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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 marzo 2023

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CatechesiLa passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente9. Testimoni: San Paolo. 1

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico, cominciamo oggi a guardare ad alcune figure che, in modi e tempi diversi, hanno dato testimonianza esemplare di che cosa vuol dire passione per il Vangelo. E il primo testimone è naturalmente l’Apostolo Paolo. A lui vorrei dedicare due catechesi.

La storia di Paolo di Tarso è emblematica su questo argomento. Nel primo capitolo della Lettera ai Galati, così come nella narrazione degli Atti degli Apostoli, possiamo rilevare che il suo zelo per il Vangelo appare dopo la sua conversione, e prende il posto del suo precedente zelo per il giudaismo. Era un uomo zelante per la legge di Mosè per il giudaismo e dopo la conversione questo zelo continua ma per proclamare, per predicare Gesù Cristo. Paolo era un innamorato di Gesù. Saulo – il primo nome di Paolo – era già zelante, ma Cristo converte il suo zelo: dalla Legge al Vangelo. Il suo slancio prima voleva distruggere la Chiesa, dopo invece la costruisce. Ci possiamo domandare: che cosa è successo, che succede dalla distruzione alla costruzione? Che cosa è cambiato in Paolo? In che senso il suo zelo, il suo slancio per la gloria di Dio è stato trasformato?

San Tommaso d’Aquino insegna che la passione, dal punto di vista morale, non è né buona né cattiva: il suo uso virtuoso la rende moralmente buona, il peccato la rende cattiva. [1] Nel caso di Paolo, ciò che lo ha cambiato non è una semplice idea o una convinzione: è stato l’incontro con il Signore risorto – non dimenticate questo, quello che cambia una vita è l’incontro con il Signore – è stato per Saulo l’incontro con il Signore risorto che ha trasformato tutto il suo essere. L’umanità di Paolo, la sua passione per Dio e la sua gloria non viene annientata, ma trasformata, “convertita” dallo Spirito Santo. L’unico che può cambiare i nostri cuori è lo Spirito Santo. E così per ogni aspetto della sua vita. Proprio come succede nell’Eucaristia: il pane e il vino non scompaiono, ma diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo zelo di Paolo rimane, ma diventa lo zelo di Cristo. Cambia il senso ma lo zelo è lo stesso. Il Signore lo si serve con la nostra umanità, con le nostre prerogative e le nostre caratteristiche, ma ciò che cambia tutto non è un’idea bensì la vita vera e propria, come dice lo stesso Paolo: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» ( 2 Cor 5,17). L’incontro con Gesù Cristo ti cambia da dentro, ti fa un’altra persona. Se uno è in Cristo è una nuova creatura, questo è il senso di essere una nuova creatura. Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia, no! Se tu sei cristiano ti cambia il cuore ma se tu sei cristiano di apparenza, questo non va… cristiani di maquillage non vanno. Il vero cambiamento è del cuore. E questo è successo a Paolo. 

