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2. Le dispute delle clarisse con i luterani

Le suore hanno lasciato una cronaca delle loro dispute con la città diventata ormai Luterana; questa cronaca non copre che i primi quattro anni, dal 1524 al 1528. Si tratta dei Fatti memorabili: testimonianza estremamente preziosa sulla vita delle suore in questo difficile periodo.

Caritas comincia così la sua relazione: «La dottrina di Lutero è stata la causa di molte rovine; crudeli discordie hanno straziato la cristianità, le cerimonie delle chiese sono state mutilate e in molti luoghi i preti hanno di colpo abbandonato il loro stato, perché si predicava la sedicente libertà cristiana, si andava ripetendo che le leggi della Chiesa e i voti non obbligavano più nessuno. La conseguenza di tali discorsi fu che un buon numero di monaci e di monache usarono di questa libertà per uscire dal chiostro e deporre i loro abiti; molte si maritarono persino e, in una parola, non agirono che seguendo la propria fantasia.
Noi provammo dolorosamente il contraccolpo di questo ribaltamento, perché una folla di personaggi molto potenti e molto temibili veniva giornalmente a fare visita alle amiche che avevano tra di noi. Insegnavano loro la nuova dottrina, cercavano di convincerle attraverso tutti i mezzi, e le loro argomentazioni non avevano mai fine. Volevano provar loro che lo stato religioso era uno stato di dannazione e che era impossibile conquistare la propria salvezza e che, infine, noi tutte appartenevamo al diavolo.
Molte famiglie, influenzate da questi discorsi, tentarono di riportar via dal chiostro le figlie, le sorelle o le parenti che avevano tra noi. Le mie povere ragazze ora venivano minacciate duramente, ora si sceglieva di incantarle con delle belle promesse di cui non avrebbero neanche mantenuto la metà. E queste lotte duravano ore intere» (pp. 2-3).

I Fatti Memorabili raccontano inoltre il reclamo della signora Tetzel accompagnata dai suoi due fratelli per la Candelora del 1525: «(I due fratelli) chiesero immediatamente, con tono arrogante, che si rendesse la nipote alla loro sorella, perché quest'ultima era troppo illuminata dal vero vangelo e dalle nuove predicazioni per lasciare, in coscienza, sua figlia tra di noi. E nello stesso tempo essi rifiutavano lo stato religioso, criticando tutti i nostri modi di fare e di pensare» (p. 21).

Ma la figlia non li volle seguire. La madre scrisse allora al Consiglio della città una supplica che rivela molto bene lo stato d'animo dei cristiani del tempo: «Onorevoli Consiglieri e Illustrissimi Signori, il defunto mio marito ed io abbiamo fin dalla sua infanzia, affidato la nostra cara figlia al convento di Santa Chiara, essendo persuasi, allora, che l'avremmo offerta così a Dio come un'ostia vivente, e questo sacrificio l'avrebbe mondata dai suoi peccati e che, grazie alla vita del chiostro essa sarebbe avanzata nella via della salvezza. In seguito, appresi, per la lettura e per le prediche, che Dio non teneva in nessun conto la clausura, e che questa non era che un'invenzione umana. La mia coscienza, messa in allarme, mi ha spinto a richiedere mia figlia alla venerabile abbadessa, cosa che io ho fatto in presenza dei miei due fratelli» (p. 25).

Si coglie qui la devozione deviata del tempo e la ragione per la quale la dottrina Luterana ebbe così facilmente presa sulla popolazione.

Qui la vita religiosa è vista non come una risposta d'amore ad una chiamata percepita nel cuore di un'esperienza personale di Dio, come era per tante e tante religiose della stessa epoca (pensiamo alla beata Camilla Battista da Varano, per esempio); piuttosto, ai parenti cristiani, appariva come il mezzo più sicuro per raggiungere la propria salvezza: che era il grande problema di questi secoli così tormentati. La vita religiosa è vista unicamente come un sacrificio, non nel senso di una consacrazione per amore, ma nel senso di uno scambio.

