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Santa Maria dell'Anima. Lutero e la Riforma protestante. File audio da una lezione di Andrea Lonardo

Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /01 /2012 - 21:40 pm | Segnala questo articolo:
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Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare l'utilizzo in futuro di files audio le registrazioni ed i testi commentati nell'incontro tenuto da Andrea Lonardo su Lutero e la Riforma protestante presso la chiesa di Santa Maria dell'Anima, il 14 gennaio 2012.

Per altri files audio vedi la sezione Audio e video.
Per approfondimenti sulla Riforma protestante vedi la sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2012)

 

TESTI COMMENTATI DURANTE L'INCONTRO

Ufficio catechistico di Roma

www.ucroma.it (cfr. anche www.gliscritti.it )

Lutero e la Riforma protestante

1A/ Lutero a Roma nel 1510

da 1510-2010: a 500 anni dalla venuta di Lutero a Roma, di Battista Angelo Pansa (su www.gliscritti.it )

La popolazione di Roma cresceva notevolmente in quegli anni. Il censimento del 1526 le attribuisce un totale di quasi 55.000 abitanti. L'anno seguente il numero diminuisce di molto a causa del famoso sacco di Roma (1527).

Il viaggio [di Lutero] era stato lungo. Con la fede semplice di un pellegrino medioevale, l'animo commosso da un profondo sentimento religioso, fra Martino arrivò nei pressi di Roma e si affacciò alla valle del Tevere, dalle alture di monte Mario. Depose a terra il povero bagaglio, si scoprì la testa e si inginocchiò con devozione, guardando ai suoi piedi la sospirata Città Eterna. Ce lo racconta egli stesso «Quando nell'anno 1510 contemplai per la prima volta l’Urbe, prostrato a terra esclamai: Salve, o santa Roma! Sì, veramente santa, perché è intrisa del sangue dei santi martiri» «Anno 10 cum primum civitatem inspicerem, in terram prostratus dicebam Salve sancta Roma! Ja, vere sancta a sanctis martyribus, quorum sanguine madet» (Tischr. 6059, V, 467). Nessun inno comincia con queste Salve sancta Roma! Forse Lutero si riferiva all'antico inno che solevano cantare i pellegrini medievali avvistando la Città Eterna da Monte Mario: «O Roma nobilis, orbis et domina, cunctarum urbium excellentissima,roseo martyrum sanguine rubea...». Avrebbe potuto anche aver presente la nota strofa dell'ufficio di San Pietro e Paolo: «O Roma felix, quae tantorum principum es purpurata pretioso sanguine, excellis omnem mundi pulchritudinem».

Fra Martino discese la costa della collina e attraversò il Tevere a ponte Milvio; poi per la via Flaminia, che si snodava tra vigneti e case di cardinali, si avvicinò alle mura di Aureliano, fortificazione militare con 361 baluardi e dodici porte, per una delle quali sboccò nella piazza del Popolo. Il primo edificioche incontrò a sinistra, ai piedi del boscoso Pincio, fu la magnifica chiesa di Santa Maria del Popolo, da poco decorata da famosi artisti. Accanto alla chiesa s'ergeva il convento dei frati agostiniani della congregazione lombarda, con cui era in ottime relazioni la Congregazione dell'Osservanza tedesca. Per questo e perché un decreto del capitolo generale del 1497 ordinava che i frati osservanti forestieri cercassero alloggio a Roma a Santa Maria del Popolo, si afferma di solito che Lutero fu ospitato in quel convento. Fra Martino forse aveva sulla coscienza un gravissimo peccato, con censura riservata alla Santa Sede, voleva confessarsi da qualche penitenziere minore o forse voleva presentare il suo caso al cardinale penitenziere maggiore. Si sarà dunque inginocchiato in un confessionale - forse nella basilica di San Giovanni in Laterano - e avrà esposto al confessore i peccati degli ultimi anni. Non sappiamo come gli avrà spiegato le angosce, le tentazioni, gli scrupoli, i dubbi che attanagliavano il suo animo. Più tardi affermerà che i sacerdoti italiani e francesi sono «del tutto inetti e ignorantissimi, barbari completamente perché non capiscono una parola di latino» (Tischr. 4195, IV, 193; 4585, IV, 389.). Si noti che la testimonianza sui cardinali indoctissimos è dell'anno 1537; ma ancora prima, quando i suoi ricordi erano molto più freschi e non inficiati dalla passione, pensava in altro modo: infatti il 5 agosto 1514 scriveva: «Cum Roma doctissimos homines inter cardinales habeat» (Briefw. I, 29). A chi credere? Al cattolico del 1514 o all'antiromano del 1537.