La passione per il Vangelo non è una questione di comprensione o di studi, che pure servono ma non la generano; significa piuttosto ripercorrere quella stessa esperienza di “caduta e risurrezione” che Saulo/Paolo visse e che è all’origine della trasfigurazione del suo slancio apostolico. Tu puoi studiare tutta la teologia che vuoi, tu puoi studiare la Bibbia e tutto quello e diventare ateo o mondano, non è una questione di studi; nella storia ci sono stati tanti teologi atei! Studiare serve ma non genera la nuova vita di grazia. Infatti, come dice S. Ignazio di Loyola: «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente». [2] Si tratta delle cose che ti cambiano dentro, che ti fanno sapere un’altra cosa, gustare un’altra cosa.
Ognuno di noi pensi a questo: “Io sono un religioso?” – “Va bene” – “Io prego?” – “Sì” - “Io cerco di osservare i comandamenti?” – “Sì” – “Ma dov’è Gesù nella tua vita?” – “Ah, no io faccio le cose che comanda la Chiesa”. Ma Gesù dov’è? Hai incontrato Gesù, hai parlato con Gesù? Tu prendi il Vangelo o parli con Gesù, ti ricordi chi è Gesù? E questa è una cosa che ci manca tante volte. Quando entra Gesù nella tua vita, come è entrato nella vita di Paolo, Gesù entra cambia tutto. Tante volte abbiamo sentito commenti sulla gente: “Ma guarda quell’altro, che era un disgraziato e adesso è un uomo buono, una donna buona… Chi lo ha cambiato? Gesù, ha trovato Gesù. La tua vita che è cristiana è cambiata? “E no, più o meno, sì…”. Se non è entrato Gesù nella tua vita non è cambiata. Tu puoi essere cristiano di fuori soltanto. No, deve entrare Gesù e questo ti cambia e questo è successo a Paolo. Bisogna trovare Gesù e per questo Paolo diceva l’amore di Cristo ci spinge, quello che ti porta avanti. Lo stesso cambiamento è capitato a tutti i Santi, che quando hanno trovato Gesù sono andati avanti.

Possiamo fare una ulteriore riflessione sul cambiamento che avviene in Paolo, il quale da persecutore diventò apostolo di Cristo. Notiamo che in lui si verifica una specie di paradosso: infatti, finché lui si ritiene giusto davanti a Dio, allora si sente autorizzato a perseguitare, ad arrestare, anche ad uccidere, come nel caso di Stefano; ma quando, illuminato dal Signore Risorto, scopre di essere stato “un bestemmiatore e un violento” (cfr 1 Tm 1,13), - così dice di sé stesso: “io sono stato un bestemmiatore e un violento” - allora incomincia a essere davvero capace di amare. E questa è la strada. Se uno di noi dice: “Ah grazie Signore, perché io sono una persona buona, io faccio le cose buone, non faccio peccati grossi…”: Non è una buona strada questa, questa è una strada di autosufficienza, è una strada che non ti giustifica, ti fa un cattolico elegante, ma un cattolico elegante non è un cattolico santo, è elegante.
Il vero cattolico, il vero cristiano è quello che riceve Gesù dentro, che cambia il cuore. Questa è la domanda che faccio a tutti voi oggi: cosa significa Gesù per me? L’ho lasciato entrare nel cuore o soltanto lo tengo a portata di mano ma che non venga tanto dentro? Mi sono lasciato cambiare da Lui? O soltanto Gesù è un’idea, una teologia che va avanti… E questo è lo zelo, quando uno trova Gesù sente il fuoco e come Paolo deve predicare Gesù, deve parlare di Gesù, deve aiutare la gente, deve fare cose buone. Quando uno trova l’idea di Gesù rimane un ideologo del cristianesimo e questo non salva, soltanto Gesù ci salva, se tu lo hai incontrato e gli hai aperto la porta del tuo cuore. L’idea di Gesù non ti salva! Il Signore ci aiuti a trovare Gesù, a incontrare Gesù, e che questo Gesù da dentro ci cambi la vita e ci aiuti ad aiutare gli altri.

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[1] Cfr Quaestio “De veritate” 24, 7.

[2] Esercizi spirituali, Annotazioni, 2, 4.

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Saluti 

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Tra pochi giorni ascolteremo una commovente descrizione della Passione di Cristo. Questo racconto risvegli nei vostri cuori il pentimento e l'apertura all'amore di Cristo, che ci ha amato fino alla fine. Abbandonando l'uomo vecchio, potete portare il Signore con rinnovato zelo a coloro che vivono in mezzo a voi. In particolare, continuate a sostenere i vostri fratelli e sorelle sofferenti nell'Ucraina, nella martoriata Ucraina. Vi benedico di cuore.]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi e i sacerdoti che ricordano il 50° anniversario di Ordinazione presbiterale, l’Unità pastorale di Gioia Sannitica, La Croce Gialla di Montegranaro, la Cooperativa Emmanuel di Cavarzere. Un saluto speciale ai tanti studenti qui presenti, che rendono vivace questa Udienza.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questo tempo di Quaresima, auguro a ciascuno di voi di riscoprire e di testimoniare con gioia il dono della fede cristiana.

