00 13/09/2023 17:28


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 13 settembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 20. Il Beato José Gregorio Hernández Cisneros, medico dei poveri e apostolo di pace

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nelle nostre catechesi, continuiamo a incontrare dei testimoni appassionati dell’annuncio del Vangelo. Ricordiamo che questa è una serie di catechesi sullo zelo apostolico, sulla volontà e anche l’ardore interiore per portare avanti il Vangelo. Oggi andiamo in America Latina, precisamente in Venezuela, per conoscere la figura di un laico, il Beato José Gregorio Hernández Cisneros. Nacque nel 1864 e apprese la fede soprattutto dalla madre, come raccontò: «Mia madre mi ha insegnato la virtù fin dalla culla, mi ha fatto crescere nella conoscenza di Dio e mi ha dato per guida la carità». Siamo attenti: sono le mamme a trasmettere la fede. La fede si trasmette in dialetto, cioè con il linguaggio delle mamme, quel dialetto che le mamme sanno parlare con i figli. E a voi mamme: state attente nel trasmettere la fede in quel dialetto materno.

Veramente la carità fu la stella polare che orientò l’esistenza del Beato José Gregorio: persona buona e solare, dal carattere lieto, era dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato. Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come “il medico dei poveri”. Accudiva i poveri, sempre. Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi. Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama “santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”. Bei nomi: “Santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”.

José Gregorio era un uomo umile, un uomo gentile e disponibile. E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo. Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono. La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale. Ecco lo zelo apostolico: non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio. E così il Beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio. Arrivò così – per questa strada interiore - ad accogliere la medicina come un sacerdozio: «il sacerdozio del dolore umano» (M. Yaber, José Gregorio Hernández: Médico de los Pobres, Apóstol de la Justicia Social, Misionero de las Esperanzas, 2004, 107). Quanto è importante non subire passivamente le cose, ma, come dice la Scrittura, fare ogni cosa di buon animo, per servire il Signore (cfr Col 3,23).

Ma chiediamoci: da dove veniva a José Gregorio tutto questo entusiasmo, tutto questo zelo? Venivada una certezza e da una forzaLa certezza era la grazia di Dio. Egli scrisse che «se nel mondo ci sono buoni e cattivi, i cattivi ci sono perché loro stessi son diventati cattivi: ma i buoni sono tali con l’aiuto di Dio» (27 maggio 1914). E Lui per primo si sentiva bisognoso di grazia, che mendicava sulle strade e aveva estremo bisogno dell’amore. Ed ecco la forza a cui attingeva: l’intimità con Dio. Era un uomo di preghiera - c’è la grazia di Dio e l’intimità con il Signore - era un uomo di preghiera che partecipava alla Messa.

E a contatto con Gesù, che si offre sull’altare per tutti, José Gregorio si sentì chiamato a offrire la sua vita per la pace. Il primo conflitto mondiale era in corso. Arriviamo così al 29 giugno 1919: un amico gli fa visita e lo trova molto felice. José Gregorio ha infatti saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra. La sua offerta è stata accolta, ed è come se lui presagisca che il suo compito in terra sia terminato. Quella mattina, come al solito, era stato a Messa e ora scende in strada per portare una medicina a un malato. Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna. Il suo cammino terreno si conclude così, su una strada mentre compie un’opera di misericordia, e in un ospedale, dove aveva fatto del suo lavoro un capolavoro come medico.

Fratelli, sorelle, al cospetto di questo testimone chiediamoci: io, davanti a Dio presente nei poveri vicino a me, di fronte a chi nel mondo più soffre, come reagisco? E l’esempio di José Gregorio come tocca a me? Lui ci stimola all’impegno dinanzi alle grandi questioni sociali, economiche e politiche di oggi. Tanti ne parlano, tanti ne sparlano, tanti criticano e dicono che va tutto male. Ma il cristiano non è chiamato a questo, bensì a occuparsene, a sporcarsi le mani: anzitutto, come ci ha detto San Paolo, a pregare (cfr 1 Tm 2,1-4), e poi a impegnarsi non in chiacchiere - il chiacchiericcio è una peste - ma a promuovere il bene e a costruire la pace e la giustizia nella verità. Anche questo è zelo apostolico, è annuncio del Vangelo, e questo è beatitudine cristiana: «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Andiamo avanti sulla strada del Beato Gregorio: un laico, un medico, un uomo di lavoro quotidiano che lo zelo apostolico ha spinto a vivere facendo la carità durante tutta la vita.

