00 26/11/2008 23:38
Pellegrini alla tomba di Pietro. Come nell'antica Roma

Dieci metri sotto la basilica vaticana è possibile ripercorrere la stessa strada che conduceva alla sepoltura dell'apostolo, tra file di tombe romane uscite intatte dagli scavi. L'ultimo restauro è di pochi giorni fa. Una meraviglia di arte, di storia, di fede

di Sandro Magister



ROMA, 3 giugno 2008 – Immaginiamo che sia notte, come nella foto qui sopra. Stiamo percorrendo una stradina affiancata da tombe romane del II e III secolo dopo Cristo. Siamo sulle prime pendici del Colle Vaticano. A poca distanza c'è l'imponente obelisco che sorgeva al centro dello stadio di Caligola e Nerone. Lì fu martirizzato l'apostolo Pietro. E lungo questa stradina sorge il "trofeo" che segna il luogo in cui fu sepolto.

Proprio così. L'unica cosa inesatta è che non è notte. E quel cielo buio è il pavimento della basilica di San Pietro, sotto la quale stiamo camminando.

Quando nel IV secolo l'imperatore Costantino costruì la basilica, volle che il piano dell'abside poggiasse proprio sopra la tomba dell'apostolo. E per portare allo stesso livello anche la navata coprì di terra tutte le tombe che da quella di Pietro si susseguivano in leggera discesa in direzione del fiume Tevere. Nel Cinquecento, al posto della basilica costantiniana e a un livello più alto fu costruita una nuova basilica più grande, l'attuale. In ogni caso, per sedici secoli nessuno scavò sotto il pavimento della basilica.

Fu Pio XII, nel 1939, a dare il via all'esplorazione archeologica. E in pochi anni furono riportate alla luce non solo la tomba di Pietro, sotto l'altare maggiore della basilica, ma anche altre 22 tombe allineate lungo l'antica stradina, per un tratto di circa 70 metri, una decina di metri al di sotto della navata centrale della chiesa.

Nel 1998 le autorità vaticane ordinarono il restauro e la valorizzazione della necropoli scavata sotto la basilica di San Pietro.

L'ultima delle tombe restaurate è stata inaugurata pochi giorni fa, mercoledì 28 maggio. È la più grande e sontuosa tra quelle tornate alla luce. Fu edificata poco dopo la metà del II secolo, quando l'imperatore era Marco Aurelio, da un'importante famiglia romana, quella dei Valerii. Oltre alle statue di membri della famiglia, di filosofi e di divinità, spiccano la testa leggiadra di una fanciulla e quella in stucco dorato di un bambino col caratteristico ciuffo di Iside.

Le 22 tombe della necropoli sono quasi tutte pagane, con tracce di culti orientali. L'unica interamente cristiana è quella dei Iulii. Nella sua volta risplende un meraviglioso mosaico che raffigura Cristo come Sole ed Apollo, mentre ascende al cielo su una quadriga di cavalli bianchi, reggendo il globo terrestre nella mano sinistra. Alle pareti, si distinguono le immagini del Buon Pastore, di Giona inghiottito dal mostro marino e di un pescatore che getta tra le onde l'amo al quale un pesce abbocca mentre un altro fugge, simbolo delle anime che possono accogliere o rifiutare la salvezza.

Ciò che più impressiona, di questo sepolcreto, è che esso è quasi intatto. È com'era poco prima che Costantino lo interrasse. Percorrendolo, si ricalcano i passi degli antichi cittadini di Roma, ma anche di quei pellegrini che si recavano a pregare alla tomba dell'apostolo Pietro. La preistoria della basilica di San Pietro è nei mattoni, nei marmi, nelle statue, nelle scritte, nelle decorazioni di questa antica strada tra le tombe, fino al luogo della sepoltura del pescatore di Galilea divenuto apostolo di Cristo e morto martire nella capitale del più grande impero del mondo.

Risalito in superficie, nella basilica e nella piazza, il pellegrino vedrà che questo percorso dall'antica Roma al cristianesimo prosegue unitario. Il nuovo impero è quello del perdono di Gesù a tutti gli uomini, mediato dalla Chiesa. Dalla sommità della facciata della basilica di San Pietro, come da una tribuna, il Salvatore e i santi guardano l'ovale del nuovo circo disegnato dal colonnato del Bernini, con al centro lo stesso obelisco presso cui l'apostolo fu crocifisso. Circo aperto "urbi et orbi", alla città e al mondo intero.

