00 06/08/2011 12:27
Botta e risposta: Küng-Messori

Il Papa fallito? No, ha salvato la Chiesa

Hans Küng in un articolo sul Corriere muove un durissimo attacco a Giovanni Paolo II. Messori gli risponde sullo stesso quotidiano. «La fredda teologia tedesca professata da Küng non gli permette di comprendere la straordinaria forza del cattolicesimo polacco del Papa, radicato nella più antica fede europea». 
I testi integrali degli interventi.



 

Il Padre che ha salvato la Chiesa

L’opera infaticabile di Wojtyla ha impedito che i cattolici si disperdessero nella diaspora dei protestanti

di Vittorio Messori

La versione integrale del documento di Hans Küng pubblicato qui di fianco è, in effetti, ancor più torrenziale. In origine si trattava, mi dicono, di un necrologio, un bilancio dell’intero pontificato, da pubblicare dopo la morte di Giovanni Paolo II e giacente da tempo negli archivi dei giornali.

Probabilmente, il teologo svizzero-tedesco si è stancato di aspettare: in effetti, anni or sono, il Corriere della sera mi chiese già un’altra replica a un altro intervento di Küng, dove questi si augurava (naturalmente per il bene della Chiesa...) una pronta scomparsa del papa. E non nel senso di dimissioni, ma proprio nel senso di morte, perché altrimenti, pur dal luogo del suo ritiro, avrebbe potuto influire sul Conclave e determinare l’elezione di un cardinale nella sua stessa linea. Cosa che, per questo nostro teologo, sarebbe il massimo delle sventure.

Poiché, dunque, da un decennio attendeva invano, alla fine Küng ha deciso di anticipare i tempi e di autorizzare l’agenzia che cura i suoi scritti alla pubblicazione del «coccodrillo » (come, cinicamente, si dice in gergo) sulla catena consueta di media. In realtà, l’entusiasmo degli editori sembra sempre minore, visto che si assottigliano, per ragioni anagrafiche, i lettori di quest’uomo che, nato nel 1928, è ormai più vicino agli ottanta che ai settanta. Ma sì, questo che sembrava, tanto tempo fa, il simbolo stesso della «modernità» ecclesiale, il profeta di una Nuova Chiesa , giunto a 77 anni sembra interessare ormai quasi soltanto ai suoi coetanei, a coloro che erano giovani quarant’anni fa, alla fine del Concilio. È impressionante, in effetti, come continui a riproporre sempre lo stesso articolo, tanto che il necrologio del papa da lui preparato già al principio dei Novanta è quello pubblicato adesso, praticamente senza variazioni rispetto ad allora. Impressionante, soprattutto, la totale impermeabilità di questo professore ai fatti, la preminenza assoluta dello schema ideologico previo: è lui stesso a ricordare, qui, che il suo giudizio sul papato wojtyliano era già definitivo dopo un anno, nel 1979, e non è mutato di una virgola.

Impressionante, davvero, e anche un po’ inquietante: in un quarto di secolo la storia ha accelerato, imperi che sembravano di roccia e marmo sono caduti in polvere, la cultura stessa ha cambiato prospettive. Ma Hans Küng, ormai docente in pensione, da molto tempo privato del titolo di «teologo cattolico», continua a ripetere, come venticinque anni fa. Come replicare a questa fissità un po’ maniacale? Che cosa dire, di nuovo, se di nuovo non c’è nulla nell’interlocutore? Ma, poi, non dimentico quanto di lui mi disse un prestigioso vescovo, un suo collega di cattedra teologica: «Come spesso capita, proprio coloro che esigono dagli altri atteggiamento dialogico sono coloro che meno lo praticano». Io stesso, per quanto conta, sono stato sepolto sotto insulti sanguinosi, sui principali media del mondo, innanzitutto per avere scritto un libro-colloquio con il cardinal Joseph Ratzinger: la mia colpa era quella di averlo lasciato parlare, anzi di avere condiviso molte delle cose che mi diceva. Il teologo di Tübingen avrebbe tollerato che dessi voce al Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio soltanto se l’avessi contraddetto, trascinandolo in un pubblico processo, mettendolo alla berlina, inveendo contro di lui come un «traditore». Tale, infatti, lo considera perché, negli anni del Vaticano II, il professor Ratzinger faceva parte del gruppo di enfants terribles, esperti di fiducia di vescovi tedeschi, olandesi, francesi che crearono Concilium, la rivista internazionale del dissenso teologico. Un contestatore, dunque, diventato Grande Inquisitore: il massimo dell’empietà! Come farla passar liscia al povero sottoscritto, suo intervistatore?