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Saluti

Pozdrawiam serdecznie Polaków, a w szczególny sposób arcybiskupa Adama Szala, który wraz z delegacją przywiózł do Rzymu relikwie nowych błogosławionych męczenników: Józefa i Wiktorii Ulmów i ich siedmiorga dzieci. Niech ta Rodzina Błogosławionych będzie dla was i dla polskich rodzin wzorem pobożności do Najświętszego Serca Pana Jezusa, którego obraz, jaki dzisiaj pobłogosławię, będziecie czcili w czasie peregrynacji w waszej archidiecezji. Wszystkim wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i Polacchi e in modo particolare l'arcivescovo Adam Szal, che con una delegazione ha portato a Roma le reliquie dei nuovi martiri beati: Giuseppe e Wiktoria Ulma e i loro sette figli. Possa questa Famiglia di Beati essere per voi e per le famiglie polacche un modello di devozione al Sacro Cuore di Gesù, la cui immagine, che oggi benedirò, porterete in pellegrinaggio nella vostra Arcidiocesi. A tutti la mia Benedizione.]

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APPELLO

Il mio pensiero va alle popolazioni della Libia, duramente colpite da violente piogge, che hanno provocato allagamenti e inondazioni, causando numerosi morti e feriti, come anche ingenti danni. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per quanti hanno perso la vita, per i loro familiari e per gli sfollati. Non manchi la nostra solidarietà verso questi fratelli e sorelle, provati da così devastante calamità. E il mio pensiero va ancora al nobile popolo marocchino che ha sofferto queste scosse della terra, questi terremoti. Preghiamo per il Marocco, preghiamo per gli abitanti. Che il Signore dia loro la forza di riprendersi dopo questo terribile “agguato” che è passato sulla loro terra.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Suore Serve dei Poveri, auspicando che il Capitolo generale rinnovi il loro slancio apostolico al servizio del Vangelo.

Sono lieto di accogliere il Gruppo AVIS di Vallecorsa, il Gruppo volontariato Love Bridges, i militari di Motta di Lavenza e di Portogruaro: incoraggio ciascuno nelle rispettive attività al servizio del prossimo.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Domani la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Non stanchiamoci di essere fedeli alla Croce di Cristo, segno di amore e di salvezza.

E per favore, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per la pace nel mondo, specialmente nella martoriata Ucraina, le cui sofferenze sono sempre presenti alla nostra mente e al nostro cuore.

A tutti voi la mia Benedizione.





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 settembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 21. San Daniele Comboni, apostolo per l’Africa e profeta della missione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sulla passione evangelizzatrice, cioè lo zelo apostolico, oggi ci soffermiamo oggi sulla testimonianza di San Daniele Comboni. Egli è stato un apostolo pieno di zelo per l’Africa. Di quei popoli scrisse: «si sono impadroniti del mio cuore che vive soltanto per loro» (Scritti, 941), «morirò con l’Africa sulle mie labbra» (Scritti, 1441). È bello! … E a loro si rivolse così: «il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi» (Scritti, 3159). Questa è l’espressione di una persona innamorata di Dio e dei fratelli che serviva in missione, a proposito dei quali non si stancava di ricordare che «Gesù Cristo patì e morì anche per loro» (Scritti, 2499; 4801).

Lo affermava in un contesto caratterizzato dall’orrore della schiavitù, di cui era testimone. La schiavitù “cosifica” l’uomo, il cui valore si riduce all’essere utile a qualcuno o a qualcosa. Ma Gesù, Dio fatto uomo, ha elevato la dignità di ogni essere umano e ha smascherato la falsità di ogni schiavitù. Comboni, alla luce di Cristo, prese consapevolezza del male della schiavitù; capì, inoltre, che la schiavitù sociale si radica in una schiavitù più profonda, quella del cuore, quella del peccato, dalla quale il Signore ci libera. Da cristiani, dunque, siamo chiamati a combattere contro ogni forma di schiavitù. Purtroppo, però, la schiavitù, così come il colonialismo, non è un ricordo del passato, purtroppo. Nell’Africa tanto amata da Comboni, oggi dilaniata da molti conflitti, «dopo quello politico, si è scatenato (…) un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante (…). È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca». Rinnovo dunque il mio appello: «Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare» (Incontro con le Autorità, Kinshasa, 31 gennaio 2023).