Si comprende come, in queste condizioni, il numero delle vocazioni, in un certo senso obbligate o per lo meno suggerite, fosse molto elevato; ma, d'altra parte, ci si può stupire anche del piccolo numero delle defezioni. La vita dei chiostri, in una comunità fraterna vivente, anche se austera, favorisce una pienezza di vita in Dio e la figlia della signora Tetzel, per esempio, non volle uscire. «Ella finì per dire alla mamma che nessuno al mondo l'avrebbe potuta convincere a uscire dal convento: era risoluta, con il soccorso della grazia, a mantenere la promessa che aveva fatto a Dio. Allora, la madre, corrucciata, lasciò sua figlia dicendole di non credere che l'avrebbe lasciata in questo stato di perdizione» (p. 18).

Per tutto il periodo della Quaresima del 1525, in città si ebbero continui dibattiti tra coloro che parteggiavano per la nuova dottrina e alcuni preti e religiosi. Ogni volta i seguaci di Lutero guadagnavano maggiormente terreno. Anche molti religiosi della città erano passati alla Riforma. Solo i Domenicani e i Francescani erano rimasti irriducibili. I Consiglieri annunciarono dunque alle suore la loro intenzione di sottrarle al servizio spirituale dei frati e di dar loro dei predicatori e dei confessori adeguati, pescati tra gli adepti della nuova dottrina e scelti dagli stessi Consiglieri.

«Tutta la città in questo momento era in possesso del puro Evangelo, così oscurato già da coloro che avevano la missione di annunciarlo; il Consiglio non voleva privarci per molto tempo di un tale beneficio, e non badavano a spese per procurarcelo. Per questo scopo era stato designato un predicatore molto sapiente e molto apprezzato, chiamato Poliandro, di Würzburg. Egli comincerà da lunedì mattina a predicare a noi suore. In più, il Consiglio aveva stabilito un confessore che dovevamo preferire, per il suo zelo e per la sua intelligenza illuminante, a quelli che ci avevano diretto fino ad allora. Il Consiglio ci lasciava la scelta tra più preti: due agostiniani, Karl e Dorfer, e un prete secolare di San Sebald di nome Sebelt. Eravamo libere di prendere chi noi preferivamo. Il venerdì seguente il nostro confessore e il nostro predicatore ritornarono per cercare i loro strumenti di lavoro nella casa. Ci dissero la messa, ci predicarono un'ultima volta e rinnovarono il Santissimo. Poi partirono. Non li abbiamo più rivisti: neanche il padre guardiano, né il nostro superiore, né i Frati Minori (p. 40). Da questo giorno noi siamo state private della confessione, della comunione e di tutti i sacramenti persino in pericolo di morte» (p. 41).

Caritas e le sue suore protestarono più energicamente che poterono: si sottomisero a tutte le esigenze del Consiglio sul piano temporale, accettarono i predicatori, ma rifiutarono ostinatamente i confessori imposti, preferendo fare a meno dei sacramenti (pp. 9-10). Durante una visita dei Consiglieri Caritas incalza dicendo: «Il Consiglio ricorderà certamente che noi gli abbiamo sempre obbedito nelle cose temporali, ma in ciò che tocca le nostre anime noi non obbediremo che alla nostra coscienza» (p. 43).

I Consiglieri sono stupiti della resistenza delle suore che essi rispettano e tra le quali hanno delle parenti prossime, alle quali desiderano ardentemente fare del bene. Per esempio: nel corso di una visita, il Curatore Nutzel «ci disse che aveva annunciato in piena seduta ai Consiglieri la nostra decisione di riceverli e che tutti si erano rallegrati e speravano che il Santo Spirito ci avesse visitato e ci avesse ispirato delle sagge riflessioni» (p. 45).

Il Consiglio della città offre loro i migliori predicatori, spesso anziani religiosi spretati di grande nome, come il già citato Poliandro, ricco canonico di Würtzburg. «Questo Poliandro fece otto prediche, dal lunedì dopo 'Oculi' fino al venerdì dopo la domenica 'Iudica'. Ci fu una grande affluenza di gente presso di noi e gli assistenti della cappella provavano grande piacere nell'ascoltarlo. Mi disse il nostro Curatore che gli avrebbe volentieri dato seicento fiorini l'anno pur di conservarlo a Norimberga e perché riuscisse a convertirci» (p. 78).

