Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

DIFENDERE LA VERA FEDE

Chiarimenti sul caso Galileo Galilei

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    Caterina63
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    00 27/11/2008 23:46
    Il 15 Marzo 1990 il cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, affermò in un discorso nella città di Parma:

    "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto..."

    (citazione di P. Feyerabend, tratta da Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Paoline, Roma 1992, p. 76-79)

    Sempre Ratzinger ebbe a riconoscere che questo caso, comunque sia, non fu mai oggetto di condanna da parte della Chiesa quanto piuttosto fu preso invece assai in considerazione con molta serietà dalla Chiesa e che i fatti andrebbero riletti rispettando la situazione culturale dell'epoca....da non dimenticare che Galileo non fu condannato lui in quanto scienziato, ma venne accantonata piuttosto la sua teoria perchè non aveva prove...


    INTERVISTA
    Dai casi G.Bruno e Darwin a oggi: parla William Shea, che siede sulla cattedra che fu di Galileo


    da www.avvenire.it dicembre 2004

    Dio e scienza oltre il conflitto

    «Interrogarsi sulla natura equivale a "immaginare la mente di Dio".E qui entra in campo anche la fede»


    Di Luigi Dell'Aglio

    Religione e scienza sono i due argomenti la cui capacità di richiamo, anche culturale, sul pubblico cresce incessantemente. Ad attirare l'interesse è anche il confronto spassionato che si è aperto tra queste due visioni della realtà, complementari fra loro e ricche di significati. Scienza e fede sono percepite come soggetti di un dialogo in continuo sviluppo, e anzi come materia per un approccio interdisciplinare sempre più stretto. Il conflitto che in passato le ha contrapposte appare sfumato.

    In un contesto nuovo s'inquadra lo stesso caso Galilei, che rappresenta il momento di più acuta tensione tra scienza e fede. Oggi appare come una vicenda per molti aspetti incomprensibile, sulla quale si è a lungo speculato e che va giudicata con maggiore obiettività.

    Anno 1633.
    Scena: il Sant'Uffizio.
    Protagonista: il padre della scienza moderna.
    Azione: il processo.
    Ma, da quando sono pienamente accessibili i documenti degli Archivi Vaticani, mostra molte crepe la vulgata ottocentesca, e anticlericale, di questo drammatico episodio. Ad affermarlo è uno studioso di indiscussa autorità, il professor William Shea, chiamato alla cattedra galileiana di Storia della Scienza a Padova, dopo aver insegnato a Cambridge e Harvard. Shea ha studiato quei documenti.

    E ha scritto un libro, per la Oxford University Press, Galileo a Roma: ascesa e caduta di un genio scomodo. Del caso Galileo e della crescente sintonia tra scienza e fede, ha parlato ad Ancona, nel corso del convegno dal titolo «Credere in Dio sulle vie della scienza».

    Ecco l'intervista:


    Professor Shea, teologi e scienziati sentono un gran bisogno di parlarsi...

    «In tutti i Paesi. In Usa, il mese scorso, ho tenuto tre conferenze su questo tema. Un mega-convegno è in programma, sempre in Usa, pe r il 2005. La scienza può dare una mano alla teologia, facendo conoscere il mondo come è stato realmente creato da Dio (e interrogarsi sulla natura equivale a "ricercare la mente di Dio"). Dal canto suo, la teologia offre allo scienziato elementi di riflessione sul significato della ricerca. Ci si può ritrovare sul terreno di una ricerca scientifica legata a una visione etica del mondo».


    La tensione e i malintesi del passato sono dimenticati?

    «I nodi storici? Su Charles Darwin non ci fu un vero scontro. La tragica storia di Giordano Bruno non entra nel conflitto scienza-fede: riguardava temi teologici. E allora l'unico caso di conflitto scienza-fede è quello sull'eliocentrismo e su Galileo».


    Quali novità emergono dai documenti storici ora consultabili?

    «Il motivo per il quale quella vicenda finì come è finita resta un enigma. Galileo Galilei era molto stimato da Paolo V e da Urbano VIII. I gesuiti lo tenevano in grandissima considerazione. Grazie al gesuita e matematico Cristoforo Clavio aveva ottenuto la cattedra a Pisa e quella, ancora più prestigiosa, qui a Padova. Quando mostrò lo strumento che aveva inventato - l' "occhiale", cioè il telescopio - l'Accademia dei Lincei andò in visibilio: secondo il cardinale Francesco Maria del Monte, Galileo meritava addirittura una statua equestre in Campidoglio. Nel 1624, in sette settimane trascorse a Roma, ebbe sei colloqui con Urbano VIII. E anche dopo la condanna al riscontro di cui egli non aveva le prove, non solo non patì il carcere ma fu trattato con un rispetto e un'indulgenza inconcepibili in un secolo come quello».


    Quando si profila l'inizio del dramma?

    «Quando - molto educatamente, bisogna dirlo - Galileo viene invitato a fornire le prove dell'eliocentrismo. Il papa gli chiede di dimostrare che la Terra realmente si muove; solo così, gli dice, la Chiesa potrà formulare una nuova interpretazione delle Scritture (nell'Ecclesiaste, Giosuè "arresta il cammino del Sole"). Ma Galileo non ha quelle prove».


    Non le aveva nessuno. Ma allora l'eliocentrismo di Copernico e Galileo poteva apparire come una teoria e basta?

    «Le prove dell'eliocentrismo sono venute soltanto con la legge della gravitazione universale di Newton. E quando sono arrivate, la Chiesa le ha accettate. Comunque, all'epoca di Galileo, la teoria copernicana circolava e non veniva affatto combattuta: era considerata un'ipotesi o "suppositione" astronomica, non una verità assoluta. Ma Galileo volle giocare il tutto per tutto, a differenza di Copernico lui provocò le situazioni che si vennero a creare, forse approfittando anche della sicurezza che avvertiva per le forti conoscenza di cui godeva la stima e la fiducia . E nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo arrivò addirittura a introdurre un personaggio ridicolo, Simplicio, che rappresentava chiaramente papa Urbano VIII. Galileo era un fiorentino verace nel carattere. Ma Urbano VIII era della stessa città, e della stessa pasta. Come potè un uomo intelligente come Galileo commettere un errore del genere?».


    E' per questo che precipitano gli eventi?

    «Le ragioni sono tante. La Guerra dei Trent'Anni, la Spagna che accusa Roma di avvicinarsi ai protestanti per arginare il dominio spagnolo. E poi proprio allora si scopre che il principale protettore di Galileo, Giovanni Ciampoli, segretario del papa, per il quale scriveva le lettere ufficiali, per ambizione frustrata complotta con gli spagnoli. Si chiudono tutte le vie di compromesso. Urbano VIII, quando deve spiegare la rottura definitiva con Galileo, collega l'offesa del Dialogo con la congiura di Ciampoli, spiegando all'ambasciatore fiorentino: "E' stata una vera ciampolata!"».


    Galileo muore nel 1642; e solo un secolo dopo viene sepolto in Santa Croce.

    «La storia non può essere riscritta, ma su molto si può fare ancora luce. Possiamo solo tentare di farne tesoro e riconoscere serenamente che anche Galileo si meritò un certo trattamento, la Chiesa in fondo non fece altro che il suo dovere e con Galileo dimostrò veramente molta ragionevolezza».

    **************

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 27/11/2008 23:48
    Oltretevere si riapre il dibattito su Galileo: “Ripubblicheremo gli atti, non lo abbiamo mai condannato”

    CITTA’ DEL VATICANO - Galileo Galilei (1564-1642) non fu mai condannato dal tribunale ecclesiastico che lo indagò per le sue affermazioni scientifiche. Un dato storico poco conosciuto, nonostante Papa Giovanni Paolo II abbia pronunciato un 'mea culpa' considerato da molti osservatori la parola definitiva sulla secolare questione. Tanto che, per fare ulteriore chiarezza, in Vaticano si pensa ad una nuova edizione degli atti processuali che riproponga e aggiorni quelli di trent'anni fa.

    "Il Papa non firmò la condanna e i Cardinali non raggiunsero l'accordo per la condanna", ricorda oggi Monsignor Gianfranco Ravasi. "Io ho proposto, ed è probabile che lo si faccia, di ripubblicare gli atti nella loro totalità, in modo da averli ancora a disposizione in una edizione la più possibile accurata e rigorosa dal punto di vista critico".

    Elementi storici che, secondo il presidente del Pontificio consiglio della cultura, "è necessario mettere a disposizione, magari anche con una accurata analisi contestuale". Però, precisa l'Arcivescovo, "ritornare sempre a usare la storia come un tribunale alla fine non fa progredire la scienza. Permette, sì, di purificare il passato, però adesso guardare verso il futuro".

    In vista dell'anno 'galileiano' (2009), il Vaticano sarà coinvolto in varie iniziative. A partire da una tavola rotonda che avrà luogo domani, sponsorizzata dallo stesso dicastero vaticano guidato da Ravasi e da Finmeccanica, con la partecipazione del Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. "Penso che possano essere quattro le strade che possiamo imboccare durante quest'anno", spiega Ravasi a margine di un convegno delle Pontificie accademie.

    "Il coinvolgimento della Chiesa e della riflessione teologica riguarderà soprattutto il tema dell'evoluzione biologica, grande tema che tornerà sul tappeto per il secondo centenario della nascita di Darwin e i 150 anni dell''Origine delle specie'. Seconda pista, il quattrocentenario delle rilevazioni di Galileo col cannocchiale. E' necessario, dunque, ritornare alla grande riflessione astronomica, anche perché il 2009 l'anno dell'astronomia indetto dall'Onu.

    A questo proposito il Pontificio consiglio della cultura parteciperà anche da un grande convegno a Firenze su Galileo. Terzo percorso è quello del linguaggio: tante volte ogni disciplina ha il suo linguaggio che bisogna conoscere: la scienza, la teologia, la filosofia. Ecco perché patrocineremo un grande convegno, a marzo, in cui ci sarà la voce della scienza accanto alla voce della filosofia accanto alla teologia, ognuno con sua dignità e linguaggio. Da ultimo direi che è importante riconoscere che un tema che Papa Benedetto XVI spesso ripropone: quello della ragione e della fede e della verità. All'interno di una concezione che si sta sempre più diffondendo, la verità viene considerata un ostacolo. La verità, invece, ci precede e ci eccede".

    www.papanews.it/news.asp?IdNews=10548

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 25/05/2009 19:08
    Una rilettura storica, filosofica e teologica

    Il caso Galileo
    quattrocento anni dopo


    Il 26 maggio si apre a Firenze, presso la basilica di Santa Croce, il convegno internazionale "Galileo 2009" organizzato dall'Istituto Stensen. I lavori proseguiranno dal 27 al 29 maggio nel Palazzo dei Congressi e si concluderanno il giorno 30 nella villa Il Gioiello di Arcetri, l'ultima dimora di Galileo. Uno dei relatori ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" i temi e il significato del convegno.

    di Ugo Baldini

    Il convegno di Firenze si presenta come uno degli eventi salienti dell'International Year of Astronomy, indetto dall'Onu nel dicembre 2007 a seguito di una proposta dell'Unione astronomica internazionale, fatta propria dall'Unesco. Il 2009 è stato scelto perché segna il quarto centenario dell'introduzione del telescopio nelle osservazioni astronomiche, avvenuta a Padova da parte di Galileo Galilei. Così, mentre molte iniziative in corso in una pluralità di Paesi, inclusa l'Italia, stanno riguardando lo stato attuale e le prospettive della ricerca astronomica, alcune, doverosamente, sono dedicate all'esame specifico di quel fatto e alle sue ripercussioni nella storia scientifica e, nel senso più ampio, intellettuale.

    Com'è ben noto, l'astronomia di Galileo e il contesto fisico-cosmologico innovativo nel quale egli tese a collocarla, facendone uno strumento di grande portata insieme scientifica e filosofica, fu l'oggetto di un intervento degli organi censori della Chiesa, le Congregazioni del sant'Ufficio dell'Inquisizione e dell'Indice.

    In un primo momento (1615-1616) l'intervento ebbe un esito esclusivamente dottrinale, la proibizione della teoria eliocentrica copernicana come quadro della realtà fisica - non come schema di calcolo - e di alcune opere che la esponevano e sostenevano:  né Galileo né altri sostenitori dell'eliocentrismo furono oggetto di sentenza. In seguito (1632-1633) venne invece un processo contro di lui, con l'accusa di aver ottenuto l'imprimatur per il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo dissimulandone il contenuto decisamente copernicano e aggirando quindi la proibizione, resagli nota già nel 1616.
     
    In linea di pura cronologia e strettamente scientifica la ricorrenza centenaria riguarda un fatto estraneo alla successiva vicenda censoria, essendo eminentemente tecnico e in sé religiosamente neutro, in quanto connesso molto parzialmente e indirettamente alle valenze cosmologiche dirompenti dell'eliocentrismo.

    La visione di maggior dettaglio di corpi o fenomeni già visibili e la visibilità di altri che prima non lo erano - i satelliti di Giove, le fasi di Venere, le "protuberanze" laterali di Saturno interpretate solo in seguito come un anello, e altro - misero in crisi diversi aspetti della cosmologia aristotelica e mostrarono la falsità del geocentrismo tradizionale ma non, su un piano puramente logico, quella del sistema intermedio - geo-eliocentrico - di Tycho Brahe, che era compatibile con la cosmogonia e l'astronomia della Bibbia:  perciò non comportarono intrinsecamente un contrasto con queste.

    Di fatto, la Chiesa non pensò mai a interdire l'uso del telescopio in astronomia, che crebbe velocemente nei Paesi cattolici non meno che nei protestanti e trovò anzi nel clero molti dei suoi praticanti più assidui e qualificati. Tuttavia Galileo, che non ritenne plausibile il sistema di Brahe, considerò i nuovi oggetti e fenomeni come inquadrabili esclusivamente nel sistema eliocentrico e come evidenze a suo favore, e dopo aver pubblicato nel 1610, nel Sidereus nuncius, le sue prime osservazioni, potenziò il telescopio e ne focalizzò l'uso soprattutto in funzione della sua battaglia di idee. Così, se su un piano strettamente scientifico tra gli eventi del 1609 e quelli del 1615-1616 e 1632-1633 v'è una relativa estraneità, su quello di una storia intellettuale generale v'è una quasi continuità ed un nesso ineludibile.

    Questo fatto spiega l'impianto del convegno fiorentino, che non intende proporre una riflessione sulla figura complessiva dello scienziato toscano né su aspetti tecnici molto specifici.

    Se per il grande pubblico o per molti studiosi non specialisti Galileo è solo o soprattutto l'astronomo del processo e dello "eppur si muove", nella storia della scienza ha un titolo di gloria forse più grande:  la fondazione della cinematica, con la formulazione della legge del moto uniformemente accelerato e l'individuazione di un principio fondante per l'intera meccanica (detto talora "relatività galileiana").

    Non solo gli organizzatori hanno limitato il convegno al tema astronomico, in conformità al ruolo conferito internazionalmente all'anno 2009, ma da esso hanno escluso l'aspetto tecnico, com'è esplicitato nel titolo:  "Il caso Galilei. Una rilettura storica, filosofica, teologica". L'oggetto è dunque la vexata quaestio, dibattuta quasi ininterrottamente dal 1633 alla storiografia attuale, attinente a genesi, fondamento, motivazioni, sviluppi e ripercussioni della vicenda dipanatasi tra 1615 e 1633. È su tale "caso" che verterà la quasi totalità delle ventisette relazioni previste nei giorni 27, 28 e 29 (il 26 sono previste due lectiones magistrales introduttive; il 30 si avrà una tavola rotonda conclusiva nella villa Il Gioiello, sui colli fiorentini, dove Galileo visse in stato di residenza coatta da poco dopo la condanna fino alla morte nel 1642).

    Le valenze molteplici del caso - scientifiche, storiche, giuridiche, teologiche, ideologico-politiche - hanno portato a migliaia di trattazioni, il cui numero negli ultimi anni è piuttosto cresciuto che diminuito, con un correlativo incremento di documentazione, accuratezza, specificazione di aspetti.

    Il convegno fiorentino, tuttavia, si ripromette di portare gli studi a un nuovo punto di avanzamento. Neppure esso potrà portare a risultati definitivi, perché certe lacune nella documentazione, la delicatezza delle implicazioni e le forti connotazioni ideali che hanno sempre segnato la riflessione sul tema probabilmente impediranno per sempre una ricostruzione non ipotetica in alcuna sua parte, condivisa e di valore permanente (nei limiti in cui questi attributi sono riferibili al lavoro storiografico). Tuttavia la vastità d'impianto, l'ambito internazionale di provenienza dei relatori e, ancor prima, il numero e livello degli enti promotori lo rendono senz'altro un evento che ha pochi analoghi nella pur ricca storia organizzativa degli studi galileiani degli ultimi decenni.
     
    All'organizzazione hanno concorso, con ruoli che vanno da un intervento diretto al patrocinio, diciotto istituzioni italiane di alta cultura, dall'Accademia dei Lincei e da quella Pontificia delle Scienze alle università di Firenze, Padova e Pisa, le tre città e sedi accademiche legate alla vita e alle ricerche di Galileo. Proponente iniziale e perno logistico è però il fiorentino Istituto Stensen, riuscito non solo nel compito difficile di raccordare istituzioni disparate, sollecitare adesioni internazionali, creare una vasta aspettativa, ma in quello più arduo di costruire una cornice unica di dialogo - pur con la certezza di differenze di giudizio anche vivaci - tra gli specialisti circa uno dei temi che, da più tempo e più intrinsecamente, demarcano posizioni religiose, filosofiche e ideologiche profondamente alternative.

    La premessa forse più decisiva per questa nuova atmosfera, il discorso del 31 ottobre 1992 ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze nel quale Giovanni Paolo II qualificò la vicenda censoria come "tragica reciproca incomprensione", sarà anch'essa oggetto di analisi, perché il programma seguirà le fasi storiche della querelle fino al presente. Le relazioni del 27 maggio riguarderanno gli eventi del  1615-1616 e 1632-1633. Il 28 si passerà allo  sviluppo  dei  giudizi  e  dell'immagine  storica  del  "caso"  fino  al  1820-1822,  quando una  decisione  di  Pio vii  -  che  pose termine al  cosiddetto  "caso  Settele"  - autorizzò definitivamente  l'insegnamento  dell'eliocentrismo come verità fisica, anche nello Stato pontificio.
     
    Il 29 saranno sondati sviluppi e valenze del tema dall'età del risorgimento e del positivismo, quando esso assunse valenze anche fortemente anticattoliche e antireligiose e fu usato come evidenza a supporto di elaborazioni filosofiche e ideologiche radicali, fino a un presente in cui esso appare come l'antecedente di questioni, di portata almeno pari, che oggi si pongono nel rapporto tra scienza e fede.


    *Università di Padova Pontificio Comitato di Scienze Storiche

    (©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)

    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 25/05/2009 19:10

    L'unica radice di fede e scienza


    di Giuseppe Betori
    Arcivescovo metropolita di Firenze

    Sono lieto che a Firenze si svolga il convegno internazionale di studi su "Il Caso Galileo", una rilettura storica, filosofica e teologica, pensato e organizzato dalla Fondazione Niels Stensen dei padri gesuiti, in occasione delle celebrazioni dell'Anno internazionale dell'astronomia indetto per il 2009 dall'Assemblea generale delle Nazioni unite.

    La rilevanza del convegno è manifestata già dall'adesione di ben 18 istituzioni nazionali e internazionali, dal Pontificio Consiglio della Cultura all'Accademia dei Lincei, dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Specola Vaticana alle Università di Firenze, Padova e Pisa e a numerose altre prestigiose istituzioni, storicamente coinvolte nella "vicenda galileiana". Ma anche l'ampiezza dei temi affrontati e la partecipazione dei massimi studiosi mondiali - storici, filosofi e teologi - conferisce al convegno caratteristiche uniche.
     
    Vi sono quindi tutte le premesse per un riesame sereno e obiettivo del "Caso Galileo", di quella "tragica reciproca incomprensione" e "doloroso malinteso" - come ribadiva Giovanni Paolo II nel 1992 - che hanno portato alla condanna non solo del fondatore della scienza moderna, ma di una delle menti più geniali dello scorso millennio. Purtroppo questo "doloroso malinteso" è spesso stato erroneamente interpretato come "il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede".

    Mi auguro che questo evento mostri l'infondatezza di tale opinione. Spero in particolare che la celebrazione dell'anno internazionale dell'astronomia e la memoria della vita, delle opere e dell'ingegno di Galileo, favoriscano una ripresa e una riproposizione creativa del fondamentale dialogo tra ragione e fede, nella prospettiva di una permanente e costruttiva collaborazione tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca scientifica, di sviluppo economico e di promozione sociale.

    La fede non cresce con il rifiuto della razionalità, ma si inserisce su un orizzonte di ragionevolezza più ampio.

    La stessa ragione, senza la fede, rischia di ridursi a calcolo e a esclusiva valutazione di conflitti di interessi, spesso ignara o cieca di fronte a vitali interrogativi, a fondamentali valori e a drammatiche situazioni umane.

    Per questo il dialogo tra ragione e fede deve continuare. La natura estremamente complessa e, a volte, inedita delle problematiche etiche, sociali e politiche sollevate dai rapidi sviluppi delle ricerche scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche contemporanee, nell'ambito di un processo di crescente globalizzazione e interdipendenza economica, esigono infatti libertà interiore e buona volontà da parte di tutti, credenti e non credenti.

    In questa prospettiva, l'inaugurazione del convegno internazionale nella solenne maestosità della basilica di Santa Croce, dove risiede la tomba di Galileo, alla presenza del presidente della Repubblica, dei rappresentanti delle istituzioni aderenti e di numerose autorità culturali, politiche e religiose, assume non solo un'alta valenza culturale e simbolica, ma indica che sussistono le condizioni per una costruttiva condivisione di responsabilità, nella consapevolezza dei rispettivi ruoli e compiti.