E torniamo alla vicenda di San Daniele. Trascorso un primo periodo in Africa, dovette lasciare la missione per motivi di salute. Troppi missionari erano morti dopo aver contratto malattie, complice la poca conoscenza della realtà locale. Tuttavia, se altri abbandonavano l’Africa, non così Comboni. Dopo un tempo di discernimento, avvertì che il Signore gli ispirava una nuova via di evangelizzazione, che lui sintetizzò in queste parole: «Salvare l’Africa con l’Africa» (Scritti, 2741s). È un’intuizione potente, niente di colonialismo, in questo: è un’intuizione potente che contribuì a rinnovare l’impegno missionario: le persone evangelizzate non erano solo “oggetti”, ma “soggetti” della missione. E San Daniele Comboni desiderava rendere tutti i cristiani protagonisti dell’azione evangelizzatrice. E con quest’animo pensò e agì in modo integrale, coinvolgendo il clero locale e promuovendo il servizio laicale dei catechisti. I catechisti sono un tesoro della Chiesa: i catechisti sono coloro che vanno avanti nell’evangelizzazione. Concepì così anche lo sviluppo umano, curando le arti e le professioni, favorendo il ruolo della famiglia e della donna nella trasformazione della cultura e della società. E quanto è importante, anche oggi, far progredire la fede e lo sviluppo umano dall’interno dei contesti di missione, anziché trapiantarvi modelli esterni o limitarsi a uno sterile assistenzialismo! Né modelli esterni né assistenzialismo. Prendere dalla cultura dei popoli la strada per fare l’evangelizzazione. Evangelizzare la cultura e inculturare il Vangelo: vanno insieme.

La grande passione missionaria di Comboni, tuttavia, non è stata principalmente frutto di impegno umano: egli non fu spinto dal suo coraggio o motivato solo da valori importanti, come la libertà, la giustizia e la pace; il suo zelo è nato dalla gioia del Vangelo, attingeva all’amore di Cristo e portava all’amore per Cristo! San Daniele scrisse: «Una missione così ardua e laboriosa come la nostra non può vivere di patina, di soggetti dal collo storto pieni di egoismo e di sé stessi, che non curano come si deve la salute e conversione delle anime». Questo è il dramma del clericalismo, che porta i cristiani, anche i laici, a clericalizzarsi e a trasformarli – come dice qui – in soggetti dal collo storto pieni di egoismo. Questa è la peste del clericalismo. E aggiunse: «bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio, e dall’amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti e il martirio» (Scritti, 6656). Il suo desiderio era quello di vedere missionari ardenti, gioiosi, impegnati: missionari – scrisse – «santi e capaci. […] Primo: santi, cioè alieni dal peccato e umili. Ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti» (Scritti, 6655). La fonte della capacità missionaria, per Comboni, è dunque la carità, in particolare lo zelo nel fare proprie le sofferenze altrui.

La sua passione evangelizzatrice, inoltre, non lo portò mai ad agire da solista, ma sempre in comunione, nella Chiesa. «Io non ho che la vita da consacrare alla salute di quelle anime – scrisse – ne vorrei avere mille per consumarle a tale scopo» (Scritti, 2271).

Fratelli e sorelle, San Daniele testimonia l’amore del buon Pastore, che va a cercare chi è perduto e dà la vita per il gregge. Il suo zelo è stato energico e profetico nell’opporsi all’indifferenza e all’esclusione. Nelle lettere richiamava accoratamente la sua amata Chiesa, che per troppo tempo aveva dimenticato l’Africa. Il sogno di Comboni è una Chiesa che fa causa comune con i crocifissi della storia, per sperimentare con loro la risurrezione. Io, in questo momento, vi do un suggerimento. Pensate ai crocifissi della storia di oggi: uomini, donne, bambini, vecchi che sono crocifissi da storie di ingiustizia e di dominazione. Pensiamo a loro e preghiamo. La sua testimonianza sembra ripetere a tutti noi, uomini e donne di Chiesa: “Non dimenticate i poveri, amateli, perché in loro è presente Gesù crocifisso, in attesa di risorgere”. Non dimenticate i poveri: prima di venire qui, ho avuto una riunione con legislatori brasiliani che lavorano per i poveri, che cercano di promuovere i poveri con l’assistenza e la giustizia sociale. E loro non dimenticano i poveri: lavorano per i poveri. A voi dico: non dimenticatevi dei poveri, perché saranno loro ad aprirvi la porta del Cielo.