Perseveriamo nella preghiera e nella vicinanza alla martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 aprile 2023

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Catechesi. “Il Crocifisso, sorgente di speranza”

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Domenica scorsa la Liturgia ci ha fatto ascoltare la Passione del Signore. Essa termina con queste parole: «Sigillarono la pietra» (Mt 27,66): tutto sembra finito. Per i discepoli di Gesù quel macigno segna il capolinea della speranza. Il Maestro è stato crocifisso, ucciso nel modo più crudele e umiliante, appeso a un patibolo infame fuori dalla città: un fallimento pubblico, il peggior finale possibile – a quell’epoca era il peggiore. Ora, quello sconforto che opprimeva i discepoli non è del tutto estraneo a noi oggi. Anche in noi si addensano pensieri cupi e sentimenti di frustrazione: perché tanta indifferenza verso Dio? È curioso, questo: perché tanta indifferenza verso Dio? Perché tanto male nel mondo? Ma guardate, che c’è male nel mondo! Perché le disuguaglianze continuano a crescere e la sospirata pace non arriva? Perché siamo attaccati così alla guerra, al farsi del male l’uno all’altro? E nei cuori di ognuno, quante attese svanite, quante delusioni! E ancora, quella sensazione che i tempi passati fossero migliori e che nel mondo, magari pure nella Chiesa, le cose non vadano come una volta… Insomma, anche oggi la speranza sembra a volte sigillata sotto la pietra della sfiducia. E invito ognuno di voi a pensare a questo: dov’è la tua speranza? Tu, hai una speranza viva o l’hai sigillata lì, o l’hai nel cassetto come un ricordo? Ma la tua speranza ti spinge a camminare o è un ricordo romantico come se fosse una cosa che non esiste? Dov’è la tua speranza, oggi?

Nella mente dei discepoli rimaneva fissa un’immagine: la croce. E lì è finito tutto. Lì si concentrava la fine di tutto. Ma di lì a poco avrebbero scoperto proprio nella croce un nuovo inizio. Cari fratelli e sorelle, la speranza di Dio germoglia così, nasce e rinasce nei buchi neri delle nostre attese deluse; ed essa, la speranza vera, invece, non delude mai. Pensiamo proprio alla croce: dal più terribile strumento di tortura Dio ha ricavato il segno più grande dell’amore. Quel legno di morte, diventato albero di vita, ci ricorda che gli inizi di Dio cominciano spesso dalle nostre fini. Così Egli ama operare meraviglie. Oggi, allora, guardiamo l’albero della croce perché germogli in noi la speranza: quella virtù quotidiana, quella virtù silenziosa, umile, ma quella virtù che ci mantiene in piedi, che ci aiuta ad andare avanti. Senza speranza non si può vivere. Pensiamo: dov’è la mia speranza? Oggi, guardiamo l’albero della croce perché germogli in noi la speranza: per essere guariti dalla tristezza – ma, quanta gente triste … A me, quando potevo andare per le strade, adesso non posso perché non mi lasciano, ma quando potevo andare per le strade nell’altra Diocesi, piaceva guardare lo sguardo della gente. Quanti sguardi tristi! Gente triste, gente che parlava con sé stessa, gente che camminava soltanto con il telefonino, ma senza pace, senza speranza. E dov’è la tua speranza, oggi? Ci vuole un po’ di speranza per essere guariti dalla tristezza di cui siamo malati, per essere guariti dall’amarezza con cui inquiniamo la Chiesa e il mondo. Fratelli e sorelle, guardiamo il Crocifisso. E che cosa vediamo? Vediamo Gesù nudo, Gesù spogliato, Gesù ferito, Gesù tormentato. È la fine di tutto? Lì c’è la nostra speranza.