Non merita molto credito nemmeno quando riferisce cose che assicura d'aver visto con i suoi propri occhi; per esempio: «Ho visto a Roma celebrare sette messe nello spazio di una sola ora sull'altare di San Sebastiano». «Vidi ego Romae in una hora et in uno altari S. Sebastiani septem missas celebrari»; basta dare un'occhiata ai messali di allora, per convincersi che era una cosa assolutamente impossibile: dire più di tre messe private in un'ora era inoltre severamente condannato da tutti i moralisti. Un'altra volta afferma che a Roma e in altre parti d'Italia «due sacerdoti celebrano contemporaneamente, uno di fronte all'altro, le loro messe sullo stesso altare». Deluso dalla confessione, si dedicò a lucrare tutte le indulgenze possibili per sé e per i defunti, andando in tutte le chiese, spinto da una pietà folle. «Mi accadde a Roma - diceva nel 1530 - di essere anch'io un santo matto (ein toller Heilige) e di correre per tutte le chiese e catacombe, credendo a tutte le menzogne e finzioni che lì si raccontavano. Anch'io ho celebrato una o dieci messe a Roma, e quasi mi dispiaceva che mio padre e mia madre vivessero ancora, poiché volentieri li avrei liberati dal purgatorio con le mie messe e altre buone opere e preghiere. A Roma si dice questo proverbio: "Beata la madre il cui figlio celebra messa il sabato a San Giovanni". Come mi sarebbe piaciuto rendere beata mia madre!» (WA 31,1, p. 226).

Della basilica di San Pietro in Vaticano costantiniana e medioevale, che in buona parte si conservava e nella quale si officiava mentre s'alzavano le mura maestre della nuova costruzione sotto la sapiente direzione di Bramante, gli rimase solo il ricordo dell'immensa grandezza. Una simile impressione aveva riportato delle cattedrali di Colonia e di Ulma. Ivi, in mezzo a un'innumerevole moltitudine di pellegrini, contemplò uno spettacolo che lo commosse devotamente e gli parve una gran cosa (maxima res): migliaia di fedeli s'inginocchiavano tutti insieme davanti al velo della Veronica, cantando - come di solito si faceva in tale occasione - l'inno Salve, sancta facies nostri redemptoris. Erano i giorni in cui Michelangelo stava decorando le lunette e la volta della cappella Sistina e il giovane Raffaello d'Urbino dava gli ultimi ritocchi, nella stanza della Segnatura, alla cosiddetta Disputa del Sacramento, una delle più splendide esaltazioni pittoriche dell'eucarestia. Fra Martino non vide le meraviglie che dietro quelle mura del palazzo papale stava creando il genio italiano [...]. Della basilica di San Paolo fuori le mura soltanto una volta fa rapida menzione nei suoi scritti; indizio certo che avrà visitato quella grande e fastosa chiesa basilicale è un'altra allusione alla vicina località delle Tre Fontane, dove, secondo la tradizione, fu decapitato l'Apostolo delle genti. Da lì, per la via delle Sette Chiese, i pellegrini erano soliti andare alle catacombe di San Callisto e di San Sebastiano.
Qui lo disturbò la precipitazione con cui moltissimi sacerdoti celebravano la messa.
Non sempre si mostrò tanto credulone.
Vicino al palazzo lateranense - residenza dei papi medioevali - c'è la Scala santa, supposta scala del pretorio di Pilato, che fra Martino, come altri fedeli, salì in ginocchio, dicendo un padrenostro per ognuno dei 28 gradini che la formano; si diceva infatti che con questa pia pratica si liberava un'anima dal purgatorio, ed egli voleva pregare per l'anima di suo nonno; solo che, arrivato all'ultimo gradino. venne questo pensiero: «chi sa se sarà vero?» «Sic Romae wolt meum avum ex Purgatorio erlosen, gieng die Treppen hinauff Pilati; orabam quolibet grado Pater Noster. Erat enim persuasio, redimeret animam. Sed in fastigium veniens cogitabam: quis scit an verum» (WA 51,89). Bisogna dire che dove si trovò meglio, come se stesse nella sua patria, fu nella chiesa nazionale dei tedeschi, Santa Maria nell'Anima, di cui tesse un elogio inatteso in un sermone del 1538. Alla domanda qual è la vera Chiesa (con la maiuscola), risponde: è quella che si fonda sulla pietra angolare, che è Cristo, mentre falsa Chiesa è la curia romana, che rigetta la pietra angolare e osteggia la dottrina di Cristo; e prima di continuare ingiuriando il papa, s'interrompe ed esclama: «A Roma c'è la chiesa tedesca con un ospizio; è la chiesa migliore e ha un parroco tedesco» (WA 47,425).

