Notizia choc: un cardinale fa l'elogio dell'ortodossia
Scrive il cardinale Biffi nel suo ultimo libro: "Al giorno d'oggi d'oggi non è più l'eresia, ma la retta dottrina a fare notizia". Ad esempio sulla castità. O su Gesù che non è solo uomo ma Dio
di Sandro Magister
ROMA, 24 novembre 2008 – Dal suo ritiro sulla collina di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi ha consegnato le sue riflessioni a un nuovo libro. Al quale ha dato il titolo "Pecore e pastori". Che così spiega:
"Tutti nella Chiesa sono prima di ogni altra cosa appartenenti all’ovile di Cristo. Tutti, dal papa al più recente dei battezzati, possiedono il motivo vero della loro grandezza non tanto nel venire caricati da questo o quel compito nella comunità cristiana, quanto nell’essere parte del 'piccolo gregge'. C'è dunque una sostanziale parità di tutti i credenti, purché davvero credano: solo credendo si entra tra le pecore di Cristo".
Come già nei suoi libri precedenti, anche questa volta le vivide parole del cardinale teologo non sono quelle familiari alle scuole di teologia più frequentate, ma attingono direttamente al linguaggio del Vangelo, aperto ai "piccoli" e chiuso ai "sapienti".
Il cardinale Biffi sa che l'eresia va di moda. Ma questa è per lui una ragione in più di difendere l'ortodossia:
"Talvolta in qualche settore del mondo cattolico si giunge persino a pensare che debba essere la divina Rivelazione ad adattarsi alla mentalità corrente per riuscire credibile, e non piuttosto che si debba convertire la mentalità corrente alla luce che ci è data dall’alto. Eppure si dovrebbe riflettere sul fatto che 'conversione', e non 'adattamento', è parola evangelica".
L'adattamento al pensiero corrente – scrive – arriva sino ad annebbiare la divinità di Gesù, ridotto a semplice uomo sia pure di straordinario valore:
"Per quanto l’affermazione possa sembrare paradossale, la questione ariana [dal nome di Ario, l'eresiarca condannato dal Concilio di Nicea del 321] è sempre all’ordine del giorno nella vita ecclesiale. I pretesti possono essere tanti: dal desiderio di sentire Cristo più vicino e più uno di noi, al proposito di facilitarne la comprensione esaltandone quasi in modo esclusivo gli aspetti sociali e umanitari. Alla fine l’approdo è sempre quello di togliere al Redentore dell’uomo la sua radicale unicità e di classificarlo tra gli esseri trattabili e addomesticabili.
Sotto questo profilo si potrebbe dire che allora il Concilio di Nicea è oggi molto più attuale del Concilio Vaticano II". (grande Biffi!!
)
qui per l'articolo integrale
chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/209817
Ho comprato il libro e lo sto leggendo....il card. Biffi ha trattato moltissimi temi a partire dalla prima pagina chiarendo il termine: PASTORALE.....
Il card. Biffi spiega così, proprio come premessa a pag. 5 il cuore del problema in questo rapporto fra le PECORE E I PASTORI....ossia la Pastorale
e dice:
L'Esaltazione verbale
Assistiamo oggi a una frequenza nell'uso della parola "pastorale" ignota al linguaggio ecclesiale delle epoche precedenti.
Una volta il vocabolo serviva, più che altro, per indicare il bastone usato dal vescovo nelle celebrazioni pontificali e la lettera, indirizzata sempre dal vescovo alla sua diocesi, contenente i richiami dottrinali e le direttive del successore degli Apostoli.
Oggi, dopo che il Vaticano II è stato qualificato esplicitamente come "concilio pastorale" e ha denominato "pastorale" una sua costituzione (la Gaudium et spes), il termine ritorna spesso nella vita della Chiesa: "consiglio pastorale; piano pastorale; vicario pastorale; teologia pastorale", eccetera....
Per una "pastoralità" più consapevole
Càpita però che l'uso reiterato dei vocaboli a proposito di un argomento si accompagni all'indebolimento della sua comprensione effettiva e sia occasione di qualche confusione!
