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7. La visita di Melantone

I Consiglieri, però, non sembravano sensibili agli argomenti delle suore. Fortunatamente esse trovarono un appoggio, insperato, proprio in Filippo Melantone, uno dei maggiori capi del movimento luterano: «Qualche giorno più tardi, il Curatore venne a visitarci con Messer Filippo Melantone, nella casa dei confessori. Messer Filippo parlò molto della nuova dottrina; ma quando intese da me che ci basiamo sulla grazia di Dio e non sulle nostre proprie opere, disse che noi possiamo salvarci sia nel chiostro che fuori del chiostro, dal momento che non leghiamo nessun merito ai nostri voti. Diceva che i voti non ci vincolano, e io rispondevo che si era obbligate a mantenere, con il soccorso della grazia, quello che si era promesso a Dio. Nei suoi discorsi era più sensato di tutti gli altri Luterani che ho inteso. Si mostrò totalmente contrario alla violenza. Si congedò da noi molto amichevolmente. In seguito sembra che abbia discusso con vivacità con il Curatore e gli altri Consiglieri su molti punti. Si lamentò che fosse stato interdetto ai Frati Minori di officiare presso di noi e del fatto che erano state portate via con forza le tre religiose fuori dal convento. A quattr'occhi disse loro che era stato commesso in questo un grande peccato. Dio ci aveva inviato questo Luterano al momento giusto, perché questo era il tempo in cui avevano deciso definitivamente di scacciarci dal chiostro, di distruggere i nostri monasteri, di chiudere in uno stesso convento tutte le religiose che rimanevano intestardite nella loro antica dottrina e di forzare le giovani a rientrare nel mondo.
Messer Filippo respinse un gran numero di cattiverie che volevano fare contro di noi. Egli disse quanto fosse contrario alla mente di Dio usare una tale violenza. Avrebbe anche aggiunto: che né il padre né la madre avevano diritto di rispondere a Dio dei figli che essi avevano ripreso forzatamente dal chiostro. Ad alcuni che gli avevano chiesto cosa bisognasse fare per i chiostri e se lui fosse favorevole a distruggerli, rispose che bisognava lasciarli nel loro stato attuale, che si poteva anche non dare loro un grande aiuto, ma che non si aveva il diritto di togliere nulla; che non era stato distrutto nessun convento né a Wittenberg e nemmeno negli altri centri luterani. Prese così bene la nostra difesa che tutti si calmarono e da quel giorno, non mostrarono più verso di noi la stessa insolenza. Egli insistette con Messer Nutzel perché non ritirasse la sua curatura, cosa che lui ha continuato a svolgere con zelo.
Il Curatore mi scrisse a questo proposito la lettera seguente: 'venerata signora e cara suora: ... mi dispiace che per colpa mia certi predicatori vi abbiano importunato. Dio sa che è il desiderio di essere utile che mi ha fatto eccedere nella mia autorità e nel mio impegno. È perciò che ho deciso di non tormentare più né voi né le vostre sorelle; e di attenermi alle mie funzioni passate, che non mi pesano e non mi danno dei ripensamenti: al contrario, di queste io ringrazio Dio'».

 

8. Gli ultimi anni

Uno dei dispiaceri più grossi verrà tuttavia alla comunità delle suore, dal proprio interno. In questa comunità così unita fino a quel momento, una sorella finisce per farsi convincere ad abbracciare la nuova dottrina. Anna Schwarz cominciò a condurre una vita appartata: «Quando si andava a tavola ella andava a dormire, quando si era nel coro ella si metteva a mangiare ... Non intendeva più ricevere alcuna ammonizione dalle sue superiore e viveva in uno stato di ostilità continua ed era diventata di peso al convento intero ... Nonostante ciò il convento aveva deciso all'unanimità che le cose non si sarebbero troncate da parte nostra, perché non si dicesse, poi, che noi l'avevamo mandata via .... La sua famiglia stessa le consigliava di restare, sperando così d'indebolire la comunità, ma un giorno lei reclamò la sua dote e chiese di partire .... Noi fummo molto rattristate per la salvezza della sua anima, benché la sua partenza fosse un grande sollievo per tutta la comunità» (pp. 227-231).