da E. Iserloh, La riforma protestante, in H. Jedin, Storia della chiesa, VI, Jaca, Milano, 1975, pp. 20-21


Ma che significò per l’evoluzione di Lutero verso la Riforma questo incontro con la Roma del rinascimento? Ricevette qui, eventualmente, la spinta decisiva per la sua lotta contro la curia? Assolutamente no! Lutero ha trovato Roma come gli altri pii pellegrini del suo tempo. La Roma santa, con i suoi luoghi di grazia, lo ha tenuto così occupato che a malapena poté riceverne impressioni negative: «A Roma io ero un santo pazzo, correvo per tutte le chiese e le rovine, credevo a tutto ciò che ivi s’inventava. Io ho celebrato una messa, oppure dieci, e mi dispiaceva quasi che mio padre e mia madre fossero ancora in vita; io, infatti, li avrei tratti volentieri dal purgatorio con le mie messe e inoltre, con eccellenti opere e preghiere» (1530; WA 31, I, 226). «Lo scopo principale del mio viaggio a Roma» - così raccontò più tardi Lutero in un discorso conviviale - «era quello di fare una completa confessione a cominciare dalla mia giovinezza e divenire un uomo pio» (WATr 3, 431, s, n. 3582a; WA 47, 392; H. Boehmer, Luthers Romfahrt, 159 s.). A dire il vero, egli fu deluso nella speranza di liberarsi con una confessione generale, fatta a Roma, dalle sue pene interiori. Egli s’imbatté in confessori non colti e, secondo la sua opinione, scarsamente comprensivi.

1B/ Adriano VI (1522-1523)

nato a Utrecht nel 1459

nel 1507 tutore di Carlo V

1516-1517 reggente di Spagna insieme al cardinal Cisneros, fino all’arrivo di Carlo I (V)

succede a Leone X

azione antiturca

stile severo in Curia

2/ Per entrare in argomento. Nella tempesta della Riforma luterana: la straordinaria storia di Caritas Pirckheimer e delle clarisse di Norimberga (da M.C. Roussey – M.P. Gounon)

da M.C. Roussey – M.P. Gounon, Nella tua tenda per sempre. Storia delle clarisse. Un'avventura di ottocento anni, Porziuncola, Assisi, 2005, pp. 491-516

L’imperatore Carlo V, eletto dai sette grandi Elettori, tentò invano di mantenere l'unità in seno alla Chiesa, ma era obbligato a rispettare l'autonomia di tutte queste entità locali.

Norimberga: Caritas Pirckheimer e le sue suore

Norimberga era allora una città di modeste dimensioni (25.000 abitanti circa), ma era uno dei grandi focolai culturali dell'epoca, centro europeo in cui s'incontravano i dotti e gli artisti e, nello stesso tempo, importante centro commerciale ai confini dei colli transalpini, sulla strada che dall'Italia porta verso il Mare del Nord.

La città era retta da un Consiglio dove sedevano i rappresentanti delle grandi famiglie patrizie i cui membri andavano a studiare nelle diverse università d'Europa. Fra queste c'era la famiglia Pirckheimer: Johann Pirckheimer, padre di Caritas (abbadessa delle Clarisse di Norimberga al tempo di Lutero), aveva studiato diritto a Padova. Era entrato poi al servizio del Principe-Vescovo d'Eichstadt e, successivamente, dei duchi di Baviera e del Tirolo. Willibald, fratello di Caritas, era dottore in diritto dell'università di Bologna, diplomatico e anche sapiente grecista, amico d'Erasmo, di Melantone, di Dürer e del poeta Conrad Celtis che chiamava la sua casa: 'l'asilo dei letterati.

 

Il Monastero di Santa Chiara di Norimberga

Le vocazioni femminili erano numerose. Caritas, per esempio, aveva tra i suoi nove fratelli e sorelle, due Benedettini a Bergen, un'altra Benedettina a Geisenfeld, una Clarissa con lei a Norimberga, una Clarissa a Monaco. Una sola sorella si era sposata, come pure suo fratello Willibald.

Il monastero di Santa Chiara, antica casa di penitenza, trasformata nel 1278 in convento di Clarisse, era un monastero Urbanista riformato nel XV secolo, di grande pietà e regolarità. Comprendeva sessanta religiose, provenienti per la maggior parte dalle famiglie patrizie della città. La comunità disponeva di ricchezze molto numerose: terre esenti dal censo, una grande fattoria gestita da un intendente e molti servitori; beneficiava di privilegi e di esenzioni diverse.