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Missionari della fede e le Missionarie della Società di Maria, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: su di voi invoco la continua protezione di Dio e della Vergine Santa per un sempre più fecondo servizio al Vangelo e alla Chiesa. Saluto i partecipanti al Corso di aggiornamento teologico promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, come pure gli studenti del Pontificio Collegio Messicano e del Collegio internazionale Maria Mater Ecclesiae. Auguro a ciascuno un sereno e proficuo periodo di formazione a Roma.

Sono lieto di accogliere i fedeli della parrocchia di San Pietro Apostolo in Modugno, che incoraggio ad essere pietre vive della comunità, e l’Associazione Emiliano-Romagnola “Centri Autonomi”.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria di Sant’Andrea Kim, Paolo Chông e compagni martiri coreani. Il loro eroico esempio sia per tutti voi fonte di sostegno nel compiere scelte impegnative e sia di conforto nei momenti difficili.

E oggi vi esorto anche a rivolgere un pensiero al Presidente Napolitano, che è in condizione grave di salute: che lui abbia conforto, questo servitore della Patria.

Restiamo uniti nella vicinanza e nella preghiera per la cara e martoriata Ucraina. A tutti voi la mia Benedizione.




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 ottobre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 22. Santa Giuseppina Bakhita: testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico – stiamo riflettendo sullo zelo apostolico –, oggi ci lasciamo ispirare dalla testimonianza di Santa Giuseppina Bakhita, una santa sudanese. Purtroppo da mesi il Sudan è lacerato da un terribile conflitto armato di cui oggi si parla poco; preghiamo per il popolo sudanese, perché possa vivere in pace! Ma la fama di Santa Bakhita ha superato ogni confine e ha raggiunto tutti coloro a cui viene rifiutata identità e dignità.

Nata in Darfur – il martoriato Darfur! – nel 1869, è stata rapita dalla sua famiglia all’età di sette anni e fatta schiava. I suoi rapitori la chiamarono “Bakhita”, che significa “fortunata”. È passata attraverso otto padroni – uno vendeva all’altro ... Le sofferenze fisiche e morali di cui è stata vittima da piccola l’hanno lasciata senza identità. Ha subito cattiverie e violenze: sul suo corpo portava più di cento cicatrici. Ma lei stessa ha testimoniato: “Da schiava non mi sono mai disperata, perché sentivo una forza misteriosa che mi sosteneva”.

Davanti a questo io mi domando: qual è il segreto di Santa Bakhita? Sappiamo che spesso la persona ferita ferisce a sua volta; l’oppresso diventa facilmente un oppressore. Invece, la vocazione degli oppressi è quella di liberare sé stessi e gli oppressori diventando restauratori di umanità. Solo nella debolezza degli oppressi si può rivelare la forza dell’amore di Dio che libera entrambi. Santa Bakhita esprime benissimo questa verità. Un giorno il suo tutore le regala un piccolo crocifisso, e lei, che non aveva mai posseduto nulla, lo conserva come un tesoro geloso. Guardandolo sperimenta una liberazione interiore perché si sente compresa e amata e quindi capace di comprendere e amare: questo è l’inizio. Si sente compresa, si sente amata di conseguenza capace di comprendere e amare gli altri. Infatti lei dirà: “L’amore di Dio mi ha sempre accompagnato in modo misterioso… Il Signore mi ha voluto tanto bene: bisogna voler bene a tutti… Bisogna compatire!”. Questa è l’anima di Bakhita. Davvero, com-patire significa sia patire con le vittime di tanta disumanità presente nel mondo, e anche compatire chi commette errori e ingiustizie, non giustificando, ma umanizzando. Questa è la carezza che lei ci insegna: umanizzare. Quando entriamo nella logica della lotta, della divisione tra noi, dei sentimenti cattivi, uno contro l’altro, perdiamo umanità. E tante volte pensiamo che abbiamo bisogno di umanità, di essere più umani. E questo è il lavoro che ci insegna Santa Bakhita: umanizzare, umanizzare noi stessi e umanizzare gli altri.