Lo stesso anno il Vescovo di Bamberga, da cui dipendeva Norimberga, tentò di fare il punto della situazione dei conventi della sua diocesi e convocò «tutti gli Abati, i Priori, i Superiori, le Decane, le Abbadesse per il mercoledì dopo la festa di san Pietro in Vincoli il 5 aprile». Ma la situazione è tale che Caritas scrive per scusarsi della sua assenza: «Non abbiamo libertà nei nostri atti e siamo soverchiate da tutti i mali» (p. 235).

La raccolta dei Fatti memorabili si ferma al 1528. In seguito, noi siamo informati sul monastero solo attraverso le lettere che Caterina manda a suo padre Willibald Pirckheimer, fratello di Caritas; racconta con grande gioia il giubileo d'argento di Caritas e questo ci permette di entrare un po' nell'intimità della vita di queste suore la cui resistenza e l'isolamento non hanno assolutamente abbattuto il morale.

Nel 1529, dopo tutti questi anni di avversità e di molestie, Caritas doveva ancora conoscere una grande gioia. Era il giubileo dei suoi venticinque anni di Abbaziato e le sue sorelle s'ingegnarono a festeggiare con molta solennità. Caritas stessa aveva da anni fatto economia per poter offrire qualche cosa alle sue sorelle. Willibald inviò un vino squisito e, per la cena della festa, aveva mandato anche il suo vasellame in argento. La stessa speziaia, una vedova che amministrava la casa di Willibald, rimasto vedovo anche lui da molto tempo, inviò del vino e del vasellame d'argento. La sorella di Caritas e le figlie sposate di Willibald inviarono ugualmente del vino, delle trote e dei dolciumi.

La figlia di Willibald, Caterina, festeggiava, nello stesso giorno, il sedicesimo anniversario del suo ingresso in monastero. E racconta in dettaglio la festa in una lettera a suo padre: «Il mattino del giubileo tutta la comunità andò a prendere l'Abbadessa nella sua cella e la accompagna al coro con delle candele accese; la Vicaria le ha messo sulla testa la corona giubilare. Le suore hanno cantato l'Ufficio del giorno e i canti della messa; esposto il Santissimo Sacramento, hanno fatto la comunione spirituale, secondo le parole di san Agostino: 'Crede et manducasti'» (così scrive Caterina nella sua lettera). Poi l'Abbadessa è stata fatta mettere davanti all'altare e ogni suora le si è avvicinata; l'Abbadessa abbracciando ciascuna le ha dato un piccolo anello in segno della loro fedeltà reciproca e della loro fedeltà al loro Sposo spirituale Gesù Cristo.

In refettorio, 'niente economia' (come scrive Caterina); le suore si misero d'accordo nel mangiare e nel bere qualcosa di speciale in occasione di questa festa rara. Willibald aveva dato loro una piccola damigiana di vino e aveva fatto dire loro che la dovevano vuotare, ma era troppo per essere bevuto per un solo giorno, e fu servito ancora nei giorni seguenti. Verso la sera iniziarono un piccolo passo di danza alla quale partecipò anche la vecchia Madre Vicaria, Apollonia Tücher in monastero da cinquantasette anni. L'Abbadessa suonò la cetra: era molto dotata nella musica, come suo fratello.

'Non era mai stata ancora celebrata una grande festa al monastero di Santa Chiara' - continua Caterina nella sua lettera - perché mai un'Abbadessa era stata così tanto in carica. «Ciò che ci dispiace - scrive - è che l'Abbadessa, alla sua rispettabile età, dovesse ancora fare fronte a tutti questi compiti come il primo giorno in cui aveva fatto le solenni promesse, ma ne avrebbe sofferto molto se qualcuna l'avesse dispensata». Prova che Caritas seguiva coscientemente le Regole dell'Ordine malgrado la sua età e la sua malattia.

In questi ultimi anni Caritas aveva ancora un amico e consigliere spirituale. Non abbiamo che una lettera da parte sua, ma è lecito dedurne che ebbero uno scambio di corrispondenza molto frequente. Malauguratamente non abitava a Norimberga. Era il priore del convento dei canonici di San Agostino, Kilian Leib, un umanista ardente che era legato da amicizia con Willibald Pirckheimer ed era in corrispondenza con lui. Nella sola lettera che noi abbiamo, del mese di marzo 1530, Caritas ringrazia il priore dei suoi buoni consigli e gli chiede di nuovo consiglio, soprattutto riguardo la validità dei voti, perché i Luterani la rimproveravano con una certa sottigliezza. È ella spergiura e traditrice come le altre monache e monaci che escono dai monasteri, in quanto avendo promesso obbedienza, non aveva potuto tener fede a questo voto non avendo più dei superiori a cui era tenuta ad obbedire?