Küng, poi, non mi ha mai perdonato che proprio la sua «Bestia Nera», questo papa che, per lui, è «sventuratamente regnante», mi abbia chiesto di fargli delle domande che divennero il libro. L’aggettivo «cortigiano» è il più benevolo che mi abbia riservato per questo lavoro che, in realtà, non solo non cercai ma di fronte al quale ebbi qualche reticenza e resistenza. Perché, dunque, ostinarsi al dibattito davanti all’ennesimo articolo, se è sempre e solo lo stesso? E se è manifesta e provata l’impossibilità di cavare qualche frutto da un dialogo che l’ex-docente da sempre rifiuta, chiuso nel suo schema? Schema che è poi quello della metà degli anni Sessanta, quando il professore, lo si diceva, faceva parte dello staff di consulenti dei Padri Conciliari del Centro e del Nord Europa che determinarono l’orientamento del Concilio. Era l’ideologia della «modernità», erano gli anni in cui i sociologi scrivevano libri dal titolo L’eclissi del Sacro nella società industriale (Sabino Acquaviva) o teologi come Harvey Cox pubblicavano, tra gran clamore, testi come The Secular City. Giovani clericali rampanti come il nostro Küng, chiusi sino ad allora in una cultura da seminario post-tridentino, scoprivano —abbagliati— sociologia, politologia, etnologia, psicologia, psicoanalisi e tutti gli «ismi» , dal femminismo al secolarismo , che allora sembravano trionfare.

Scoprivano la democrazia parlamentare e volevano applicarla — tale e quale — anche alla Chiesa; scoprivano la sessualità e, se non se ne andavano sbattendo la porta (come fece un terzo dei sacerdoti e delle suore), pretendevano che fosse praticabile anche nello stato clericale; scoprivano la laicità e volevano viverla essi stessi, cominciando col gettare via tonache, sai, clergyman stessi, pur non rinunciando al confortevole status religioso. Scoprivano anche, con un ritardo di cinque secoli, la Riforma protestante e se ne invaghivano come fosse, appunto, nuova, «moderna ».

Molti, si sa, scoprirono con pericolosa eccitazione, anche e soprattutto il marxismo e cercarono di trasformare il vangelo nel manuale del perfetto guerrigliero. Non fu il caso di Küng che, come pubblico di riferimento, prese la borghesia dell’Europa nordica, secolarizzata, opulenta, liberal e organizzò il suo lavoro teologico con stile manageriale, con staff di collaboratori, informatica , agenti letterari. È chiaro che un prete così non poteva avere niente a che fare con un altro sacerdote, l’arcivescovo di Cracovia, che veniva da una Polonia dove la fede era cosa eroica, dove la devozione popolare permeava la vita quotidiana, dove la Madonna era onnipresente, dove il secolarismo e il laicismo mostravano il loro volto spietato e, invece che attirare, creavano spavento ed orrore, dove il catechismo era ancora praticato mentre non si leggevano gli eleganti papers dei teologi delle università occidentali. Inutile, poi, nasconderlo: il razzismo che ha sempre serpeggiato nella cultura germanica ha avuto tra i suoi oggetti proprio la Polonia, considerata una terra di slavi sfaticati e imbroglioni da cui non poteva venire nulla di buono. Figurarsi, poi, se da lì veniva un papa: come avrebbe potuto, un orgoglioso professore di Tübingen, accettare come capo e maestro uno che giungeva da quelle parti? Già il disprezzo e il sospetto verso i latini era stato tra gli elementi che avevano scatenato la riforma protestante. Ma gli slavi, se possibile, erano ancor peggio. C’è un vecchio, un po’ ignobile detto tedesco che il «politicamente corretto» ha cercato di occultare ma che mi è capitato di sentire ancora sussurrare: quando Dio decise di creare il mondo, da una parte fece gli uomini; dall’altra i polacchi. Sta di fatto, comunque, che Giovanni Paolo II fu esecrato subito da Küng e da quelli come lui perché non «moderno», perché «figlio di una Chiesa arcaica». Su queste accuse, decenni dopo, il nostro teologo è ancora fermo, ma il mondo è uscito dalla «modernità» per inoltrarsi in quella terra incognita che, per mancanza di meglio, chiamiamo della post-modernità. E che non solo non sa che farsene delle teorie degli anni Sessanta ma che sembra desiderare giusto il contrario: non profanità ma Sacro, non preti-manager, non «operatori pastorali », ma religiosi alla Padre Pio, non razionalismi ma mistero, non ulteriore rivoluzione ma riscoperta della Tradizione. Quanto resta del «popolo di Dio» non va al dibattito degli accademici di teologia, va in pellegrinaggio a Medjugorje; non mostra alcuna smania di potere votare per eleggere il suo parroco e il suo vescovo, né è frustrato perché le sue figlie non possono entrare in seminario ma è pronto a ascoltare un prete, possibilmente vestito da prete, che gli parla di Dio e di Cristo come una volta.

