00 26/11/2008 23:40

Il 31 maggio 1578 la scoperta delle catacombe di via Anapo
Quella frana che fece nascere
la Roma sotterranea



di Fabrizio Bisconti

Nel tardo pomeriggio del 31 maggio del 1578, giusto 430 anni orsono, il piccone di un gruppo di cavatori di pozzolana intercettò una galleria di una catacomba, in una vigna romana allora di proprietà dello spagnolo Bartolomeo Sanchez. Erano trascorsi dieci anni da quando il religioso Onofrio Panvinio degli Eremitani Agostiniani aveva redatto un trattato sui cimiteri degli antichi cristiani, ovvero il De ritu sepeliendi mortuos apud veteros christianos et eorundem coemeteriis liber, edito appunto a Colonia nel 1568 e conosciuto come Libellus.

Ebbene, mentre quell'opuscolo di sole trentotto pagine dove, tra l'altro, si elencavano i quarantatré cimiteri romani di cui sino a quel momento si era avuta notizia, nel dodicesimo capitolo intitolato De coemeteriis urbis Romae, l'episodio accaduto nella vigna Sanchez, al secondo miglio della via Salaria nova, metteva a contatto i cultori di antichità cristiane, presenti a Roma in quello scorcio del xvi secolo e quasi tutti stretti attorno al vivacissimo oratorio di san Filippo Neri, con un monumento catacombale nuovo e alternativo rispetto a quei cimiteri paleocristiani mai obliterati e frequentati dagli antiquari, primi tra tutti quelli di san Sebastiano, di san Pancrazio e di san Valentino.

La nuova scoperta impressionò tutta Roma: in molti accorsero a vedere con i propri occhi quella voragine che si era aperta sulla via Salaria, tanto che il cardinale Giacomo Savelli, vicario del Pontefice Gregorio xiii, dovette prendere la decisione di far recingere la cava di pozzolana con uno steccato che, per la ressa del popolo, fu divelto. Della scoperta si diede notizia attraverso gli Avvisi romani e gli Annali di Gregorio xiii, inviati, con relazioni assai dettagliate, anche fuori d'Italia.

Cesare Baronio e Antonio Bosio, ci hanno lasciato testimonianze accurate del monumento rispettivamente negli Annali e nella Roma Sotterranea. Il racconto di quella fortunata scoperta ci è giunto attraverso una relazione contenuta in un manoscritto degli Avvisi Urbinati del mese di giugno del 1578, solo un mese dopo i fatti accaduti: "A porta Salara si è scoperto il cimiterio di Santa Priscilla matrona Romana, dove mentre visse ragunò molti corpi santi (...) et riconosciuto il luogo il Papa vi ha mandato il Cardinale Savello, il Generale de Giesuiti et Monsignore Marc'Antonio Mureto".
Il 2 agosto dello stesso anno, un altro avviso Urbinate ricorda dettagliatamente l'accorrere della folla, a cui si è già fatto cenno: "Vicino al cimiterio di Santa Priscilla (...) si sono scoperti sotto terra alquanti cappelletti ed oratori di stucco ornati con vaghissimi lavori, dove concorsi tutta Roma, rompindo li stecati fatti lì attorno per ordine del Cardinal Savello".

Nel cimitero appena scoperto penetrarono alcuni tra i più attivi cultori delle antichità romane, primo tra tutti il domenicano spagnolo Alfonso Ciacconio e il fiammingo Philippe de Winghe, i quali prepararono accurati disegni degli affreschi, che si rivelarono preziosissimi, dal momento che, di lì a poco, come vedremo, le catacombe scompaiono di nuovo.

I disegni del Ciacconio (1540-1599) e del de Winghe (+ 1592) confluirono nella Roma Sotterranea dell'archeologo maltese Antonio Bosio che, al momento della scoperta aveva solo tre anni. Anche un inglese, certo Anthony Munday, una sorta di "agente segreto" della corona britannica, che era presente a Roma, redasse un malizioso resoconto della scoperta, deridendo i "creduloni romani" che in ogni sepolcro riconoscevano ingenuamente il sepolcro di un martire.

Mentre si consumavano queste schermaglie tra riformisti e controriformisti, negli anni Novanta del 1500, la catacomba - come si anticipava - fu di nuovo obliterata dai cavatori di pozzolana che, proseguendo la loro pratica di scavo, furono seppelliti dal tufo, come ricorda Antonio Bosio, il quale, appena diciottenne, nel 1593, iniziava la sua grande avventura archeologica, che gli affiderà il soprannome di "Cristoforo Colombo delle catacombe romane".
Nemmeno gli studi accurati di Giovanni Battista de Rossi, riuscirono a intercettare nuovamente le gallerie di vigna Sanchez che, intanto, era diventata possesso di Monsignor della Rovere e poi del Collegio Irlandese. Il grande archeologo romano, però, corresse l'identificazione di quelle gallerie perdute con il grande complesso di Priscilla, pensando piuttosto di riconoscervi il coemeterium Iordanorum, ricordato dalle fonti che, però, Orazio Marucchi e, più tardi, Umberto M. Fasola identificarono con le catacombe che si estendono sotto Villa Massimo.