Le suore ricevevano le ragazze dall'età di dodici anni, affidate loro dai parenti per educarle. Era una pratica corrente: infatti in quel tempo non esistevano dei collegi per ragazze.

Anche Caritas era entrata a dodici anni presso le Clarisse di Norimberga; e sua zia, Apollonia Tücher, le dette un'educazione molto accurata: Caritas conosceva bene il latino, un po' il greco, la letteratura, la musica, suonava in particolare la cetra; possedeva una buona cultura religiosa e umanistica. La sua vita spirituale, come quella delle sue sorelle, si era nutrita di una solida dottrina. Il suo convento sceglieva dei predicatori di qualità. Etienne Fridolin, per esempio, notevole autore spirituale francescano, ha predicato più volte a Santa Chiara di Norimberga. Spesso le suore trascrivevano i sermoni e ne inviavano delle copie alle sorelle di monasteri meno dotati.

Chiaramente, la comunità viveva in osmosi con la classe umanista della città. Le famiglie delle Clarisse condividevano con le suore la passione per il sapere e per il capire che animava l'élite culturale della città. Parenti e amici non disdegnavano di avere scambi con le religiose anche su argomenti abbastanza ardui.

All'inizio del XVI secolo il canonico Tücher aveva scritto non meno di quaranta lettere in latino a Caritas e alla sua zia, Apollonia; queste furono tradotte e pubblicate dal nipote già nel 1515: «Si costata che spesso lui ringrazia le suore per i loro preziosi consigli e le loro esortazioni». Willibald Pirckheimer dedica a sua sorella la traduzione delle Opere di Plutarco. Il poeta umanista Conrad Celtis dedica a lei la sua edizione delle opere di una religiosa tedesca del Medioevo, Hrotswitha von Gandersheim, come anche un lungo poema in onore della città, I Norimberga, accompagnati da un'ode a suo encomio. Altri letterati le scrivono o le dedicano le loro opere, fanno menzione di lei nelle loro corrispondenze; anche Erasmo e Reuchlin incaricano Willibald di trasmettere a lei i loro saluti; lei stessa ebbe con gli amministratori della città una corrispondenza frequente, non soltanto ufficiale in quanto abbadessa, ma anche personale.

Caritas stessa, divenuta abbadessa nel 1503, fece acquistare a Venezia un esemplare del Pentateuco in ebraico che offrì a Francescano Pelican, che studiava ebraico. La sua intelligenza e la sua virtù erano rinomate e la città ne era fiera.

Una curiosità intellettuale e religiosa animava dunque tutti gli spiriti, nei conventi come negli ambienti secolari. Quando arrivò la Riforma le suore di Norimberga non furono prese alla sprovvista e dettero prova di una grande capacità di riflessione, d'argomentazione e di conoscenza che le misero sullo stesso piano dei loro interlocutori. Nel 1527 Caritas poteva dire ai Consiglieri della città: «Ho letto molto, ho ascoltato tante cose da quando sono nata, .. ma non ho mai letto, né inteso un vangelo così straordinario come il suo» (cioè quello del predicatore).

 

1. La penetrazione delle dottrine di Lutero

A Norimberga, Gaspard Nutzel, Curatore delle Clarisse, tradusse dal latino in tedesco le tesi di Lutero: esse furono stampate e largamente diffuse e, ben presto, in tutta la città ci si appassionò a tali problemi. All'inizio ci fu un dibattito di idee che non coinvolse la vita corrente: infatti nel 1519 Gaspard Nutzel e il suo amico Conrad Ebner lasciano entrare le loro figlie nel convento di santa Chiara, pur essendo i capi del circolo di amici di Lutero. Nel luglio del 1522 anche la figlia di un Consigliere della città entrò tra le Clarisse.

Ma le idee si propagarono e si irrobustirono e le divergenze si affermarono. La maggior parte delle famiglie delle monache incominciarono a simpatizzare per le nuove idee. Willibald Pirckheimer venne scomunicato già dal 1520 assieme a Lutero. Ma in seguito, disgustato dagli eccessi dei riformatori, prese le distanze da essi e si mostrò fedele sostegno delle suore. Intanto la popolazione guadagnata alla Riforma, arrivava a turbare perfino le prediche cattoliche delle chiese. Fu il caso dell'agosto 1523 nella chiesa del convento.




[SM=g1740771]  continua.............

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)