Nel 1530 Willibald, il loro fedele sostenitore, muore; Caritas muore a sua volta nel 1532. Sua sorella Clara le succedette, ma il Signore la chiamò a sé l'anno seguente ed è sua nipote Caterina, ad essere eletta abbadessa. La comunità si mantenne solida, pur diminuendo progressivamente.

Ma lo Spirito soffia dove vuole; e la commovente avventura della giovane Caterina Glaser lo testimonia, unico evento inatteso nell'umile, fiera e lunga perseveranza quotidiana delle suore: «Il 5 ottobre del 1539 Caterina, che da tre anni supplicava le suore di accoglierla, architettò, aiutata da una serva, di penetrare all'insaputa delle suore attraverso la ruota. Essendo riuscita in questo stratagemma, sorprese le suore nel refettorio e le supplicò di tenerla con loro. Ora, il Consiglio della città aveva interdetto ogni nuovo ingresso in monastero. Le suore imbarazzate e commosse non ebbero tuttavia cuore di rinviarla e la tennero con sé come serva, ma la cosa finì per essere risaputa nel giro di qualche settimana e i Consiglieri vennero al monastero esigendo che venisse loro restituita. La trascinarono via malgrado le sue lacrime e le sue suppliche. La portarono nella casa del sergente della città, la tennero chiusa per parecchi giorni e la interrogarono duramente. Ella dovette fare ammenda onorevole in presenza di sua madre e giurare che non avrebbe tentato una cosa simile mai più. E le si volle interdire l'ingresso a tutti gli altri chiostri della giurisdizione del Consiglio, dentro la città e fuori della città. Poi le si rese la libertà. Ella ritornò da noi dopo il pranzo e ci raccontò piangendo a calde lacrime, che cosa le era capitato. Allora noi ringraziammo e lodammo Dio per la sua misericordia verso di noi, considerando la fortezza che ha dato agli umili. I due Signori, Geuder e Ebner ritornarono da noi, due giorni più tardi a direi che il Consiglio li aveva incaricati di esprimere molto severamente la propria disapprovazione. In seguito inviammo quella povera ragazza a Bamberga dalle suore di santa Chiara con sua madre. L'anno seguente, dopo Natale, fu ricevuta nella comunità con grande solennità; e le suore ringraziarono Dio d'aver una così pia fanciulla tra di loro».

A Norimberga l'ultima Clarissa, suor Felicita, si spense nel 1591 all'età di novant'uno anni. Conformemente alle loro promesse, i Consiglieri dovettero attendere la sua morte per prender possesso del convento. Questa clausola era stato un privilegio in omaggio alla bella resistenza di Caritas e delle sue suore: infatti, in quasi tutte le altre città protestanti, le monache erano state obbligate all'esilio.

3/ Il senso delle pressioni religiose dell’epoca

3.1/ presso i luterani

 

da Lucas Cranach il Vecchio (presentazione della mostra organizzata dalla Luther Memorial Foundation of Saxony-Anhalt)  su www.gliscritti.it

Oltre la sua estesa attività artistica Cranach il Vecchio spesso lavorava per la città di Wittenberg - fu eletto al consiglio cittadino in più occasioni come tesoriere e sindaco.

Durante il suo incarico di sindaco fu anche giudice e nel 1540 dovette infliggere numerose condanne a morte. Le persone da lui condannate per assassinio, stregoneria e magia nera furono decapitate nella piazza del Mercato, a pochi passi dal portale del Municipio.