    (©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)

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    Cattolico_Romano
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    00 03/06/2009 16:07
    Il dibattito ottocentesco sull'astronomo pisano

    Galileo, Tommaso e i gesuiti


    È in corso a Firenze, a Palazzo dei Congressi, il convegno internazionale "Galileo 2009". Anticipiamo un estratto di una delle relazioni.




    di Luciano Malusa
    Università di Genova


    Nel corso del XIX secolo il movimento neotomista in Europa sviluppò una pressione sul papato e sulle scuole cattoliche perché la filosofia cristiana ritornasse allo studio delle opere di san Tommaso, nella misura in cui diversi scritti dell'Angelico Dottore avevano rappresentato il coagularsi di una dottrina razionale in grado di fondare la fede. Occorreva, secondo i seguaci di questo movimento, che una solida filosofia fosse posta a fondamento sia dell'etica pubblica che dell'esercizio della religione cristiana. Il momento di affermazione del neotomismo fu rappresentato da una consacrazione ufficiale da parte del papato, quanto addirittura un'enciclica, l'Aeterni Patris, di Leone XIII, prescrisse nel 1879 per seminari e scuole cattoliche l'adozione della dottrina tomista nell'avviamento e nel consolidamento della filosofia.

    Nello sviluppo di questo movimento notiamo l'elaborazione di una dottrina circa la natura che si contrappose alle tendenze del materialismo. Tale filosofia della natura pose dei problemi. Nell'utilizzare le dottrine di Tommaso i pensatori che ritenevano fondamentale il suo pensiero per una genuina fondazione di filosofia cristiana si impegnarono a restaurare la teoria della materia e della forma. Uno dei punti fondamentali del pensiero tommasiano relativamente ai corpi non poteva che essere la visione qualitativa, collegata con la necessità di cogliere le essenze dei fenomeni naturali per comprendere l'insieme delle leggi che regolano il cosmo. 

    Ogni sostanza per san Tommaso è sinolo di materia e forma, e la forma in un certo senso particolarizza entro l'esistenza, grazie alla materia disponibile ad essere formata, un'essenza universale che la scienza deve cogliere attraverso un complesso procedimento, logico e sperimentale insieme.
    In questo contesto, il ricorso al pensiero di Galileo Galilei fu, nei neotomisti, problematico. La visione della materia e della forma confliggeva certamente con la visione del movimento dei corpi e della causalità riscontrabile attraverso gli influssi atomici. Il cosiddetto meccanicismo, che era stato introdotto dalla cinematica nella versione galileiana, non poteva essere fatto coesistere facilmente con i principi della fisica tomistica, i quali asserivano essere i corpi composti di materia prima e forma sostanziale, e secondo i quali a determinare e spiegare i movimenti della corporeità era la forma.

    Tuttavia i pensatori neotomisti, quando si trattò di confrontare la scienza sorta in età moderna, e ormai patrimonio dell'umanità, imprescindibile elemento del sapere nel secolo XIX, con i principi dell'aristotelismo modificati e adattati da san Tommaso, non ritennero imbarazzante parlare di Galilei e delle sue metodologie.

    La relazione che farò nel corso della terza giornata del Congresso si occupa delle posizioni di neotomisti appartenenti alla Compagnia di Gesù, come Giovanni Maria Cornoldi e Matteo Liberatore, ed anche, per contrapposizione dialettica, delle posizioni di scienziati e pensatori egualmente gesuiti, che non condivisero l'impostazione neotomista (Angelo Secchi e Francesco Salis-Seewis).

    Cornoldi e Liberatore non intendevano rinfocolare le polemiche del Seicento, e far rivivere il dramma della condanna dello scienziato toscano davanti al Santo Uffizio. Soprattutto non valutavano la condanna di Galilei in funzione del contrasto della sua posizione atomistica. La tesi di Pietro Redondi (Galileo eretico, Torino 2007), che le motivazioni reali della condanna di Galilei risiedono nelle preoccupazioni dogmatiche di "fermare" la diffusione della dottrina galileiana degli atomi, ha un suo fondamento, ma non è spendibile per capire la situazione ottocentesca. Ai gesuiti premeva dare a Galilei una patente di ortodossia, sorvolando sul modo di professare la fisica corpuscolare accanto ad una fisica del movimento. Addirittura essi, non potendo negare l'atomismo chimico-fisico cercavano di sovrapporgli un'interpretazione basata sulla forma quae "secondo livello" nella comprensione della sostanzialità dei corpi.

    Queste difficoltà furono fatte rilevare ai neotomisti dallo scienziato gesuita Angelo Secchi, docente di Astronomia al Collegio Romano (l'università dei gesuiti di allora). Per Secchi, il quale era stato allievo di Giambattista Pianciani, uno dei fondatori de "La Civiltà Cattolica", il movimento di ritorno al pensiero di san Tommaso era incompatibile con i principi dell'atomismo fisico-chimico che stavano alla base dello sviluppo della ricerca scientifica. Questo esponente di una scuola di pensiero che riteneva fondamentale il meccanicismo sotto il profilo fisico anche in funzione di un'apologetica cattolica si era convinto che ai fini proprio della presenza della fede cristiana nel mondo degli scienziati era deleterio il tipo di filosofia presentato dai seguaci di san Tommaso.

    Nonostante questa accettazione della sintesi galileiana nel quadro della sua posizione dell'unità delle forze fisiche, Secchi pensava, riguardo alla condanna del 1633, che Galilei si fosse prestato con il suo comportamento ad equivoci. In un testo piuttosto esplicito così si esprime:  "Mettendoci nelle condizioni de' tempi (...) la condotta del Papa e del tribunale non poteva esser diversa, la questione scientifica spariva quasi in faccia alla inqualificabile condotta di Galileo, che ad onta di un processo avuto si occupava ex professo di un tema vietato perché pericoloso allora, non ben dimostrato e che era rigettato dai protestanti stessi di molto grido, e che non si appoggiava con pompa che di argomenti insussistenti (flusso e riflusso) mentre forse i più concludenti erano lasciati nell'ombra" (lettera inviata a Sante Pieralisi, comparsa poi nello scritto di questi:  Sopra una nuova edizione del processo originale di Galileo Galilei fatta da Domenico Berti, Roma 1879, pp. 3-4.).

    Una posizione più equilibrata sul ruolo complessivo di Galilei viene espressa da uno scrittore de "La Civiltà Cattolica" che si trovò in controtendenza rispetto a Cornoldi e Liberatore. Nella recensione del 1875 allo scritto del positivista Francesco Saverio de Dominicis, intitolato Galilei e Kant, Salis-Seewis asserisce che l'assimilazione della filosofia di Galilei al pensiero di Kant non è fondata.

    Galilei non ha inaugurato il divorzio della filosofia dal dogma religioso, ma, al contrario, ha cercato di trovare una strada per l'esercizio corretto della ragione nel rapporto con l'esperienza e per rispettare la verità della rivelazione cristiana. Galilei ha cercato di difendere le sue conclusioni scientifiche circa il movimento della Terra sostenendo che la Scrittura insegnava quello che lui indicava, e cercando anche un'interpretazione non letterale dei testi sacri.

    Nel primo atteggiamento, secondo Salis-Seewis, ha sbagliato; nel secondo caso ha fatto quanto molti esegeti e filosofi hanno fatto, seguendo i canoni dell'interpretazione dei testi sacri indicati nell'esegesi biblica cristiana fin da sant'Agostino.
    Pur senza polemizzare con la visione ilemorfica circa i corpi, Salis-Seewis afferma che la filosofia cristiana può mantenere una posizione creazionistica anche affermando l'esistenza di quelle forze fisiche riconosciute dall'esperienza scientifica degli ultimi due secoli, prescindendo dalla materia e dalla forma. L'istanza intellettuale e quella sperimentale erano state coniugate da Aristotele in età antica; nel prosieguo del medioevo gli ingegni della Scolastica avevano preferito "starsene per fatti della testimonianza del loro maestro, e curar meno le ulteriori esperienze".

    Galilei non si allineò a questo metodo riduttivo, ed accentuò il metodo aristotelico di unire l'uso della ragione all'osservazione ed all'esperienza. Le difficoltà non gli mancarono, in quanto gli aristotelici del suo tempo non lo compresero. Di qui in fondo nacquero i guai per lui. Tuttavia il padre Salis-Seewis valuta positivamente il ruolo del pensatore toscano. "Dopo qualche inevitabile contraddizione, fu ascoltato, e le scienze naturali nella Chiesa e dai credenti furono coltivate con nuovo ardore. La filosofia cristiana, nel suo più ampio significato, ricevette allora il suo compimento. Tale è la posizione, tali i meriti di Galileo". Questa frase compendia la posizione assunta dai gesuiti nella seconda metà dell'Ottocento:  i neotomisti ebbero qualche incertezza nella rigida adesione all'ilemorfismo; e seguaci di Secchi si mossero invece con maggiore scioltezza e conseguirono per la prima volta nella storia del pensiero cattolico una posizione equilibrata circa il valore e l'eredità del pensatore toscano.




    (©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)
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    00 10/06/2009 15:16
    Galileo non è stato in carcere, né è morto sul rogo

    Intervista al sottosegretario del Pontificio Consiglio per la cultura



    di Carmen Elena Villa

    ROMA, martedì, 9 giugno 2009 (ZENIT.org).- L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato l’anno 2009 come Anno dell’astronomia, in occasione della commemorazione del quarto centenario della nascita del telescopio.


    Perché alcuni dicasteri della Chiesa e alcune istituzioni religiose si uniscono alle celebrazioni dell’Anno dell’astronomia proposto dalle Nazioni Unite?


    La pubblica opinione in generale manifesta una sorta di “allergia istintiva” ogni volta che si parla del caso della condanna della Chiesa a Galileo Galilei. Viene visto come un “santo laico”, come un “martire della scienza” e la Chiesa come la “grande inquisitrice” di questo genio dell’astronomia.


    Il caso di Galileo è citato anche nel libro “Angeli e Demoni” di Dan Brown, il cui film è stato lanciato in tutto il mondo lo scorso 13 maggio.


    ZENIT ha parlato con monsignor Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura e coautore del libro “Galileo e il Vaticano”, su quei miti storici e sulle verità storiche del processo che la Chiesa ha svolto su questo controverso personaggio.


    Parliamo un po’ delle leggende nere di Galileo...


    Monsignor Sánchez de Toca: Lo scorso 9 maggio stavo dando una conferenza su Galileo a Toledo, in Spagna, ad un pubblico formato principalmente da seminaristi e ricercatori cattolici, ed ho esordito dicendo che molti si sorprendono di scoprire che Galileo non è stato bruciato sul rogo né è stato torturato o messo in prigione. Alla fine della conferenza uno dei partecipanti mi ha detto: “io sono uno di loro, io ho sempre pensato che Galileo fosse morto sul rogo”.


    La cosa curiosa è che in realtà nessuno gliel’ha detto, né probabilmente l’ha letto da qualche parte. Semplicemente se lo immaginava. Questo dimostra la grande forza di questo mito che è stato costruito intorno a Galileo. Un mito in cui, diceva Giovanni Paolo II, la verità storica è molto lontana dall’immagine che è stata creata successivamente su Galileo. Tutti sono convinti che Galileo è stato maltrattato, condannato, torturato, dichiarato eretico, ma non è così.


    Per fare un esempio molto recente, il libro di Dan Brown “Angeli e Demoni” contiene un breve dialogo in cui presenta Galileo come membro della setta degli Illuminati, con una serie di errori storici grossolani accanto ad altre cose che sono corrette.


    Possiamo parlare di questi errori storici di “Angeli e Demoni” sul tema di Galileo?


    Monsignor Sánchez de Toca: In realtà il libro riflette stereotipi molto diffusi. Il problema di fondo di questo libro è che mescola idee filosofiche ed elementi scientifici. La trama presenta il professore e sacerdote Leonardo Vetra che viene assassinato da una setta poiché ha scoperto il modo per rendere compatibili la fede e la religione. Inoltre, si afferma che la fisica è il vero cammino verso Dio. Il professore sarebbe infatti riuscito, in laboratorio, a creare la materia dal nulla. Questo è concettualmente un assurdo perché fisicamente dal nulla non esce fuori nulla. Si può creare la materia partendo dal vuoto, ma il vuoto non è il nulla. Il vuoto “è”, mentre il nulla “non è”. È un principio filosofico elementare.


    Secondo questa tesi, la fisica rappresenta un cammino migliore e più sicuro per arrivare a Dio. Poi, riguardo in particolare Galileo, si ripropone lo stereotipo secondo cui Galileo fu condannato per aver dimostrato il movimento della terra. Non è così. Galileo non ha dimostrato questo. Anzi è proprio questo l’elemento che gli mancava nella sua argomentazione.


    Galileo diceva, e in questo erano d’accordo anche i suoi accusatori, che non può esserci contraddizione tra il libro della Bibbia e il libro della natura, perché l’uno e l’altro procedono dallo stesso autore. La Bibbia, ispirata da Dio, e la natura ossequiosissima esecutrice dei suoi ordini. Se entrambi hanno lo stesso autore, non può esserci contraddizione. Quando sorge un’apparente contraddizione significa che stiamo leggendo male uno dei due libri. Al riguardo Galileo afferma: “È più facile che siamo noi ad equivocarci nel leggere il libro della Bibbia perché il senso delle parole della Bibbia a volte è recondito e occorre lavorare per tirarlo fuori, che sbagliare a leggere il libro della natura perché la natura non si sbaglia”.


    Una verità naturale, scientificamente dimostrata, ha una forza maggiore dell’interpretazione che io do del libro della Bibbia. Per questo, dice lui, in presenza di una verità scientifica dimostrata, dovrò correggere il modo di interpretare la Bibbia. La Bibbia non si sbaglia, sono quelli che la interpretano che si sbagliano. Un criterio chiarissimo, condiviso dai suoi giudici e dal mondo intero.


    D’altra parte, ciò che diceva il Concilio di Trento è che nella lettura della Bibbia bisognava seguire l’interpretazione letterale e il consenso unanime dei suoi padri, a meno che ci fosse una verità dimostrata che ci permettesse di dare una lettura spirituale o allegorica. Il criterio era molto chiaro: ciò che è avvenuto è che Galileo pensò di essere lì lì per dimostrare il movimento della Terra. Ma una cosa è esserne convinto, un’altra è dimostrare che la Terra si muove. E Galileo non ha mai dimostrato che la Terra si muovesse. Era convinto di questo, e oggi sappiamo che aveva ragione, ma i suoi giudici gli dicevano di non capire perché dovessero cambiare il modo di interpretare la Bibbia, senza una prova definitiva e quando il sentire comune affermava il contrario. I giudici adottarono una posizione prudente. Ma Galileo andò oltre. Quale fu l’errore dei giudici di Galileo? Si sarebbero dovuti astenere dalla condanna.


    Come si svolse in realtà il processo a Galileo?


    Monsignor Sanchez de Toca: In sostanza Galileo fu processato nel 1633 per aver violato una disposizione del 1616. Tale disposizione, a cui Galileo non si attenne, gli vietava di insegnare la teoria copernicana, ovvero la dottrina secondo cui il Sole si trova al centro e la Terra gli ruota attorno.


    Galileo pensò che il divieto non fosse così rigido, soprattutto dopo l’elezione di Papa Urbano VIII, e pubblicò un libro nel quale, sotto l’apparenza di un dialogo in cui vengono esposte le argomentazioni a favore e contro sia del sistema tolemaico che di quello copernicano, in realtà si celava un’apologia mascherata del sistema copernicano. Ma non fu solo questo, che già era una violazione del divieto che gli era stato imposto. Egli inoltre ottenne in modo fraudolento l’imprimatur, ingannando chi glielo concesse dicendo che era un’esposizione imparziale, mentre non lo era affatto. Per questo motivo fu accusato e quindi sottoposto ad un processo disciplinare.


    Galileo non fu mai condannato per eresia, né la teoria copernicana fu dichiarata eretica. Semplicemente fu dichiarata contraria alle Scritture, perché sulla base delle prove allora esistenti non era possibile dimostrare il movimento della Terra. Per questo, dire che la Terra si muoveva sembrava andare contro le Scritture. Molto significativo fu che nel 1616 un gruppo di esperti dichiarò che la dottrina secondo cui la Terra si muoveva attorno al Sole era assurda e questo si comprende perfettamente nel contesto dell’epoca, perché era un assunto che non si poteva dimostrare e, in più, il sentire comune diceva che era il Sole che sorgeva e che tramontava.


    Senza una fisica come quella di Newton, senza una prova ottica del movimento della Terra, la cosa sembrava assurda.


    Noi siamo cresciuti sin da piccoli vedendo modelli e immagini del sistema solare, ma è un fatto che nessuno ha visto la Terra muoversi attorno al Sole, neanche un astronauta. Abbiamo prove ottiche del movimento della Terra, ma nessuno ha visto la Terra muoversi. Per questo la condanna di Galileo, pur rimanendo esagerata, risponde in realtà ad una logica.


    E risponde non soltanto a ciò che pensava la Chiesa ma a ciò che pensava la società in generale...


    Monsignor Sánchez de Toca: Naturalmente. La teoria copernicana ha trovato una grane opposizione principalmente nelle università. È stata accettata solo in modo molto graduale e l’opposizione non proveniva solo dalla Chiesa cattolica. Anche le Chiese protestanti si opponevano a Copernico. Ancora nel 1670 l’Università di Upsala, in Svezia, ha condannato uno studente perché aveva difeso le tesi copernicane.


    Quali furono gli errori commessi dalla Chiesa nel processo a Galileo e quali furono le conclusioni del lavoro svolto dalla Commissione creata da Giovanni Paolo II nel 1981 per studiare il caso Galileo?


    Monsignor Sánchez de Toca: Questo lo ha espresso molto bene il cardinal Poupard nel discorso conclusivo del lavoro di questa Commissione, in cui le sue parole appaiono sottolineate per evidenziare che si tratta della valutazione del cardinale su ciò che avvenne nel passato: “In quella congiuntura storico-culturale – quella di Galileo – molto lontana dalla nostra, i giudici di Galileo, incapaci di distinguere il dato di fede da una cosmologia millenaria, credettero che l’accoglimento della rivoluzione copernicana, che peraltro non era ancora approvata definitivamente, avrebbe potuto rompere la tradizione cattolica e che fosse loro dovere vietarne l’insegnamento. Questo errore soggettivo di giudizio, così chiaro per noi oggi, li ha condotti ad adottare una misura disciplinare a causa della quale Galileo deve aver molto sofferto. È giusto riconoscere questi errori, così come il Santo Padre ha chiesto”.


    I giudici di Galileo hanno sbagliato dunque non solo perché oggi noi sappiamo che la Terra si muove. Cosa che a quel tempo non era possibile saperlo. Ma d’altra parte la storia dell’umanità è piena di matti che hanno affermato cose sorprendenti, poi rivelatesi false, e di cui oggi nessuno ricorda il nome. Se Galileo avesse proposto una teoria diversa, oggi nessuno si ricorderebbe di lui. Questo fu il primo errore oggettivo.


    Il cardinal Poupard parla anche di un errore soggettivo. Quale fu questo errore? Di credere di dover vietare un insegnamento scientifico per timore delle conseguenze. Pensarono che permettere l’insegnamento di una dottrina scientifica che non era approvata poteva mettere in pericolo l’edificio della fede cattolica e soprattutto della gente più semplice. E credettero che fosse loro dovere vietare questo insegnamento.


    Oggi sappiamo che vietare l’insegnamento di una dottrina scientifica è un errore. Non è compito della Chiesa dire se è stata dimostrata scientificamente o meno. Tocca alla scienza. Galileo chiedeva che la Chiesa non condannasse la teoria copernicana, non tanto per timore della propria carriera professionale, quanto perché se si fosse dimostrato in seguito che la Terra ruota intorno al Sole, la Chiesa si sarebbe trovata in una situazione molto difficile e si sarebbe ridicolizzata di fronte ai protestanti e Galileo voleva evitare questo perché era un uomo cattolico sincero. Egli diceva: “Se oggi si condanna come eretica una dottrina scientifica, come è quella secondo cui la Terra si muove attorno al Sole, cosa succederà il giorno in cui la Terra dimostri di muoversi intorno al Sole? Bisognerà dichiarare eretici quindi coloro che sostengono che la Terra sia al centro?”. Questo è ciò che era in gioco, ed è molto più complesso di ciò che solitamente si sente dire.


    In cosa consistette il castigo inflitto a Galileo?


    Monsignor Sánchez de Toca: Si disse che Galileo si era reso veementemente sospetto di eresia, ma non fu mai dichiarato eretico. Gli fu chiesto di abiurare per dissipare ogni dubbio. Galileo abiurò. Disse che non aveva difeso le teorie copernicane. Venne messo all’indice il suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” e gli venne imposta una “pena salutare” che consisteva nel recitare una volta a settimana i sette salmi penitenziari, che la figlia si offrì di fare in sua vece, e – questo fu la cosa più umiliante – l’obbligo di inviare una copia della sentenza e dell’abiura a tutte le nunziature d’Europa. Fu condannato agli arresti domiciliari. In sostanza la condanna oggettivamente non fu pesante. Non stette in carcere neanche un momento. Per riguardo alla sua fama, alla sua età e alla considerazione che si aveva di lui, fu sempre trattato con grande venerazione.


    Chi ha iniziato a diffondere la leggenda nera secondo cui Galileo fu bruciato sul rogo?


    Monsignor Sánchez de Toca: Questa è la cosa strana: nessuno l’ha detto ma tutti ne sono convinti. Probabilmente perché si sovrappongono le immagini di Galileo e di Giordano Bruno. In ogni caso, il mito di Galileo nasce con l’Illuminismo, che fa diventare Galileo una sorta di portabandiera del libero pensiero contro l’oscurantismo della Chiesa, un martire della scienza e del progresso.