Le suore dovettero ascoltare molti altri predicatori che duravano anche delle ore e che non erano mai molto pacifici: dovettero protestare a più riprese contro l'aggressività dei predicatori nei loro confronti. Ascoltarono così centoundici prediche. Poi, il Consiglio, stanco, rinunciò a convertirle con questo sistema.

Attraverso il racconto di questi Fatti Memorabili si comprende la sovrapposizione civile e religiosa negli affari della città; il Consiglio ha una grande autorità sui conventi, in parte per un 'contratto' tacito, da tempi immemorabili, in parte perché si era arrogato l'autorità dei superiori ecclesiastici mandati via: di qui l'ostinazione dei Consiglieri a imporre alle suore i propri confessori e predicatori.

A poco a poco le posizioni si irrigidiscono e si accaniscono, e sotto espressioni ancora cortesi, si avverte una certa violenza. Le suore sono strettamente sorvegliate. È loro interdetto di ricevere novizie. Si moltiplicano le imposte materiali: tasse, ecc., e allora diminuiscono i redditi.

Per la festa di Tutti i Santi del 1527, l'Abbadessa può dire ai Consiglieri: «Durante questi tre anni noi siamo vissute tra le privazioni, nude, come miserabili vermi della terra» (p. 219), ma le pressioni si fanno sempre più insistenti.

 

3. La situazione di confusione della Germania

Sullo sfondo dei dibattiti si avverte il cambiamento che c'è nella popolazione; si capisce il tradimento degli uni, la fedeltà di altri e lo scatenamento delle passioni popolari. Questi Fatti Memorabili sono un documento di primo valore. «Quando il Curatore Nutzel vide che non sarebbe mai arrivato a vincere la mia resistenza cambiò soggetto e mi parlò di un grande sollevamento di contadini che erano entrati in rivolta, in numero molto considerevole, per saccheggiare i conventi e scacciare o mettere a morte tutti i Religiosi e le Religiose. E che in quello stesso Venerdì Santo si diceva che essi erano stati a Bamberga e avevano distrutto i chiostri. E che non doveva rimanere presente una sola Clarissa nel convento di quella città; e che avremo fatto bene a riflettere a non dare occasione, a nostra volta, ad una grande carneficina. Aggiunse che, anche se i contadini non sarebbero venuti fin qui, la popolazione delle nostre contrade era stata ben istruita dal puro Evangelo per sapere che lo stato religioso era da condannare. Ci consigliava di non perseverare nella nostra ostinazione. Fu da queste parole di minaccia e di discordia che fummo straziate in quel Venerdì Santo. E la stessa cosa avvenne la Domenica e il Lunedì di Pasqua, quando il nostro Curatore ritornò ancora per due giorni e impiegò tutto il suo zelo a farci cambiare opinione. Ma, grazie a Dio, niente ci fece vacillare» (pp. 98-99).

Si percepisce presso questi grandi borghesi la paura di essere scavalcati dai moti popolari. In effetti, nel 1525 la rivolta dei contadini scoppiò in Germania come conseguenza non prevista della predicazione protestante. I contadini confusero facilmente libertà religiosa e libertà sociale. Lutero li condannò molto severamente e spinse i Signori a far loro una guerra implacabile, anche perché, comprendendo essi a modo loro i principi teologici, rifiutavano tutti i sacramenti compreso il battesimo, e stavano diventando preda delle diverse sétte, specialmente quella degli Anabattisti.

La pressione popolare s'accrebbe sulle città restate cattoliche; nelle due vicine città di Rothenwerk e Windsheim, il popolo imprigionò il Consiglio della città e il Borgomastro che avevano scacciato i predicatori (cfr. p. 74).