Cogliamo allora come in questi due aspetti la speranza, che sembra morire, rinasce. Anzitutto, vediamo Gesù spogliato: infatti, «dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte» (v. 35). Dio spogliato: Lui che ha tutto si lascia privare di tutto. Ma quella umiliazione è la via della redenzione. Dio vince così sulle nostre apparenze. Noi, infatti, facciamo fatica a metterci a nudo, a fare la verità: sempre cerchiamo di coprire le verità perché non ci piace; ci rivestiamo di esteriorità che ricerchiamo e curiamo, di maschere per camuffarci e mostrarci migliori di come siamo. È un po’ l’abitudine del maquillage: maquillage interiore, sembrare migliore degli altri … Pensiamo che l’importante sia ostentare, apparire, così che gli altri dicano bene di noi. E ci addobbiamo di apparenze, ci addobbiamo di apparenze, di cose superflue; ma così non troviamo pace. Poi il maquillage se ne va e tu ti guardi allo specchio con la faccia brutta che hai, ma vera, quella che Dio ama, non quella “maquillata. E Gesù spogliato di tutto ci ricorda che la speranza rinasce col fare verità su di noi – dire la verità a se stesso – col lasciar cadere le doppiezze, col liberarci dalla pacifica convivenza con le nostre falsità. Alle volte, noi siamo tanto abituati a dirci delle falsità che conviviamo con le falsità come se fossero verità e noi finiamo avvelenati dalle nostre falsità.

Questo serve: tornare al cuore, all’essenziale, a una vita semplice, spoglia di tante cose inutili, che sono surrogati di speranza. Oggi, quando tutto è complesso e si rischia di perdere il filo, abbiamo bisogno di semplicità, di riscoprire il valore della sobrietà, il valore della rinuncia, di fare pulizia di ciò che inquina il cuore e rende tristi. Ciascuno di noi può pensare a una cosa inutile di cui può liberarsi per ritrovarsi. Pensa tu, quante cose inutili. Qui, quindici giorni fa, a Santa Marta, dove io abito – che è un albergo per tanta gente – si è sparsa la voce che per questa Settimana Santa sarebbe stato bello guardare il guardaroba e spogliare, mandare via le cose che abbiamo, che non usiamo … voi non immaginate la quantità di cose! È bello spogliarsi delle cose inutili. E questo è andato ai poveri, alla gente che ha bisogno. Anche noi, abbiamo tante cose inutili dentro il cuore – e fuori pure. Guardate il vostro guardaroba: guardatelo. Questo è utile, questo e inutile … e fate pulizia. Guardate il guardaroba dell’anima: quante cose inutili hai, quante illusioni stupide. Torniamo alla semplicità, alle cose vere, che non hanno bisogno di truccarsi. Ecco un bell’esercizio!

Rivolgiamo un secondo sguardo al Crocifisso e vediamo Gesù ferito. La croce mostra i chiodi che gli forano le mani e i piedi, il costato aperto. Ma alle ferite del corpo si aggiungono quelle dell’anima: ma quanta angoscia! Gesù è solo: tradito, consegnato e rinnegato dai suoi, dai suoi amici, anche dai suoi discepoli, condannato dal potere religioso e civile, scomunicato, Gesù prova persino l’abbandono di Dio (cfr v. 46). Sulla croce compare inoltre il motivo della condanna, «Costui è Gesù: il re dei Giudei» (v. 37). È un dileggio: Lui, che era fuggito quando cercavano di farlo re (cfr Gv 6,15), viene condannato per essersi fatto re; pur non avendo commesso reati, è messo in mezzo a due malfattori e gli viene preferito il violento Barabba (cfr Mt 27,15-21). Gesù insomma è ferito nel corpo e nell’anima. Mi domando: in che modo ciò aiuta la nostra speranza? Così, Gesù nudo, privo di tutto, di tutto: questo, cosa dice alla mia speranza, come mi aiuta?