    Galileo, e questo è ciò che sorprende molti, non solo non è mai stato né bruciato né torturato, ma è stato in realtà un cattolico e un credente per tutta la vita. Non ha il minimo segno di un libero pensatore. Non è stato un cattolico modello, è vero, e vi sono momenti della sua vita poco edificanti, ma in nessun momento egli ha rinnegato la sua appartenenza alla Chiesa. Anzi, sente il dovere di difenderla dal rischio di esposizione al ridicolo di fronte ai protestanti.


    Lo dice lui stesso, esagerando come sempre, in una lettera indirizzata ad un nobile francese: “altri possono aver parlato più piamente e più dottamente, ma nessuno è più pieno di zelo per l’onore e la reputazione della Santa Madre Chiesa di ciò che ho scritto io”. Ha un tono esagerato, ma in ogni caso dimostra che ciò è vero.


    Aveva due figlie suore?


    Monsignor Sánchez de Toca: Ha avuto tre figli, due dei quali femmine. Quando si è trasferito da Padova a Firenze le ha messe in un convento, dovendo chiedere una dispensa perché erano molto giovani. Di una di loro, suor Maria Celeste, si conserva la corrispondenza con il padre, che è veramente ammirevole. Lei era una donna straordinaria, molto intelligente, di una grande perspicacia, una grande scrittrice; esiste un libro che si basa sull’epistolario tra suor Maria e il padre.


    Ci parli del suo libro “Galileo e il Vaticano”, la cui edizione italiana è stata pubblicata di recente.


    Monsignor Sánchez de Toca: Questa ricerca non è esattamente sul caso Galileo, ma sul modo in cui la Commissione creata da Giovanni Paolo II ha studiato il caso Galileo. Come diceva don Mariano Artigas, il caso Galileo è un culebron (un tormentone) in un senso quasi letterale, che secondo il dizionario indica, oltre che una telenovela lunga e melodrammatica, anche una “storia reale con caratteristiche di un tormentone televisivo, ovvero insolita, strappalacrime, ed estremamente lunga”. La Commissione istituita da Giovanni Paolo II tra il 1981 e 1992 è stata oggetto di forti critiche. Dicono che non sia stata all’altezza delle aspettative di Giovanni Paolo II, che i discorsi conclusivi del cardinale Poupard e del Papa sono stati carenti e molto deboli, che la Chiesa non ha fatto realmente ciò che avrebbe dovuto. Il professor Artigas - l’altro autore del libro, che è morto nel 2006 - ed io abbiamo studiato l’intera documentazione che esiste negli archivi, per vedere esattamente ciò che la Commissione ha fatto e come lo ha lavorato.


    La nostra opinione è che alcuni elementi sono mancati sin dall’inizio. Mancavano mezzi, voglia di lavorare, ma nonostante tutto, i risultati sono stati buoni: ha consentito l’apertura degli archivi del Sant’Uffizio e ha dimostrato che in realtà non esistono documenti tenuti nascosti. Sono state pubblicate importanti opere di riferimento e credo che questo abbia permesso alla Chiesa di fare una sorta di esame di coscienza. Rileggere il caso Galileo sotto una luce diversa, senza scoprire cose nuove, perché questo è difficile, e fare in modo che la Chiesa nel suo insieme guardi serenamente al caso Galileo senza rancore e senza timore.


    Perché, secondo lei, il caso Galileo irrita tanto l’opinione pubblica, al punto che alcuni professori dell’Università La Sapienza hanno negato l’invito a Papa Benedetto XVI, l’anno scorso, ricordando una citazione su Galielo da lui fatta in un discorso pronunciato proprio a La Sapienza nel 1990?


    Monsignor Sánchez de Toca: Perché c’è chi vuole continuare a considerare Galileo una specie di “santo laico”, laico nel senso di anticristiano. Ma in realtà egli è stato un uomo di Chiesa, sebbene con tutte le sue mancanze. Ricordo, che un arcivescovo di Pisa, che era anche astronomo, nel 1922 propose di collocare in Piazza dei Miracoli, la piazza più famosa, quella della Torre di Pisa, una statua dedicata a Galileo. L’amministrazione comunale non lo ha permesso, perché voleva continuare ad avere l’esclusiva sulla figura di Galileo, come se fosse qualcuno che non apparteneva alla Chiesa ma al cosiddetto mondo laico.


    Allo stesso modo, ogni volta che da parte della Chiesa qualcuno cita Galileo, si scatena una reazione di “allergia istintiva” in questi contesti pseudoscientifici in cui si dice: “come vi permettete di parlare di Galileo, voi che l’avete bruciato”?


    Perché il Pontificio Consiglio della Cultura conserva un’immagine di Galileo nella sua biblioteca?


    Monsignor Sánchez de Toca: Proprio perché Galileo è un modello di scienziato credente. Studia il cielo, scopre cose nuove e cerca di integrare le sue nuove conoscenze all’interno della visione cristiana. Si sforza di dimostrare che queste non si pongono in contraddizione con le Scritture, con la Bibbia. Il problema è che l’ha fatto con un entusiasmo così esuberante da suscitare non poca irritazione in altre persone. Senza essere teologo, si era messo in un ambito che era riservato esclusivamente ai teologi. Nell’epoca della Controriforma, che un laico, senza aver svolto studi di teologia, si mettesse ad interpretare la Bibbia per proprio conto, per quanto fosse in sintonia con la Tradizione cattolica, suscitava immediatamente dei sospetti.


    Lei ha fatto riferimento alla condotta poco esemplare di Galileo...


    Monsignor Sánchez de Toca: Non è un mistero che Galileo non fu esattamente un santo. Alcuni addirittura, incentrandosi sulla sua caratteristica di scienziato credente, arrivano persino a chiederne la beatificazione. Non esageriamo... Nella sua vita, Galileo aveva convissuto con Marina Gamba, a Padova, dalla quale ebbe tre figli. Ciò non era particolarmente scandaloso, ma neanche era una cosa ben vista.


    Inoltre, Galileo aveva un carattere piuttosto irruente, come i grandi geni in generale. Aveva una lingua terribile. Era stato imprudente; si era rivolto alla Compagnia di Gesù, quando era un perfetto sconosciuto. I gesuiti lo accolsero a Roma e avallarono le sue scoperte. Fu un po’ presuntuoso, vanitoso e con un grande ego. Sono difetti che può avere chiunque e che non tolgono nulla alla genialità di Galileo.


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    00 02/07/2009 08:15
    Nuova edizione dei documenti del processo

    Un Galileo cattolico e ottimista


    di Francesco Beretta

    Laboratoire de Recherche Historique Rhône-Alpes (Cnrs), Lione

    Quando Galileo fabbricò il suo primo telescopio, nell'estate del 1609, volgendo verso il cielo stellato uno strumento ottico inventato in Olanda, e fece quelle scoperte che lo renderanno celebre in Europa, non immaginava certo che si sarebbe trovato a Roma, un quarto di secolo dopo, in ginocchio, davanti ai cardinali del Tribunale dell'Inquisizione, per abiurare la dottrina di Copernico.

    Con la pubblicazione del Sidereus Nuncius, nel marzo del 1610, e la nomina a "primario matematico e filosofo" del granduca di Toscana cominciava una lunga battaglia fatta di dispute, lettere e libri che monsignor Sergio Pagano ricostruisce nei suoi tratti essenziali nella recente sua fatica galileiana e soprattutto nell'ampia introduzione che precede la nuova edizione dei documenti del processo da lui curata:  I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741) (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2009, pagine 550, 16 tavole fuori testo, "Collectanea Archivi Vaticani", 69).

    L'introduzione - che si fonda sui principali contributi della recente storiografia - propone una rilettura dei grandi testi galileiani, dalla Lettera a Cristina di Lorena, al Saggiatore, al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che conduce il lettore al cuore della questione copernicana.

    Le abbondanti citazioni delle opere e della corrispondenza riproducono l'atmosfera dei dibattiti suscitati da Galileo, in particolare nel corso dei suoi diversi soggiorni romani. Il prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano non ha voluto dirimere dibattiti storiografici o formulare nuovi ipotesi interpretative sulle questioni ancora aperte, ma fornire al lettore gli elementi indispensabili per comprendere i documenti del processo.

    Una ricca annotazione, che fornisce abbondanti notizie biografiche, e le belle illustrazioni, che danno un volto ai personaggi del dramma - tranne Galileo, perché certamente troppo noto - contribuiscono a far rivivere la temperie del Seicento:  dalle manovre dei domenicani fiorentini ostili al matematico, alle strategie degli amici romani, alle mosse della diplomazia granducale e pontificia, alle collere di Papa Urbano viii - tutto un mondo rivive, colto dall'autore anche nei suoi risvolti psicologici. Appare così un "Galileo cattolico" e "ottimista", alle prese con i rappresentanti del "sapere fratesco", o con un Papa - il fiorentino Maffeo Barberini - che volle essere garante, nel contesto difficile della guerra dei Trent'Anni, della "superiorità della fede sulle dottrine filosofiche".

    Certo ogni lettura è interpretazione, ma il merito di questa edizione è di fornire al pubblico, in occasione dell'anno internazionale dell'astronomia, uno strumento per cogliere - attraverso i documenti - la storia del celebre processo.

    Per gli studiosi noteremo che la seconda parte dell'opera ripropone l'edizione degli atti del processo di Galileo che l'autore aveva curato, per volere di Giovanni Paolo II, nel 1984, arricchendola di nuovi documenti in parte ritrovati dopo l'apertura dell'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (1998).

    La definizione di un corpus è sempre discutibile:  la scelta di pubblicare i "documenti vaticani" del processo, ispirata da un criterio istituzionale-topografico, non è forse interamente condivisibile ma permette tuttavia di offrire al lettore la parte principale della documentazione, dalla denuncia alla sentenza fino alla ricezione della condanna di Galileo.

    Al celebre incartamento processuale galileiano si aggiungono i decreti della Congregazione del Sant'Uffizio e vari altri documenti conservati presso l'Archivio Segreto o la Biblioteca Apostolica Vaticana.
    Fra essi si annovera il noto "G3", ossia la denuncia dell'atomismo del Saggiatore, fondamento dell'ipotesi di un'eresia eucaristica di Galileo, formulata nel 1983 da Pietro Redondi.

    Se la scelta di un orizzonte cronologico limitato al 1741 si comprende, dato il criterio ritenuto per la definizione del corpus, sorprende invece l'assenza di alcuni documenti della Congregazione dell'Indice, in particolare il decreto del primo marzo 1616, e i documenti preparatori alla correzione del De revolutionibus di Copernico, già pubblicati da Pierre-Noël Mayaud; ma forse il curatore li ha ritenuti paralleli al processo e non immediatamente legati alla vicenda.

    I criteri di edizione adottati - fra cui il rispetto rigoroso della disposizione dei documenti e della punteggiatura - e la precisa annotazione forniscono al lettore un prezioso strumento che si colloca, rinnovandola, nella lunga tradizione di edizione dei documenti del processo, ricostruita dall'autore nell'introduzione:  dalle movimentate vicende del trasporto degli archivi pontifici a Parigi, voluto da Napoleone, al difficile recupero dell'incartamento processuale di Galileo, alle edizioni e alle polemiche ottocentesche.

    "Son stato giudicato vehementemente sospetto d'heresia, cioè di aver tenuto e creduto (...) che la terra si muova", disse il matematico nell'abiura, il 22 giugno 1633. Grazie al lavoro di monsignor Sergio Pagano disponiamo ormai di un utile strumento per comprendere come si giunse ad una condanna che non cessa di suscitare interrogativi e discussioni, come sempre capita in campo storiografico.



    (©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2009)
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    00 14/11/2009 22:37

    Il caso galilei


     
    La verità sul “caso Galilei”

    INTRODUZIONE

    Ciò che capitò a Galilei (1564-1642) non fu causato dalla sua negazione della concezione geocentrica (il Sole che gira intorno alla Terra) quanto dal fatto che la sua posizione si faceva sostenitrice di un nuovo modo di concepire la scienza, un modo in cui la scienza stessa sarebbe potuta divenire l'unica ed esclusiva lettura della realtà. Titus Burckhardt (1908-1984) nel suo Scienza moderna e saggezza tradizionale (1968) scrive a pagina 134: “La Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni. (…). L'esaltazione letteraria di Galileo ha fatto nascere in svariati dignitari ecclesiastici una sorta di coscienza di colpa che li rende stranamente impotenti dinanzi alle teorie scientifiche moderne, quand'anche queste siano in palese contraddizione con le verità della fede e della ragione. La Chiesa, si suol dire, non avrebbe dovuto immischiarsi nei problemi scientifici. Eppure lo stesso caso di Galileo dimostra che, accampando la pretesa di possedere la verità assoluta, la nuova scienza razionalista del Rinascimento si presentava alla guisa di una seconda religione. ”

    Dunque, la scienza come una sorta di “nuova religione”, ovvero il passaggio dalla scienza allo scientismo . Ma su questo ritorneremo tra pochissimo.

    Iniziamo a sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”. Ci sono sette verità importanti da ribadire . Per quanto riguarda la bibliografia abbiamo attinto soprattutto un prezioso e documentato testo di Enrico Zoffoli, Galileo , Roma 1990.

    PRIMA VERITA'

    La Chiesa non aveva paura della teoria eliocentrica

    A differenza di quanto si dice , Galilei non ebbe i suoi problemi per la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), per il semplice fatto che questa teoria non faceva paura alla Chiesa. Già quattro secoli prima di Galilei, san Tommaso d'Aquino (1225-1274) disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Copernico (1473-1543), astronomo polacco e perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva sostenuto la concezione eliocentrica ; e molti contemporanei, perfino esponenti della gerarchia ecclesiastica (tra questi anche pontefici come Leone X e Clemente VII) si mostrarono aperti alle sue tesi. Nella celebre Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana. Lo stesso Galilei era a conoscenza del fatto che la Chiesa non aveva nulla da ridire sull'ipotesi di Copernico. Così scrisse a Cristina di Lorena: (Il trattato di Copernico) è stato ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (...) ”. Piuttosto era nel mondo protestante che l' eliocentrismo faceva paura. Riferendosi a Copernico, Martin Lutero (1483-1546) scrisse: “Cadde un giorno il discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la Luna, (…) Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il pazzo vuole rovesciare tutta l'arte astronomica. ”

    SECONDA VERITA'

    Galilei ebbe problemi per motivi legati alla filosofia della scienza

    Il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu dunque legato alla teoria eliocentrica ma a ragioni di filosofia della scienza.

    Galilei, pretendendo presentare l' eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata, rappresentava un atteggiamento scientista e non scientifico . Mentre l'atteggiamento autenticamente scientifico si serve delle prove, parte sì da un'intuizione, ma sottopone questa intuizione a verifica; l'atteggiamento cosiddetto scientista è il contrario, cioè fa dell'intuizione scientifica, indipendentemente dalla verifica, l'intuizione per eccellenza da preferirsi a qualsiasi altra intuizione, tanto a quella della tradizione quanto a quella del senso comune. Galilei, avendo solo delle intuizioni e non delle prove, pretendeva che la mentalità scientifica, solo perché “scientifica”, potesse essere “giudice” della Rivelazione. Ma la Fede , se può e deve dialogare con la scienza , non può certo dialogare con lo scientismo , che è un'ideologia e che fa della scienza una “seconda religione” secondo la definizione del citato Burckhardt.

    TERZA VERITA'

    Galilei doveva limitarsi a presentare le sue teorie come semplici ipotesi

    San Roberto Bellarmino (1542-1621), che svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla convinzione eliocentrica bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè un'ipotesi. Così scrive in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei : “Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ‘ex suppositione' e non ‘assolutamente', come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (...) Dico che quando ci fusse ‘vera dimostrazione' che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra , ma la Terra circonda il Sole, all'hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra.” Che poi il Bellarmino dica queste cose non improvvisando né formulando “novità”, è dimostrato dal fatto che egli nel 1571 (cinquant'anni prima) scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses : “Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (...) . Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (...) . Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinchè non contrastino con una verità acquisita. E' certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun'altra verità sia filosofica come astronomica (...) . ”

    QUARTA VERITA'

    Galilei non portava vere prove

    Galilei non portava prove convincenti per suffragare la sua ipotesi.

    Una prova in realtà la portava, ma era sbagliata. Inviò una lettera al cardinale Orsini dove affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe provata dalle maree, cioè , secondo lui, il movimento della Terra provocherebbe scuotimento e quindi le alte e basse maree. I giudici però contestarono questa “prova” e dissero giustamente che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro.

    Ecco perché il già citato Paul Feyerabend, pur essendo ateo ed anarchico, ha affermato che nel processo a Galilei il rigore scientifico fu più dalla parte della Chiesa che non da quella dello Scienziato pisano.

    QUINTA VERITA'

    Galilei non subì nulla di eclatante, anzi…

    Galilei non subì nulla di eclatante a differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli studenti italiani credono che Galilei subì torture e che fu addirittura arso vivo. I nostri docenti di scuola e di università invece che fare tanta cagnara dovrebbero riflettere sulla scientificità dei loro insegnamenti.

    Ecco cosa davvero subì Galilei .

    Nel febbraio del 1632 lo Scienziato pisano pubblicò a Firenze il famoso “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo…” e nell'agosto dello stesso anno, a Roma, se ne proibì la diffusione. Il 16 giugno del 1633 il Sant'Uffizio condannò l'autore. Il 22 giugno dello stesso anno Galilei abiurò e fu condannato a recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e al carcere, ma questo fu subito commutato in domicilio coatto. Prima nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al Pincio; quindi a Siena presso l'amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. Di tortura neanche a parlarne.

    Lo stesso Galilei fu consapevole della mitezza della pena, tanto che ringraziò i giudici e confessò di aver fatto di tutto per indisporli.

    La stessa scelta dell'affezionatissima figlia Virginia di farsi suora (suor Celeste) dimostra la mitezza della pena. Lei che era così attaccata al padre, qualora Galilei fosse stato maltrattato dalla Chiesa, avrebbe avuto il desiderio di consacrarsi?

    Galilei, malgrado la condanna, poté continuare a pubblicare e a curare l'amicizia di vescovi e scienziati; e proprio dopo la condanna pubblicò l'opera più importante, “Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze”.

    Morì ad Arcetri l'8 gennaio del 1642, assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; morì con i conforti religiosi e finanche con l'indulgenza plenaria e la benedizione del Papa.

    SESTA VERITA'

    Il processo a Galilei deve essere collocato nel clima del XVII secolo

    Il processo a Galilei si può capire solo collocandolo all'interno del XVII secolo; secolo tutt'altro che facile. Verrebbe da dire che se lo Scienziato pisano fosse vissuto in pieno XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe.

    Iniziamo col considerare che nel XVII secolo il riferimento ad Aristotele non era un riferimento critico, capace cioè di selezionare e discernere (come invece riuscì a fare il vertice della Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica.

    Inoltre, c'era stato da poco (meno di un secolo) lo scoppio della Riforma, imperversavano le guerre di religione…e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò, per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di protezione letteralistica della Bibbia stessa. Per finire, durante la Guerra dei Trent'anni si erano diffusi i manifesti dei Rosa-Croce, che (come ha ampiamente dimostrato la storica inglese Frances Yeats) furono scritti per riproporre una visione ermetica e magica del reale collegata alla prisca philosophia , da contrapporre alla visione cattolica fatta propria dalla parte asburgica. Ora, la visione ermetica e magica si fonda sul monismo e sulla identificazione del creato con il creatore (panteismo) per cui il concepire la Terra non più al centro poteva, secondo alcuni, avvalorare una concezione infinita e divina dell'universo stesso.

    SETTIMA VERITA'

    L' uso strumentale del “caso Galilei”

    E per finire…la famosa frase che campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei avrebbe detto “ eppur si muove” , in realtà non fu mai pronunciata. Fu inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel 1757.

    Una frase ad effetto, che doveva servire per creare il mito di una chiesa arroccata nel suo oscurantismo e quindi incapace ad aprirsi al progresso delle conoscenze scientifiche . Insomma, un uso strumentale del “caso Galilei”.

    Paul Feyerband e il Caso Galilei

    L'allora cardinale Joseph Ratzinger (siamo nel 1990) lo citò in un suo discorso. Si tratta dell'austriaco Paul Feyerband (1924-1994), filosofo della scienza, allievo di Karl Popper e docente nella celebre università di Berkeley. Il suo pensiero nega qualsiasi regola metodologica, affermando un vero e proprio anarchismo metodologico . Non vi è –egli dice- alcun metodo generale a governare la costruzione e lo sviluppo della scienza, perché essa si avvarrebbe di volta in volta delle regole che ritiene più opportune.

    Feyerband è autore di scritti famosi, fra cui Contro il metodo (1975) e La scienza in una società libera (1978).

    Dunque, un filosofo tutt'altro che sensibile a tentazioni metafisiche o di assolutismo culturale; un filosofo molto letto negli ambienti cosiddetti “alternativi” e per nulla condivisibile da una prospettiva di filosofia naturale e cristiana. Eppure Feyerband dice delle cose molte interessanti sul Caso Galilei: dice che la Chiesa aveva ragione. Ne parla dedicando un capitolo della sua opera Contro il metodo .

    Abbiamo scelto alcuni passaggi del suo scritto, servendoci della traduzione italiana di Maria Sepa, pubblicata sul Corriere della sera del 25.1.2008. Una precisazione: la scelta di questi passaggi non significa che è da condividere tutto, piuttosto è una scelta per evidenziare ciò che sorprendentemente afferma un filosofo anarchico sul “caso Galilei”. Leggiamoli. Le parole di Feyerband sono tra virgolette e in corsivo.

    · La Chiesa si attenne alla ragione: “La Chiesa all'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione.