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Il restauro della tomba dei Valerii è stato curato dalla Fabbrica di San Pietro e in particolare dal direttore dei lavori di conservazione della necropoli, Pietro Zander.

È durato dieci mesi ed è stato eseguito da Adele Cecchini e Franco Adamo, grandi specialisti in restauri di opere antiche, in Italia, in Egitto, a Gerusalemme.

Le spese sono state sostenute dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra fondata e presieduta da Hans-Albert Courtial, la stessa che organizza ogni autunno, a Roma, splendidi concerti di musica sacra nelle basiliche papali, con i Wiener Philarmoniker come ospiti fissi:

> Pro Musica e Arte Sacra

Grazie ai contributi suoi e di altri benefattori, la Fondazione ha consentito negli ultimi anni il restauro di importanti opere d'arte presenti nelle basiliche romane. Ultimato quello della tomba dei Valerii, gli interventi in corso riguardano il ciborio marmoreo dell'altare maggiore della basilica di San Paolo fuori le Mura, il coro ligneo della basilica di San Giovanni in Laterano e l'organo della chiesa di Sant'Ignazio di Loyola.

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La più affascinante guida illustrata alla necropoli sotto la basilica vaticana è la seguente:

Pietro Zander, "La Necropoli sotto la Basilica di San Pietro in Vaticano", Fabbrica di San Pietro ed Elio de Rosa editore, Roma, 2007, pp. 136.

Le visite guidate agli scavi si effettuano ogni giorno dalle ore 9 alle 18, ad esclusione della domenica e dei giorni festivi in Vaticano.

Per la particolare collocazione del sito nei sotterranei della basilica e per le sue ridotte dimensioni è consentito l’accesso agli scavi solo a un limitato numero di persone di età superiore ai quindici anni.

L’autorizzazione alla visita va richiesta alla Fabbrica di San Pietro per fax (+39.0669873017) o per e-mail (scavi@fsp.va), indicando il numero delle persone, la lingua, le date disponibili e un recapito per la risposta.

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> Focus su ARTE E MUSICA


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La Pontificia Commissione di Arte Sacra annuncia la scoperta nella catacomba di San Gennaro a Napoli di un'immagine dell'apostolo risalente al VI secolo
Sotto il segno
della "I"


di FABRIZIO BISCONTI

Mentre alcuni restauratori stavano provvedendo al monitoraggio delle decorazioni pittoriche del monumentale complesso catacombale napoletano di San Gennaro a Capodimonte, i responsabili preposti alla tutela delle catacombe cristiane d'Italia per la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra hanno avvistato una nuova figura presso un arcosolio situato in un'area della catacomba superiore. La tomba era già nota da tempo e se ne conosceva anche la decorazione ad affresco, che comportava la rappresentazione della defunta Cerula, come ricorda l'iscrizione dipinta, in atteggiamento di orante tra due codici aperti sulle cui pagine sono ricordati i nomi dei quattro evangelisti.

Ebbene, a sinistra dell'arcosolio, all'interno di una larga nicchia, è spuntata, con grande stupore degli addetti ai lavori, la possente immagine di Paolo, che acclama solennemente, con la mano destra levata, verso l'immagine della defunta. L'Apostolo delle genti mostra le caratteristiche fisionomiche tipiche e intense del filosofo, con incipiente calvizie, capelli e barba ricciuta assai scura, grandi occhi dallo sguardo languido e spirituale, collo lungo, incarnato rosato. Il vestiario comprende la tunica intima bianca e il pallio dorato, sul cui lembo spicca la gammadia "I", forse per alludere alla lettera iniziale di Iesus e, dunque, per dichiarare l'aderenza del pensiero paolino alla concezione cristologica.

Purtroppo, la parte corrispondente destra è andata perduta, ma i rari resti di affresco suggeriscono che qui doveva svilupparsi, in maniera speculare, una nicchia con figura di Pietro. Il restauro ha rivelato che l'affresco scoperto era parte di una megalografia, che interessava l'intera parete, organizzata in grandi riquadri definiti da larghe fasce color ocra; in basso, si sviluppa uno zoccolo in opus sectile, costituito da lastre geometriche di finto marmo; in alto si staglia una lunga tabula securiclata a fondo rosso anepigrafe. Nell'intradosso dell'arcosolio è riaffiorato un fitto serto di lauro, campito di staurogrammi e lettere apocalittiche.

