00 11/08/2015 23:51
Cartelli contro l droga fuori dalla discoteca Cocoricò di Riccione
 

«Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli, non morirebbe un diciottenne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare». Le crudeli parole del sindaco di Gallipoli suonano come una condanna a morte per i genitori di Lorenzo, il giovane trovato senza vita fuori dalla discoteca. O per i genitori di Lamberto, 16 anni, ucciso dall'ecstasy a Riccione. O per tutti gli altri padri e madri di "cattivi" figli . A loro, però, viene in soccorso lo scrittore G. K. Chesterton…

di G. K. Chesterton

«Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli, non morirebbe un diciottenne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare».Le crudeli parole del sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, suonano come una condanna a morte per i genitori di Lorenzo, il giovane morto fuori dalla discoteca Guendalina. O per i genitori di Lamberto, 16 anni, stroncato da una pastiglia di ecstasy al Cocoricò di Riccione. O per tutti gli altri padri e madri che hanno a che fare con figli segnati dalla droga. Lorenzo Mario Toma,18 anni, di Lecce, è morto all’alba di ieri dopo una notte alla discoteca “Guendalina” di Santa Cesarea Terme, in Salento. Secondo gli amici, avrebbe bevuto qualcosa da una bottiglia offerta da uno sconosciuto e si sarebbe sentito male. Le indagini dei carabinieri battono la pista di qualche pusher che avrebbe invitato Lorenzo ad assaggiare la droga per poi vendergliela. Tre settimane dopo la tragedia del Cocoricò di Riccione e la morte del sedicenne Lamberto Lucaccioni, un altro ragazzo, muore dopo una notte in discoteca. Ma sono decine i giovani che come Lorenzo e Lamberto hanno lasciato la vita in una pasticca di ecstasy, o se la sono cavata per un soffio, ritrovandosi però col fegato distrutto e gravissimi menomazioni fisiche che li accompagneranno per tutta la vita.
Alla loro tragedia, quella dei genitori che in molti casi non sanno dei loro figli: cosa facciano e dove passino le nottate dei loro weekend da sballo. Contro questi genitori, si è scagliato il sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, con parole durissime e impietose. Già, ma se il sindaco avesse ragione, quanti figli avrebbero diritto di venire al mondo? Saper educare, certo: è dovere dei genitori, ma le cose a volte non vanno come le buone e perfette teorie educative, o più semplicemente le buone intenzioni, prescrivono o desiderano. E allora? Allora vale la pena si rileggere questa conversazione tra lo scrittore G
. K. Chesterton e Bertrand Russell che dai microfoni della Bbc sosteneva la tesi secondo cui «i genitori sono inadatti per natura a crescere i propri figli». A madri incapaci, argomentava il filosofo ateo, andrebbero sostituiti gruppi di esperti che avrebbero potuto educare alla perfezione e con migliori risultati i bambini. Ecco cosa risponde lo scrittore.  (l. sa.)

 

LONDRA BBC, mercoledì 27 novembre 1935

RUSSELL. Vorrei in primo luogo evitare un possibile fraintendimento. Io sostengo che i genitori siano inadatti per natura a crescere i loro figli, ma non sostengo che esista qualcun altro che per natura sia adatto a ciò. Penso che educare i figli sia un compito assai difficile, per cui non esiste alcuno che per natura sia capace (…). Vi rammento che, dopo tutto, uno degli scopi principali della cura dei bambini è quello di mantenerli vivi e non morti. (…). Attualmente nel mondo occidentale la maggior parte dei bambini raggiunge l’età adulta e questo non lo si deve alle madri, e neppure ai padri. Lo si deve agli studiosi di medicina, alle persone che si sono dedicate ai progressi sanitari, ai politici che si sono spesi per la filantropia e agli inventori (…). Si deve ammettere, in ragione di ciò, che la comprensione del valore di una cosa come la salute è più importante per il benessere del bambino di ciò che si definisce “istintivo amore materno” in qualsiasi forma e grado. (…) Gli altri pilastri su cui si fonda il benessere del bambino dipende dal cibo, dagli abiti, dalla cura in caso di malattia, dall’accoglienza in un ambiente sicuro e, più tardi, dall’istruzione. Ecco, si tratta di cose che la maggior parte dei genitori non può dare ai figli in maniera tanto adeguata come invece le possono dare gli asili (…). 