    · Il tentativo di “nascondere” le scoperte scientifiche è di sempre: “Oggi la ben più modesta aspirazione dei creazionisti a veder insegnate le loro opinioni nelle scuole, affiancandole e mettendole in competizione con idee diverse, si scontra con le leggi che stabiliscono la separazione tra Chiesa e Stato. Una quantità crescente di conoscenze e tecnologie è tenuta segreta per ragioni militari ed è pertanto esclusa dagli scambi internazionali. Gli interessi commerciali generano le stesse tendenze restrittive. Così la scoperta della superconduttività nella ceramica a temperatura (relativamente) alte, frutto di una collaborazione internazionale, ha indotto il governo americano ad adottare misure protettive. Accordi finanziari possono rendere possibili o interrompere programmi di ricerca, e influire su un intero ambito professionale. Vi sono molti modi di mettere a tacere le persone, oltre a impedir loro di parlare, e oggi li vediamo usati tutti. Il processo della produzione e della distribuzione del sapere non è mai stato lo scambio libero, ‘ oggettivo' e puramente intellettuale che i razionalisti dipingono.”

    · Il processo a Galileo è stato montato da una conventicola di intellettuali: “Il processo a Galileo fu uno dei tanti. Non ebbe alcuna caratteristica speciale, se non forse il fatto che Galileo fu trattato con una certa moderazione, nonostante le sue bugie e i suoi sotterfugi. Ma una piccola conventicola di intellettuali, con l'aiuto di scrittori sempre alla ricerca dello scandalo, sono riusciti a montarlo enormemente, così quel che in fondo era solo un contrasto tra un esperto e un'istituzione che difendeva una visione più ampia delle cose ora sembra quasi una battaglia tra paradiso e inferno. E' una posizione infantile e anche ingiusta nei confronti delle molte altre vittime della giustizia del XVII secolo.

    · Il processo a Galilei non si è voluto capirlo: Non è l'interesse per l'umanità, sono piuttosto interessi di parte ad avere un ruolo importante nell'agiografia di Galileo. (…) (Questo processo) consistette di due procedimenti, o processi, separati. Il primo si tenne nel 1616. Fu esaminata e criticata la dottrina copernicana. Galileo ricevette un'ingiunzione, ma non fu punito. Il secondo processo si tenne nel 1632-33. Questa volta il punto principale non era più la dottrina copernicana. Fu invece esaminata la questione se Galileo avesse obbedito all'ordine che gli era stato impartito nel primo processo e se avesse ingannato gli inquisitori facendo loro credere che l'ordine non fosse mai stato promulgato. (…) . Il primo processo fu preceduto da voci e denunce in cui ebbero una parte avidità e invidia, come in molti altri processi. Si ordinò ad alcuni esperti di dare un parere su due enunciazioni che contenevano una descrizione più o meno corretta della dottrina copernicana. La loro conclusione toccava due punti: quel che oggi chiameremmo il contenuto scientifico della dottrina, e le sue implicazioni etiche (sociali). Riguardo al primo punto, gli esperti definirono la dottrina ‘insensata e assurda in filosofia' o, usando termini moderni, la dichiararono non scientifica. Questo giudizio fu dato senza far riferimento alla fede o alla dottrina della Chiesa, ma fu basato esclusivamente sulla situazione scientifica del tempo. Fu condiviso da molti scienziati illustri; ed era corretto fondandosi sui fatti, le teorie e gli standard del tempo. Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l'idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. Deve o accettare la prima parte del giudizio degli esperti della Chiesa o ammettere che gli standard, i fatti e le leggi non decidano mai di un caso e che una dottrina non fondata, opaca e incoerente possa essere presentata come una verità fondamentale. Solo pochi ammiratori di Galileo si rendono conto di questa situazione.

    · Gli aristotelici di allora non sono diversi dagli studiosi contemporanei: “Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare ‘precisi passi sperimentali', chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. Non li critico per questo (…). Voglio solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano Galileo e condannano la Chiesa, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo era la Chiesa ai tempi di Galileo.”

    · Qualsiasi critica al rigore della Chiesa è valida anche verso i moderni detentori del sapere scintifico : “La Chiesa Romana sosteneva inoltre di possedere un diritto esclusivo sullo studio, l'interpretazione e la messa in atto delle Sacre Scritture. I laici, secondo la Chiesa, non avevano né le conoscenze né l'autorità per occuparsi delle Scritture ed era loro proibito farlo. (…). L'atteggiamento dell' American Medical Association verso i professionisti che non ne fanno parte è rigido come quello della Chiesa verso gli esegeti laici, e ha la benedizione della Legge. (…) Qualsiasi critica al rigore della Chiesa Romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza. ”

    · Galilei sbagliava perché pretendeva spacciare l'ipotesi come verità provata : (…) la Chiesa era assai più moderata. Non diceva: quel che è in contraddizione con la Bibbia interpretata da noi deve scomparire, per quanto siano forti le ragioni scientifiche in suo favore. Una verità sostenuta da un ragionamento scientifico non era respinta. Era usata per rivedere l'interpretazione di passi della Bibbia apparentemente incoerenti con essa . Molti passi della Bibbia sembrano suggerire che la Terra sia piatta. Tuttavia la Chiesa ha accettato senza problemi che la Terra sia sferica . Dall'altro lato la Chiesa non era pronta a cambiare solo perché qualcuno aveva fornito delle vaghe ipotesi. Voleva prove scientifiche. In questo agì in modo non dissimile dalle istituzioni scientifiche moderne, che di solito aspettano a lungo prima di incorporare nuove idee nei loro programmi. Ma allora non c'era ancora una dimostrazione convincente della dottrina copernicana. Per questo fu consigliato a Galileo di insegnare Copernico come ipotesi; gli fu proibito di insegnarlo come verità. “(…) mentre la Chiesa era preparata ad ammettere che certe teorie potessero essere vere e anche che Copernico potesse avere ragione, se sostenuto da prove adeguate, ci sono ora molti scienziati che considerano tutte le teorie strumenti predittivi e rifiutano le discussioni sulla verità degli assunti. La loro motivazione è che gli strumenti che usano sono così palesemente progettati a fini di calcolo e che i metodi teoretici dipendono in modo così evidente da considerazioni sull'eleganza e sulla facile applicabilità, che una tale generalizzazione sembra ragionevole. Inoltre, le proprietà formali delle ‘approssimazioni' differiscono spesso da quelle dei principi di base, molte teorie sono primi passi verso un nuovo punto di vista che in un qualche tempo futuro potrebbe renderle approssimazioni, e un'inferenza diretta dalla teoria alla realtà è, pertanto, piuttosto ingenua. Tutto questo era noto agli scienziati del XVI e del XVII secolo. (…) Il punto di vista copernicano era interpretato dai più come un modello interessante, nuovo e piuttosto efficiente. La Chiesa chiedeva che Galileo accettasse questa interpretazione. Considerate le difficoltà che quel modello aveva a essere considerato una descrizione della realtà, dobbiamo ammettere che la ‘logica era dalla parte di…Bellarmino e non dalla parte di Galileo', come scriveva lo storico della scienza e fisico Pierre Duhem.

    · La Chiesa voleva proteggere la scienza dallo scientismo : “Riassumendo: il giudizio degli esperti della Chiesa era scientificamente corretto e aveva la giusta intenzione sociale, vale a dire proteggere la gente dalle macchinazioni degli specialisti . Voleva proteggere la gente dall'essere corrotta da un'ideologia ristretta che potesse funzionare in ambiti ristretti, ma che fosse incapace di contribuire a una vita armoniosa. Una revisione di quel giudizio potrebbe procurare alla Chiesa qualche amico tra gli scienziati, ma indebolirebbe gravemente la sua funzione di custode di importanti valori umani e superumani.”


    Il Caso Galilei

    di Vittorio Viccardi tratto da Il Timone - n. 1 Maggio/Giugno 1999

    E' il paladino della libertà scientifica e il testimone dell'oscurantismo religioso cattolico. Questo nell'immaginario popolare e sui libri di testo scolastici. Ma la verità storica è un'altra. "Eppur si muove!". Chi non ricorda questa celebre frase attribuita a Galileo Galilei che volle così rispondere, ci viene detto, con fiero cipiglio, alla lettura della sentenza di quei feroci inquisitori che lo condannavano per le sue scoperte scientifiche? Gran parte degli studenti ne sono persuasi. Processato, condannato, torturato, incarcerato e, cosi` credono in buona percentuale, anche bruciato sul rogo: questo l'insieme delle cognizioni che la scuola e i mass media ci propinano a proposito dello scienziato pisano. Solo una minoranza esigua, più preparata, risponderà che Galileo è giustamente famoso per aver applicato per primo il metodo sperimentale, tipico della scienza moderna, per aver perfezionato e utilizzato a fini scientifici il cannocchiale, per aver scoperto il termometro, la legge che regola le oscillazioni del pendolo, la montuosità della luna, la natura stellare della Via Lattea, i 4 satelliti di Giove, le anomalie di Saturno, le macchie solari e le fasi di Venere. Diciamo la verità: più che per la sua opera scientifica.

    Galileo è noto per i due processi subiti dall'Inquisizione nel 1616 e nel 1633, che lo hanno fatto diventare un paladino della scienza moderna e del progresso ed una vittima dell'oscurantismo religioso e conservatore della Chiesa cattolica. Eccoci dunque di fronte ad una vittima innocente immolata sull'altare di quel cattolicesimo che pretendeva di possedere verità assolute anche in materie scientifiche, ad un martire della scienza, ad un testimone dell'irriducibile contrapposizione tra la Fede religiosa e la scienza. Senza pretesa di esaurire l'argomento, qualche considerazione ci aiuterà ad avere le idee più chiare. In primo luogo: Galileo non si considero` mai avversario della Chiesa, come tenta di convincerci una delle più grandi menzogne che ci siano mai state propinate. Conservo` la fede cattolica fino alla morte, fu amico per lungo tempo di papi e di cardinali, (il cardinale Maffeo Barberini, poi eletto Papa con il nome di Urbano VIII, fu suo grande ammiratore) e da molti religiosi fu protetto e incoraggiato nelle sue ricerche. Quando nel 1611 si reco` a Roma fu molto ben accolto dal padre Cristoforo Klaus (Clavio) e dai gesuiti del Collegio Romano. Fu ricevuto persino da Papa Paolo V, con il quale ebbe un lungo e caloroso colloquio. Qualche mese prima, si era convinto delle fasi di Venere analoghe a quelle della Luna, segno che il pianeta girava intorno al Sole dal quale riceveva la luce. Il sistema tolemaico era cosi` confutato, quello eliocentrico non era certamente dimostrato, e tutto questo non sembrava pregiudicare i suoi rapporti con il mondo ecclesiale. Anzi, mentre i colleghi scienziati, con in testa il famoso Cremonini, accusavano Galileo di vedere "macchie sulle lenti del telescopio", non mancava al pisano l'appoggio dei potentissimi astronomi e filosofi della Compagnia di Gesù (gesuiti), capitanati da san Roberto Bellarmino, generale dell'Ordine dei Gesuiti e consultore del Sant'Uffizio. E ancora. Quando padre Cavini attaccherà Galileo a Firenze, nella chiesa di santa Novella, lo scienziato verrà difeso dal padre Benedetto Castelli, suo discepolo e professore di matematica a Pisa, e dal maestro Generale dei Domenicani, padre Luigi Maraffi. Sara` poi il cardinale Giustiniano ad ordinare al Cavini di ritrattare pubblicamente le sue accuse. Senza dimenticare che a Napoli, un altro religioso, il padre Foscarini, pubblicava un elogio di Galileo e del sistema copernicano (che molti gesuiti dotti approvavano) ottenendo l'approvazione ecclesiastica. E ancora. Anche dopo la sentenza del 1633, che, oltre all'abiura, lo "condannava" a recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali per un periodo di tre anni, fu ospitato nella villa del cardinale di Siena, Ascanio Piccolomini, "uno dei tanti ecclesiastici che gli volevano bene" (Messori).

    Quindi, si trasferì nella sua villa di Arcetri, detta "il gioiello", alla periferia di Firenze. Morì con la benedizione del Papa e ricevendo l'indulgenza plenaria, segno che la Chiesa non lo considerava certamente un avversario né lui considerava tale la Chiesa. Proprio una favola quella dell'inimicizia, della contrapposizione invincibile, dell'insanabile rottura tra lo scienziato pisano e la Chiesa cattolica. Una favola che per primo contesterebbe proprio lo scienziato pisano. Non va dimenticato, infatti, che al termine della sua vita movimentata, lasciò scritto che "in tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa". In secondo luogo: la teoria eliocentrica (la Terra e i pianeti ruotano attorno al sole) non fu inventata da Galileo. Già Aristarco di Samo e la scuola pitagorica, cinque-sei secoli prima di Cristo avevano sostenuto fosse la Terra a ruotare annualmente intorno al sole. Questa teoria venne ripresa da Copernico, sacerdote polacco, morto 21 anni prima della nascita di Galileo. Se Copernico decise di pubblicare i suoi studi solo l'anno della sua morte fu per timore di essere dileggiato dai colleghi di studi, non certo da uomini di Chiesa (i papi Clemente VII e Paolo III, cui l'opera di Copernico era dedicata), dai quali ebbe favori e incoraggiamenti. Proprio come accadde a Galileo, che ebbe tra i suoi più fieri avversari i colleghi, peraltro irritati dal carattere tutt'altro che facile dello scienziato pisano, non i religiosi. In terzo luogo: Galileo non porto` alcuna prova scientifica che potesse sostenere senza ombra di dubbio la teoria eliocentrica. Per "provare" che la Terra ruotava intorno al sole sosteneva che le maree erano dovute allo "scuotimento" delle acque causato dal movimento terrestre. Ma questo argomento era scientificamente insostenibile. Avevano ragione i suoi "giudici inquisitoriali", i quali sapevano bene che le maree sono dovute all'attrazione lunare. Sentiamo Messori: "In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il "novatore" Copernico, condannato invece da Lutero". Il Cardinale Bellarmino sosteneva che la teoria eliocentrica, considerata come "ipotesi" scientifica (e ipotesi doveva correttamente considerarsi, fino a quando non fosse stata dimostrata vera) non era da scartare a priori, ma bisognava portare le prove. La posizione del Bellarmino è assai più corretta di quella di Galileo, che senza prove la spacciava per tesi inconfutabile. Anzi, in questo specifico caso, proprio il Bellarmino aveva assunto allora una posizione che la fisica moderna, quella dei nostri tempi, dà per scontata. In quarto luogo: nel processo del 1616 di Galileo non si parla nemmeno. Ma, successivamente convocato al Sant'uffizio, gli fu reso nota la condanna della tesi copernicana e imposto di non insegnarla prima che venisse corretta (quattro anni dopo la teoria fu corretta e qualificata come ipotesi e non come tesi). L'ingiunzione gli venne comunicata privatamente per non esporlo al dileggio dei colleghi. Galileo promise di obbedire (e non lo fece) e venne ricevuto dal Papa in persona. Una "condanna" straordinariamente mite.

    Come mite fu la "condanna" subita nel processo del 1633. Galileo non passò nemmeno un minuto in carcere, non venne mai torturato, non gli fu impedito di incontrare colleghi e religiosi (vanno a trovarlo uomini del calibro di Hobbes, Torricelli e Milton), di scrivere, di studiare e di pubblicare, tant'è che il suo capolavoro scientifico - Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze - risale al 1638, cinque anni dopo la condanna. Ci manca ancora un punto. La famosa frase "Eppur si muove" con la quale abbiamo aperto queste considerazioni. Un altro falso storico. Fu inventata a Londra, nel 1757, dal brillante e spesso inattendibile giornalista Giuseppe Baretti. Come si vede, nel caso Galilei abbiamo bisogno di un po' di verità.

    BIBLIOGRAFIA

    Rino Cammilleri, La verità su Galileo, in Fogli, n. 90, Anno XI, settembre 1984.

    Jean Pierre Lonchamp, Il caso Galileo, edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990.

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 30/11/2009 18:41
    Il messaggio di Benedetto XVI per il convegno »Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva« alla Pontificia Università Lateranense

    Nessun conflitto all'orizzonte


    Il Papa ha inviato all'arcivescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, un messaggio in occasione del convegno "Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva. Scienza, Filosofia e teologia in dialogo" che si è aperto lunedì 30 novembre e si chiuderà mercoledì 2 dicembre. Pubblichiamo il testo del messaggio e, in basso, ampi stralci della relazione tenuta dall'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

    Al Venerato Fratello
    Mons. Rino Fisichella
    Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense

    Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti i partecipanti al Congresso internazionale sul tema Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva. Scienza, Filosofia e Teologia in dialogo. Lo porgo in modo particolare a Lei, Venerato Fratello, che si è fatto promotore di questo importante momento di riflessione, nel contesto dell'"Anno Internazionale dell'Astronomia", per celebrare il quarto centenario della scoperta del telescopio. Il mio pensiero va anche al Prof. Nicola Cabibbo, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, che ha collaborato nella preparazione della presente Assise. Saluto cordialmente le personalità venute da diversi Paesi del mondo, che, con la loro presenza, qualificano queste giornate di studio.

    Quando si apre il Sidereus nuncius e si leggono le prime espressioni di Galileo, traspare subito la meraviglia dello scienziato pisano dinanzi a quanto lui stesso aveva compiuto:  "Grandi cose - egli scrive - in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione degli studiosi della natura. Grandi, dico, sia per l'eccellenza della materia in se stessa, sia per la novità mai udita nei secoli, sia anche per lo strumento attraverso il quale queste stesse cose si sono manifestate al nostro senso" (Galileo Galilei, Sidereus nuncius, 1610, tr. P.A. Giustini, Lateran University Press 2009, p. 89). Era l'anno 1609 quando Galileo puntò per la prima volta verso il cielo uno strumento "da me escogitato - come scriverà - illuminandomi prima la grazia divina":  il telescopio.

    Quanto si presentò al suo sguardo è facile immaginarlo; la meraviglia si trasformò in emozione e questa in entusiasmo che gli fece scrivere:  "Grande cosa è certamente aggiungere all'immensa moltitudine delle stelle fisse, che con la naturale facoltà visiva si sono potute scorgere fino ad oggi, altre innumerevoli stelle, non mai vedute prima d'ora e che superano più di dieci volte il numero delle stelle antiche già note" (Ibid.). Lo scienziato poteva osservare con i propri occhi quanto, fino a quel momento, era solo frutto di ipotesi controverse. Non si sbaglia chi pensa che l'animo profondamente credente di Galileo, dinanzi a quella visione, si sia aperto quasi naturalmente alla preghiera di lode, facendo propri i sentimenti espressi dal Salmista:  "O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!... Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi? Davvero... gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Sal 8, 1.4-5.7).
     

    Galileo Galilei Con questa scoperta crebbe nella cultura la consapevolezza di trovarsi di fronte a un punto cruciale della storia dell'umanità. La scienza diventava qualcosa di diverso da come gli antichi l'avevano sempre pensata. Aristotele aveva permesso di giungere alla conoscenza certa dei fenomeni partendo da principi evidenti e universali; ora Galileo mostrava concretamente come avvicinare e osservare i fenomeni stessi, per carpirne le cause segrete. Il metodo deduttivo cedeva il passo a quello induttivo e apriva la strada alla sperimentazione. Il concetto di scienza durato per secoli veniva ora a modificarsi, imboccando la strada verso una moderna concezione del mondo e dell'uomo.

    Galileo si era addentrato nelle vie sconosciute dell'universo; egli spalancava la porta per osservarne gli spazi sempre più immensi. Al di là probabilmente delle sue intenzioni, la scoperta dello scienziato pisano permetteva anche di risalire indietro nel tempo, provocando domande circa l'origine stessa del cosmo e facendo emergere che anche l'universo, uscito dalle mani del Creatore, ha una sua storia; esso "geme e soffre le doglie del parto" - per usare l'espressione dell'apostolo Paolo - nella speranza di essere liberato "dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21-22).
     
    Anche oggi l'universo continua a suscitare interrogativi a cui la semplice osservazione, però, non riesce a dare una risposta soddisfacente:  le sole scienze naturali e fisiche non bastano. L'analisi dei fenomeni, infatti, se rimane rinchiusa in se stessa rischia di far apparire il cosmo come un enigma insolubile:  la materia possiede un'intelligibilità in grado di parlare all'intelligenza dell'uomo e indicare una strada che va al di là del semplice fenomeno. È la lezione di Galileo che conduce a questa considerazione.

    Non era, forse, lo scienziato di Pisa a sostenere che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico?
    Eppure, la matematica è un'invenzione dello spirito umano per comprendere il creato. Ma se la natura è realmente strutturata con un linguaggio matematico e la matematica inventata dall'uomo può giungere a comprenderlo, ciò significa che qualcosa di straordinario si è verificato:  la struttura oggettiva dell'universo e la struttura intellettuale del soggetto umano coincidono, la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Alla fine, è "una" ragione che le collega entrambe e che invita a guardare ad un'unica Intelligenza creatrice (cfr. Benedetto XVI, Discorso ai giovani della Diocesi di Roma, in:  Insegnamenti ii, [2006], 421-422).

    Le domande sull'immensità dell'universo, sulla sua origine e sulla sua fine, come pure sulla sua comprensione, non ammettono una sola risposta di carattere scientifico. Chi guarda al cosmo, seguendo la lezione di Galileo, non potrà fermarsi solo a ciò che osserva con il telescopio, dovrà procedere oltre per interrogarsi circa il senso e il fine a cui tutto il creato orienta. La filosofia e la teologia, in questa fase, rivestono un ruolo importante, per spianare il cammino verso ulteriori conoscenze. La filosofia davanti ai fenomeni e alla bellezza del creato cerca, con il suo ragionamento, di capire la natura e la finalità ultima del cosmo. La teologia, fondata sulla Parola rivelata, scruta la bellezza e la saggezza dell'amore di Dio, il quale ha lasciato le Sue tracce nella natura creata (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, ia. q. 45, a. 6).

