00 06/11/2012 15:15
Incontri con Maria

 
di MARIA DI LORENZO

Finanziere, eremita, presbitero
     

Servo di Dio Quintino Sicuro, «una vita silenziosa che grida al mondo intero il primato della fede».
  

Non è una storia molto comune, anzi è probabilmente unica, l’esperienza di vita vissuta dal vicebrigadiere Quintino Sicuro che abbandonò la giubba grigia della Guardia di finanza per vestire i panni del prete eremita. Qualcuno dei lettori forse arriccerà il naso. Un eremita, e per di più sacerdote? Appare come una contraddizione evidente. Ma nulla, in verità, nella vicenda di questa singolare figura, di cui è in corso da alcuni anni la causa di beatificazione, si presenta con i caratteri dell’ovvietà, della scontatezza.

Don Quintino riposa ora in un sarcofago di arenaria, scavato da lui stesso dentro la roccia, appena fuori dall’eremo in cui visse, sul Monte Fumaiolo. Ma il suo spirito è vivo, la sua testimonianza attrae ancora con la forza profetica di una vita, come la sua, interamente donata al Signore. Una vita silenziosa che grida al mondo intero, col suo stesso silenzio, il primato della fede.

L'eremo di sant'Alberico.
L’eremo di sant’Alberico.

L’incontro con Dio. La sua storia comincia da lontano, da un paese del Salento, Melissano, in provincia di Lecce. Lì Quintino Sicuro era nato, il 29 maggio 1920, quinto di cinque figli, da una famiglia di modesti agricoltori. All’età di 12 anni aveva espresso il desiderio di farsi frate, ma non era riuscito a superare l’esame di ammissione; così aveva deciso di frequentare l’Istituto tecnico industriale di Gallipoli. Nel 1939 s’era quindi arruolato nella Guardia di finanza.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale il giovane salentino partecipa alle operazioni belliche sul fronte greco-albanese, salvandosi miracolosamente dall’eccidio di Cefalonia; in seguito come partigiano prende parte alla guerra di liberazione nazionale. Viene catturato dai nazifascisti, ma riesce a evadere in maniera rocambolesca dal carcere e, travestito da prete, raggiunge in bicicletta l’Italia del Sud già liberata.

Dopo la guerra Quintino riprende regolarmente servizio nella Guardia di finanza. È un giovane coraggioso e volitivo, dal carattere esuberante e incline alle passioni, non molto dissimile da tanti giovani d’oggi. Gli piace vestire bene ed essere sempre alla moda, lasciandosi pure travolgere da alcune avventure sentimentali, finché non conosce Silvia, una giovane maestra, con cui si fidanza e fa progetti di matrimonio.

Ma c’era come un’inquietudine in fondo al suo cuore che non lo lasciava mai, un tarlo interiore che non gli dava pace. Poco alla volta comprende che la sua strada è un’altra e, a 27 anni, lascia la Guardia di finanza per entrare nel convento dei Frati minori di Ascoli Piceno.

Vi resta solo due anni. Nell’autunno del 1949 giunge all’eremo di san Francesco presso Montegallo. Si sente chiamato a essere solo con Dio, alla più completa solitudine, che solo la vita eremitica può dare. «Non importa se il mondo mi dice pazzo. Basta che piaccia all’Amore!», scriveva ai suoi familiari, costernati per la sua scelta così radicale e, all’apparenza, così "folle".

Don Quintino Sicuro.
Don Quintino Sicuro.

Da Montegallo, quattro anni dopo, si sposta verso il Monte Fumaiolo, prendendo in custodia l’eremo di sant’Alberico. Quintino si lega intimamente a questo luogo, che ricostruisce e consacra con il suo esempio, il suo apostolato silenzioso, le dure penitenze, la straordinaria carità.

Vi arriva nel 1954, quando l’eremo è solo un rudere abbandonato: in pochi anni lo rimette in piedi, pietra su pietra con le proprie mani, lavorando e cantando a squarciagola, con la sua voce forte e stonata, splendidi canti alla Madonna.