 CHESTERTON. Dalla massa di osservazioni estremamente interessanti del mio illustre avversario, vorrei sottolineare una affermazione che è buon senso, e cioè l'affermazione che desideriamo i nostri figli vivi e non morti. Pertanto i bambini devono essere educati; è assurdo che i bambini dovrebbero imparare dall'esperienza lasciandoli magari al bordo di un precipizio perché imparino a cadere. Il mio avversario ha cominciato dicendo che genitori sono inadatti per natura a prendersi cura dei loro figli. Dire questo significa lasciare i bambini molto vicino al bordo del precipizio. (….) Ma io mi chiedo, chi sono le persone che sono più adatte ad occuparsi dei figli? (…).
Parlare di dottori, di scienza, medicina, sociologia, asili e così via non è parlare di cose reali. Se tutti i bambini dovessero essere lasciati nelle loro mani, Dio li aiuti. (…) E quanto agli asili e altri posti del genere, di che cosa si tratta? Si tratta semplicemente del fatto che noi andremo a pagare un certo numero di impiegati che fingeranno di avere quel genere di interesse verso i bambini che, di fatto e per qualche misteriosa misericordia di Dio cum Natura, voi e io abbiamo sperimentato nel rapporto con i nostri genitori per legge naturale (…).  Voi andrete a pagare uno stipendio a un gran numero di impiegati affinché facciano ciò che la natura fa già fare a pochi, cioè i genitori. (…) I genitori sono imperfetti: i padri sono imperfetti, le madri sono imperfette. Ci si vuol forse far credere che i dottori sono perfetti, che i maestri di scuola sono perfetti, che gli ispettori degli asili sono perfetti? (…). Non si può aggirare il dato naturale originario, ed è un puro sofisma cercare di aggirarlo. Per una ragione o per l’altra, chiunque sia stato (la dea in cui crede il signor Russell o il Dio in cui credo io) a crearla, esiste indebitamente una forza, un’energia in base a cui un certo compito viene svolto con entusiasmo, con affetto e, proprio perché le persone sono umane, con resistenza e pazienza anche fino al martirio dalle madri e dai padri. (…) Noi sappiamo come dato di fatto, non è sentimentalismo, è un fatto puro e semplice, che la mamma non si stanca del figlio e che lui può anche essere infastidito da lei, ma lei non è infastidita da lui. Cioè, lei senz’altro si arrabbia con lui, ma non è costantemente arrabbiata; come dato di fatto la madre continua ad amare il suo piccolo, vale a dire, è colei che assolve la funzione sociale di chi si prende cura anche fino al punto di sbottare dicendo: “Ma che si impicchi!”. 

RUSSELL. Sottolineo che è molto interessante osservare che, in  base a ciò che dice il signor Chesterton, il tipo di educazione che lui propone si conclude con il povero bambino che viene impiccato.

CHESTERTON. Al contrario, so bene che sarà il tipo di Stato in cui crede il signor Russell a impiccarlo, e si sa che lo Stato, grandioso, scientifico Stato moderno, finisce sempre per impiccare l’uomo sbagliato.

RUSSELL. Quello che volevo dire è: ciò che maggiormente mi colpisce nelle osservazioni del signor Chesterton è che evidentemente lui non capisce lo scopo di una scuola materna ben gestita. Lo scopo di una scuola materna ben gestita è quello di fornire artificialmente un ambiente in cui il bambino non avrà bisogno di essere costantemente seguito, di essere accudito molto meno di quanto è a casa. In casa c’è il camino in cui può cadere dentro, ci sono cose che non deve rompere e ogni tipo di pericolo. Una asilo ben organizzato non contiene nulla del genere e al bambino può essere permesso di fare ciò che vuole; e questo è uno dei principali vantaggi dell’asilo rispetto alla casa. 

CHESTERTON. Posso chiedere, in risposta a tale ultimo punto se il signor Russell o chiunque altro si aspetta che non ci sarebbe mai classi in cui ci sono stati, diciamo, uno, o due, o tre, o quattro, o cinque bambini per due insegnanti? Poiché questa è la condizione della casa. La condizione della casa è che i bambini sono immediatamente sotto la cura responsabile di due persone (…) .