 

da Martin Lutero, Contro le empie e scellerate bande dei contadini

Un uomo ribelle è al bando di Dio e dell’imperatore, cosicché chi per primo voglia ucciderlo agisce molto rettamente: contro chiunque sia sedizioso in modo manifesto ogni uomo è a un tempo giudice e carnefice... Per la qual cosa chiunque lo può colpire, scannare, massacrare in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere di più velenoso, nocivo e diabolico d’un sedizioso, proprio come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi, esso ammazzerà te e con te tutto un paese (WA 18,358; Contro le empie e scellerate bande dei contadini, p. 485). Per la qual cosa, cari signori, liberate, salvate, aiutate e abbiate misericordia della povera gente; ma ferisca, scanni e strangoli chi lo può; e se ciò facendo troverai la morte, te felice, morte più beata giammai potresti incontrare, perché muori in obbedienza alla parola ed al volere di Dio (Rm 13, 5 ss) e al servizio della carità, per salvare il prossimo tuo dall’inferno e dai lacci del demonio (WA 18,361; Contro le empie e scellerate bande dei contadini, 490).

 

da Martin Lutero, Discorsi a tavola, in E. Iserloh, La riforma protestante, in H. Jedin, Storia della chiesa, VI, Jaca, Milano, 1975, p. 170

I predicatori sono i più grandi assassini. Essi infatti esortano l’autorità a disporre risolutamente e a proprio talento del suo ufficio e a punire gli elementi nocivi. Nella sollevazione io ho ammazzato tutti i contadini; tutto il loro sangue è sul mio collo. Ma io lo rovescio su nostro Signore Iddio; egli mi ha imposto di parlare in modo siffatto (WATr 3, 75, n. 2911a).

da Martin Lutero, Discorsi a tavola, n. 2189, p. 166 (in Discorsi a tavola. Passi scelti e chiose di G.B. Proja, Roma, 1983, p. 55-56)

Per questo la battaglia con i falsi fratelli [allusione agli zwingliani] sia per i cristiani la più grande di tutte, essa tuttavia è di gran lunga la più grande poiché essi vogliono essere, ed essere chiamati cristiani pur non essendolo. Che se volessero chiamarsi Pilato, Giuda ed Erode, se cioè volessero rinunziare all'appellativo di cristiani, sopporteremmo da loro tutte quelle molestie che osassero infliggerei e la guerra cesserebbe e ci sarebbe restituita la pace. Invece poiché vogliono frattanto che sia apposto il nome di cristiani, bisogna combatterli e non sopportare in alcun modo che parlino con sicurezza e facciano quello che non si addice ai cristiani. Infatti rivendichiamo a noi il governo delle coscienze mediante la parola e non vogliamo lasciarcelo portar via».

 

da Martin Lutero, Discorsi a tavola, 3969 – 20 agosto 1538, Einaudi, Torino, p. 276

Un parere di Lutero sulle streghe. Quel giorno il signor Spalatino riferendo dell'insolenza delle streghe disse che una fanciulla di Altenburg versava lacrime di sangue: «Se quella strega è presente, anche se essa non la vede o non la conosce, sente tuttavia la sua presenza e versa lacrime». Lutero rispose: «In questo caso, con donne simili, si dovrebbe andare per le spicce e suppliziarle! I giuristi vogliono avere troppe testimonianze, disprezzano quei fatti evidenti. Io, - disse, - ho avuto proprio in questi giorni un caso matrimoniale di questo genere: una moglie aveva voluto uccidere col veleno il marito, cosicché questi si era strappato di dosso delle lucertole, e inquisita con le torture, non dette alcuna risposta, perché tali streghe sono mute e disprezzano le pene; il Diavolo non le lascia parlare. Quei fatti portano testimonianze sufficienti sulla necessità che vengano punite in maniera esemplare per spaventare gli altri».

da Martin Lutero, Discorsi a tavola, 3969 – 20 agosto 1538, Einaudi, Torino, p. 347

5670 – 1544.

Le annotazioni di Erasmo al Nuovo Testamento. «Io preferirei che fossero vietate a causa dell’epicureismo e perché vi sono inoculati molti veleni. Egli ha ucciso molti corpi, vite e anime. È una delle cause dei sacramenti. Quando fece progredire la filologia, tanto nocque al Vangelo. È stato un uomo infame. Zwingli fu sedotto da lui. Ha convertito anche Egrano, che crede altrettanto quanto lui. Anch’egli morì senza la croce e senza la luce. Se fossi giovane, vorrei studiare alla perfezione la lingua greca per conoscerla e così potrei farci altre annotazioni».

