Gesù? Fatti bisognoso. Fatti bisognoso di grazia, bisognoso di perdono, bisognoso di gioia. E Lui si avvicinerà a te.

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Saluti

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APPELLO

Dopodomani, 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo di quello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi non può essere né dimenticato né negato. Non può esserci un impegno costante nel costruire insieme la fraternità senza aver prima dissipato le radici di odio e di violenza che hanno alimentato l’orrore dell’Olocausto.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto e ringrazio i partecipanti al simposio promosso dal Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, sul morbo di Hansen (la lebbra), dal titolo “Non lasciare indietro nessuno”.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi si conclude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Incoraggio a vivere, ognuno nel proprio stato di vita, le esigenze dell’unità cristiana che ci provengono dal battesimo. Consapevoli del dono di questo sacramento, operiamo, preghiamo e offriamo i nostri sacrifici ogni giorno per l’unità di tutti i credenti in Cristo.

Nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere non manchi la martoriata Ucraina, così tanto afflitta. Questa mattina ho avuto un incontro con i Capi delle diverse Confessioni di fede che sono in Ucraina – tutti uniti – e mi hanno raccontato il dolore di quel popolo. Non dimentichiamo mai, ogni giorno, di pregare per la pace definitiva in Ucraina.

A tutti la mia benedizione.

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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 15 febbraio 2023

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Catechesi. 4. Il primo apostolato

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le nostre catechesi; il tema che abbiamo scelto è: “La passione di evangelizzare, lo zelo apostolico”. Perché evangelizzare non è dire: “Guarda, blablabla” e niente di più; c’è una passione che ti coinvolge tutto: la mente, il cuore, le mani, andare … tutto, tutta la persona è coinvolta con questo di proclamare il Vangelo, e per questo parliamo di passione di evangelizzare. Dopo aver visto in Gesù il modello e il maestro dell’annuncio, passiamo oggi ai primi discepoli, quello che hanno fatto i discepoli. Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14), due cose: perché stessero con Lu e mandarli a predicare. C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Non è facile capire questo, ma è così. Cerchiamo di capire un po’ qual è il senso con cui Gesù dice queste cose.

Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Non si impara in un’accademia: no! Incomincia dall’incontro con il Signore. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui – mi porto io e non Lui –, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con Lui. Uno che non sta con Lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare con Gesù e andare, inviati da Gesù.

Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario” – così si chiama nel Vangelo. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere oggi – è una paginetta soltanto del Vangelo –, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare.

Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). Sono cinque parole. Ma perché annunciare? Perché gratuitamente io ho ricevuto e devo dare gratuitamente. L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito: incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, cioè nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono; abbiamo ricevuto un dono e la nostra vocazione è noi farci dono per gli altri; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno! Questo è il perché dell’annuncio. Andare e portare la gioia di quello che noi abbiamo ricevuto.

Secondo: che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Ma, non dimenticatevi mai di questo: Dio sempre è stato vicino al popolo, Lui stesso lo disse al popolo. Disse così: “Guardate, quale Dio è vicino alle Nazioni come io sono vicino a voi?”. La vicinanza è una delle cose più importanti di Dio. Sono tre cose importanti: vicinanza, misericordia e tenerezza. Non dimenticare quello. Chi è Dio? Il Vicino, il Tenero, il Misericordioso. Questa è la realtà di Dio. Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e questo va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che Lui è vicino: vicinanza, misericordia e tenerezza. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, noi vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare. Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio: dare il primato a Dio, al primo posto Dio, e dare agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che Lui è vicino. E io, dietro.

Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente: come annunciare, qual è il metodo, quale dev’essere il linguaggio per annunciare; è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. La testimonianza non coinvolge soltanto la mente e dire qualche cosa, i concetti: no. Coinvolge tutto, mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi della persona: il linguaggio del pensiero, il linguaggio dell’affetto e il linguaggio dell’opera. I tre linguaggi. Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci: no. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà e vinceremo i lupi: no, non è così. No, vi mando come pecore, come agnelli – questo è l’importante. Se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che Lui sia il mio pastore e Lui non è pastore di lupi, è pastore di agnelli, miti, umili, carini con il Signore.