RUSSELL. Scusatemi, ma ritengo che i bambini in casa a volte soffrano di eccesso di attenzione dei genitori. Vorrei aggiungere un altro punto importante : la madre che ha fatto grandi sacrifici per il suo bambino si aspetta un ritorno (…).  Poiché hanno fatto sacrifici enormi per portare in su, e le più sacrifici un genitore fa nel portare un bambino tanto più indesiderabile i sacrifici che si aspettano in cambio, mentre la persona che è semplicemente pagata per occuparsi del bambino non ha quella sensazione.

CHESTERTON. Esattamente! La persona che è pagata per occuparsi del bambino non ha alcun sentimento. Questo è un punto interessante e quindi, in qualsiasi tipo di litigio o di difficoltà o pericolo, quella tal persona tradirà. "Il mercenario fugge perché è un mercenario".

RUSSELL. Non è il termine che ho usato io: “il mercenario”. 

CHESTERTON. Sì, penso di averlo usato io.

RUSSELL. É assai meno probabile che un infermiere fugga davanti a un paziente rispetto a chiunque altro.

CHESTERTON. Anche rispetto a una madre?

RUSSELL. Sì, è molto meno probabile.

CHESTERTON. L'idea è bizzarra e fantasiosa. Sarei pronto a fare un giro per tutta l'Inghilterra per verificare se è vero. Troverei senza’altro un certo numero di madri ubriache, criminali e così via. Ecco questa piccola minoranza potrebbe forse essere indifferente a ciò che capita ai loro figli. Ma mi assumo la responsabilità di dire che la stragrande maggioranza delle madri mostra tutti gli istinti normali, per lo meno tutte le mamme che conosco sono perennemente impegnate a seguire i figli con una fedeltà intensa. Per quel che riguarda gli infermieri, è tutto un altro discorso. La ragione per cui gli infermieri non mollano le loro armi è esattamente perché sono le loro armi. In altre parole, gli infermieri sono addestrati con quel mirabile sistema militare che il signor Russell tanto ammira. Gli infermieri possono concedere o meno delle libertà, ma loro non hanno alcuna libertà; sono assolutamente subordinati a un sistema militare in tutto simile a un reggimento. Ogni infermiere ve lo potrà ben dire, e anche ogni medico: obbediscono a un capitano, a un colonnello e a un sergente proprio come nell’esercito. Ecco perché non mollerebbero mai le loro armi. Dio mi guardi dal disprezzare la fedeltà degli infermieri, che sono magnifici soldati. Il cielo non voglia che io debba dubitare dell'ammirazione del signor Russell per un così splendido sistema di lealtà militare. Ma questo è quello che è. Finché in questi sistemi esiste un certo tipo di vigilanza, ordine e rigore lo si deve al fatto che è stato ereditato dal vecchio sistema militare. Ecco tutto.

RUSSELL. Penso che il signor Chesterton si dia la zappa sui piedi. Ha fatto un così grande elogio di questo mestiere che a me non occorre aggiungere altro.

CHESTERTON. Se il signor Russell ammetterà che è anche una lode entusiasta della professione militare e converrà sul fatto che solo la disciplina militare può riorganizzare i nostri affari, io accetterò la sua conclusione. 

   


EDITORIALE
Chesterton
 

Avvenire parla di chi usa Cheterton contro il Papa. Ma non fa riferimento a nessuno. Una spia del brutto clima che si respira nel mondo cattolico, per chiudere la bocca a chi denuncia, da Paolo VI in poi, il pensiero non cattolico. Ecco perchè Bergoglio dovrebbe proclamare lo scrittore Defensor Veritatis

di Paolo Gulisano

Negli scorsi giorni ho letto su Avvenire un articolo che mi ha fatto sobbalzare: “Insensata pretesa usare Chesterton contro il papa”. Ohibò, mi sono detto nella mia qualità di biografo italiano di GKC nonché Vice-presidente della Società Chestertoniana Italiana - cosa succede? Mi sono perso qualcosa? L’articolo del professor Andrea Monda parlava di un Chesterton “utilizzato come randello contro il Papa”. Monda, di nomi, luoghi e circostanze non ne fa, e così con lo spirito del detective che ho appreso da Padre Brown, Gabriel Gale, Horne Fisher e Basil Grant, i grandi investigatori usciti dalla fantasia del grande scrittore inglese, sono andato in esplorazione sulla rete.