L'importante scoperta ribadisce lo sfruttamento di quest'area della catacomba, riservata all'aristocrazia partenopea tra il V e il VI secolo. Queste nobili famiglie hanno fatto rappresentare i defunti, ricordando i loro nomi (Teotecnus, Hilaritas, Nonnosa, Proculus, Cominia, Nicatiola, Marta e Alexander) che definiscono le figure in gruppo, in busto, in atteggiamento orante, al cospetto di Gennaro, del Cristo e dei principi degli apostoli.

A questo ultimo riguardo, dobbiamo ricordare che, nell'area, altre volte le loro effigi in busto o a figura intera assurgono al ruolo di vere e proprie icone e, in un caso, accolgono le corone del martirio dai martiri Stefano e Gennaro. Proprio in questo frangente cronologico, ossia agli esordi del VI secolo, i principi degli apostoli divengono i veri protettori dei defunti che suggeriscono ed indicano, con il significativo gesto della parola che, nella civiltà bizantina, assurgerà all'atteggiamento liturgico della benedizione, la via della salvezza.

La defunta Cerula, alla luce dei recenti restauri, mostra con maggiore chiarezza l'abbigliamento composito, che è costituito da una candida tunica intima manicata, da una sopravveste scura e da un velo che copre il capo e il busto in tessuto chiaro stampato o ricamato da teorie di putti danzanti di colore purpureo.

Specialmente questo ultimo singolare indumento ci accompagna verso le manifestazioni orientali o copte, dimostrando un elevato potenziale economico, ma anche un'estrazione esotica, forse orientale o forse africana, in piena coerenza con la formazione multietnica della società napoletana del tempo, dove erano state inserite anche componenti di gruppi cristiani sfuggiti alla persecuzione vandalo-ariana e provenienti dall'Africa, al seguito del primate cartaginese Quodvultdeus sepolto proprio nella cripta dei vescovi del complesso catacombale di San Gennaro.

La vecchia Cerula, caratterizzata dall'acconciatura cerulea, ottenuta con l'uso della cenere per attenuare la canizie, ma anche dal sottile volto esangue, incorniciato dallo staurogramma apocalittico e dai volumina dei vangeli dai sigilli sciolti, sembra dimostrare la sua assoluta aderenza alla Scrittura e al segno vittorioso del Cristo, tanto che, come Bitalia, rappresentata in un arcosolio vicino, si pensa rivestisse il ruolo di diaconessa o di catecheta. A mio modo di vedere, invece, l'immagine della defunta in preghiera, introdotta dai principi degli apostoli in un paradiso essenziale, ma solenne, indicato dalle esedre che alludono a una struttura absidale e, dunque, alla Mater ecclesiae, vuole solo rappresentare la foto ricordo di una nobildonna sicura di poter accedere in un luogo beato, accolta da Pietro e da Paolo.

Quest'ultima immagine che, per peculiarità stilistiche, ricorda i coevi monumenti iconografici, specialmente musivi e ravennati, ovvero il battistero degli Ortodossi e degli Ariani, l'oratorio di Sant'Andrea, la basilica di San Vitale e il mausoleo di Galla Placidia, ma anche romani, come il celebre catino absidale della basilica dei Santi Cosma e Damiano, rappresenta l'ultima di una serie di scoperte "paoline", che ho avuto modo di effettuare nelle catacombe romane.

A cominciare dagli anni Novanta, infatti, ho avuto modo di scoprire un rilievo della metà del IV secolo con Cristo e san Paolo a San Callisto; un affresco della seconda metà dello stesso secolo con l'abbraccio tra Pietro e Paolo nel complesso di San Sebastiano; un clipeo con la prima icona dell'apostolo delle genti, insieme a Pietro, Giovanni e Andrea nelle catacombe di Santa Tecla. Quest'ultima scoperta nella catacomba di San Gennaro ricorda che, con il trascorrere del tempo, l'immagine di Paolo appare, sempre più spesso, unita a quella di Pietro codificando quella concordia apostolorum che fu lanciata al tempo di Papa Damaso (366-384) e che diviene un manifesto politico religioso di una Chiesa unita nel nome di Pietro, il rude e irruente pescatore, e di Paolo, il raffinato filosofo, che converte le genti.



(©L'Osservatore Romano 29 giugno 2011)


[Modificato da Caterina63 29/06/2011 00:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)