Sempre sul come annunciare, colpisce che Gesù, anziché prescrivere cosa portare in missione, dice cosa non portare. Alle volte, uno vede qualche apostolo, qualche persona che trasloca, qualche cristiano che dice che è apostolo e ha dato la vita al Signore, e si porta tanti bagagli: ma questo non è del Signore, il Signore ti fa leggero di equipaggio e dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Non portare niente. Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità. Questo è quello da dire: io vado al mondo non con lo stile del mondo, non con i valori del mondo, non con la mondanità – che per la Chiesa, cadere nella mondanità è il peggio che possa accadere. Vado con semplicità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. E come mostriamo Gesù? Con la nostra testimonianza. E, infine, andando insieme, in comunità: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, e andare insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio, questa è la chiave del successo dell’evangelizzazione. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

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Saluti

[Saluto cordialmente i Polacchi. Di fronte al disinteresse spirituale e alla mancanza di fede, vi invito a proclamare con coraggio Gesù e a condividerlo con le persone che non hanno alcuna esperienza di incontro con il Dio vivente. Non abbiate paura dei vostri limiti in questo cammino, perché l'esempio degli Apostoli ci insegna che l'esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Vi benedico di cuore!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono tanti! In particolare, saluto i Padri Stimmatini e le Piccole Suore della Divina che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: vi incoraggio ad essere ovunque missionari di unità, fondando la vita e l’apostolato sulla Parola di Dio. Accolgo con gioia voi, diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che sarete ordinati sacerdoti tra qualche mese, ed auguro che la visita a Roma rinnovi in l’entusiasmo di una generosa risposta alla chiamata del Signore. Saluto, inoltre, l’Orchestra giovanile di Carpi - vogliamo sentirla! - e l’Aeronautica Militare di Grazzanise e Licola.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Ispirandomi ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi e compatroni d’Europa, dei quali ieri abbiamo celebrato la festa liturgica, vi invito a testimoniare ogni giorno il Vangelo, diffondendo attorno a voi il profumo della carità di Cristo, che conquista i cuori al bene.

E, fratelli e sorelle, non dimentichiamo la cara e martoriata popolazione Ucraina, pregando affinché possano finire presto le sue crudeli sofferenze. A tutti la mia benedizione.

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì delle Ceneri, 22 febbraio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 5. Il protagonista dell’annuncio: lo Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Nel nostro itinerario di catechesi sulla passione di evangelizzare, oggi ripartiamo dalle parole di Gesù che abbiamo ascoltato: «Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Andate – dice il Risorto –, non a indottrinare non a fare proseliti, no, ma a fare discepoli, cioè a dare ad ognuno la possibilità di entrare in contatto con Gesù, di conoscerlo e amarlo liberamente. Andate battezzando: battezzare significa immergere e dunque, prima di indicare un’azione liturgica, esprime un’azione vitale: immergere la propria vita nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo; provare ogni giorno la gioia della presenza di Dio che ci è vicino come Padre, come Fratello, come Spirito che agisce in noi, nel nostro stesso spirito. Battezzare è immergersi nella Trinità.

Quando Gesù dice ai suoi discepoli – e anche a noi –: “Andate!”, non comunica solo una parola. No. Comunica insieme lo Spirito Santo, perché è solo grazie a Lui, allo Spirito Santo, che si può ricevere la missione di Cristo e portarla avanti (cfr Gv 20,21-22). Gli Apostoli, infatti, restano chiusi nel Cenacolo per timore finché giunge il giorno di Pentecoste e scende su di loro lo Spirito Santo (cfr At 2,1-13). E in quel momento se ne va il timore e con la sua forza quei pescatori, per lo più illetterati, cambieranno il mondo. “Ma se non sanno parlare…”. Ma è parola dello Spirito, la forza dello Spirito che li porta avanti per cambiare il mondo. L’annuncio del Vangelo, dunque, si realizza solo nella forza dello Spirito, che precede i missionari e prepara i cuori: è Lui “il motore dell’evangelizzazione”.