Ho cercato dappertutto, anche sui blog di giornalisti - compreso qualche mite e rispettoso vaticanista - ormai marchiati a fuoco come “anti-bergogliani”. Risultato: nessun uso di Gilbert come arma impropria contro il regnante pontefice. Ho trovato però delle aspre critiche a Benedetto XVI fatte da un saggista sedicente chestertoniano, il quale è peraltro amico di vecchia data dello stesso Monda. 

Dunque, molto rumore per nulla? Non proprio, purtroppo. Questi allarmi, questi appelli alla vigilanza nei confronti degli infedeli critici nei confronti dell’attuale papa (e sottolineo attuale) sono la cartina di tornasole di un brutto clima che si sta creando all’interno del mondo cattolico. 

Visto che nessuno ha fatto l’uso di Chesterton di cui parla l’articolo di Avvenire, ci si può chiedere che senso abbia innescare questo tipo di polemiche. La risposta che mi do è che si vuole chiudere la bocca a chi esprime dubbi, perplessità, preoccupazioni, non tanto nei confronti della persona di Jorge Mario Bergoglio, ma di certe correnti di pensiero presenti all’interno della Chiesa, quel “pensiero non-cattolico” di cui parlò a suo tempo papa Paolo VI. Dov’è finito il mito del “è più importante ciò che unisce di ciò che divide”?

Gilbert Chesterton era un uomo che adorava dibattere, discutere appassionatamente, anche e soprattutto con chi non la pensava come lui. Nella sua opera On the place of Gilbert Chesterton in English LettersHilaire Belloc, a sua volta grande giornalista e scrittore. scrisse dell’amico: «Mi sono stampate nella mente tutte le discussioni (di arte, di politica, di filosofia), in cui mostrò quel suo talento. Tutte le sue tesi erano illuminate dal confronto fra una verità ignota e una già nota; fra un qualcosa di semi-nascosto e qualcosa di ampiamente verificato da noi tutti».

Da questo punto di vista non si può negare che il papa sia effettivamente in linea con Chesterton là dove dichiara, come ha fatto nei giorni scorsi nell’intervista rilasciata a TV2000 e Radio InBlu: “Sono allergico agli adulatori. Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso. Noi, a Buenos Aires, gli adulatori li chiamiamo lecca-calze”. Invece, prosegue il papa, “i detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore”.

Meglio quindi delle critiche oneste, sincere, magari cariche di autentico affetto, che delle adulazioni interessate e opportuniste. E meno male che il pastore venuto dall’Argentina se ne è reso conto. La speranza è che rinuncino alla loro aura di intoccabilità anche quei vescovi, cardinali o semplici teologi che pretendono una propria infallibilità nascondendosi dietro la persona del papa. 

Quello che Chesterton ci ha insegnato, inoltre, non è solo la virtù della gioia, della quale fu certamente supremo cantore, ma anche l’amore alla verità, e sulla verità non fece mai sconti a nessuno. Tant’è che la decisione a lungo meditata ma anche difficile e travagliata di lasciare l’Anglicanesimo e diventare cattolico la prese allorquando, agli inizi degli anni ’20, la Chiesa Anglicana decise di ammettere i divorziati a seconde nozze. A quel punto Gilbert comprese che era impossibile a quelle condizioni restare anglicani, cercare di lavorare per un avvicinamento tra quella Comunione e la Chiesa Cattolica. Così fece il passo definitivo ed entrò in quella Chiesa che – sola- coniugava misericordia e giustizia, libertà e verità.

Se un papa degli inizi del XVI aveva un po’ affettatamente definito re Enrico VIII “Difensore della Fede”, titolo di cui fu ampiamente indegno e che nei fatti trasformò in “persecutore della fede”, sarebbe bello che un nuovo pontefice, e magari proprio quello regnante, proclamasse Chesterton difensore della verità.