Per contro, altre città restarono fedeli al cattolicesimo: Bamberga per esempio, dopo essere stata occupata dai rivoltosi, diviene rifugio per un grosso numero di Religiosi. Le suore di Norimberga che non potevano più accogliere le novizie, nel 1539 mandarono al convento di questa città una ragazza che desiderava diventare Clarissa (cfr. p. 78).

 

4. Pasqua 1525: interdizione del culto cattolico

A Norimberga la situazione per le suore era sempre più grave: «Che quaresima di dolore abbiamo passato! Piena di angoscia e privazioni spirituali, piena di apprensioni e di paure. Non abbiamo potuto celebrare degnamente gli Uffici della Settimana Santa cantando la Passione. Siamo state obbligate a fare da sole l'Adorazione della Croce e a cantare l'Alleluia, poiché non hanno voluto darci neanche un prete» (p. 99). Il giorno dopo la Pasqua del 1525, ci fu l'interdizione di ogni culto cattolico per tutta la città. «Il venerdì di Pasqua viene interdetto ai nostri venerabili Frati Minori di suonare le campane e di celebrare qualsiasi Ufficio di giorno o di notte, e di radunarsi per pregare in comune. Ed è così che essi hanno vissuto da quel giorno. Non si è usato lo stesso rigore che nei confronti dei poveri Francescani; agli altri Ordini non è stato interdetto che di celebrare la messa» (p. 100).

«In seguito... i monaci abbandonarono i loro abiti monastici, si rivestirono di vestiti laicali, di cui alcuni molto sontuosi. Non dissero più il Mattutino, in una parola celebravano gli Uffici a loro piacere. Gli Agostiniani seguirono lo stesso esempio: gli Agostiniani che erano la sorgente di tutte queste disgrazie! e poi i Carmelitani, poi i Certosini. Nessuna regola fu più osservata nei chiostri: vi si conduceva una vita disordinata, ciascuno viveva a modo suo. Molti monaci abbandonarono di colpo i loro conventi e presero moglie. I frati Predicatori avrebbero volentieri consegnato il loro convento in regalo al Consiglio, ma la loro richiesta fu respinta perché erano troppo poveri, e non avevano le rendite come altri conventi. Allora, se ne andarono tutti, salvo nove tra di loro» (pp. 101-102).

Ormai la mano sulle suore si fa più pesante. «Siamo vissute in mezzo a grandi inquietudini, perché ci minacciavano in ogni modo. Abbiamo deciso, all'unanimità, che non avremmo mai fatto la consegna del nostro convento: non ci appartiene, noi non l'abbiamo né fondato né costruito. Giornalmente ci minacciavano di scacciarci, di demolire il chiostro, e di mettere il convento a ferro e fuoco. Come tori furiosi insultavano i nostri servitori, proprio davanti alla nostra casa. Una notte sono penetrati fin dentro il chiostro; noi provammo uno spavento terribile e dormimmo molto poco, perché sapevamo che c'era grande fermento in città, e temevamo che il popolo, nel corso dei tumulti, potesse indirizzare tutto il suo furore contro i Religiosi e i conventi. Siamo diventate per tutti, grandi e piccoli, oggetto di disprezzo e i nostri servitori si azzardano a stento a fare gli acquisti. Siamo tenute in maggiore disprezzo delle donne pubbliche e ci dicono che veramente noi valiamo meno di loro. I nostri amici non osano venire a vederci che furtivamente e tremando, e ci tormentano senza tregua, perché i predicatori [scatenano] il loro auditorio contro di noi e ripetono che non bisogna più tollerare né chiostro, né abiti religiosi. Non volevano che qualcuno chiamasse più 'chiostri' i nostri conventi, ma 'ospizi' e che le suore si chiamassero 'canonichesse', le abbadesse e le priore, si dovevano chiamare 'direttrici': non doveva più esistere alcuna distinzione tra i chierici e i laici» (pp. 102-103).

I Consiglieri desideravano soprattutto strappare l'adesione di Caritas e della sua comunità: non arrivando a comprendere come una donna così intelligente non si impegnasse con entusiasmo nel campo della Riforma. Questo accanimento a convertirle era per loro una questione che li avrebbe rassicurati sulla propria salvezza spirituale.