Anche noi siamo feriti: chi non lo è nella vita? E tante volte, con ferite nascoste che nascondiamo per la vergogna. Chi non porta le cicatrici di scelte passate, di incomprensioni, di dolori che restano dentro e si fatica a superare? Ma anche di torti subiti, di parole taglienti, di giudizi inclementi? Dio non nasconde ai nostri occhi le ferite che gli hanno trapassato il corpo e l’anima. Le mostra per farci vedere che a Pasqua si può aprire un passaggio nuovo: fare delle proprie ferite dei fori di luce. “Ma, Santità, non esageri”, qualcuno può dirmi. No, è vero: prova; prova. Prova a farlo. Pensa alle tue ferite, quelle che tu solo sai, che ognuno ha nascoste nel cuore. E guarda il Signore. E vedrai, vedrai come da quelle ferite escono fori di luce. Gesù in croce non recrimina, ama. Ama e perdona chi lo ferisce (cfr Lc 23,34). Così converte il male in bene, così converte e trasforma il dolore in amore.

Fratelli e sorelle, il punto non è essere feriti poco o tanto dalla vita, il punto è cosa fare delle mie ferite. Le piccoline, le grandi, quelle che lasceranno un segno nel mio corpo, nella mia anima sempre. Cosa faccio io, con le mie ferite? Cosa fai tu e tu con le tue ferite? “No, Padre, io non ne ho, ferite” – “Stai attento, pensa due volte prima di dire questo”.
E ti domando: cosa fai con le tue ferite, quelle che soltanto tu sai? Tu puoi lasciarle infettare nel rancore, nella tristezza oppure posso unirle a quelle di Gesù, perché anche le mie piaghe diventino luminose. Pensate a quanti giovani non tollerano le proprie ferite e cercano nel suicidio una via di salvezza: oggi, nelle nostre città, tanti, tanti giovani che non vedono via di uscita, che non hanno speranza e preferiscono andare oltre con la droga, con la dimenticanza … poveretti.

Pensate a questi. E tu, qual è la tua droga, per coprire le ferite? Le nostre ferite possono diventare fonti di speranza quando, anziché piangerci addosso o nasconderle, asciughiamo le lacrime altrui; quando, anziché covare risentimento per quanto ci è tolto, ci prendiamo cura di ciò che manca agli altri; quando, anziché rimuginare in noi stessi, ci chiniamo su chi soffre; quando, anziché essere assetati d’amore per noi, dissetiamo chi ha bisogno di noi. Perché soltanto se smettiamo di pensare a noi stessi, ci ritroviamo. Ma se continuiamo a pensare a noi stessi non ci ritroveremo più. Ed è facendo così che – dice la Scrittura – la nostra ferita si rimargina presto (cfr Is 58,8), e la speranza rifiorisce. Pensate: cosa posso fare per gli altri? Sono ferito, sono ferito di peccato, sono ferito di storia, ognuno ha la propria ferita. Cosa faccio: lecco le mie ferite così, tutta la vita? O guardo le ferite altrui e vado con l’esperienza ferita della mia vita, a guarire, ad aiutare gli altri? Questa è la sfida di oggi, per tutti voi, per ognuno di voi, per ognuno di noi. Che il Signore ci aiuti ad andare avanti.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Nell'imminenza del Triduo Pasquale, il mio invito è rivolto anche a voi: guardate l'albero della Croce, perché germogli in voi la speranza, e il Signore crocifisso vi guarisca dalle vostre tristezze e amarezze. Come ricorda San Pietro, infatti, dalle piaghe di Cristo siamo stati guariti. Vi benedico di cuore.]

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APPELLI
      

Domani si celebra la Giornata Mondiale dello Sport per la Pace e lo Sviluppo, indetta dalle Nazioni Unite. Auspico che essa contribuisca ad intensificare propositi di solidarietà e atteggiamenti di amicizia e condivisione fraterna.