Così trasforma un luogo tanto remoto e desolato, dove non arrivava quasi un raggio di sole, in una oasi di pace e di serenità spirituale dove tutti avrebbero potuto ritemprare il proprio spirito e cercare, trovandolo, l’incontro con Dio. «È impossibile dire le grandi gioie che si gustano al servizio dell’Amore», scriveva. Adesso era veramente felice.

Il patto con Maria. «Mi darò tutto al mio Signore, dissi, ma tu, Madre celeste, non mi abbandonare. Mi sforzerò di salire, se tu mi darai una mano». Era una specie di patto, un’intesa segreta, fra lui e Maria. A lei, che amava profondamente, don Quintino avrebbe attribuito la grazia del suo sacerdozio. Ci pensava da molto tempo, ma oramai era molto avanti negli anni, e in più, non avendo fatto studi letterari, la sua cultura era piuttosto scarsa.

Si impegnò nello studio fino allo spasimo e il 30 novembre 1959 venne ordinato sacerdote. Per l’occasione volle recarsi a Lourdes per ringraziare la Madonna, facendo tutto il percorso a piedi.

In questo modo si realizzava la sua originale, duplice vocazione: di prete ed eremita. Tanti, giovani soprattutto o persone in ricerca, salivano fino al suo eremo per parlare con lui, per confessarsi e avere consigli. Don Quintino diventa un punto di riferimento per molti.

«Tutta la vita moderna – diceva – è un anelito verso Dio, anche se inconscio o non confessato o rinnegato. Il desiderio dell’uomo di oggi di conoscere il futuro, l’ansia di andare sempre più veloce, più lontano e più in alto, l’affanno di scoprire cose nuove, l’ossessione di rendere la vita sempre più comoda e l’aumentata insoddisfazione di tutto, per me sono la manifestazione dell’anelito, del bisogno che l’uomo ha di Dio; gli sforzi che fa, sono per raggiungerlo».

In divisa quando era vicebrigadiere della Guardia di finanza.
In divisa quando era vicebrigadiere della Guardia di finanza.

In quella freddissima gola del Monte Fumaiolo, a oltre mille metri di altezza dell’Appennino romagnolo, c’era un uomo che dalla mattina alla sera, nel silenzio del suo eremo, rendeva continuamente grazie a Dio. Un uomo che non dormiva su un materasso, ma sopra una dura tavola, avendo una pietra come cuscino, che viveva della carità degli altri e, spesso, masticava fili d’erba per placare i morsi della fame. Un uomo che nel suo eremo accoglieva tutti, peccatori e sbandati, e per ciascuno aveva una parola buona; che non sapeva disquisire di filosofia o teologia, però viveva il Vangelo.

Presto santo. La mattina del 26 dicembre 1968 don Quintino doveva celebrare una Messa al Monte Fumaiolo e benedire l’impianto della sciovia, che si inaugurava proprio quel giorno. Una macchina andò a prenderlo alle scalette di sant’Alberico, senonché la strada era tutta ghiacciata poiché durante la notte era nevicato. La vettura arrancava a fatica, e più di una volta i passeggeri furono costretti a scendere e a spingerla sulla strada lastricata di ghiaccio.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, don Quintino ebbe appena il tempo di caricarsi lo zaino sulle spalle che si accasciò improvvisamente a terra, stroncato da un infarto.

Il 1° novembre 1985 il vescovo di Cesena e Sarsina, mons. Luigi Amaducci, ne ha introdotto in sede diocesana la causa di beatificazione e canonizzazione, processo che si è concluso il 28 agosto 1991; quindi due anni dopo, nel 1993, gli atti processuali sono stati trasferiti a Roma, presso la Congregazione per le cause dei santi, in attesa di vederlo presto elevato, come si spera, all’onore degli altari.

Maria Di Lorenzo
  

Invito all’approfondimento:E. Ostolani, Il servo di Dio don Quintino Sicuro, Stilgraf 2005, senza indicazione pagine, sip; Associazioni "Amici di don Quintino" di Melissano, Sarsina e Montegallo (a cura di), Scritti del servo di Dio don Quintino Sicuro, Centro stampa piceno 2005, senza indicazione pagine, sip.
 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)