    In questo movimento gnoseologico sono coinvolte sia la ragione che la fede; entrambe offrono la loro luce. Più la conoscenza della complessità del cosmo aumenta, maggiormente richiede una pluralità di strumenti in grado di poterla soddisfare; nessun conflitto all'orizzonte tra le varie conoscenze scientifiche e quelle filosofiche e teologiche; al contrario, solo nella misura in cui esse riusciranno ad entrare in dialogo e a scambiarsi le rispettive competenze saranno in grado di presentare agli uomini di oggi risultati veramente efficaci.

    La scoperta di Galileo è stata una tappa decisiva per la storia dell'umanità. Da essa, hanno preso avvio altre grandi conquiste, con l'invenzione di strumenti che rendono prezioso il progresso tecnologico a cui si è giunti. Dai satelliti che osservano le varie fasi dell'universo, diventato paradossalmente sempre più piccolo, alle macchine più sofisticate utilizzate dall'ingegneria biomedica, tutto mostra la grandezza dell'intelletto umano, che, secondo il comando biblico, è chiamato a "dominare" l'intero creato (cfr. Gen 1, 28), a "coltivarlo" e a "custodirlo" (cfr. Gen 2, 15).

    Vi è sempre un sottile rischio, però, sotteso a tante conquiste:  che l'uomo confidi solo nella scienza e dimentichi di innalzare lo sguardo oltre se stesso verso quell'Essere trascendente, Creatore di tutto, che in Gesù Cristo ha rivelato il suo volto di Amore. Sono certo che l'interdisciplinarità con cui si svolge questo Congresso permetterà di cogliere l'importanza di una visione unitaria, frutto di un lavoro comune per il vero progresso della scienza nella contemplazione del cosmo.

    Accompagno volentieri, venerato Fratello, il vostro impegno accademico, chiedendo al Signore di benedire queste giornate, come pure la ricerca di ognuno di voi.

    Dal Vaticano, 26 novembre 2009

    firma di Benedetto XVI

    (©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    San Giuseppe Calasanzio, gli scolopi e la scuola pensata per tutti

    Quanti ecclesiastici a lezione da Galileo


    di Giancarlo Rocchiccioli
    Responsabile delle Biblioteche
    E dell'Archivio storico degli scolopi di Firenze

    San Giuseppe Calasanzio ha dato inizio alla prima scuola popolare d'Europa, per usare la definizione di Von Pastor, con l'esplicito intento di offrire a tutti uno strumento di promozione umana. Una scuola per tutti deve, per forza di cose, cominciare dai livelli più bassi. San Giuseppe Calasanzio dirà "dai teneri anni".

    Di una scuola di livello più alto esistevano molti modelli. Ogni scuola si era data una precisa ratio studiorum, l'ultima in ordine di tempo era quella dei gesuiti. Di una scuola che avesse a cuore quelli che il Calasanzio chiamava "li piccolini" non esisteva una ratio studiorum e ci si doveva affidare all'inventiva dei precettori. Per il contenuto fu facile indicare lo scrivere e il far di conto. I problemi più complessi erano quelli di inventare una didattica per l'età e i contenuti di scuole con classi spesso molto numerose. Il Calasanzio, perfino nelle Costituzioni redatte venticinque anni dopo, eviterà esplicitamente di strutturare una didattica, enunciando solo un principio, "per l'utilità dei discepoli giova molto che tutti i maestri usino un metodo facile, utile e il più possibile breve. Conviene pertanto che fra veramente esperti in questa materia sia scelto il migliore" (Costituzioni, 216).

    Secondo lui la metodologia della didattica deve quindi obbedire a due principi.
    Il primo:  il metodo deve essere facile e breve.
    Il secondo:  occorre porre attenzione sistematica agli autori più in vista che trattano di ogni singola materia. Calasanzio nel suo epistolario ci ha lasciato una ricca messe di indicazioni pratiche, sia sui contenuti, come leggere e far di conto, che sulla didattica. Per la calligrafia non nasconde di essersi fatto umile discepolo di uno dei suoi maestri, per meglio insegnare ai bambini delle scuole quando era già molto anziano.

    Nel suo epistolario le raccomandazioni più numerose sono quelle relative all'abaco, la matematica, il far di conto, sottolineando che è una scienza che sta diventando popolare, quasi di moda; "piace al mondo" dirà in una sua lettera. Siamo all'inizio del Seicento, in piena esplosione galileiana.
    Sono frequenti anche gli inviti a quei suoi maestri che mostravano particolare inclinazione per quella materia, come il suggerimento e la notizia di acquisti di libri sull'argomento. In questo contesto, guardandosi intorno, il Calasanzio incontra quasi solo esperti di matematica di chiara ispirazione galileiana. A Roma, per il secondo anno del noviziato, coinvolge un maestro eccezionale, don Benedetto Castelli (1577-1643) che fra il 1626 e il 1636 ha abitato vicino al noviziato degli scolopi a Monte Cavallo. Castelli era a Roma incaricato dal governo papale come sopraintendente al regime delle acque, per le prime bonifiche delle vaste zone paludose dello Stato pontificio. Lettore alla Sapienza, era stato allievo di Galilei a Padova.

    Come Galilei, si è sempre interessato delle acque e ripetutamente ha sottoposto al maestro pisano le sue osservazioni e le sue proposte. Il suo scritto più importante, edito a Roma nel 1628 e tradotto in francese e in inglese, è uno scritto di idraulica, Della misura delle acque correnti. L'unica opera di uno dei suoi allievi scolopi è uno scritto di idraulica:  è il Trattato sulla direzione dei fiumi di Francesco Michelini, pubblicato nel 1664. A Castelli Galileo aveva indirizzato la famosa lettera del 21 dicembre 1613 che è la trattazione più organica del tema dei rapporti fra scienza e fede. Per dirla con le parole dell'astronomo pisano:  fra scienza e fede non può esservi contraddizione "perché procedono di pari dal Verbo divino, la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio".

    Castelli oltre a essere maestro si premurava di presentare a Galileo quei suoi novizi che venivano mandati di comunità a Firenze, segnalando che il presentato era bravo nello studio della matematica, ma era anche "devotissimo delle cose di Vostra Signoria". Chiaro riferimento alle vicende personali del grande scienziato.

    I primi scolopi hanno stabilito e coltivato contatti con altri matematici, allora noti in tutta l'Italia. A Genova insegnava allora il somasco Antonio Santini (1577-1662) che era stato alunno di Galilei a Padova. Francesco Michelini che è stato certamente il più significativo degli scolopi studiosi di matematica, lo ha frequentato assiduamente per due anni, dal 1627 al 1629, quando da Genova fu trasferito a Firenze. Calasanzio, scrivendo - il 16 novembre 1630 - a padre Ambrogio Ambrogi lo pregherà di ringraziare Santini per l'insegnamento offerto a Michelini e gli consiglierà di approfittare di un tale maestro:  "Il tempo che vi tratterrete in Genova mi sarà molto caro che impariate quando haverete occasione dal M. Rev.do P. Santini, al quale da parte mia farete riverenza, et li direte che io piglio per obligo particolare la carità che ha usato con il nostro fratel Francesco et usa ancor con voi et quanto alle Messe che vi ha raccomandato in ricompensa de' libri, che vi ha ottenuti o dati in grazia io piglio l'assunto sopra di me, et anche di far ogni altra cosa che da parte sua mi verrà significato".

    Michelini, dal canto suo, partendo da Genova per Firenze, chiede a Giovanni Baliani, estimatore di Galileo, una presentazione per il grande scienziato. Altro personaggio del panorama scientifico degli anni trenta, in Italia, è Camillo Gloriosi (1572-1643), dell'Ordine dei Minimi, che era venuto in contatto con Galilei e aveva mantenuto con lui una fitta corrispondenza dal 24 maggio 1604. Il rettore della nascente comunità degli scolopi a Firenze aveva segnalato Michelini come esperto di algebra dell'arcivescovo, appassionato di quel ramo della matematica; lo studioso trovò subito la strada per arrivare a Galileo e presentargli la lettera di Baliani. Il rettore della comunità già il 7 dicembre poteva scrivere a Calasanzio che Michelini "si fa conoscere con il Galilei".

    Accanto alla scuola per tutti gli alunni Michelini caldeggia subito l'istituzione di una scuola di matematica. In uno scambio di lettere il Calasanzio sostiene che una scuola di matematica sarebbe stata meglio a Roma, vicino al noviziato e come continuazione dell'insegnamento di Castelli. Michelini pensa a Firenze proprio per la vicinanza di Galileo; le lettere di Castelli all'astronomo pisano sono ricche di elogi per il promettente allievo.

    Ancora il 7 maggio 1634, tornando Michelini a Firenze, Castelli si rammarica di perdere la sua conversazione, ma "mi vado consolando però quando penso che Vostra Signoria (Galileo) goderà la dolcezza e soavità di questo buon padre, parendomi tagliato giusto a misura della vera scuola di vostra signoria, sublime d'intelletto e moderatissimo nelle pretenzioni".

    A Firenze però ci sono altri scolopi frequentatori di Arcetri:  Angelo Morelli, Salvatore Grise e soprattutto Clemente Settimi. Michelini viene sempre più coinvolto nella vita di corte, soprattutto al seguito del principe Leopoldo, il fondatore dell'Accademia del Cimento. La scuola di matematica e la frequentazione di Arcetri passa al giovanissimo padre Clemente Settimi; Galilei si lamenterà proprio del fatto che Francesco Michelini stava diventando sempre più "aulico". Se Michelini mostra una personalità più spiccata, è soprattutto Settimi che diventa il vero segretario di Galileo, ormai totalmente cieco. Per questo a Settimi chiedono lumi diversi corrispondenti dell'astronomo. La sua collaborazione ai dialoghi delle Nuove scienze non è solo di umile scrivano.

    La vicinanza di Settimi diventa sempre più insostituibile per Galileo; Niccolini, l'ambasciatore a Roma del Granduca, andrà a perorare la causa di Galilei direttamente dal Calasanzio la mattina del 16 aprile 1639, che la sera stessa scrive al superiore di Firenze. Nell'insieme la lettera presenta il solito stile di tutte le lettere di Calasanzio, ma a conclusione della missiva troviamo il vero argomento che stava a cuore alla diplomazia granducale"Et se per caso il Sig. Galileo dimandasse, che qualche notte restasse là il P. Clemente, Vostra Reverenza glielo permetta. E Dio voglia se ne sappia cavare il profitto che doveria". Dormire fuori della casa religiosa era severamente proibito, però c'era un grande vantaggio:  Settimi avrebbe potuto arricchire la sua cultura con la frequentazione di un tale maestro.

    La frase di Calasanzio, detta con tono dimesso, giustamente porta lo storico Picanyol alla seguente considerazione:  "Le parole della lettera renderanno immortale il nome di san Giuseppe Calasanzio non solo nella storia della scienza, ma anche nei fasti della Chiesa, essendo stato il primo tra gli eroi di santità ad intuire il merito e la grandezza di Galileo".

    Dal gruppo dei frequentatori di Arcetri è nata una vera e propria scuola galileiana, che si è prolungata fino a tutto l'Ottocento, gravitando intorno all'Osservatorio Ximeniano. Una scuola che presenterà alcune caratteristiche. La più vistosa è l'esplicita preferenza per il metodo sperimentale. A questo proposito potremmo citare il saggio di fine corso dello studente di Volterra, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il futuro Pio ix, del 1806, che si intitola, in modo emblematico, Le macchine ottiche. Al centro della dissertazione di Mastai Ferretti c'è un'affermazione perentoria:  "Un fisico matematico non deve ondeggiare tra malferme opinioni:  ha bisogno di dati certi quanto è possibile e poiché l'esperienza ne somministra, questa si elegge per guida". Da Volterra padre Eugenio Barsanti ha lanciato l'invenzione del motore a scoppio e quando partirà per il Belgio sentirà il bisogno di rivolgersi proprio all'antico alunno di Volterra, Pio ix, con una lettera quasi di consegna della sua invenzione.

    Altro elemento della scuola galileiana, è la compilazione di testi scolastici, tornando agli inizi dello studio dell'abaco di san Giuseppe Calasanzio.

    Va ricordato che il gruppo di scolopi apertamente galileiani non ha mai avuto alcun richiamo dall'autorità ecclesiastica.
    Possiamo concludere citando una lettera di Galileo del 30 gennaio 1610:  "Sì come quelle scoperte sono di infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di fare me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta".


    (©L'Osservatore Romano - 13 gennaio 2010)
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    00 26/01/2013 11:47
    [SM=g1740758] Cari professori e cari studenti dell'Universita' "La Sapienza", di seguito potete leggere cio' che l'allora cardinale Ratzinger disse REALMENTE a Roma, ALLA SAPIENZA, a proposito di Galileo.
    L'allora cardinale non ha in nessun modo fatta propria la frase di Feyerabend ("La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione"), ma l'ha semplicemente citata in un discorso piu' ampio sulla necessita' di discutere seramente della scienza moderna.
    Oltre a Feyerabend, l'allora cardinali cito' altri intellettuali.
    Siamo onesti e andiamo alle fonti! Non fidiamoci mai della vulgata mediatica o dell'ideologia che tende a farci diventare tutti uguali uniformandoci al pensiero unico

    Grazie a Gemma per avere trovato questo testo :-)
    R.affaella blog



    [SM=g1740758] di Joseph RATZINGER


    La crisi della fede nella scienza

    tratto da Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Paoline, Roma 1992, p. 76-79.

    "Nell'ultimo decennio, la resistenza della creazione a farsi manipolare dall'uomo si è manifestata come elemento di novità nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile.

    Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo.

    Questo fatto, ancora poco considerato nel XVII secolo, venne -già nel secolo successivo- elevato a mito dell'illuminismo. Galileo appare come vittima di quell'oscurantismo medievale che permane nella Chiesa. Bene e male sono separati con un taglio netto. Da una parte troviamo l'Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l'avversario della libertà e della conoscenza. Dall'altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo; ecco la forza del progresso e della liberazione dell'uomo dalle catene dell'ignoranza che lo mantengono impotente di fronte alla natura. La stella della Modernità brilla nella notte buia dell'oscuro Medioevo (1).

    Secondo Bloch, il sistema eliocentrico -così come quello geocentrico- si fonda su presupposti indimostrabili. Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l'affermazione dell'esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività. Egli scrive testualmente: «Dal momento che, con l'abolizione del presupposto di uno spazio vuoto e immobile, non si produce più alcun movimento verso di esso, ma soltanto un movimento relativo dei corpi tra loro, e poiché la misurazione di tale moto dipende dalla scelta del corpo assunto come punto di riferimento, così ?qualora la complessità dei calcoli risultanti non rendesse impraticabile l'ipotesi? adesso come allora si potrebbe supporre la terra fissa e il sole mobile» (2).

    Curiosamente fu proprio Ernst Bloch, con il suo marxismo romantico, uno dei primi ad opporsi apertamente a tale mito, offrendo una nuova interpretazione dell'accaduto.
    Il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo. Fin qui, Bloch espone solo una concezione moderna della scienza naturale. Sorprendente è invece la valutazione che egli ne trae:
    «Una volta data per certa la relatività del movimento, un antico sistema di riferimento umano e cristiano non ha alcun diritto di interferire nei calcoli astronomici e nella loro semplificazione eliocentrica; tuttavia, esso ha il diritto di restar fedele al proprio metodo di preservare la terra in relazione alla dignità umana e di ordinare il mondo intorno a quanto accadrà e a quanto è accaduto nel mondo» (3).

    Se qui entrambe le sfere di conoscenza vengono ancora chiaramente differenziate fra loro sotto il profilo metodologico, riconoscendone sia i limiti che i rispettivi diritti, molto più drastico appare invece un giudizio sintetico del filosofo agnostico-scettico P. Feyerabend. Egli scrive:

    «La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione» (4).

    Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. Von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica.
    Con mia grande sorpresa, in una recente intervista sul caso Galileo non mi è stata posta una domanda del tipo: «Perché la Chiesa ha preteso di ostacolare lo sviluppo delle scienze naturali?», ma esattamente quella opposta, cioè: «Perché la Chiesa non ha preso una posizione più chiara contro i disastri che dovevano necessariamente accadere, una volta che Galileo aprì il vaso di Pandora?».

    Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande. [...]

    Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica".

    (1) Cfr. W. Brandmüller, Galilei und die Kirche oder das Recht auf Irrtum, Regensburg 1982.
    (2) E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt/Main 1959, p. 920; Cfr F. Hartl, Der Begriff des Schopferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch E. Bloch und F. v. Baader, Frankfurt/Main 1979, p. 110.
    (3) E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt/Main 1959, p. 920s.; F. Hartl, Der Begriff des Schopferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch E. Bloch und F. v. Baader, Frankfurt/Main 1979, p. 111.
    (4) P. Feyerabend, Wider den Methodenzwang, FrankfurtM/Main 1976, 1983, p. 206.

    [SM=g1740771]


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    00 17/07/2015 20:46

      Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana


     














    Galileo Galilei





    1615






    dalla Edizione Nazionale delle Opere di Galileo








    Sono passati quattro secoli da quando Galileo Galilei, fra il febbraio e il marzo dell’anno 1615, scrisse un’importante lettera a Maria Cristina di Lorena, madre del Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici, presso la cui corte lavorava come filosofo e matematico. La lettera è interamente dedicata al rapporto tra conoscenza scientifica ed esegesi biblica. In quegli anni lo scienziato pisano sosteneva in pubblico il sistema copernicano eliocentrico che, ancora in mancanza di prove convincenti, l’establishment teologico considerava non conforme all’insegnamento della sacra Scrittura. 
    Galileo intuiva le difficoltà che sarebbero sorte da lì a breve, e cercava di ottenere, con questo scritto, il favore della Granduchessa affinché lo proteggesse nei dibattiti romani. Le sue preoccupazioni si avverarono puntualmente: il 3 marzo del 1616 la tesi eliocentrica venne giudicata dal sant’Uffizio teologicamente erronea e fu chiesto a Galileo di non sostenere il sistema eliocentrico, se non soltanto “ex suppositione”, cioè come soluzione matematica non necessariamente aderente al reale svolgersi dei fenomeni. La lettera si presenta come un piccolo trattato di esegesi biblica poggiato soprattutto sulla dottrina disant’Agostino, in particolare sull’opera Genesi ad litteram, e fu probabilmente redatta grazie l’aiuto di ecclesiastici favorevoli al sistema eliocentrico, amici di Galileo. Da quel momento ricerca scientifica e teologia, anche grazie al “caso Galileo”, hanno maggiormente compreso le proprie potenzialità e i propri ambiti conoscitivi, ma il ripresentarsi di incomprensioni non può essere escluso a priori  dalla storia futura. Il testo galileiano rimane pertanto un riferimento irrinunciabile nella storia del dialogo tra scienza e teologia, un testo del passato che può ancora ispirare il presente.

    Alla Serenissima Madama
    La Gran Duchessa Madre

     

    Io scopersi pochi anni a dietro, come ben sa l'Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi, mi eccitorno contro non piccol numero di tali professori; quasi che io di mia mano avessi tali cose collocate in cielo, per intorbidar la natura e le scienze. E scordatisi in certo modo che la moltitudine de' veri concorre all'investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla diminuzione o destruzione, e dimostrandosi nell'istesso tempo più affezionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far prova d'annullare quelle novità, delle quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti render sicuri; e per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi e lontano dal proposito addotti: nel quale errore forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento che ci dà Sant'Agostino intorno all'andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusione naturale attenente a i corpi celesti, scrive così: Nunc autem, servata semper moderatione piæ gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri errori oderimus [Augustinus, De Genesi ad literam, II, in fine].

    È accaduto poi che il tempo è andato successivamente scoprendo a tutti le verità prima da me additate, e con la verità del fatto la diversità degli animi tra quelli che schiettamente e senz'altro livore non ammettevano per veri tali scoprimenti, e quegli che all'incredulità aggiugnevano qualche effetto alterato: onde, sì come i più intendenti della scienza astronomica e della naturale restarono persuasi al mio primo avviso, così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti che non venivano mantenuti in negativa o in dubbio da altro che dall'inaspettata novità e dal non aver avuta occasione di vederne sensate esperienze; ma quelli che, oltre all'amor del primo errore, non saprei qual altro loro immaginato interesse gli rende non bene affetti non tanto verso le cose quanto verso l'autore, quelle, non le potendo più negare, cuoprono sotto un continuo silenzio, e divertendo il pensiero ad altre fantasie, inacerbiti più che prima da quello onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di progiudicarmi con altri modi.

    De' quali io veramente non farei maggiore stima di quel che mi abbia fatto dell'altre contraddizioni, delle quali mi risi sempre, sicuro dell'esito che doveva avere 'l negozio, s'io non vedessi che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta o poca dottrina, nella quale io scarsamente pretendo, ma si estendono a tentar di offendermi con macchie che devono essere e sono da me più aborrite che la morte, né devo contentarmi che le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono me e loro, ma da ogn'altra persona ancora. Persistendo dunque nel primo loro instituto di voler con ogni immaginabil maniera atterrar me e le cose mie, sapendo come io ne' miei studii di astronomia e di filosofia tengo, circa alla costituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato nel centro delle conversioni de gli orbi celesti, e che la Terra, convertibile in se stessa, se gli muova intorno; e di più sentendo che tal posizione vo confermando non solo col reprovar le ragioni di Tolommeo e d'Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in particolare alcune attenenti ad effetti naturali, le cause de' quali forse in altro modo non si possono assegnare, ed altre astronomiche, dependenti da molti rincontri de' nuovi scoprimenti celesti, li quali apertamente confutano il sistema Tolemaico e mirabilmente con quest'altra posizione si accordano e la confermano; e forse confusi per la conosciuta verità d'altre proposizioni da me affermate, diverse dalle comuni; e però diffidando ormai di difesa, mentre restassero nel campo filosofico; si son risoluti a tentar di fare scudo alle fallacie de' lor discorsi col manto di simulata religione e con l'autorità delle Scritture Sacre, applicate da loro, con poca intelligenza, alla confutazione di argioni né intese né sentite.

