00 19/04/2023 17:12

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 19 aprile 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente11. Testimoni: i martiri

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Parlando dell’evangelizzazione e parlando dello zelo apostolico, dopo aver considerato la testimonianza di San Paolo, vero “campione” di zelo apostolico, oggi il nostro sguardo si rivolge non a una figura singola, ma alla schiera dei martiri, uomini e donne di ogni età, lingua e nazione che hanno dato la vita per Cristo, che hanno versato il sangue per confessare Cristo. Dopo la generazione degli Apostoli, sono stati loro, per eccellenza, i “testimoni” del Vangelo. I martiri: il primo fu il diacono Santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme. La parola “martirio” deriva dal greco martyria, che significa proprio testimonianza. Un martire è un testimone, uno che dà testimonianza fino a versare il sangue. Tuttavia, ben presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue [1]. Cioè, dapprima la parola martira indicava la testimonianza resa tutti i giorni, in seguito si è usata per indicare colui che dà la vita con l’effusione.

I martiri, però, non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa. In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente alla celebrazione dell’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la loro vita sulla base di quel mistero d’amore: cioè sul fatto che il Signore Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli. Una grande generosità, il cammino di testimonianza cristiana. Sant’Agostino sottolinea spesso questa dinamica di gratitudine e di gratuito contraccambio del dono. Ecco ad esempio ciò che egli predicava in occasione della festa di San Lorenzo: «San Lorenzo era diacono della Chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: “Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte» (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397). Così Sant’Agostino spiegava il dinamismo spirituale che animava i martiri. Con queste parole: i martiri amano Cristo nella sua vita e lo imitano nella sua morte.

Oggi, cari fratelli e sorelle, ricordiamo tutti i martiri che hanno accompagnato la vita della Chiesa. Essi, come ho già detto tante volte, sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli. Oggi ci sono tanti martiri nella Chiesa, tanti, perché per confessare la fede cristiana sono cacciati via dalla società o vanno in carcere … Sono tanti. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che «il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità» (Cost. Lumen gentium, 42). I martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini. Interessante, questo: i martiri perdonano sempre gli aguzzini. Stefano, il primo martire, morì pregando: “Signore, perdona loro, non sanno cosa fanno”. I martiri pregano per gli aguzzini.

Sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, «tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (ibid., 42). Ma, questa delle persecuzioni è cosa di allora? No, no: oggi. Oggi ci sono delle persecuzioni per i cristiani nel mondo, tanti, tanti. Sono più i martiri di oggi che quelli dei primi tempi. I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù.

E vorrei concludere ricordando la testimonianza cristiana presente in ogni angolo del mondo. Penso, ad esempio, allo Yemen, una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata, che ha fatto tanti morti e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini. Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle suore Missionarie della Carità, che hanno dato la vita lì. Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini. Nel luglio 1998 Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane. Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. Sono i martiri del nostro tempo. Tra questi laici uccisi, oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore. Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri.

Preghiamo dunque, perché non ci stanchiamo di dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione. Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).

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[1] Origene, In Johannem, II, 210: «Chiunque rende testimonianza alla verità, sia a parole, sia con i fatti o adoperandosi in qualsiasi modo a favore di essa, si può chiamare a buon diritto testimone. Ma il nome di testimone ( martyres) in senso proprio, la comunità dei fratelli, colpiti dalla forza d’animo di coloro che lottarono per la verità o la virtù fino alla morte, ha preso la consuetudine di riservarlo a quelli che hanno reso testimonianza al mistero della vera religione con l’effusione del sangue».

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli delle parrocchie di Perugia, di San Ferdinando in Bari e di San Gaspare del Bufalo in Roma. Saluto la Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto, gli alunni dell’Istituto Giovanni Paolo II di Maratea e quelli dell’Istituto Miraglia di Lauria.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. A tutti rivolgo il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

E perseveriamo nella vicinanza e nella preghiera per la cara e martoriata Ucraina, che continua a sopportare terribili sofferenze.

A tutti la mia benedizione.