Lo scopriamo negli Atti degli Apostoli, dove ad ogni pagina si vede che il protagonista dell’annuncio non è Pietro, Paolo, Stefano o Filippo, ma è lo Spirito Santo. Sempre negli Atti si racconta un momento nevralgico degli inizi della Chiesa, che può dire molto anche a noi. Allora, come oggi, insieme a consolazioni non mancavano tribolazioni – momenti belli e momenti non tanto belli -, le gioie si accompagnavano alle preoccupazioni, ambedue le cose. Una in particolare: come comportarsi con i pagani che venivano alla fede, con quanti non appartenevano al popolo ebraico, per esempio. Erano tenuti o no a osservare le prescrizioni della Legge mosaica? Non era una questione da poco per quella gente. Si formano così due gruppi, tra chi riteneva l’osservanza della Legge irrinunciabile e chi no. Per discernere, gli Apostoli si riuniscono, in quello che viene chiamato il “concilio di Gerusalemme”, il primo della storia. Come sciogliere il dilemma? Si sarebbe potuto cercare un buon compromesso tra tradizione e innovazione: alcune norme si osservano, e altre si tralasciano. Eppure gli Apostoli non seguono questa sapienza umana per cercare un equilibrio diplomatico fra una e l’altra, non seguono questo, ma si adeguano all’opera dello Spirito, che li aveva anticipati, discendendo sui pagani come su di loro.

E dunque, togliendo quasi ogni obbligo legato alla Legge, comunicano le decisioni finali, prese e scrivono così: “dallo Spirito Santo e da noi” (cfr At 15,28) è uscita questa, lo Spirito Santo con noi, così agiscono sempre gli Apostoli. Insieme, senza dividersi, nonostante avessero sensibilità e pareri diversi, si pongono in ascolto dello Spirito. Ed Egli insegna una cosa, valida anche oggi: ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù, ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù. Potremmo dire che la storica decisione del primo Concilio, di cui beneficiamo anche noi, fu mossa da un principio, il principio dell’annuncio: nella Chiesa tutto va conformato alle esigenze dell’annuncio del Vangelo; non alle opinioni dei conservatori o dei progressisti, ma al fatto che Gesù raggiunga la vita della gente. Perciò ogni scelta, ogni uso, ogni struttura ogni tradizione sono da valutare nella misura in cui favoriscono l’annuncio di Cristo. Quando si trovano decisioni nella Chiesa, per esempio divisioni ideologiche: “Io sono conservatore perché… io sono progressista perché…”. Ma dove c’è lo Spirito Santo? State attenti che il Vangelo non è un’idea, il Vangelo non è una ideologia: il Vangelo è un annuncio che tocca il cuore e ti fa cambiare il cuore, ma se tu ti rifugi in un’idea, in un’ideologia sia di destra sia di sinistra sia di centro, tu stai facendo del Vangelo un partito politico, una ideologia, un club di gente. Il Vangelo sempre ti dà questa libertà dello Spirito che agisce in te e ti porta avanti. E quanto è necessario oggi prendere in mano la libertà del Vangelo e lasciarci portare avanti dallo Spirito.