    E prima, hanno per lor medesimi cercato di spargere concetto nell'universale, che tali proposizioni sieno contro alle Sacre Lettere, ed in conseguenza dannande ed eretiche; di poi, scorgendo quanto per lo più l'inclinazione dell'umana natura sia più pronta ad abbracciar quell'imprese dalle quali il prossimo ne venga, ben che, ingiustamente, oppresso, che quelle ond'egli ne riceva giusto sollevamento, non gli è stato difficile il trovare chi per tale, cio è per dannada ed eretica, l'abbia con insolita confidenza predicata sin da i pulpiti, con poco pietoso e men considerato aggravio non solo di questa dottrina e di chi la segue, ma di tutte le matematiche e de' matematici insieme; quindi, venuti in maggior confidenza, e vanamente sperando che quel seme, che prima fondò radice nella mente loro non sincera, possa diffonder suoi rami ed alzargli verso il cielo, vanno mormorando tra 'l popolo che per tale ella sarà in breve dichiarata dall'autorità suprema.

    E conoscendo che tal dichiarazione spianterebbe non sol queste due conclusioni, ma renderebbe dannande tutte l'altre osservazioni e proposizioni astronomiche e naturali, che con esse hanno corrispondenza e necessaria connessione, per agevolarsi il negozio cercano, per quanto possono, di far apparir questa opinione, almanco appresso all'universale, come nuova e mia particolare, dissimulando di sapere che Niccolò Copernico fu suo autore e più presto innovatore e confermatore, uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico, e tanto stimato, che, trattandosi nel Concilio lateranense, sotto Leone X, della emendazion del calendario ecclesiastico, egli fu chiamato a Roma sin dall'ultime parti di Germania per questa riforma, la quale allora rimase imperfetta solo perché non si aveva ancora esatta cognizione della giusta misura dell'anno e del mese lunare: onde a lui fu dato carico dal Vescovo Semproniense, allora soprintendente a ques'impresa, di cercar con replicati studi e fatiche di venire in maggior lume e certezza di essi movimenti celesti; ond'egli, con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno, rimessosi a tale studio, si avanzò tanto in queste scienze, e a tale esattezza ridusse la notizia de' periodi de' movimenti celesti, che si guadagnò il titolo di sommo astronomo, e conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbricorno le tavole di tutti i movimenti de' pianeti: ed avendo egli ridotta tal dottrina in sei libri, la pubblicò al mondo a i prieghi del Cardinal Capuano e del Vescovo Culmense; e come quello che si era rimesso con tante fatiche a questa impresa d'ordine del Sommo Pontificio, al suo successore, ciò è a Paolo III, dedicò il suo libro delle Revoluzioni Celesti, il qual, stampato pur allora, è stato ricevuto da Santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa pur minima ombra di scrupolo nella sua dottrina.
    La quale ora mentre si va scoprendo quanto ella sia ben fondata sopra ben manifeste esperienze e necessarie dimostrazioni, non mancano persone che, non avendo pur mai veduto tal libro, procurano il premio delle tante fatiche al suo autore con la nota di farlo dichiarare eretico; e questo solamente per sodisfare ad un lor particolare sdegno, concepito senza ragione contro di un altro, che non ha più interesse col Copernico che l'approvar la sua dottrina.


     

    Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena

    Ora, per queste false note che costoro tanto ingiustamente cercano di addossarmi, ho stimato necessario per mia giustificazione appresso l'universale, del cui giudizio e concetto, in materia di religione e di reputazione, devo far grandissima stima, discorrer circa a quei particolari che costoro vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facendosi sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo pur interessare le Scritture Sacre e farle in certo modo ministre de' loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s'io non erro, contro l'intenzion di quelle e de' Santi Padri, estendere, per non dir abusare, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure naturali e non de Fide, si deve lasciar totalmente il senso e le ragioni dimostrative per qualche luogo della Scrittura, che tal volta sotto le apparenti parole potrà contenere sentimento diverso. Dove spero di dimostrar, con quanto più pio e religioso zelo procedo io, che non fanno loro, mentre propongo non che non si danni questo libro, ma che non si danni, come vorrebbono essi, senza intenderlo, ascoltarlo, né pur vederlo, e massime sendo autore che non mai tratta di cose attenenti a religione o a fede, né con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle interpretate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni. Non che egli non avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere; ma perché benissimo intendeva, che sendo tal sua dottrina dimostrata, non poteva contrariare alle Scritture intese perfettamente: e però nel fine della dedicatoria, parlando del Sommo Pontefice, dice così: 
    Si fortasse erunt matæologi, qui, cum omnium mathematum ignari sint, tamen de illis iudicium assumunt, propter aliquem locum Scripturæ, male ad suum propositum detortum, ausi fuerint hoc meum institutum repræhendere ac insectari, illos nihil moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam temerarium contemnam. Non enim obscurum est, Lactantium, celebrem alioqui scriptorem, sed mathematicum parum, admodum pueriliter de forma Terræ loqui, cum deridet eos qui Terram globi formam habere prodiderunt. Itaque non debet mirum videri studiosis, si qui tales nos etiam ridebunt. Mathemata mathematicis scribuntur, quibus et hi nostri labores (si me non fallit opinio) videbuntur etiam Republicæ Ecclesiasticæ conducere aliquid, cuius principatum Tua Sanctitas nunc tenet [Copernico, De Revolutionibus, Nuremberg, 1543].

     

    E di questo genere si scorge esser questi che s'ingegnano di persuadere che tale autore si danni, senza pur vederlo; e per persuadere che ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno producendo alcune autorità della Scrittura e de' sacri teologi e de' Concilii; le quali sì come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sì che somma temerità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono conforme all'instituto di Santa Chiesa adoperate, così credo che non sia errore il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qualche suo interesse, produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione di Santa Chiesa; però protestandomi (e anco credo che la sincerità mia si farà per se stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover liberamente quegli errori ne' quali per mia ignoranza potessi in questa scrittura incorrere in materie attenenti a religione, ma mi dichiaro ancora non voler nell'istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fossero punti disputabili: perché il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori che ci potessero essere dentro, ci è qualcosa atta ad eccitar altri a qualche avvertimento utile per Santa Chiesa, circa 'l determinar sopra 'l sistema Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a' superiori; se no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrittura, ch'io non intendo o pretendo di guadagnarne frutto alcuno che non fusse pio e cattolico. E di più, ben che molte delle cose che io noto le abbia sentite con i proprii orecchi, liberamente ammetto e concedo a chi l'ha dette che dette non l'abbia, se così gli piace, confessando poter essere ch'io abbia frainteso; e però quando rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione.

    Il motivo, dunque, che loro producono per condennar l'opinione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi, che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne séguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra.

    Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, non meno affetti corporali ed umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori ne produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che e' siano sotto cotali parole profferiti: ed è questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne attestazione alcuna.

    Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo avviso, per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. Perché se, come si è detto e chiaramente si scorge, per il solo rispetto d'accomodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all'istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l'istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d'acqua, di Sole o d'altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole? E massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell'anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo.

    Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all'intendimento dell'universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all'incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura, né meno eccelentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne' sacri detti delle Scritture: il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole: Nos definimus, Deum primo natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus; doctrina, ex prædicationibus [Tertullianus, Adversus Marcionem, I, 18].

    Ma non per questo voglio inferire, non doversi aver somma considerazione de i luoghi delle Scritture Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo servircene per mezi accomodatissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed all'investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono, come verissime e concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo: di più, che ancora in quelle proposizioni che non sono de Fide l'autorità delle medesime Sacre Lettere deva esser anteposta all'autorità di tutte le Scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l'istessa divina sapienza supera ogni umano giudizio e coniettura. Ma che quell'istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all'intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale appunto è l'astronomia, di cui ve n'è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, e duna o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti de' corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle Sacre Scritture apprender tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere, trattato così poco, che è come niente in comparazione delle infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano.


      continua...........

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 17/07/2015 20:47

     


    Agostino di Ippona (354-430)Anzi, che non solamente gli autori delle Sacre Letter non abbino preteso d'insegnarci le costituzioni e movimenti de' cieli e delle stelle, e loro figure, grandezze e distanze, ma che a bello studio, ben che tutte queste cose fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e dottissimi Padri: ed in sant'Agostino si leggono le seguenti parole: Quæri etiam solet, quæ forma et figura cæli esse credenda sit secundum Scripturas nostras: multi enim multum disputant de iis rebus, quas maiore prudentia nostri authores omiserunt, ad beatam vitam non profuturas discentibus, et occupantes (quod peius est) multum prolixa et rebus salubribus impedenda temporum spatia. Quid enim ad me pertinet, ultram cælum, sicut sphera, undique concludat Terram, in media mundi mole libratam, an eam ex una parte desuper, velut discus, operiat? Sed quia de fide agitur Scripturarum, propter illam causam quam non semel commemoravi, ne scilicet quisquam, eloquia divina non intelligens, cum de his rebus tale aliquid vel invenerit in libris nostris vel ex illis audierit quod perceptis assertionibus adversari videatur, nullo modo eis cætera utilia monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter dicendum est, de figura cæli hoc scisse authores nostros quod veritas habet, sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere homines, nulli saluti profutura [Augustinus, In Genesim ad literam, II, 9].


    E pur l'istesso disprezzo avuto da' medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali accidenti de' corpi celesti ci vien nel seguente cap. 10 replicato dal medesimo Sant'Agostino, nella quistione, se si deva stimare che 'l cielo si muova o pure stia fermo, scrivendo così: De motu etiam cæli nonnulli fratres quæstionem movent, utrum stets an moveatur: quia si movetur, inquiunt, quomodo firmamentum est? Si autem stat, quomodo sydera, quæ in ipso fixa creduntur, ab oriente usque ad occidentem circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta cardinem peragentibus, ut cælum, si est alius nobis occultus cardo ex alio vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti discus, rotari videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et laboriosis ista perquiri, ut vere percipiatrur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctæ Ecclesiæ necessariam utilitatem cupimus informari [Ibid., II, 9].


    Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne séguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuto intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell'istesso genere, e collegate in maniera con le pur ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole.


    E se l'istesso Spirito Santo a bello studio ha pretermesso d'insegnarci simili proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto necessario che l'una sia de Fide, e l'altra erronea? Potrà, dunque essere un'opinione eretica, e nulla concernente alla salute dell'anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi che quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l'intenzione delle Spirito Santo essere d'insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.


    Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teologici; da i quali, tra cent'altre attestazioni, abbiamo le seguenti: Illud etiam diligenter cavendum et omnino fugiendum est, ne in tractanda Mosis doctrina quidquam affirmate et asseveranter sentiamus et dicamus, quod repugnet manifestis experimentis et rationibus philosopiæ vel aliarum disciplinarum: namque, cum verum omne semper cum vero congruat, non potest veritas Sacrarum Literarum veris rationibus et experimentis humanarum doctrinarum esse contraria [Pererius , In Genesim circa principium]. Ed appresso sant'Agostino si legge: Si manifestæ certæque rationi velut Santarum Scripturarum obiicitur authoritas, non intelligit qui hoc facit; et non Scripturæ sensum, ad quem penetrare non potuit, sed suum potius, obiicit veritati; nec quod in ea, sed in ipso, velut pro ea, invenit, opponit [Augustinus, In epistolam VII ad Marcellinum].


    Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de' saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de' luoghi sacri, che indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso manifesto e le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come si è detto, che le Scritture per l'addotte cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle parole, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl'interpreti parlino inspirati divinamente, poi che, se così fusse, niuna diversità sarebbe tra di loro circa i sensi de' medesimi luoghi, crederei che fusse molto prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine alli umani ingegni? Chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che è al mondo di sensibile e di scibile? Forse quelli che in altre occasioni confesseranno (e con gran verità) che ea quæ scimus sunt minima pars eorum quæ ignoramus?  [Qoèlet, 3, 11]. Anzi pure, se noi abbiamo dalla bocca dell'istesso Spirito Santo, che Deus tradidit mundum disputationi eorum, ut non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio ad finem [Ibid. 3, 11], non si dovrà, per mio parere, contradicendo a tal sentenza, precluder la strada al libero filosofare circa le cose del mondo e della natura, quasi che elleno sien di già state con certezza ritrovate e palesate tute. Né si dovrebbe stimar temerità il non si quietare nelle opinioni già state quasi comuni, né dovrebb'esser chi prendesse a sdegno se alcuno non aderisce in dispute naturali a quell'opinione che piace loro, e massime intorno a problemi stati già migliaia d'anni controversi tra filosofi grandissimi, quale è la stabilità del sole e mobilità della Terra: opinione tenuta da Pittagora, e da tutta la sua setta, e da Eraclide Pontico, il quale fu dell'istessa opinione, da Filolao maestro di Platone, e dall'istesso Platone, come riferisce Aristotile, e del quale scrive Plutarco nella vita di Numa, che esso Platone già fatto vecchio diceva, assurdissima cosa essere il tenere altramente. L'istesso fu creduto da Aristarco Samio, come abbiamo appresso Archimede, da Seleuco matematico, da Niceta filosofo, referente Cicerone, e da molti altri, e finalmente ampliata e con molte osservazioni e dimostrazioni confermata da Niccolò Copernico. E Seneca, eminentissimo filosofo, nel libro De cometis ci avvertisce, doversi con grandissima diligenza cercar di venire in certezza, se sia il cielo o la Terra in cui risegga la diurna conversione.


    E per questo, oltre agli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de' quali non è pericolo alcuno che possa insurgere mai dottrina valida ed efficace, non saria forse se non saggio ed util consiglio il non ne aggregar altri senza necessità: e se così è, disordine veramente sarebbe l'aggiugnergli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo che in esse si potrebbe desiderare quella intelligenza che sarebbe necessaria prima a capire, e poi a redarguire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare simili conclusioni. Ma più direi, quando mi fusse lecito produrre il mio parere, che forse più converrebbe al decoro ed alla maestà di esse Sacre Lettere il provvedere che non ogni leggiero e vulgare scrittore potesse, per autorizzar sue composizioni, bene spesso fondate sopra vane fantasie, spargervi luoghi della Scrittura Santa, interpetrati, o più presto stiracchiati, in sensi tanto remoti dall'intenzione retta di essa Scrittura, quanto vicini alla derisione di coloro che non senza qualche ostentazione se ne vanno adornando. Esempli di tale abuso se ne potrebbono addur molti: ma voglio che mi bastino due, non remoti da queste materie astronomiche. L'uno de' quali sieno le scritture che furon pubblicate contro a i pianeti Medicei, ultimamente da me scoperti, contro la cui esistenza furono opposti molti luoghi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si fanno veder da tutto il mondo, sentirei volentieri con quali nuove interpretazioni vien da quei medesimi oppositori esposta la Scrittura, e scusata la lor semplicità. L'altro esempio sia di quello che pur nuovamente ha stampato contro a gli astronomi e filosofi, che la Luna non altramente riceve lume dal Sole, ma è per se stessa splendida; la qual immaginazione conferma in ultimo, o, per meglio dire, si persuade di confermare, con varii luoghi della Scrittura, li quali gli par che non si potessero salvare, quando la sua opinione non fusse vera e necessaria. Tutta via, che la Luna sia per se stessa tenebrosa, è non men chiaro che lo splendor del Sole.


    Quindi resta manifesto che tali autori, per non aver penetrato i veri sensi della Scrittura, l'avrebbono, quando la loro autorità fosse di gran momento, posta in obligo di dover costringere altrui a tener per vere, conclusioni repugnanti alle ragioni manifeste ed al senso: abuso che Deus avertat che andasse pigliando piede o autorità, perché bisognerebbe vietar in breve tempo tutte le scienze speculative; perché, essendo per natura il numero degli uomini poco atti ad intendere perfettamente le Scritture Sacre e l'altre scienze maggiore assai del numero degl'intelligenti, quelli, scorrendo superficialmente le Scritture, si arrogherebbono autorità di poter decretare sopra tutte le questioni della natura, in vigore di qualche parola mal intesa da loro ed in altro proposito prodotta dagli scrittori sacri: né potrebbe il piccol numero degl'intendenti reprimer il furioso torrente di quelli, i quali troverebbono tanti più seguaci, quanto il potersi far reputar sapienti senza studio e senza fatica è più soave che il consumarsi senza riposo intorno alle discipline laboriosissime. Però grazie infinite doviamo render a Dio benedetto, il quale per sua benignità ci spoglia di questo timore, mentre spoglia d'autorità simil sorte di persone, riponendo il consultare, risolvere e decretare sopra determinazioni tanto importanti nella somma sapienza e bontà di prudentissimi padri e nella suprema autorità di quelli, che, scorti dallo Spirito Sabnto non possono se non santamente ordinare, permettendo che della leggerezza di quelli altri non sia fatto stima. Questa sorte d'uomini, per mio credere, son quelli contro i quali, non senza ragione, si riscaldano i gravi e santi scrittori, e de i quali in particolare scrive S. Girolamo: Hanc (intendendo della Scrittura Sacra) garrula anus, hanc delirus senex, hanc sophista verbosus, hanc universi præsumunt, lacerant, docent antequam discant. Alii, adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter mulierculas de Sacris Literis philosophantur; alii discunt, pro pudor, a fæminis quod viros doceant, et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, imo audacia, edisserunt aliis quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui, si forte ad Scriputras Sanctas post seculares literas venerint, et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid dixerint, hoc legem Dei putant, nec scire dignantur quid Prophetæ quid Apostoli senserint, sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare sententias, et ad voluntatem suam Scripturam trahere repugnantem [Epistola ad Paulinum, 103].


    Io non voglio metter nel numero di simili scrittori secolari alcuni teologi, riputati da me per uomini di profonda dottrina e di santissimi costumi, e per ciò tenuti in grande stima e venerazione; ma non posso già negare di non rimaner con qualche scrupolo, ed in conseguenza con desiderio che mi fusse rimosso, mentre sento che essi pretendono di poter costringere altri, con l'autorità della Scrittura, a seguire in dispute naturali quella opinione che pare a loro che più consuoni con i luoghi di quella, stimandosi insieme di non essere in obbligo di solvere le ragioni o esperienze in contrario. In esplicazione e confirmazione del qual lor parere, dicono che essendo la teologia regina di tutte le scienze, non deve in conto alcuno abbassarsi per accomodarsi a' dogmi dell'altre men degne ed a lei inferiori, ma sì ben l'altre devono riferirsi ad essa, come a suprema imperatrice, e mutare ed alterar le lor conclusioni conforme alli statuti e decreti teologicali: e più aggiungono che quando nell'inferiore scienza si avesse alcuna conlusione per sicura, in vigor di dimostrazioni o di esperienze, alla quale si trovassi nella Scrittura altra conclusione repugnante, devono gli stessi professori di quella scienza procurar per se medesimi di quella scienza procurare per se medesimi di scioglier le lor dimostrazioni e scoprir le fallacie delle proprie esperienze, senza ricorrere a i teologi e scritturali; non convenendo, come si è detto, alla dignità della teologia abbassarsi all'investigazione delle fallacie delle scienze soggette, ma solo bastando a lei il determinargli la verità della conclusione, con l'assoluta autorità e con la sicurezza di non poter errare. Le conclusioni poi naturali nelle quali dicon essi che noi doviamo fermarci sopra la Scrittura , senza glosarla o interpretarla in sensi diversi dalle parole, dicono essere quelle delle quali la Scrittura parla sempre nel medesimo modo, e i Santi Padri tutti nel medesimo sentimento le ricevono ed espongono. Ora intorno a queste determinazioni mi accascano da considerare alcuni particolari, li quali proporrò per esserne reso cauto da chi più di me intende di queste materie, al giudizio de' quali io sempre mi sottopongo.


    E prima, dubiterei che potesse cader qualche poco di equivocazione, mentre che non si distinguessero le preminenze per le quali la sacra teologia è degna del titolo di regina. Imperò che ella potrebbe esser tale, o vero perché quello che da tutte l'altre scienze viene insegnato, si trovasse compreso e dimostrato in lei, ma con mezi più eccellenti e con più sublime dottrina, nel modo che, per essempio, le regole del misurare i campi e del conteggiare molto più eminentemente si contengono nell'aritmetica e geometria d'Euclide, che nelle pratiche degli agrimensori e de' computisti; o vero perché il suggetto, intorno al quale si occupa la teologia, superasse di dignità tutti gli altri suggetti che son materia dell'altre scienze, ed anco perché i suoi insegnamenti procedessero con mezi più sublimi. Che alla teologia convenga il titolo e la autorità regia nella prima maniera, non credo che poss'essere affermato per vero da quei teologi che avranno qualche pratica nell'altre scienze; de' quali nissuno crederò io che dirà che molto più eccellente ed esattamente si contenga la geometria, la astronomia, la musica e la medicina ne' libri sacri, che in Archimede, in Tolommeo, in Boezio ed in Galeno. Però pare che la regia sopreminenza se gli deva nella seconda maniera, ciò è per l'altezza del suggetto, e per l'ammirabil insegnamento delle divine revelazioni in quelle conclusioni che per altri mezi non potevano dagli uomini esser comprese e che sommamente concernono all'acquisto dell'eterna beatitudine. Ora, se la teologia, occupandosi nell'altissime contemplazioni divine e risedendo per dignità nel trono regio, per lo che ella è fatta di somma autorità, non discende alle più basse ed umili speculazioni delle inferiori scienze, anzi, come di sopra si è dichiarato, quelle non cura, come non concernenti alla beatitudine, non dovrebbono i ministri e i professori di quella arrogarsi autorità di decretare nelle professioni non essercitate né studiate da loro; perché questo sarebbe come se un principe assoluto, conoscendo di poter liberamente comandare e farsi ubbidire, volesse, non essendo egli né medico né architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo, con grave pericolo della vita de' miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi.