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 aprile 2023

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La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 12. Testimoni: il monachesimo e la forza dell’intercessione. Gregorio di Narek

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le catechesi sui testimoni dello zelo apostolico. Siamo partiti da San Paolo e la volta scorsa abbiamo guardato i martiri, che annunciano Gesù con la vita, fino a donarla per Lui e per il Vangelo. Ma c’è un’altra grande testimonianza che attraversa la storia della fede: quella delle monache e dei monaci, sorelle e fratelli che rinunciano a sé, rinunciano al mondo per imitare Gesù sulla via della povertà, della castità e dell’obbedienza e per intercedere a favore di tutti. Le loro vite parlano da sé, ma noi potremmo chiederci: come può della gente che vive in monastero aiutare l’annuncio del Vangelo? Non farebbero meglio a impiegare le loro energie nella missione? Uscendo dal monastero e predicando il Vangelo fuori dal monastero? In realtà, i monaci sono il cuore pulsante dell’annuncio, la loro preghiera è ossigeno per tutte le membra del Corpo di Cristo, la preghiera loro è la forza invisibile che sostiene la missione. Non a caso la patrona delle missioni è una monaca, Santa Teresa di Gesù Bambino. Ascoltiamo come scoprì la sua vocazione, scrisse così: «Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunciato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni […]. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore» (Manoscritto autobiografico “B”, 8 settembre 1896). I contemplativi, i monaci, le monache: gente che prega, lavora, prega in silenzio, per tutta la Chiesa. E questo è l’amore: è l’amore che si esprime pregando per la Chiesa, lavorando per la Chiesa, nei monasteri.

Questo amore per tutti anima la vita dei monaci e si traduce nella loro preghiera di intercessione. A questo proposito vorrei portarvi come esempio San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa. È un monaco armeno, vissuto attorno all’anno Mille, che ci ha lasciato un libro di preghiere, nel quale si è riversata la fede del popolo armeno, il primo ad abbracciare il cristianesimo; un popolo che, stretto alla croce di Cristo, ha tanto sofferto lungo la storia. E San Gregorio trascorse nel monastero di Narek quasi tutta la vita. Lì imparò a scrutare le profondità dell’animo umano e, fondendo insieme poesia e preghiera, segnò il vertice sia della letteratura sia della spiritualità armena. L’aspetto che in lui più colpisce è proprio la solidarietà universale di cui è interprete. E fra i monaci e le monache c’è una solidarietà universale: qualsiasi cosa succede nel mondo, trova posto nel loro cuore e pregano. Il cuore dei monaci e delle monache è un cuore che prende come un’antenna, prende cosa succede nel mondo e prega e intercede per questo. E così vivono in unione con il Signore e con tutti. E San Gregorio di Narek scrive: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti». (Libro delle Lamentazioni, 72). E come ha fatto Gesù i monaci prendono su di loro i problemi del mondo, le difficolta, le malattie, tante cose e pregano per gli altri. E questi sono i grandi evangelizzatori. I monasteri come mai vivono chiusi ed evangelizzano? Perché con la parola, l’esempio, l’intercessione e il lavoro quotidiano, i monaci sono un ponte di intercessione per tutte le persone e per i peccati. Loro piangono anche con le lacrime, piangono per i loro peccati – tutti siamo peccatori – e anche piangono per i peccati del mondo, e pregano e intercedono con le mani e il cuore in alto. Pensiamo un po' a questa – mi permetto la parola – “riserva” che noi abbiamo nella Chiesa: sono la vera forza, la vera forza che porta avanti il popolo di Dio e da qui viene l’abitudine che ha la gente – il popolo di Dio – quando incontra un consacrato, una consacrata di dire: “Prega per me, prega per me”, perché sai che c’è una preghiera d’intercessione. Ci farà bene - nella misura che noi possiamo - visitare qualche monastero, perché lì si prega e si lavora. Ognuno ha la propria regola, ma lì hanno le mani sempre occupate: occupate con il lavoro, occupate con la preghiera. Che il Signore ci dia nuovi monasteri, ci dia monaci e monache che portino avanti la Chiesa con la loro intercessione. Grazie.