Santa Bakhita, diventata cristiana, viene trasformata dalle parole di Cristo che meditava quotidianamente: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Per questo diceva: “Se Giuda avesse chiesto perdono a Gesù anche lui avrebbe trovato misericordia”. Possiamo dire che la vita di Santa Bakhita è diventata una parabola esistenziale del perdono. Che bello dire di una persona “è stato capace, è stata capace di perdonare sempre”. E lei è stata capace di farlo sempre, anzi: la sua vita è una parabola esistenziale del perdono. Perdonare perché poi noi saremo perdonati. Non dimenticare questo: il perdono, che è la carezza di Dio a tutti noi.

Il perdono l’ha resa libera. Il perdono prima ricevuto attraverso l’amore misericordioso di Dio, e poi il perdono dato l’ha resa una donna libera, gioiosa, capace di amare.

Bakhita ha potuto vivere il servizio non come una schiavitù, ma come espressione del dono libero di sé. E questo è molto importante: fatta serva volontariamente – è stata venduta come schiava – ha poi scelto liberamente di farsi serva, di portare sulle sue spalle i fardelli degli altri.

Santa Giuseppina Bakhita, con il suo esempio, ci indica la via per essere finalmente liberi dalle nostre schiavitù e paure. Ci aiuta a smascherare le nostre ipocrisie e i nostri egoismi, a superare risentimenti e conflittualità. E ci incoraggia sempre.

Cari fratelli e sorelle, il perdono non toglie nulla ma aggiunge – che cosa aggiunge, il perdono? – dignità: il perdono non ti toglie nulla ma aggiunge dignità alla persona, fa levare lo sguardo da se stessi verso gli altri, per vederli sì fragili quanto noi, ma sempre fratelli e sorelle nel Signore. Fratelli e sorelle, il perdono è sorgente di uno zelo che si fa misericordia e chiama a una santità umile e gioiosa, come quella di Santa Bakhita.

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Saluti

APPELLI

Continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite. Prego per quelle famiglie che hanno visto trasformare un giorno di festa in un giorno di lutto e chiedo che gli ostaggi vengano subito rilasciati. È diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove pure ci sono state molte vittime innocenti. Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità.

Rivolgo un pensiero speciale alla popolazione dell’Afghanistan, che sta soffrendo a seguito del devastante terremoto che l’ha colpita, provocando migliaia di vittime, tra cui molte donne e bambini, e di sfollati. Invito tutte le persone di buona volontà ad aiutare questo popolo già così tanto provato, contribuendo, in spirito di fraternità, ad alleviare le sofferenze della gente e a sostenere la necessaria ricostruzione.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, cominciando dai fedeli delle diocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino e di Montepulciano-Chiusi-Pienza, accompagnati dal Cardinale Paolo Lojudice: cari amici, grazie della vostra presenza! Vi incoraggio a seguire l’esempio di Santa Caterina e Sant’Agnese da Montepulciano, diventando protagonisti di bene nelle vostre comunità. Saluto altresì i numerosi gruppi parrocchiali, specialmente quelli di Volturino e di Gragnano: Si fanno sentire questi!

Accolgo con particolare affetto e riconoscenza le Associazioni Anziani di diverse località: non dimentichiamo che gli anziani sono un dono prezioso nella società; allo loro scuola si apprende la fede genuina e la sapienza della vita. Saluto il gruppo Area medica della pastorale della salute della diocesi di Roma, che si occupa delle malattie reumatiche; la Delegazione del Comune di Cervia, che ringrazio per il consueto dono del sale; gli Scout Agesci di Torremaggiore.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Vi invito a rivolgere il pensiero a Maria, invocata in questo mese di ottobre come Regina del Rosario. Per favore, perseverate insieme con Lei nella preghiera per quanti soffrono la fame, le ingiustizie e la guerra, specialmente per la cara e martoriata Ucraina. A tutti la mia Benedizione!


[Modificato da Caterina63 11/10/2023 18:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)