    Il comandar poi a gli stessi professori d'astronomia, che procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che impossibile a farsi; perché non solamente se gli comanda che non vegghino quel che e' veggono e che non intendino quel che gl'intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quello che gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell'anima si comandassero l'una all'altra, e le inferiori alle superiori, sì che l'immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il contrario di quel che l'intelletto intende (parlo sempre delle proposizioni pure naturali e che non sono de Fide, e non delle sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò, rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è in potestà de' professori delle scienze demostrative il mutar l'opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a quella, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico o a un filosofo e 'l disporre un mercante o un legista, e che non con, l'istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, in un cambio. Tal differenza è stata benissimo conosciuta da i Padri dottissimi e santi, come l'aver loro posto grande studio in confutar molti argumenti, o, per meglio dire, molte fallacie filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge appresso alcuni di loro; ed in patrticolare aviamo in sant'Agostino le seguenti parole: Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid sapientes huius mundi de natura rerum veraciter demonstrare potuerint, ostendamus nostris Literis non esse contrarium; quicquid autem illi in suis voluminibus contrarium Sacris Literis docent, sine ulla dubitatione credamus id falsissimum esse, et, quoquomodo possumus, etiam ostendamus; atque ita teneamus fidem Domini nostri, in quo sunt absconditi omnes theasuri sapientæ, ut neque falsæ philosophiæ loquacitate seducamur, neque simulatæ religionis superstitione terreamur [Genesis ad literam, I, 21].


    Dalle quali parole mi par che si cavi questa dottrina, cioè che nei libri de' sapienti di questo mondo si contenghino alcune cose della natura dimostrate veracemente, ed altre semplicemente insegnate; e che, quanto alle prime, sia ofizio de' saggi teologi mostrare che le non son contrarie alle Sacre Scritture; quanto all'altre, insegnate ma non necessariamente dimostrate, se vi sarà cosa contraria alle Sacre Lettere, si deve stimare che sia indubitatamente falsa, e tale in ogni possibil modo si deve dimostrare. Se, dunque, le conclusioni naturali, dimostrate veracemente, non si hanno a posporre a i luoghi della Scrittura, ma sì ben dichiarare come tali luoghi non contrariano ad esse conclusioni, adunque bisogna, prima che condannare una proposizion naturale, mostrar ch'ella non sia dimostrata necessariamente: e questo devon fare non quelli che la tengon per vera, ma quelli che la stiman falsa; e ciò par molto ragionevole e conforme alla natura; ciò è che molto più facilmente sien per trovar le fallacie in un discorso quelli che lo stiman falso, che quelli che lo reputan vero e concludente; anzi in questo particolare accadrà che i seguaci di questa opinione, quanto più andran rivolgendo le carte, esaminando le ragioni, replicando l'osservazione e riscontrando l'esperienze, tanto più si confermino in questa credenza. E l'A. V. sa quel che occorse al matematico passato dello Studio di Pisa, che messosi nella sua vecchiezza a vedere la dottrina del Copernico con speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l'aveva mai veduta), gli avvenne, che non prima restò capace de' suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d'impugnatore ne divenne saldissimo mantenitore. Potrei anco nominargli altri matematici, i quali, mossi da gli ultimi miei scoprimenti, hanno confessato esser necessario mutare la già concepita costituzione del mondo, non potendo in conto alcuno più sussistere.


    Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina batasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co 'l loro proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi; ma il negozio cammina altramente; perché, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l'istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d'astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardare verso il cielo, acciò non vedessero Marte e Venere or vicinissimi alla terra or remotissimi con tanta differenza che questa si scorge 40 volte, e quello fa 60, maggior una volta che l'altra, ed acciò che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda or falcata con sottilissime corna, e molte altre sensate osservazioni, che in modo alcuno non si possono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argumenti del Copernicano. Ma il proibire il Copernico, ora che per molte nuove osservazioni e per l'applicazione di molti literati alla sua lettura si va di giorno in giorno scoprendo più vera la sua posizione e ferma la sua dottrina, avendol'ammesso per tanti anni mentre egli era men seguito e confermato, parrebbe, a mio giudizio, un contravvenire alla verità, e cercar tanto più di occultarla e supprimerla, quanto più ella si dimostra palese e chiara. Il non abolire interamente tutto il libro, ma solamente dannar per erronea questa particolar proposizione, sarebbe, s'io non m'inganno, detrimento maggior per l'anime, lasciandogli occasione di veder provata una proposizione, la qual fusse poi peccato il crederla. Il proibir tutta la scienza, che altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge in tutte le sue fatture, e divinamente si legge nell'aperto libro del cielo? Né sia chi creda che la lettura degli altissimi concetti, che sono scritti in quelle carte, finisca nel solo veder lo splendor del Sole e delle stelle e 'l lor nascere ed ascondersi, che è il termine sin dove penetrano gli occhi dei bruti e del vulgo; ma vi son dentro misteri tantro profondi e concetti tanto sublimi, che le vigilie, le fatiche e gli studi di cento e cento acutissimi ingegni non gli hanno ancora interamente penetrati con l'investigazioni continuate per migliaia e migliaia d'anni. E credino pure gli idioti che, sì come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l'aspetto esterno d'un corpo umano è piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l'uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, esaminando gli offizi del cuore e de gli altri membri principali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le maravigliose strutture de gli strumenti de' sensi, e, senza finir mai di stupirsi e di appagarsi, contemplando i ricetti dell'immaginazione, della memoria e del discorso; così quello che 'l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion de' l'alte meraviglie che, mercé delle lunghe ed accurate osservazioni, l'ingegno degl'intelligenti scorge nel cielo. E questo è quanto mi occorre considerare circa a questo particolare.


    Quanto poi a quello che soggiungono, che quelle proposizioni naturali delle quali la Scrittura pronunzia sempre l'istesso e che i Padri tutti concordemente nell'istesso senso ricevono, debbino esser intese conforme al nudo significato delle parole, senza glose e interpretazioni, e ricevute e tenute per verissime, e che in conseguenza, per esser tale la mobilità del Sole e la stabilità della Terra, sia de Fide il tenerle per vere, ed erronea l'opinion contraria; mi occorre di considerar, prima, che delle proposizioni naturali alcune sono delle quali, con ogni umana specolazione e discorso, solo se ne può conseguire più presto qualche probabile opinione e verisimil coniettura, che una sicura e dimostrata scienza, come, per esempio, se le stelle sieno animate; altre sono, delle quali o si ha, o si può credere fermamente che aver si possa, con esperienze, con lunghe osservazioni e con necessarie dimostrazioni, indubitata certezza, quale è, se la Terra e 'l Sole si muovino o no, se la Terra sia sferica o no. Quanto alle prime, io non dubito punto che dove gli umani discorsi non possono arrivare, e che di esse per conseguenza non si può avere scienza, ma solamente opinione e fede, piamente convenga conformarsi assolutamente col puro senso della Scrittura. Ma quanto alle altre, io crederei, come di sopra si è detto, che prima fosse d'accertarsi del fatto, il quale ci scorgerebbe al ritrovamento de' veri sensi delle Scritture, li quali assolutamente si troverebbero concordi col fatto dimostrato, ben che le parole nel primo aspetto sonassero altramente; poi che due veri non possono mai contrariarsi. E questa mi par dottrina tanto retta e sicura, quanto io la trovo scritta puntualmente in sant'Agostino, il quale, parlando a punto della figura del cielo e quale essa si deve credere essere, poi che pare che quel che ne affermano gli astronomi sia contrario alla Scrittura, stimandola quegli rotonda, e chiamandola la scrittura distesa come una pelle, determina che niente si ha da curar che la Scrittura contrarii a gli astronomi, ma credere alla sua autorità, se quello che loro dicono sarà falso e fondato solamente sopra conietture dell'infirmità umana; ma se quello che loro affermano fosse provato con ragioni indubitabili, non dice questo Santo Padre che si comandi a gli astronomi che lor medesimi, solvendo le lor dimostrazioni, dichiarino la lor conclusione per falsa, ma dice che si deve mostrare che quello che è detto nella Scrittura della pelle, non è contario a quelle vere dimostrazioni. Ecco le sue parole: Sed ait aliquis: Quomodo non est contrarium iis qui figuram spheræ cælo tribuunt, quod scriptum est in libris nostris, Qui extendit cælum sicut pellem? Sit sane contarium, si falsum est quod illi dicunt; hoc enim verum est, quod divina dicit authoritas, potius quam illud quod humana infirmitas coniicit. Sed si forte illud talibus illi documentis probare potuerint, ut dubitari inde non debeat, demonstrandum est, hoc quod apud nos est de pelle dictum, veris illis rationibus non esse contrarium [Augustinus, In Genesim ad literam , II, 9]. Segue poi di ammonirci che noi non doviamo esser meno osservanti in concordare un luogo della Scrittura con una proposizione naturale dimostrata, che con un altro luogo della Scrittura che sonasse il contrario. Anzi mi par degna d'esser ammirata ed immitata la circuspezzione di questo Santo, il quale anco nelle conclusioni oscure, e delle quali si può esser sicuri che non se ne possa avere scienza per dimostrazioni umane, va molto riservato nel determinar quello che si deva credere, come si vede da quello che egli scrive nel fine del 2° libro De Genesi ad literam, parlando se le stelle sieno da credersi animate: Quod licet in præsenti facile non possit conpræhendi, arbitror tamen, in processu tractandarum Scripturarum opportuniora loca posse occurrere, ubi nobis de hac re secundum sanctæ authoritatis literas, etsi non ostendere certum aliquid, tamen credere, licebit. Nunc autem, servata semper moderatione piæ gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus.


    Di qui e da altri luoghi parmi, s'io non m'inganno, la intenzione de' Santi Padri esser, che nelle quistioni naturali e che non son de Fide prima si deva considerar se elle sono indubitabilmente dimostrate o con esperienze sensate conosciute, o vero se una tal cognizione e dimostrazione aver si possa: la quale ottenendosi, ed essendo ella ancora dono di Dio, si deve applicare all'investigazione de' veri sensi delle Sacre Lettere in quei luoghi che in apparenza mostrassero di sonar diversamente; i quali indubitatamente saranno penetrati da' sapienti teologi, insieme con le ragioni per che lo Spirito Santo gli abbia volsuti tal volta, per nostro essercizio o per altra a me recondita ragione, velare sotto parole di significato diverso.


    Quanto all'altro punto, riguardando noi al primario scopo di esse Sacre Lettere, non crederei che l'aver loro sempre parlato nell'istesso senso avesse a perturbar questa regola; perché, se occorrendo alla Scrittura, per accomodarsi alla capacità del vulgo, pronunziare una volta una proposizione con parole di sentimento diverso dalla essenza di essa proposizione; perché non dovrà ella aver osservato l'istesso, per l'istesso rispetto, quante volte gli occorreva la medesima cosa? Anzi mi pare che 'l fare altramente averebbe cresciuta la confusione, e scemata la credulità nel popolo. Che poi della quiete o movimento del Sole e della Terra fosse necessario, per accomodarsi alla capacità popolare, asserirne quello che suonan le parole della Scrittura, l'esperienza ce lo mostra chiaro: poi che anco all'età nostra popolo assai men rozo vien mantenuto nell'istessa opinione da ragioni che, ben ponderate ed essaminate, si troveranno esser frivolissime, ed esperienze o in tutto false o totalmente fuori del caso; né si può pur tentar di rimuoverlo, non sendo capace delle ragioni contrarie, dependenti da troppo esquisite osservazioni e sottili dimostrazioni, appoggiate sopra astrazioni, che ad esser concepite richieggon troppo gagliarda imaginativa. Per lo che, quando bene appresso i sapienti fusse più che certa e dimostrata la stabilità del Sole e 'l moto della Terra, bisognerebbe ad ogni modo, per mantenersi il credito appresso il numerosissimo volgo, proferire il contrario; poi che de i mille uomini vulgari che venghino interrogati sopra questi particolari, forse non se ne troverà uno solo, che non risponda, parergli, e così creder per fermo, che 'l Sole si muova e che la Terra stia ferma. Ma non però deve alcun prendere questo comunissimo assenso popolare per argumento della verità di quel che viene asserito; perché se noi interrogheremo gli stessi uomini delle cause e motivi per i quali e' credono in quella maniera, ed, all'incontro, ascolteremo quali esperienze e dimostrazioni induchino quegli altri pochi a creder il contrario, troveremo questi esser persuasi da saldissime ragioni, e quelli da semplicissime apparenze e rincontri vani e ridicoli.


    Che dunque fosse necessario attribuire al Sole il moto, e la quiete alla Terra, per non confonder la poca capacità del vulgo e renderlo renitente e contumace nel prestar fede a gli articoli principali e che sono assolutamente de Fide , è assai manifesto: e se così era necessario a farsi, non è punto da meravigliarsi che così sia stato con somma prudenza esseguito nelle divine Scritture. Ma più dirò, che non solamente il rispetto dell'incapacità del Vulgo, ma la corrente opinione di quei tempi, fece che gli scrittori sacri nelle cose non necessarie alla beatitudine più si accomodorno all'uso ricevuto che alla essenza del fatto. Di che parlando S. Girolamo scrive: Quasi non multa in Scripturis Sanctis dicantur iuxta opinionem illius temporis quo gesta referuntur, et non iuxta quod rei veritas continebat [In cap. 28 Hieremiae]Ed altrove il medesimo Santo: Consuetudinis, Scripturarum est, ut opinionem multarum rerum sic narret Historicus, quomodo eo tempore ab omnibus credebatur [Cap. 13 Matthaei]. E S. Tommaso in Iob, al cap. 27, sopra le parole Qui extendit aquilonem super vacuum, et appendit Terram super nihilum [Iob, 26,7], nota che la Scrittura chiama vacuo e niente lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, e che noi sappiamo non esser vòto, ma ripieno d'aria: nulla dimeno, dice egli che la Scrittura, per accomodarsi alla credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo chiama vacuo e niente. Ecco le parole di S. Tommaso: Quod de superiori hemisphærio cæli nihil nobis apparet. nisi saptium äere plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur enim secundum extimationem vulgarium hominum, pro ut est mos in Sacra Scriptura [Tommaso d'Aquino, Commento al libro di Giobbe]. Ora da questo luogo mi pare che assai chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il medesimo rispetto, abbia avuto più gran cagione di chiamare il Sole mobile e la Terra stabile. Perché, se noi tenteremo la capacità degli uomini vulgari, gli troveremo molto più inetti a restar persuasi della stabilità del Sole e mobilità della Terra, che dell'esser lo spazio, che ci circonda, ripieno d'aria: adunque, se gli autori sacri in questo punto, che non aveva tanta difficoltà appresso la capacità del vulgo ad esser persuaso, nulla dimeno si sono astenuti dal tentare di persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che in altre proposizioni molto più recondite abbino osservato il medesimo stile.


    Anzi, conoscendo l'istesso Copernico qual forza abbia nella nostra fantasia un'invecchiata consuetudine ed un modo di concepir le cose già sin dall'infanzia fattoci familiare, per non accrescer confusione e difficoltà nella nostra astrazione, dopo aver prima dimostrato che i movimenti li quali a noi appariscono esser del sole o del firmamento son veramente della Terra, nel venir poi a ridurgli in tavole ed all'applicargli all'uso, gli va nominando per del Sole e del cielo superiore a i pianeti, chiamando nascere e tramontar del sole, delle stelle, mutazioni nell'obliquità dello zodiaco e variazione ne' punti degli equinozii, movimento medio, anomalia e prostaferesi del Sole, ed altre cose tali, quelle che son veramente della Terra. Ma perché, sendo noi congiunti con lei, ed in conseguenza a parte d'ogni suo movimento, non gli possiamo immediate riconoscere in lei, ma ci convien far di lei relazione a i corpi celesti ne' quali ci appariscono, però gli nominiamo come fatti là dove fatti ci rassembrano. Quindi si noti quanto sia ben fatto l'accomodarsi al nostro più consueto modo d'intendere.

      continua.....



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 17/07/2015 20:48



       Che poi la comun concordia de' Padri, nel ricever una proposizione naturale dalla Scrittura nel medesimo senso tutti, debba autenticarla in maniera che divenga de Fide il tenerla per tale, crederei che ciò si dovesse al più intender di quelle conclusioni solamente, le quali fussero da essi Padri state discusse e ventilate con assoluta diligenza e disputate per l'una e per l'altra parte, accordandosi poi tutti a reprovar quella e tener questa. Ma la mobilità della Terra e stabilità del Sole non son di questo genere, con ciò sia che tale opinione fosse in quei tempi totalmente sepolta e remota dalle quistioni delle scuole, e non considerata, non che seguita, da veruno: onde si può credere che né pur cascasse concetto a' Padri di disputarla, avendo i luoghi della Scritture, la lor opinione, e l'assenso de gli uomini tutti, concordi nell'istesso parere, senza che si sentisse la contradizione di alcuno. Non basta dunque il dir che i Padri tutti ammettono la stabilità della Terra, etc., adunque il tenerla è de Fide ; ma bisogna provar che gli abbino condennato l'opinione contraria; imperò che io potrò sempre dire, che il non avere avuta loro occasione di farvi sopra reflessione e discuterla, ha fatto che l'hanno lasciata ed ammessa solo come corrente, ma non già come resoluta e stabilita. E ciò mi par di poter dir con assai ferma ragione: imperò che o i Padri fecero reflessione sopra questa conclusione come controversa, o no: se no, adunque niente ci potettero, né anco in mente loro, determinare, né deve la loro non curanza mettere in obligo noi a ricevere quei precetti che essi non hanno, né pur con l'intenzione, imposti: ma se ci fecero applicazione e considerazione, già l'averebbono dannata se l'avessero giudicata per erronea; il che non si trova che essi abbino fatto. Anzi, dopo che alcuni teologi l'hanno cominciata a considerare, si vede che non l'hanno stimata erronea, come si legge ne i Comentari di Didaco a Stunica sopra Iob, al c. 9, v. 6, sopra le parole Qui commovet Terram de loco suo etc.: dove lungamente discorre sopra la posizione Copernicana, e conclude, la mobilità della Terra non esser contro alla Scrittura.


    Oltre che io averei qualche dubbio circa la verità di tal determinazione, ciò è se sia vero che la Chiesa obblighi a tenere come de Fide simili conclusioni naturali, insignite solamente di una concorde interpretazione di tutti i Padri: e dubito che poss'essere che quelli che stimano in questa maniera, possin aver desiderato d'ampliar a favor della propria opinione il decreto de' Concilii, il quale non veggo che in questo proposito proibisca altro se non lo stravolger in sensi contrarii a quel di Santa Chiesa o del comun consenso de' Padri quei luoghi solamente che sono de Fide, o attenenti a i costumi, concernenti all'edificazione della dottrina cristiana: e così parla il Concilio Tridentino alla Sessione IV. Ma la mobilità o stabilità della Terra o del Sole non son de Fide né contro a i costumi, né vi è chi voglia scontorcere luoghi della Scrittura per contrariare a Santa Chiesa o a i Padri: anzi chi ha scritta questa dottrina non si è mai servito di luoghi sacri, acciò resti sempre nell'autorità di gravi e sapienti teologi l'interpretar detti luoghi conforme al vero sentimento. E quanto i decreti de' Concilii si conformino co' santi Padri in questi particolari, può esser assai manifesto: poi che tantum abest che si risolvino a ricever per de Fide simili conclusioni naturali o a reprovar come erronee le contrarie opinioni che, più presto avendo riguardo alla primaria intenzione di Santa Chiesa, reputano inutile l'occuparsi in cercar di venir in certezza di quelle. Senta l'A. V. S. quello che risponde sant'Agostino a quei fratelli che muovono la quistione, se sia vero che il cielo si muova o pure stia fermo: His respondeo, multum subtilis et laboriosis rationibus ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit: quibus ineundis atque tractandis nech mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctæ Ecclesiæ necessarium utilitatem cupimus informari [Augustinus, In Genesim ad literam, II, 10].


    Ma quando pure anco nelle proposizioni naturali, da luoghi della Scrittura esposti concordemente nel medesimo senso da tutti i Padri si avesse a prendere la resoluzione di condennarle o ammetterle, non però veggo che questa regola avesse luogo nel nostro caso, avvenga che sopra i medesimi luoghi si leggono de' Padri diverse esposizioni: dicendo Dionisio Areopagita, che non il Sole, ma il primo mobile, si fermò; l'istesso stima S. Agostino, ciò è che si fermassero tutti i corpi celesti; e dell'istessa opinione è l'Abulense. Ma più, tra gli autori Ebrei, a i quali applaude Ioseffo, alcuni hanno stimato che veramente il Sole non si fermasse, ma che così apparve mediante la brevità del tempo nel quale gl'Isdraeliti dettero la sconfitta a' nemici. Così, del miracolo al tempo di Ezechia, Paulo Burgense stima non essere stato fatto nel Sole, ma nell'orivuolo. Ma che in effetto sia necessario glosare e interpretare le parole del testo di Iosuè, qualunque si ponga la costituzione del mondo, dimostrerò più a basso.