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Saluti

[Sono lieto di salutare i pellegrini croati, in particolare i membri dell’Accademia Militare Croata di Zagabria, come pure gli ufficiali dell’Ordinariato Militare accompagnati dal loro Vescovo. Cari amici, il tempo pasquale che stiamo percorrendo è il momento proficuo della speranza cristiana; vi incoraggio a portarla a tutti perché possano vedere in voi i veri testimoni del Cristo Risorto, che vince sempre ogni male e dona la Sua pace a coloro che la cercano con cuore sincero. Imparto a tutti voi e alle vostre famiglie la mia Benedizione. Siano lodati Gesù e Maria!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore Oblate Ospitaliere Francescane che celebrano il Capitolo Generale; il Movimento Shalom della Diocesi di San Miniato; l’Associazione “Pietro Rossano”, con il Vescovo di Alba; i cresimati della Diocesi di Treviso, accompagnati dal loro Vescovo, incoraggiando ciascuno ad essere gioioso testimone di Cristo tra i coetanei. Capito? Gioiosi testimoni di Cristo tra i coetanei.

Saluto con affetto i militari della Brigata Pozzuolo del Friuli e li ringrazio per il loro generoso servizio nei dintorni della Città del Vaticano, come pure per il dono dell’artistico mosaico. Sono lieto di accogliere i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Salesiane dei Sacri Cuori nel ricordo del Centenario della morte di San Filippo Smaldone. L’incisiva azione pastorale in campo ecclesiale e civile di questo Santo, vi aiuti a perseverare nella testimonianza di fede e di adesione ai valori del Vangelo.

Infine un pensiero, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli, ispirato all’apparizione di Cristo ai due “discepoli di Emmaus” (cfr Lc 24, 13-35). Sappiate incontrare Gesù nella preghiera e nella riflessione, e il vostro cuore, come avvenne per i viandanti di Emmaus, arderà per i desideri, gli entusiasmi e le certezze che solo il divino Maestro sa suggerire.

E fratelli e sorelle, non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 3 maggio 2023

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CatechesiIl Viaggio in Ungheria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tre giorni fa sono rientrato dal viaggio in Ungheria. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno preparato e accompagnato questa visita con la preghiera, e rinnovare la mia riconoscenza alle Autorità, alla Chiesa locale e al popolo ungherese, un popolo coraggioso e ricco di memoria. Durante la mia permanenza a Budapest ho potuto avvertire l’affetto di tutti gli ungheresi. Oggi vorrei parlarvi di questa visita attraverso due immagini: le radici e i ponti.

Le radici. Mi sono recato pellegrino presso un popolo la cui storia – come disse San Giovanni Paolo II – è stata segnata da «molti santi ed eroi, attorniati da schiere di gente umile e laboriosa» (Discorso in occasione della cerimonia di benvenuto, Budapest, 6 settembre 1996). È proprio vero: ho visto tanta gente semplice e laboriosa custodire con fierezza il legame con le proprie radici. E tra queste radici, come hanno evidenziato le testimonianze durante gli incontri con la Chiesa locale e con i giovani, ci sono anzitutto i santi: santi che hanno dato la vita per il popolo, santi che hanno testimoniato il Vangelo dell’amore e che sono stati luci nei momenti di buio; tanti santi del passato che oggi esortano a superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro. I santi ci ricordano questo: Cristo è il nostro futuro.

Le solide radici cristiane del popolo ungherese sono state però messe alla prova. La loro fede è stata provata al fuoco. Durante la persecuzione ateista del ‘900, infatti, i cristiani sono stati colpiti violentemente, con Vescovi, preti, religiosi e laici uccisi o privati della libertà. E mentre si tentava di tagliare l’albero della fede, le radici sono rimaste intatte: è restata una Chiesa nascosta, ma viva, forte, con la forza del Vangelo. E in Ungheria questa ultima persecuzione, oppressione comunista era stata preceduta da quella nazista, con la tragica deportazione di tanta popolazione ebraica. Ma in quell’atroce genocidio tanti si distinsero per la resistenza e la capacità di proteggere le vittime, e questo fu possibile perché le radici del vivere insieme erano salde. Noi a Roma abbiamo una brava poetessa ungherese che ha passato tutte queste prove e racconta ai giovani il bisogno di lottare per un ideale, per non essere vinti dalle persecuzioni, dallo scoramento. Questa poetessa oggi fa 92 anni: tanti auguri, Edith Bruck!