Così. ad esempio, ci si compiace di parlare di "comunità", quasi per nostalgia, adesso che sociologicamente prevale l'individualismo e il disimpegno.
A richiamarsi assiduamente alla "povertà" e a decantarla con entusiasmo sono proprio i cristiani benestanti e gli uomini di Chiesa di estrazione borghese, che non hanno mai avuto modo di farne personalmente qualche esperienza: ai veri poveri invece di solito non viene neppure in mente di esaltare la loro condizione e di farne un ideale di vita!
I parroci sanno che non hanno fatto tanta fatica a trovare qualcuno che li aiutasse a riordinare il cortile e gli ambienti della canonica dopo una festa, come da quando il popolo di Dio nei discorsi ecclesiali è posto ripetutatmente in stato di servizio o, che è lo stesso, di "ministero".
Tuttavia anche nelle mode linguistiche si può ravvisare qualche lato positivo: se non altro esprimono un desiderio e un proposito; purchè ogni tanto ci si costringa a riscoprire, oltre ogni retorica, i contenuti autentici ed esatti delle parole che godono di così larga preferenza.
E' ciò che, per l'immagine del "gregge", ci ripromettiamo di compiere con questa meditazione.
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da pag. 45 a pag. 51 c'è il VI cap. dedicato appunto a questo rapporto fra Pecore e Pastori....nelle quali il card. Biffi tenta di spiegare (riuscendoci magnificamente) "cosa voglia dire essere pastori ed essere pecore nel gregge di Dio"....
riporto solo alcune espressioni significative:
LA PRIMA MISERICORDIA DI CUI ABBIAMO BISOGNO E' LA LUCE IMPIETOSA DELLA VERITA' (card. Biffi dal libro: Pecore e Pastori)
"il ministero pastorale non deriva mai in nessun modo dal "gregge", ma DISCENDE costituzionalmente dall'alto"....
"...tra i gravi problemi della cristianità di oggi non c'è solo la scarsità dei pastori, c'è anche la difficoltà dei cristiani a riconoscersi evangelicamente pecore. Mentre la condizione di pastore è vista come un valore e una promozione, e perciò una sua più estesa partecipazione è accolta di solito con favore, la condizione di "pecora" invece è percepita come una mortificazione...."
"...il titolo più alto della nostra dignità è quello che ci proviene dal fatto di essere annoverati nel gregge di Dio. Questa è la nostra fortuna, la ragione più autentica della nostra nobiltà, il fondamento della nostra speranza...."
"Gesù poi ci mette in guardia da una visione troppo idilliaca, da un'idea aradicamente serena della vita pastorale, e ci ricorda che esistono, e sono sempre attive, le forze del male. Le sue pecore non devono dimenticare che esistono i ladri ed esistono i lupi. Anzi ci dice senza mezzi termini che il suo gregge vive in mezzo ai lupi, i quali tentano sempre di rapire e disperdere gli agnelli di Dio....
Questi lupi NON SONO SOLO ESTERNI AL GREGGE; si possono trovare NACHE TRA NOI " in veste di pecore" (Mt.7,15)...."
"SIAMO TUTTI PECORE! tutti, dal Papa ai diaconi, ai fedeli, ai religiosi, tutti devono riconoscere e proclamare con entusiasmo "SIAMO TUTTI PECORE"...in virtù dell'identico Battesimo che hanno ricevuto e NON si estingue più.
Siamo tutti ugualmente pecore, MA NON SIAMO TUTTI UGUALMENTE PASTORI!
Il Signore ha dato una STRUTTURA a questo piccolo "gregge". Questa struttura comporta che ci siano dei pastori, cioè delle GUIDE di un gregge, il quale perciò deve essere GUIDATO (....)
di conseguenza l'implicazione ovvia e irrinunciabile che il Signore ci ha lasciato per la comprensione della sua Chiesa è che per quel che attiene alla vita del "gregge", siano le pecore a seguire i pastori e non i pastori a lasciarsi guidare dalle pecore!"
Fatevi questo dono e per Natale regalate questo libro ad altre "pecore"....
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)