Così lo Spirito fa luce sul cammino della Chiesa, sempre. Egli non è infatti solo la luce dei cuori, è la luce che orienta la Chiesa: fa chiarezza, aiuta a distinguere, aiuta a discernere. Per questo occorre invocarlo spesso; facciamolo anche oggi, all’inizio della Quaresima. Perché, come Chiesa, possiamo avere tempi e spazi ben definiti, comunità, istituti e movimenti ben organizzati ma, senza lo Spirito, tutto resta senz’anima. L’organizzazione non basta: è lo Spirito che dà vita alla Chiesa. La Chiesa, se non lo prega e non lo invoca, si chiude in sé stessa, in dibattiti sterili ed estenuanti, in polarizzazioni logoranti, mentre la fiamma della missione si spegne. È molto triste vedere la Chiesa come se fosse un parlamento; no, la Chiesa è un’altra cosa. La Chiesa è la comunità di uomini e donne che credono e annunciano Gesù Cristo ma mossi dallo Spirito Santo, non dalle proprie ragioni. Sì, si usa la ragione ma viene lo Spirito a illuminare e a muoverla, Lo Spirito ci fa uscire, ci spinge ad annunciare la fede per confermarci nella fede, ci spinge ad andare in missione per ritrovare chi siamo. Perciò l’Apostolo Paolo raccomanda così: «Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,19), non spegnete lo Spirito. Preghiamo spesso lo Spirito, invochiamolo, chiediamogli ogni giorno di accendere in noi la sua luce. Facciamolo prima di ogni incontro, per diventare apostoli di Gesù con le persone che troveremo. Non spegnere lo Spirito nelle comunità cristiane e anche dentro ognuno di noi.

Cari fratelli e sorelle, partiamo e ripartiamo, come Chiesa, dallo Spirito Santo. «È indubbiamente importante che nelle nostreprogrammazioni pastorali si parta dalle inchieste sociologiche, dalle analisi, dalla lista delle difficoltà, dall’elenco delle attese e delle lamentele. Tuttavia è assai più importante partire dalle esperienze dello Spirito: è questa la vera partenza. E occorre quindi cercarle, elencarle, studiarle, interpretarle. È un principio fondamentale che, nella vita spirituale, è chiamato primato della consolazione sulla desolazione. Prima c’è lo Spirito che consola, rianima, illumina, muove; poi verrà anche la desolazione, la sofferenza, il buio, ma il principio per regolarsi nel buio è la luce dello Spirito» (C.M. Martini, Evangelizzare nella consolazione dello Spirito, 25 settembre 1997). Questo è il principio per regolarsi nelle cose che non si capiscono, nelle confusioni, anche in tanti bui, è importante. Proviamo a chiederci se ci apriamo a questa luce, se le diamo spazio: io invoco lo Spirito? Ognuno si risponda dentro. Quanti di noi preghiamo lo Spirito? “No, padre, io prego la Madonna, prego i Santi, prego Gesù, ma delle volte, prego il Padre Nostro, prego il Padre” – “E lo Spirito? Tu non preghi lo Spirito, che è quello che ti fa muovere il cuore, che ti porta avanti, ti porta la consolazione, ti porta avanti la voglia di evangelizzare e di fare missione?”. Vi lascio questa domanda: Io prego lo Spirito Santo? Mi lascio orientare da Lui, che mi invita a non chiudermi ma a portare Gesù, a testimoniare il primato della consolazione di Dio sulla desolazione del mondo? La Madonna che ha capito questo bene ci faccia capire questo.

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Saluti

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APPELLO

Cari fratelli e sorelle,

dopodomani, 24 febbraio, si compirà un anno dall’invasione dell’Ucraina, dall’inizio di questa guerra assurda e crudele. Un triste anniversario! Il bilancio di morti, feriti, profughi e sfollati, distruzioni, danni economici e sociali parla da sé. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza? Egli è il Dio della pace. Restiamo vicini al martoriato popolo ucraino, che continua a soffrire. E chiediamoci: è stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? Faccio appello a quanti hanno autorità sulle nazioni, perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, per raggiungere il cessate-il-fuoco e avviare negoziati di pace. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli alunni delle scuole di Legnano e Cislago, come pure quelli di Comiso e Bagnara Calabra. Saluto i bambini dell’Asilo nido di Ferentino e i cittadini dello Sri Lanka che vivono a Napoli.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi inizia la Quaresima, tempo privilegiato di conversione e di penitenza per il nostro spirito. Vorrei chiedere a tutti voi di intensificare durante questo periodo la preghiera, la meditazione della parola di Dio e il servizio ai fratelli.

A tutti la mia benedizione.


[Modificato da Caterina63 22/02/2023 11:56]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)