Ma anche oggi, come emerso negli incontri con i giovani e con il mondo della cultura, la libertà è minacciata. Come? Soprattutto con i guanti bianchi, da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si “galleggia” in un presente fatto a misura d’individuo. Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità, portata avanti dal consumismo. Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano. È un problema che riguarda l’Europa intera, dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, sentire la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi. L’Europa intera è in crisi. Riflettiamo allora sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti. Ognuno di noi può chiedersi, anche come popolo, ognuno di noi: quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?

Dopo le radici ecco la seconda immagine: i ponti. Budapest, nata 150 anni fa dall’unione di tre città, è celebre per i ponti che la attraversano e ne uniscono le parti. Ciò ha richiamato, specialmente negli incontri con le Autorità, l’importanza di costruire ponti di pace tra popoli diversi. È, in particolare, la vocazione dell’Europa, chiamata, quale “pontiere di pace”, a includere le differenze e ad accogliere chi bussa alle sue porte. Bello, in questo senso, il ponte umanitario creato per tanti rifugiati dalla vicina Ucraina, che ho potuto incontrare, ammirando anche la grande rete di carità della Chiesa ungherese.

Il Paese è poi molto impegnato nel costruire “ponti per il domani”: è grande la sua attenzione per la cura ecologica – e questa è una cosa molto, molto bella dell’Ungheria – la cura ecologica e per un futuro sostenibile, e si lavora per edificare ponti tra le generazioni, tra gli anziani e i giovani, sfida oggi irrinunciabile per tutti. Ci sono inoltre ponti che la Chiesa, come emerso nell’apposito incontro, è chiamata a tendere verso l’uomo d’oggi, perché l’annuncio di Cristo non può consistere solo nella ripetizione del passato, ma ha sempre bisogno di essere aggiornato, così da aiutare le donne e gli uomini del nostro tempo a riscoprire Gesù. E, infine, ricordando con gratitudine i bei momenti liturgici, la preghiera con la comunità greco-cattolica e la solenne Celebrazione eucaristica tanto partecipata, penso alla bellezza di creare ponti tra i credenti: domenica a Messa erano presenti cristiani di vari riti e Paesi, e di diverse confessioni, che in Ungheria lavorano bene insieme. Costruire ponti, ponti di armonia e ponti di unità.

Mi ha colpito, in questa visita, l’importanza della musica, che è un tratto caratteristico della cultura ungherese.

Mi piace infine ricordare, all’inizio del mese di maggio, che gli Ungheresi sono molto devoti alla Santa Madre di Dio. Consacrati a lei dal primo re, santo Stefano, per rispetto erano soliti rivolgersi a lei senza pronunciarne il nome, chiamandola solo con i titoli della regina. Alla Regina d’Ungheria affidiamo dunque quel caro Paese, alla Regina della pace affidiamo la costruzione di ponti nel mondo, alla Regina del cielo, che acclamiamo in questo tempo pasquale, affidiamo i nostri cuori perché siano radicati nell’amore di Dio.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi e in modo particolare i superiori e gli alunni del Seminario Maggiore della Diocesi di Tarnów, venuti in pellegrinaggio con loro Vescovo. Oggi, nella solennità di Maria Regina di Polonia, ricordo il mio viaggio apostolico e gli indimenticabili incontri con gli ungheresi, con i quali avete legami così stretti da chiamarli popolarmente cugini. È significativo che entrambi i Paesi abbiano proclamato Maria la loro Regina. Invocate la sua intercessione per i vostri Paesi e per l'intera Europa, chiedendo la perseveranza nella fede, l'unità e la cooperazione armoniosa, ma prima di tutto la pace, specialmente nella vicina Ucraina. Vi benedico di cuore.]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al Seminario promosso dall’Università della Santa Croce, la Confraternita del Beato Angelo da Furci, le parrocchie di Carditello, San Severino Lucano e Teverola. Saluto poi le religiose e i religiosi presenti, incoraggiandoli a vivere con gioia la loro consacrazione al Signore e il servizio ai fratelli.

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questo mese di maggio da poco iniziato, vi invito a rinnovare la devozione alla Madonna. Vi incoraggio a conoscere più profondamente Maria, a entrare in intimità con lei, per accoglierla come Madre spirituale e modello di fedeltà a Cristo.

A Lei, Madre di consolazione e Regina della pace, affido la martoriata popolazione ucraina.

A tutti voi la mia benedizione.


[Modificato da Caterina63 03/05/2023 11:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)