Partecipavo, una volta, alla fastosa conferenza stampa del pool internazionale dei suoi editori per la presentazione di un suo libro dove— con la solita irruenza e gli insulti virulenti per chi non la pensa come lui — chiedeva per la Chiesa cattolica quanto ribadisce ora di volere da un nuovo papa. E dunque: preti sposati; donne-sacerdote; divorziati riaccolti a nuove nozze; omosessuali venerati; contraccezione libera; aborto accettato; parroci, vescovi, papi stessi eletti democraticamente; scismatici ed eretici posti a modello; atei, agnostici, pagani accolti non solo come fratelli in umanità ma come maestri di vita e pensiero dai quali tutto imparare... Insomma, il rosario «teologicamente corretto» anni Sessanta e Settanta, i comandamenti del benpensante un po’ datato, le «coraggiose riforme» del conformista occidentale medio . Accanto a me, lo ascoltava con attenzione un pastore protestante il quale, alla fine, prese la parola: «Molto bello e edificante, professor Küng. Ha ragione, ecco le riforme che anche il cattolicesimo dovrebbe praticare. Ma, mi dica: come mai noi protestanti tutto ciò che Lei chiede ce l’abbiamo già, e da molto tempo, eppure i nostri templi sono molto più vuoti delle vostre chiese?».

Il professore non rispose a quella domanda, che scendeva dal cielo delle teorie «pastorali», ottime per i semestri accademici, alla brutale concretezza dei fatti, questi maleducati che non vogliono mai rientrare nei nostri schemi. Vedo ora da questa sintesi malevola del pontificato che imperdonabile peccato di Giovanni Paolo II sarebbe soprattutto quello di «non avere integrato nella Chiesa cattolica le richieste della Riforma e della modernità». Quanto alla «modernità» è esistita un tempo, quando lui era giovane, e ha fatto posto ad altro, come si accennava. Per la Riforma, possibile che uno come questo teologo, che vive tra Svizzera e Germania, che conosce il Nord dell’Europa, passato (e, spesso, per violenza dei prìncipi) al verbo di Lutero, di Calvino, di Zwingli, possibile che non constati quale è lo stato comatoso, da encefalogramma piatto, di Chiese che pur furono vive? Possibile che i suoi viaggi per il mondo non gli abbiano mostrato che il solo protestantesimo che sembra oggi avere un futuro è quello «impazzito», aggressivo, insofferente di ecumenismi, rappresentato dalla miriade di sètte e di chiesuole? Si può, oggi, proporre per la Chiesa romana—quasi fossero novità taumaturgiche—provvedimenti che quella che chiama se stessa «Riforma» per antonomasia ha adottato quasi cinque secoli fa e i cui risultati stanno sotto gli occhi di chi sappia vedere senza gli occhiali dell’astrattezza? Per fare un solo esempio: in media, ogni anno, 10.000 anglicani chiedono di entrare nella Chiesa cattolica. Non molto tempo fa, l’arcivescovo di Londra ha ordinato preti cattolici molte decine di pastori anglicani. Sono fratelli (e sorelle) il cui passaggio a Roma è stato provocato dalla decisione della gerarchia anglicana di ordinare donne. Una decisione che non ha portato loro alcun cattolico (e nessuna donna cattolica, si badi!), mentre ha provocato un esodo importante verso il cattolicesimo.

I fatti, professor Küng, non provano—almeno qui—il contrario esatto di quanto affermano le Sue teorie? Che ci dice, per esempio, di quell’Olanda che prima del Concilio era forse il Paese al mondo con la più fervida vita cattolica, che subito dopo divenne la speranza e la mecca del progressismo clericale, che attuò l’attuabile delle riforme che Lei invoca, coprendo di disprezzo «l’arcaica teologia romana», e che in breve fu ridotta a un deserto dove le chiese che non cadono in rovina sono da tempo trasformate in supermarket, in pornoshop, in hamburgherie? Nessuno Le ha mai rivelato, don Küng, che, se il più cattolico dei Continenti, quello latinoamericano, sta passando rapidamente e in massa a quelle sètte protestanti «impazzite » che dicevo o torna ai culti afroamericani, è proprio perché cerca lì quanto non gli dà più certo clero cattolico che (formatosi spesso alla scuola di quelle Sue facoltà tedesche) dice di «aver scelto i poveri», mentre «i poveri » non hanno scelto lui?

Più che difendere questo lungo pontificato dalla gragnuola di accuse, senza misericordia e senza luce, che gli vengono scagliate contro (come cattolici, siano fedeli al papa, ma non sempre e non certo passivamente apologeti di chi, via via, adempie al ministero di Successore di Pietro), più che difendere, dunque, è ancor più necessario mostrare come le alternative «alla Küng» non siano affatto un rimedio adeguato ai problemi della Chiesa. Problemi che esistono oggi, come sempre sono esistiti; ma che, per essere affrontati, esigono ben altro che le ricette di un «modernismo» ideologico che la storia ha superato, mostrandone i limiti e i rischi.

 


Corriere della Sera  26 marzo 2005
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)