In questa Santa Settimana della passione di Cristo, commemorando la sua morte ingiusta, ricordo in modo particolare tutte le vittime dei crimini di guerra e, mentre invito a pregare per loro, eleviamo una supplica a Dio affinché i cuori di tutti si convertano. E guardando Maria, la Madonna, davanti alla Croce il mio pensiero va alle mamme: alle mamme dei soldati ucraini e russi che sono caduti nella guerra. Sono mamme di figli morti. Preghiamo per queste mamme.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli sportivi di Guidonia Montecelio e l’Istituto Savini-San Giuseppe di Teramo.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Nell’intenso clima spirituale della Settimana Santa, invito ciascuno a contemplare il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore per attingere da esso la forza di tradurre nella vita le esigenze del Vangelo.

E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 aprile 2023

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CatechesiLa passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 10. Testimoni: San Paolo. 2

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver visto, due settimane fa, lo slancio personale di San Paolo per il Vangelo, possiamo oggi riflettere più approfonditamente sullo zelo evangelico così come lui stesso ne parla e lo descrive in alcune sue lettere.

In forza della sua stessa esperienza, Paolo non ignora il pericolo di uno zelo distorto, orientato in una direzione sbagliata; in questo pericolo era caduto lui stesso prima della caduta provvidenziale sulla via di Damasco. Talvolta abbiamo a che fare con una premura mal orientata, accanita nell’osservanza di norme puramente umane e obsolete per la comunità cristiana. «Costoro – scrive l’Apostolo – sono premurosi verso di voi, ma non onestamente» (Gal 4,17).

Non possiamo ignorare la sollecitudine con cui alcuni si dedicano a occupazioni sbagliate anche nella stessa comunità cristiana; si può millantare un falso slancio evangelico mentre si sta inseguendo in realtà la vanagloria o le proprie convinzioni o un po’ l’amore di sé stesso.

Per questo ci domandiamo: quali sono le caratteristiche dello zelo evangelico vero secondo Paolo? Mi sembra utile per questo il testo che abbiamo ascoltato in apertura, un elenco di “armi” che l’Apostolo indica per la battaglia spirituale. Fra queste c’è la prontezza a propagare il Vangelo, tradotta da alcuni come “zelo” – questa persona è uno zelante nel portare avanti queste idee, queste cose –, e indicata come una “calzatura”. Perché? Come mai lo slancio per il Vangelo è collegato a ciò che si mette ai piedi? Questa metafora riprende un testo del profeta Isaia, che dice così: «Come sono belli sui monti / i piedi del messaggero che annuncia la pace, / del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, / che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (52,7).

Anche qui troviamo il riferimento ai piedi di un annunciatore di buone notizie. Perché? Perché chi va ad annunciare si deve muovere, deve camminare! Ma notiamo anche che Paolo, in quel testo, parla della calzatura come parte di un’armatura, secondo l’analogia dell’equipaggiamento di un soldato che va in battaglia: nei combattimenti era fondamentale avere stabilità di appoggio, per evitare le insidie del terreno, perché spesso l’avversario disseminava di trappole il campo di battaglia, e per avere la forza necessaria per correre e muoversi nella direzione giusta. Per questo, la calzatura è per correre ed evitare tutte queste cose dell’avversario.

Lo zelo evangelico è l’appoggio su cui si basa l’annuncio, e gli annunciatori sono un po’ come i piedi del corpo di Cristo che è la Chiesa. Non c’è annuncio senza movimento, senza “uscita”, senza iniziativa. Questo vuol dire che non c’è cristiano se non in cammino, non è un cristiano se il cristiano non esce da sé stesso per mettersi in cammino e portare un annuncio. Non c’è annuncio senza movimento, senza cammino. Non si annuncia il Vangelo da fermi, chiusi in un ufficio, alla scrivania o al computer facendo polemiche come “leoni da tastiera” e surrogando la creatività dell’annuncio con il copia-e-incolla di idee prese qua e là. Il Vangelo si annuncia muovendosi, camminando, andando.