    Ma finalmente, concedendo a questi signori più di quello che comandano, ciò è di sottoscrivere interamente al parere de' sapienti teologi, ciò è che tal particolar disquisizione non si trova essere stata fatta da i Padri antichi, potrà esser fatta da i sapienti della nostra età, li quali, ascoltate prima l'esperienze, l'osservazioni, le ragioni e le dimostrazioni de' filosofi ed astronomi per l'una e per l'altra parte, poi che la controversia è di problemi naturali e di dilemmi necessarii ed impossibili ad essere altramente che in una delle due maniere controverse, potranno con assai sicurezza determinar quello che le divine ispirazioni gli detteranno. Ma che senza ventilare e discutere minutissimamente tutte le ragioni dell'una e dell'altra parte, e che senza venire in certezza del fatto si sia per prendere una tanta resoluzione, non è da sperarsi da quelli che non si curerebbono d'arrisicar la maestà e dignità delle Sacre Lettere per sostentamento della reputazione di lor vane immaginazioni, né da temersi da quelli che non ricercano altro se non che si vadia con somma attenzione ponderando quali sieno i fondamenti di questa dottrina, e questo solo per zelo stantissimo del vero e delle Sacre Lettere, e della maestà. dignità ed autorità nella quale ogni cristiano deve procurare che esse sieno mantenute. La quale dignità chi non vede con quanto maggior zelo vien desiderata e procurata da quelli che, sottoponendosi onninamente a Santa Chiesa, domandano non che si proibisca questa o quella opinione, ma solamente di poter mettere in considerazione cose onde ella maggiormente si assicuri nell'elezione più sicura, che da quelli che, abbagliati da proprio interesse o sollevati da maligne suggestioni, predicano che ella fulmini senz'altro la spada, poi che ella ha potestà di farlo, non considerando che non tutto quel che si può fare è sempre utile che si faccia? Di questo parere non son già stati i Padri santissimi: anzi, conoscendo di quanto progiudizio e quanto contro al primario instituto della Chiesa Cattolica sarebbe il volere da' luoghi della Scrittura definire conclusioni naturali, delle quali, o con esperienze o con dimostrazioni necessarie, si potrebbe in qualche tempo dimostrare il contrario di quel che suonan le nude parole, sono andati non solamente circospettissimi, ma hanno, per ammaestramento degli altri, lasciati i seguenti precetti: In rebus obscuris atque a nostri oculis remotissimis, si qua inde scripta, etiam divina, legerimus, quæ possint, salva fide qua imbuimur, aliis atque aliis parere sententiis, in ullam earum nos præcipiti affirmatione ita proiiciamus, ut, si forte diligentius discussa veritas eam recte labefactaverit, corruamus; non pro sententia divinarum Scripturarum, sed pro nostra ita dimicantes, ut eam velimus Scripturarum esse, quæ nostra est, com potius eam, quæ Scripturarum est, nostram esse velle debeamus [Augustinus, De Genesi ad literam, 1, 18-19]. Soggiugne poco di sotto, per ammaestrarci come nissuna proposizione può esser contro la Fede se prima non è dimostrata esser falsa, dicendo: Tamdiu non est contra Fidem, donec veritate certissima refellatur: quod si factum fuerit, non hoc habebat divina Scriptura, sed hoc senserat humana ignorantia. Dal che si vede come falsi sarebbono i sentimenti che noi dessimo a' luoghi della Scrittura, ogni volta che non concordassero con le verità dimostrate: e però devesi con l'aiuto del vero dimostrato cercar il senso sicuro della Scrittura, e non, conforme al nudo suono delle parole, che sembrasse vero alla debolezza nostra, volere in certo modo sforzar la natura e negare l'esperienze e le dimostrazioni necessarie.


    Ma noti di più, l'A. V., con quante circospezzioni cammina questo santissimo uomo prima che risolversi ad affermare alcuna interpretazione della Scrittura per certa e talmente sicura che non si abbia da temere di poter incontrare qualche difficoltà che ci apporti disturbo, che, non contento che alcun senso della Scrittura concordi con alcuna dimostrazione, soggiugne: Si autem hoc verum esse certa ratio demonstraverit, adhuc incertum erit, utrum hoc in illis verbis sanctorum librorum scriptor sentiri voluerit, an aliquid aliud non minus verum: quod si cætera contextio sermonis non hoc eum voluisse probaverit, non ideo falsum erit aliud quod ipse intelligi voluit, sed et verum et quod utlis cognoscatur [Augustinus, De Genesi ad literam, 1, 19]. Ma quello che accresce la meraviglia circa la circospezzione dìcon la quale questo autore cammina, è che, non si assicurando su 'l vedere che e le ragioni dimostrative e quelle che suonano le parole della Scrittura ed il resto della testura precedente e susseguente cospirino nella medesima intenzione, aggiugne le seguenti parole: Si autem contextio Scripturæ, hoc voluisse intelligi scriptorem non repugnaverit, adhuc restabit quærere, utrum et aliud non potuerit; né si risolvendo ad accettar questo senso o escluder quello, anzi non gli parendo di potersi stimar mai cautelato a sufficienza, séguita: Quod si et aliud potuisse invenerimus, incertum erit, quidnam eorum ille voluerit; aut utrumque voluisse, non inconvenienter creditur, si utrique sententiæ certa circumstantia suffragatur. E finalmente, quasi volendo render ragione di questo suo instituto, col mostrarci a quali pericoli esporrebbono sé e le Scritture e la Chiesa quelli che, riguardando più al mantenimento d'un suo errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbono estender l'autorità di quella oltre a i termini che ella stessa si prescrive, soggiugne le seguenti parole, che per sé sole doverebbono bastare a reprimere e moderare la soverchia licenza che tal uno pretende di potersi pigliare: Plerumque enim accidit, ut aliquid de Terra, de cælo,de cæteris huius munda elementis, de moti et conversione vel etiam magnitude et intervallis siderum, de certi defectibus Solis et Lunæ, de circuitibus annorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapidum, atque huiusmodi cæteris, etiam non Christianus ita noverit, ut certissima ratione vel experientia teneat. Turpe autem est nimis et perniciosum ac maxime cavendum, ut Christianum de his rebus quasi secundum Christianas Literas loquentem ita delirare quilibet infidelis audiat, ut, quemadmodum diciur, toto cælo errare conspiciens, risum tenere vix possit; et non tam molestum est quod errans homo derideretur, sed quod authores nostri ab eis qui forsi sunt talia sensisse creduntur, et, cum magno exitio eorum de quorum salute stagimus, tamquam indoct repræhenduntur atque respuuntur. Cum enim quemquam de numero Christianorum ea in re quam ipsi optime norunt errare depræhenderint, et vanam sententiam suam de nostris libris asserent, quo pacto illis libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe vitæ æternæ regnoque cælorum, quando de his rebus quas iam experiri vel indubitatis rationibus percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos? [Augustinus, De Genesi ad literam, 1, 19-39]. Quanto poi restino offesi i Padri veramente saggi e prudenti da questi tali che, per sostener proposizioni da loro non capite, vanno in certo modo impegnando i luoghi delle Scritture, riducendosi poi ad accrescere il primo errore col produrr'altri luoghi meno intesi de' primi, esplica il medesimo Santo con le parole che seguono: Quid enim molestiæ tristiæque ingerant prudentibus fratribus temerarii præsumptores, satis dici non potest, cum si quando de prava et falsa opinione sua repræhendi et convinci cœperint ab eis qui nostrorum librorum authoritate non tenentur, ad defendendum id quod levissima temeritate et apertissima falsitate dixerunt, eosdem libros sanctos unde id probent, proferre conantur; vel etiam memoriter, quæ ad testimonium valere arbitrantur, multa inde verba pronunciant, non intelligentes neque quæ loquuntur neque de quibus affirmant.


    Del numero di questi parmi che sieno costoro, che non volendo o non potendo intendere le dimostrazioni ed esperienze con le quali l'autore ed i seguaci di questa posizione la confermano, attendono pure a portare innanzi le Scritture, non si accorgendo che quante più ne producono e quanto più persiston in affermar quelle esser chiarissime e non ammetter altri sensi che quelli che essi gli danno, di tanto maggior progiudizio sarebbono alla dignità di quelle (quando il lor giudizio fosse di molta autorità), se poi la verità conosciuta manifestamente in contrario arrecasse qualche confusione, al meno in quelli che son separati da Santa Chiesa, de' quali pur ella è zelantissima e madre desiderosa di ridurgli nel suo grembo. Vegga dunque l'A. V. quanto disordinatamente procedono quelli che, nelle dispute naturali, nella prima fronte costituiscono per loro argomenti luoghi della Scrittura, e ben spesso malamente da loro intesi.


    Ma se questi tali veramente stimano e interamente credono d'avere il vero sentimento di un tal luogo particolare della Scrittura, bisogna, per necessaria conseguenza, che si tenghino anco sicuri d'aver in mano l'assoluta verità di quella conclusione naturale che intendono di disputare, e che insieme conoschino d'aver grandissimo vantaggio sopra l'avversario, a cui tocca a difender la parte falsa; essendo che quello che sostiene il vero, può aver molte esperienze sensate e molte dimostrazioni necessarie per la parte sua, mentre che l'avversario non può valersi d'altro che d'ingannevoli apparenze, di paralogismi e di fallacie. Ora se loro, contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre armi che le filosofiche, sanno ad ogni modo d'esser tanto superiori all'avversario, perché, nel venir poi al congresso, por subito mano ad un'arme inevitabile e tremenda, per atterrire con la sola vista il loro avversario? Ma, se io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere star forti contro alli assalti dell'avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare, vietandogli l'uso del discorso che la Divina Bontà gli ha conceduto, ed abusando dell'autorità giustissima della Sacra Scrittura che, ben intesa e usata, non può mai, conforme alla comun sentenza de' teologi, oppugnar le manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni. Ma che questi tali rifugghino alle Scritture per coprir la loro impossibilità di capire, non che di solvere, le ragioni contrarie, dovrebbe, s'io non m'inganno, essergli di nessun profitto, non essendo mai sin qui stata cotal opinione dannata da Santa Chiesa. Però, quando volessero procedere con sincerità, doverebbono o, tacendo, confessarsi inabili a poter trattar di simili materie, o vero prima considerare che non è nella potestà loro né di altri che del Sommo Pontefice o de' sacri Concilii il dichiarare una proposizione per erronea, ma che bene sta nell'arbitrio loro il disputar della sua falsità; dipoi, intendendo come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed eretica, dovrebbono occuparsi di quella parte che più aspetta a loro, ciò è in dimostrar la falsità di quella; la quale come avessero scoperta, o non occorrerebbe più il proibirla, perché nessuno la seguirebbe, o il proibirla sarebbe sicuro e senza pericolo di scandalo alcuno.


    Però applichinsi prima questi tali a redarguire le ragioni del Copernico e di altri, e lascino il condennarla poi per erronea ed eretica a chi ciò si appartiene; ma non sperino già d'esser per trovare nei circuspetti e sapientissimi Padri e nell'assoluta sapienza di Quel che non può errare, quelle repentine resoluzioni nelle quali essi talora si lascerebbono precipitare da qualche loro affetto o interesse particolare; perché sopra queste ed altre simili proposizioni, che non sono direttamente de Fide, non è chi dubiti che il Sommo Pontefice ritien sempre assoluta potestà di ammetterle o di condennarle; ma non è già in poter di creatura alcuna il farle esser vere o false, diversamente da quel che elleno per sua natura e de facto si trovano essere. Però par che miglior consiglio sia l'assicurarsi prima della necessaria ed immutabil verità del fatto, sopra la quale nissuno ha imperio, che, senza tal sicurezza, col dannare una parte spogliarsi dell'autorità e libertà di poter sempre eleggere, riducendo sotto necessità quelle determinazioni che di presente sono indifferenti e libere e riposte nell'arbitrio dell'autorità suprema. Ed in somma, se non è possibile che una conclusione sia dichiarata eretica mentre si dubita che ella poss'esser vera, vana doverà esser la fatica di quelli che pretendono di dannar la mobilità della Terra e la stabilità del Sole, se prima non la dimostrano essere impossibile e falsa.


    Resta finalmente che consideriamo, quanto sia vero che il luogo di Giosuè si possa prendere senza alterare il puro significato delle parole, e come possa essere che, obedendo il Sole al comandamento di Giosuè, che fu che egli si fermasse, ne potesse da ciò seguire che il giorno per molto spazio si prolungasse.


    La qual cosa, stante i movimenti celesti conforme alla costituzione Tolemaica, non può in modo alcuno avvenire: perché, facendosi il movimento del Sole per l'eclittica secondo l'ordine de' segni, il quale è da occidente verso oriente, ciò è contrario al movimento del primo mobile da oriente in occidente, che è quello che fa il giorno e la notte, chiara cosa è che, cessando il Sole dal suo vero e proprio movimento, il giorno si farebbe più corto, e non più lungo, e che all'incontro il modo dell'allungarlo sarebbe l'affrettare il suo movimento; in tanto che, per fare che il Sole restasse sopra l'orizonte per qualche tempo in un istesso luogo, senza declinar verso l'occidente, converrebbe accelerare il suo movimento tanto che pareggiasse quel del primo mobile, che sarebbe un accelerarlo circa trecento sessanta volte più del consueto. Quando dunque Iosuè avesse avuto intenzione che le sue parole fossero prese nel loro puro e propriissimo significato, averebbe detto al Sole ch'egli accelerasse il suo movimento, tanto che il ratto del primo mobile non lo portasse all'occaso; ma perchè le sue parole erano ascoltate da gente che forse non aveva altra cognizione de' movimenti celesti che di questo massimo e comunissimo da levante a ponente, accomodandosi alla capacità loro, e non avendo intenzione d'insegnargli la costituzione delle sfere, ma solo che comprendessero la grandezza del miracolo fatto nell'allungamento del giorno, parlò conforme all'intendimento loro.


    Forse questa considerazione mosse prima Dionisio Areopagita a dire che in questo miracolo si fermò il primo mobile, e fermandosi questo, in conseguenza si fermoron tutte le sfere celesti: della quale opinione è l'istesso sant'Agostino, e l'Abulense diffusamente la conferma. Anzi, che l'intenzione dell'istesso Iosuè fusse che si fermasse tutto il sistema delle celesti sfere, si comprende dal comandamento fatto ancora alla Luna, ben che essa non avesse che fare nell'allungamento del giorno; e sotto il precetto fatto ad essa Luna s'intendono gli orbi de gli altri pianeti, taciuti in questo luogo come in tutto il resto delle Sacre Scritture, delle quali non è stata mai intenzione d'insegnarci le scienze astronomiche.


    Parmi dunque, s'io non m'inganno, che assai chiaramente si scorga che, posto il sistema Tolemaico, sia necessario interpretar le parole con qualche sentimento diverso dal loro puro significato: la quale interpretazione, ammonito dagli utilissimi documenti di sant'Agostino, non direi esser necessariamente questa, sì che altra forse migliore e più accomodata non potesse sovvenire ad alcun altro. Ma se forse questo medesimo, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, si potesse intendere nel sistema Copernicano, con l'aggiunta di un'altra osservazione, nuovamente da me dimostrata nel corpo solare, voglio per ultimo mettere in considerazione; parlando sempre con quei medesimi riserbi di non esser talmente affezionato alle cose mie, che io voglia anteporle a quelle degli altri, e creder che di migliori e più conformi all'intenzione delle Sacre Lettere non se ne possino addurre.


    Posto dunque, prima, che nel miracolo di Iosuè si fermasse tutto 'l sistema delle conversioni celesti, conforme al parere de' sopra nominati autori, e questo acciò che, fermatone una sola, non si confondesser tutte le costituzioni e s'introducesse senza necessità perturbamento in tutto 'l corso della natura, vengo nel secondo luogo a considerare come il corpo solare, ben che stabile nell'istesso luogo, si rivolge però in se stesso, facendo un'intera conversione in un mese in circa, sì come concludentemente mi par d'aver dimostrato nelle mie Lettere delle Macchie Solari: il qual movimento vegghiamo sensatamente esser, nella parte superior del globo, inclinato verso il mezo giorno, e quindi, verso la parte inferiore, piegarsi verso aquilone, nell'istesso modo appunto che si fanno i rivolgimenti di tutti gli orbi de' pianeti. Terzo, riguardando noi alla nobiltà del Sole, ed essendo egli fonte di luce, dal qual pur, com'io necessariamente dimostro, non solamente la Luna e la Terra , ma tutti gli altri pianeti, nell'istesso modo per se stessi tenebrosi, vengono illuminati., non credo che sarà lontano dal ben filosofare il dir che egli, come ministro massimo della natura e in certo modo anima e cuore del mondo, infonde a gli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma il moto ancora, co 'l rigirarsi in se medesimo; sì che, nell'istesso modo che, cessando 'l moto del cuore nell'animale, cesserebbono tutti gli altri movimenti delle sue membra, così, cessando la conversion del Sole, si fermerebbono le conversioni di tutti i pianeti. E come che della mirabil forza ed energia del Sole io potessi produrne gli assensi di molti gravi scrittori, voglio che basti un luogo solo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale del Sole scrive così: Lux etiam colligit convertitque ad se omnia, quæ videntur, quæ moventur, quæ illustrantur, quæ calescunt, et uno nomine ea quæ ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia congreget colligatque dispersa. E poco più a basso scrive dell'istesso Sole: Si enim Sol hic, quem videmus, eorum quæ sub sensum cadunt essentias et qualitates, quamquam multæ sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est æquabiliterque lumen fundit, renovat, alit, tuetur, perficit, dividit, coniungit, fovet, fœcunda reddit, auget, mutat, firmat, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquæque rea huis universitatis, pro captu suo, unius atque eiusdem Solis est particeps, causasque multorum, quæ participant, in se æquabiliter anticipatas habet; certe maiore ratione etc . Essendo, dunque, il Sole e fonte di luce e principio de' movimenti, volendo Iddio che al comandamento di Iosuè restasse per molte ore nel medesimo stato immobilmente tutto 'l sistema mondano, bastò fermare il Sole, alla cui quiete fermatesi tutte l'altre conversioni, restarono e la Terra e la luna e 'l Sole nella medesima costituzione, e tutti gli altri pianeti insieme; né per tutto quel tempo declinò 'l giorno verso la notte, ma miracolosamente si prolungò: ed in questa maniera col fermare il Sole, senza alterar punto o confondere gli altri aspetti e scambievoli costituzioni delle stelle, si potette allungare il giorno in terra, conforme esquisitamente al senso literale del sacro testo.


    Ma quello di che, s'io non m'inganno, si deve far non piccola stima, è che con questa costituzione Copernicana si ha il senso literale apertissimo e facilissimo d'un altro particolare che si legge nel medesimo miracolo; il quale è, che il Sole si fermò nel mezo del cielo. Sopra 'l qual passo gravi teologi muovono difficoltà: poi che par molto probabile che quando Giosuè domandò l'allungamento del giorno, il Sole fusse vicino al tramontare, e non al meridiano; perché quando fusse stato nel meridiano, essendo allora intorno al solstizio estivo, e però i giorni lunghissimi, non par verisimile che fusse necessario pregar l'allungamento del giorno per conseguir vittoria in un conflitto, potendo benissimo bastare per ciò lo spazio di sette ore e più di giorno che rimanevano ancora. Dal che mossi gravissimi teologi, hanno veramente tenuto che 'l Sole fusse vicino all'occaso; e così par che suonino anco le parole, dicendosi: Ferma, Sole, fermati ; ché se fosse stato nel meridiano, o non occorreva ricercare il miracolo, o sarebbe bastato pregar solo qualche ritardamento. Di questa opinione è il Caietano, alla quale sottoscrive il Magaglianes, confermandola con dire che Iosuè aveva quell'istesso giorno fatte tant'altre cose avanti il comandamento del sole, che impossibile era che fussero spedite in mezo giorno: onde si riducono ad interpretar le parole in medio cæli veramente con qualche durezza, dicendo che l'importano l'istesso che il dire che il Sole si fermò essendo nel nostro emisferio, ciò è sopra l'orizonte. Ma tal durezza ed ogn'altra, s'io non erro, sfuggirem noi, collocando, conforme al sistema Copernicano, il Sole nel mezo, ciò è nel centro degli orbi celesti e delle conversione de' pianeti, sì come è necessarissimo di porvelo; perché, ponendo qualsivoglia ora del giorno, o la meridiana, o altra quanto ne piace vicina alla sera, il giorno fu allungato e fermate tutte le conversioni celesti col fermarsi il Sole nel mezo del cielo, ciò è nel centro di esso cielo, dove egli risiede: senso tanto più accomodato alla lettera, oltre a quel che si è detto, quanto che, quando anco si volesse affermare la quiete del Sole essersi fatta nell'ora del mezo giorno, il parlar proprio sarebbe stato il dire che stetit in meridie, vel in meridiano circulo, e non in medio cæli, poi che di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezo è veramente e solamente il centro.


    Quanto poi ad altri luoghi della Scrittura, che paiono contrariare a questa posizione, io non ho dubbio che quando ella fusse conosciuta per vera e dimostrata, quei medesimi teologi che, mentre la reputan falsa, stimano tali luoghi incapaci di esposizioni concordanti con quella, ne troverebbono interpretazioni molto ben congruenti, e massime quando all'intelligenza delle Sacre Lettere aggiugnessero qualche cognizione delle scienze astronomiche: e come di presente, mentre la stimano falsa, gli par d'incontrar, nel leggere le Scritture, solamente luoghi ad essa repugnanti, quando si avessero formato altro concetto, ne incontrerebbero per avventura altrettanti di concordi; e forse giudicherebbono che Santa Chiesa molto acconciamente narrasse che Iddio colloca il Sole nel centro del cielo e che quindi, col rigirarlo in se stesso a guisa d'una ruota, contribuisce agli ordinati corsi alla Luna ed all'altre stelle erranti, mentre ella canta:


    Cæli Deus sanctissime, qui lucidum centrum poli candore pingis igneo, augens decoro lumine;


    quarto die qui flammeam solis rotam constituens, lunæ ministras ordinem, vagosque cursus siderum.


    Potrebbono dire, il nome di firmamento convenirsi molto bene ad literam alla sfera stellata ed a tutto quello che è sopra le conversioni de' pianeti, che, secondo questa disposizione, è totalmente fermo ed immobile. Così, movendosi la Terra circolarmente, s'intenderebbono i suoi poli dove si legge: Nec dum terrat fecerat, et flumina et cardines orbis Terræ; i quali cardini paiono indarno attribuiti al globo terrestre, se egli sopra non se gli deve raggirare.


     








    Galileo Galilei, Opere, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro, Giunti-Barbera, Firenze 1968, vol. V, pp. 309-348.







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)