3.2/ presso i calvinisti

da Le Conseil de Berne au Conseil de la neuveville, 28 marzo 1544, in Calvino, Contro i nicodemiti, anabattisti e libertini, Claudiana, Torino, 2006, p. 36

Ci è stato riferito che uno dei vostri cittadini, chiamato (se inteso bene) le Pelloux ha fatto stampare in Germania circa 1500 libri contenenti le questioni discusse da quelli detti ribattezzatori [ ... ] essi sono già diffusi nel cantone di Neuchàtel, per cui c'è da temere molti disordini. Pertanto vi preghiamo ed esortiamo a voler provvedere e por rimedio con la massima diligenza possibile, prima che le cose vadano troppo oltre; giacché conoscete bene le conseguenze che possono derivare dai libri suddetti se non vi si provvede come si deve.

 

da Calvino, Contro gli anabattisti, 1544, Claudiana, Torino, 2004, p. 173

Non neghiamo certo che la scomunica sia una regola buona e santa; e non solo utile, ma anche necessaria alla chiesa. Per di più è da noi che questi miseri ingrati hanno appreso tutto quello che sanno; soltanto che per la loro ignoranza e la loro presunzione hanno corrotto la dottrina che da parte nostra avevamo insegnato loro correttamente. Comunque, per toglierei rapidamente di torno questo articolo, metterò in evidenza su che cosa concordiamo e in che cosa differiscono da noi. Come ho già detto, da parte nostra non ci stanchiamo di insegnare che la scomunica, secondo quanto Gesù Cristo ci ha prescritto, deve essere mantenuta e riteniamo che essa sia uno strumento necessario per custodire la Chiesa. Inoltre, siamo attenti e solleciti, per quanto attiene a noi, nel vigilare con premura che sia ristabilita nella sua autorevolezza e che sia esercitata come si deve, dichiarando ad alta voce che quando non si fa così si commette una grave colpa e un peccato davvero esecrabile. In questo, dunque, gli Anabattisti non differiscono in nulla da noi. Se noi condannassimo la scomunica, oppure facessimo credere che è cosa superflua e inutile, oppure fossimo ben felici se nella chiesa non ci fosse posto per essa, allora avrebbero ragione di brontolare contro di noi.

da Calvino, Contro gli anabattisti, 1544, Claudiana, Torino, 2004, p. 205

Noi riconosciamo di comune accordo che la spada è la legge di Dio, al di fuori della perfezione di Cristo. Dunque i principi e i potenti della terra sono stabiliti per punire i malvagi e metterli a morte. Nella perfezione di Cristo, invece, la massima pena è la scomunica, senza morte del corpo.

 

da A cinquecento anni dalla nascita di Giovanni Calvino. L'uomo di fronte all'incomprensibile volontà divina, di Jean-Blaise Fellay

Si è detto che il primo Lutero si domandava: come posso essere salvato? Zwingli, parroco di città, si inquietava: come riformare la mia parrocchia? E Calvino, giurista di formazione, e che non è mai stato prete, si diceva: come realizzare una città cristiana? È ciò a cui intende dedicarsi. "Prima del mio arrivo a Ginevra - dice sul letto di morte - non c'era alcuna riforma, si predicava appena un po'. (...) Non basta che ogni cittadino sia cristiano, ma bisogna che anche lo Stato lo diventi". Calvino organizza il controllo della città: una professione di fede che tutti gli abitanti devono sottoscrivere, e il concistoro, nel quale siedono pastori e magistrati. Essi sorvegliano l'ortodossia religiosa, le abitudini, i divertimenti e le forme di pietà degli abitanti. Ginevra diventa una città-Chiesa, dedita al servizio e alla gloria di Dio, un centro internazionale di esportazione ideologica.

 

-Sono noti, fra gli altri, i casi di Miguel Servet, Valentino Gentile, Sébastien Castellion, Jérome Bolsec, Jacques Gruet, o delle “centinaia di povere donne (spesso procuratrici di aborti), che Calvino ha fatto bruciare” (Franco Cardini su La stampa del 3 luglio 2009) – oppure sulla riforma da lui propugnata volta a trasformare la città in un luogo dove una certa morale governasse la vita pubblica, attraverso il controllo degli eventi privati e familiari, fino all’abolizione di ogni svago lascivo e, persino, del gioco delle carte.

 

-Teodoro di Beza

De haereticis a civili magistratu puniendis libellus, adversus Martini Bellii farraginem et novorum Academicorum secta



[SM=g1740771]  continua.........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)