RIFLETTENDO SU CHESTERTON
 

La tolleranza produce galera, quando non linciaggi e morte civile. Per forza: se ho una convinzione, vuol dire che io ho ragione e chi non la pensa come me ha torto. Tanto più forte sarà la mia convinzione, tanto più dura sarà la mia reazione contro chi non è d’accordo. E' il nemico interno della Chiesa: il politicamente corretto che invoca dialogo e tolleranza. 

di Rino Cammilleri

Quando ho letto l’aforisma che la benemerita agenzia cattolica Zenit.org a posto a esergo del suo lancio del 2 marzo 2017 ho fatto un salto sulla sedia. Eccolo: «La tolleranza è la virtù dell’uomo senza convinzioni». Sarà sfuggito di penna in un’agenzia in genere pacata e clericalmente corretta che, lodevolmente, mai si discosta dallo stile della conferenza episcopale italiana? Boh.

L’aforisma in questione l’ha scritto Gilbert K. Chesterton (1874-1936). Lo scrittore profetico (non a caso c’è chi ne propugna la beatificazione) aveva anche previsto che spade sarebbero state sguainate per sostenere che l’erba è verde e il cielo è azzurro. Infatti – tanto per dirne una - in Spagna le autorità hanno multato e sequestrato un autobus che recava la scritta «I bambini hanno il pene e le bambine hanno la vagina». Sì, perché l’ovvio non si può più dire: è reato di «intolleranza».

Come il goyano sonno della ragione produce mostri, così la c.d. tolleranza produce galera, quando non linciaggi e morte civile. Per forza: se ho una convinzione, vuol dire che io ho ragione e chi non la pensa come me ha torto. Tanto più forte sarà la mia convinzione, tanto più dura sarà la mia reazione contro chi non è d’accordo. Chi ha una convinzione forte farà di tutto per mettere a tacere chi si permette di dissentire. E’ nella natura delle cose.

La «tolleranza» è una forzatura, non ha senso. Infatti, la natura si ribella e rimette le cose a posto. Qualche tempo fa il principe britannico William, figlio di Diana Spencer, fu visto a una festa – privata - mascherato da nazista e successe il finimondo. Era il massimo dell’autoironia in un inglese, ma venne costretto ad abiurare come Galileo. Se si fosse mascherato da khmer rosso nessuno avrebbe avuto da ridire; anzi, nessuno se ne sarebbe accorto.

Potremmo produrlo, ma sarebbe inutile, perché lo conoscono tutti: c’è un elenco preciso di cose che, se le fai o le dici, finisci in galera, e va sotto il nome generico di «politicamente corretto». E’ la dimostrazione che la «tolleranza» non esiste, è stata solo un grimaldello dialettico usato per disarmare gli avversari, ora non serve più. Il famoso detto attribuito a Voltaire? Sì, quello che recita: non sono d’accordo con quel che dici ma darò la vita perché tu possa dirlo. Balle, non solo Voltaire non l’ha mai detto, ma gli insulti riservati a chi non la vedeva come lui dimostrano pure che si sarebbe guardato bene dal dirlo.

Sì, perché chi ha una convinzione chiara, precisa e decisa non «tollera» dissenso. Al massimo lo sopporta momentaneamente. Basta vedere che fine fanno quelli che si permettono di dissentire col papa della «misericordia». Papa Francesco, infatti, ha una convinzione ben precisa e, come tutti quelli che ne hanno una, cerca di imporla. Bando alle ipocrisie, anche io farei lo stesso.

Chesterton ha avuto la vista lunga e ci aveva avvertiti che il re è nudo, ma lo abbiamo ascoltato – ahimè vanamente - soltanto noi «intolleranti», colpevoli solo di avere le idee chiare. E ancora, tanto per cambiare, la Chiesa si ritrova come è sempre stata, con due nemici da combattere, uno interno e l’altro esterno. Quello esterno è, ari-tanto per cambiare, l’islam. Quello interno è il «politicamente corretto», che invoca, a scopo autodemolitorio, il «dialogo» e la «tolleranza», due concetti cioè che – ci si faccia caso - fanno a cazzotti tra loro. 

 


[Modificato da Caterina63 06/03/2017 17:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)