Uno degli incontri tra l'Abbadessa e il Curatore Nutzel, trascritto nei Fatti memorabili, presenta dei tratti commoventi. «Egli (il Curatore) argomentò sulle nuove dottrine. Si felicitò della giusta abolizione delle credenze passate, anche se, in verità, la messa tedesca non gli era mai piaciuta molto, quantunque i predicatori affermassero che era la vera messa degli apostoli ... E m'intrattenne ancora su numerose eresie di cui era invaghito al massimo grado. Io gli risposi: 'Venerabile e caro signore, vi stimo molto e desidero tutto il bene per voi; è per questo che vi compiango dal fondo del cuore perché vi lasciate così convincere e accecare. Le cose sono le stesse del tempo di Ario e di altri eretici. Si trascina la gente nell'errore con parole menzognere che sembrano piene di sapienza. Veramente, veramente! Degli uomini simili a quelli d'allora vi ingannano oggi. Un giorno voi vi accorgerete che hanno illuso i vostri cuori portandovi dubbi e angosce'. Egli rispose: 'No, no! Ci sta cadendo addosso proprio una rugiada di benedizioni come non s'erano più viste da secoli'. Rimanemmo a lottare per lungo tempo: ciascuno di noi era persuaso dell'accecamento e dell'errore dell'altra parte. Allorché ci siamo alzati per uscire dal coro, sua figlia, Clara, entrò, seguita da altre suore che avevano i loro padri tra i Consiglieri. Esse caddero ai suoi piedi e lo pregarono insistentemente di dire ai loro padri che loro le supplicavano di lasciarle nel chiostro. Ma egli girò loro le spalle di scatto e se ne andò con una grande tristezza. Disse uscendo: 'Sono entrato qui allegro, avevo la speranza di riportare una buona risposta al Consiglio: ma questa grazia non mi è stata accordata! Adesso che vado a dire? Perché qui lo Spirito Santo non si fa sentire!' Sua moglie ci venne a visitare il giorno dopo, in gran collera. Essa ci fece un discorso sul male che avevamo fatto a suo marito e che lei non l'aveva mai veduto così triste e che non aveva dormito la notte e che la nostra testardaggine era colpevole e che ci sarebbero arrivate sicuramente delle disgrazie se non ci fossimo sottomesse...» (pp. 62-63).

Ma Caritas le rispose: «'Lasciate a Dio la preoccupazione della nostra conversione' e un'altra volta: 'Se lui cambia i nostri cuori, noi ve lo faremo sapere'» (pp. 72-73).

Eppure i Consiglieri rispettavano queste suore che argomentavano, sapevano rispondere per le rime, si sentivano a loro agio dentro la fede cattolica e non si lasciavano smontare facilmente. Queste suore erano chiaramente di un notevole livello di cultura e, senza aver fatto degli studi approfonditissimi, erano tuttavia al corrente delle grandi questioni che scuotevano il pensiero dei loro contemporanei.

Malgrado ciò continuarono ad invitarle a discutere con i più sapienti predicatori. Gaspard Nutzel scrive alle suore dicendo loro: «Vi invito dunque ad una conferenza amichevole con uno dei nostri predicatori attualmente in servizio a Norimberga. Ne avete otto a scelta, tra cui il priore dei Certosini, vegliardo rispettabile, così saggio quanto pieno di devozione. Se voi desiderate che io mi metta in contatto con qualcuno o con diversi di questi predicatori, lo farò molto volentieri. Non domando a Dio che una grazia: di vivere fino a che la sua volontà si compia presso di voi, sia che vi conduca a lasciarvi dolcemente guidare, o vi costringa lui stesso a credere, attraverso i fatti e i suoi interventi: perché, tanto, bisognerà che vi risolviate, una buona volta, ad obbedire» (p. 67).