Il termine usato da Paolo, per indicare la calzatura di chi porta il Vangelo, è una parola greca che denota prontezza, preparazione, alacrità. È il contrario della trasandatezza, incompatibile con l’amore. Infatti altrove Paolo dice: «Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore» (Rm 12,11). Questo atteggiamento era quello richiesto nel Libro dell’Esodo per celebrare il sacrificio della liberazione pasquale: «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò» (12,11-12a).

Un annunciatore è pronto a partire, e sa che il Signore passa in modo sorprendente; deve quindi essere libero da schemi e predisposto ad un’azione inaspettata e nuova: preparato per le sorprese. Chi annuncia il Vangelo non può essere fossilizzato in gabbie di plausibilità o nel “si è sempre fatto così”, ma è pronto a seguire una sapienza che non è di questo mondo, come Paolo dice parlando di sé stesso: «La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1 Cor 2,4-5).

Ecco, fratelli e sorelle: è importante avere questa prontezza alla novità del Vangelo, questo atteggiamento che è uno slancio, un prendere l’iniziativa, un andare per primo. È un non lasciarsi sfuggire le occasioni per promulgare l’annuncio del Vangelo di pace, quella pace che Cristo sa dare più e meglio di come la dà il mondo. E per questo vi esorto a essere evangelizzatori che si muovono, senza paura, che vanno avanti, per portare la bellezza di Gesù, per portare la novità di Gesù che cambia tutto. “Sì, Padre, cambia il calendario, perché adesso noi contiamo gli anni prima di Gesù …” – “Ma anche, cambia il cuore: e tu sei disposto a lasciare che Gesù ti cambi il cuore? O tu sei un cristiano tiepido, che non si muove? Pensa un po’: tu sei un entusiasta di Gesù, vai avanti? Pensa un po’…

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Saluti

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APPELLO

Ieri ricorreva il 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, che San Giovanni XXIII indirizzò alla Chiesa e al mondo nel pieno della tensione tra i due blocchi contrapposti nella cosiddetta guerra fredda. Il Papa aprì davanti a tutti l’orizzonte ampio in cui poter parlare di pace e costruire la pace: il disegno di Dio sul mondo e sulla famiglia umana. Quell’Enciclica fu una vera benedizione, come uno squarcio di sereno in mezzo a nubi scure. Il suo messaggio è attualissimo. Basti ad esempio questo passo: «I rapporti tra le comunità politiche, come quelli tra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione, e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante» (n. 62). Invito i fedeli e gli uomini e le donne di buona volontà a leggere la Pacem in terris, e prego perché i Capi delle Nazioni se ne lascino ispirare nei progetti e nelle decisioni.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i nuovi diaconi della Compagnia di Gesù, esortando ciascuno a seguire con fedeltà il divino Maestro. Saluto i ragazzi della Valcamonica, i Decanati di Lecco, Bollate e Villoresi, le comunità parrocchiali di Pontoglio e di Contrada, i liceali di Napoli e gli studenti di Marcianise. Accolgo con gioia il pellegrinaggio dei preadolescenti dell’Arcidiocesi di Milano: cari ragazzi, vi auguro di vivere in pienezza il messaggio pasquale, sempre fedeli al vostro Battesimo e testimoni gioiosi di Cristo morto e risorto per noi.

La prossima domenica celebriamo la Misericordia di Dio, è la Domenica della Misericordia. Il Signore mai smette di essere misericordioso: pensiamo alla Misericordia di Dio che sempre ci accoglie, sempre ci accompagna, mai ci lascia da soli.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Vi invito a vivere questo tempo pasquale con lo sguardo rivolto al Cristo Risorto, che si è immolato per noi e per la nostra salvezza.

E perseveriamo nella preghiera per la martoriata Ucraina. Preghiamo per quanto soffre l’Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



[Modificato da Caterina63 12/04/2023 11:28]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)