Ma torniamo alle gallerie scoperte nel 1578 e di nuovo dimenticate di lì ad un ventennio. Orbene, nel dicembre del 1921, mentre si stava costruendo un villino sulla attuale via Anapo, tornarono alla luce gli ambienti ipogei intercettati nel xvi secolo e che tanta eco avevano avuto nel dibattito controriformista del tempo. Fu Enrico Josi a penetrare in quei cubicoli e a riconoscere le epigrafi e le pitture disegnate dal Ciacconio e dal de Winghe.

Gli scavi furono eseguiti in fretta, dal momento che il tufo si presentava estremamente fragile ed il pericolo di frane suggeriva interventi strutturali rapidi e sicuri. Molte delle pitture viste nel passato e ben centoventi iscrizioni furono salvate, ma ancora si riconosceva nel complesso il coemeterium Iordanorum, fino a che, tra il 1965 e il 1969, alcuni mirati scavi degli archeologi della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra non riconobbero il cimitero dei Giordani nelle catacombe definite, fino ad allora, di Trasone, sull'altro lato della via Salaria, all'interno dell'attuale Villa Ada.

La nostra catacomba diveniva così anonima, anche se, nel 1973, durante alcuni lavori di ristrutturazione del villino, si intercettò la grande frana durante la quale, alla fine del 1500, persero la vita i cavatori di pozzolana. Tra il 1978 e il 1980, il padre Umberto Maria Fasola scavò alcune gallerie sfuggite ai cavatori e agli archeologi del passato e si riuscì a comprendere la nascita e l'evoluzione di un cimitero cristiano, inserito in un'antica miniera abbandonata.

Il complesso nasce da un ipogeo familiare, che si sviluppa, come si diceva, nel grande arenario, con uno sfruttamento che dalla fine del iii secolo giunge alla fine del iv, con caratteristiche comunitarie, come testimoniano le iscrizioni funerarie di un vescovo Demofilo, di un presbitero Evante e dei fossori Trofimus e Auxanon. Caratteristici appaiono i nicchioni dipinti, che trovano qualche affinità tipologica con le tombe dell'arenario delle vicine catacombe di Priscilla, mentre i formulari epigrafici risultano originali, specialmente per il termine benedictus, ripetuto in molti testi, suggerendo la presenza di una comunità speciale, forse dalle lontane origini orientali.

Il repertorio iconografico proposto dagli affreschi si allinea perfettamente a quello corrente tra l'età tetrarchia e quella appena successiva alla pace della Chiesa. Tra le altre, emerge la scena relativa al collegio apostolico, uno dei primi rappresentati nel buio delle catacombe, per sottolineare l'unità della Chiesa nei confronti dei ripetuti tentativi di decoesione promossi specialmente dal pensiero ariano. Per il resto, si dispiegano le scene canoniche di Giona, di Abramo, di Daniele, del buon pastore, della moltiplicazione dei pani, della resurrezione di Lazzaro, dei fanciulli nella fornace, del miracolo della fonte, dell'orante. Pochi frammenti di intonaco dipinto, rinvenuti dal Fasola, sembrano pertinenti alla rappresentazione del fossore Trofimus raffigurato in un ingenuo giardino di fiori, mentre è andata perduta l'interessante effige di un Paulus pastor disegnata, a suo tempo, dal Ciacconio.

La lunga storia del cimitero di via Anapo, rimasto anonimo, per il fatto che non conservava tombe di martiri e, per questo motivo, presto abbandonato, nel senso che qui non si innescò quel diffuso fenomeno della creazione delle tombe ad sanctos, rappresenta una delle testimonianze più eloquenti dell'incessante ricerca archeologica che, a più riprese, ha individuato questo singolare monumento che, per il fatto di essere stato scoperto così precocemente, è assunto a simbolo degli esordi degli studi dell'antichità cristiana e, dunque, dell'archeologia cristiana.

In quel tardo pomeriggio del 1578, infatti, si riprendeva contatto con un monumento catacombale, ovvero con uno di quei cimiteri concepiti e sfruttati dalla comunità cristiana romana della prima ora, all'insegna della esclusività e della comunitarietà.

Quei cimiteri - come si diceva - fatta eccezione per alcuni rari casi, scomparvero già nel v secolo, con le invasioni barbariche, che isolarono il suburbio di Roma e indussero a creare nuovi sistemi funerari all'interno della città. Riscoprire questi monumenti e leggerne i resti può permettere di ricostruire la prima pagina della storia del Cristianesimo nell'Urbe.
Proprio in questi giorni, una piccola frana nelle catacombe di via Anapo, ha ricondotto i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra all'interno di quelle gallerie tanto perlustrate nel passato, ma suscettibili di altre scoperte che potrebbero correggere le nostre idee sulla storia di questo suggestivo monumento.

Chi scrive, dirigendo gli scavi, proprio a 430 anni dalla scoperta delle catacombe di via Anapo, sente tutta l'emozione e la consapevolezza di chi deve sfogliare, con cura, le pagine del primo densissimo capitolo della storia cristiana di Roma.

(©L'Osservatore Romano - 31 maggio 2008)
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Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

“Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
(Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)