Caritas rivela in queste discussioni la sua grande intelligenza, il buon senso, l'abilità personale, ma c'è anche tutta una comunità viva e libera che fa corpo con lei. Ella scrive: «Abbiamo ascoltato centoundici di queste prediche, e ci siamo sorbite Andrea Osiandro per quattro ore di seguito. Abbiamo letto con attenzione gli scritti del Dottor Wenzel e ce li siamo anche copiati.
Abbiamo dunque ricevuto molti insegnamenti da tutti i lati per sapere quali sono gli argomenti di tutti questi dottori, le loro idee, le loro conclusioni (p.164). Se io ho conservato così a lungo lo scritto del Dott. Wenzel è perché l'ho fatto copiare interamente. Sono quasi felice che Filippo Melantone sia stato chiamato qui; è da tempo che ho sentito di lui che è un uomo giusto, pio, retto, e amico dell'equità. Non credo che lui approvi tutte queste cose, specialmente che si voglia forzare la gente a credere e a fare ciò che è contrario alla propria coscienza. Che Dio doni a lui e a noi tutti il suo Santo Spirito e che benedica eternamente Vostra Saggezza» (p. 167).

Caritas riunisce le sorelle nel Capitolo e domanda loro il parere sulla condotta da seguire: «Ho dato lettura della lettera alla comunità ed ho chiesto il parere a ciascuna» (p. 107). Le sorelle fanno corpo: «Le ho trovate tutte con lo stesso sentimento e mi hanno risposto che non si sarebbero lasciate convertire alle dottrine nuove attraverso nessuna sofferenza; che non si sarebbero separate dalla santa Chiesa e che non sarebbero mai riusciti a trascinarle fuori dalla vita monastica. Rifiutarono la direzione dei preti apostati preferendo restare lungo tempo senza confessione e private della santa Comunione. Furono d'avviso di scrivere le loro risposte al Curatore, in un buon tedesco; con la preghiera che lui stesso leggesse la nostra lettera ai Consiglieri in modo che questi sapessero una volta per tutte come regolarsi con le suore. Scrissi la supplica seguente che la comunità approvò all'unanimità dopo averne ascoltata la lettura. Ciascuna chiese di firmare; tutte volevano la loro parte di responsabilità delle disgrazie di cui essa avrebbe potuto essere per noi la fonte» (p. 168) . Poi Caritas precisa di nuovo: «Allorché fummo sole tra di noi, le mie sorelle mi hanno supplicato di non cedere in niente, e mi hanno avvertito inoltre, che se per caso io avessi avuto un attimo di debolezza esse non mi avrebbero seguito e mi avrebbero rifiutato per sempre la loro obbedienza».

Le suore pur non rimanendo chiuse, non si allontanarono mai da questa linea di ferma condotta, né manifestarono aggressività o polemica. E non mancarono nemmeno di humour: «Se noi avessimo tanti difensori quanti sono i Reggenti e Consiglieri, saremmo alla testa di una vera armata, e se noi ascoltassimo tutti gli ordini che ci vengono impartiti, non saremmo meno disciplinate di una carovana di zingari» (p. 167). Anche a proposito del matrimonio: «L'eccellente dottore ci domanda di modellarci su di lui. Che Vostra Saggezza ci scusi. Se io dovessi imitarlo, dovrei prendere marito, ma forse non saprei trovarmelo, perché sono vecchia e non sono adatta a questa ricerca. Sarei obbligata a pregare Vostra Saggezza di farsi carico di questa preoccupazione, e non sarebbe davvero una piccola faccenda!» (p. 201).

In alcuni punti sono molto incisive: «Vostra Saggezza mi ha scritto che si è accorta che gli insegnamenti del signor Andrea Osiandro mi dispiacciono. Io rispondo che nessuna dottrina mi piace quanto quella del Cristo e dei suoi Apostoli. Oggi, come mille anni fa, gli uomini non sono che degli uomini, ma la Parola di Dio resta eternamente. Magari fosse piaciuto a Dio che Osiandro avesse insegnato il modo di evitare tumulti prima che arrivassero, prima che tanta gente fosse stata messa a morte. Io mi auguro che egli impari ad impedirli per l'avvenire» (p. 167).

 



[SM=g1740771]   continua.........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)