00 13/01/2012 11:43

Il luterano che condannò la Riforma ed esaltò la Controriforma: Gottfried Benn

gen 13, 2012

 

QUEL NICHILISTA LUTERANO

CHE CONDANNÒ LA RIFORMA

ED ESALTÒ LA CONTRORIFORMA:

 

GOTTFRIED BENN

 

 

 

Pare anche di intravvedere persino ciò che resta della Germania “cattolica” di oggi, con tutti i suoi vescovi spostati, i suoi preti “sposati”, i suoi teologi spudorati. Sembra di gettare lo sguardo su alcuni dati del prolisso referto autoptico sull’immenso cadavere morale in avanzata decomposizione della Germania. Morta, a detta di Benn con l’avvento della Riforma, “inizio della fine”. Io ci vedo molti indizi sulle origini di ogni eccesso, deviazione, ribellione decostruttiva e distruttiva di tutto, e di se stessi in primis, propri del cattolicesimo tedesco e propri dello spirito tedesco. Quella Germania che proprio perchè aveva accettato il cattolicesimo si era affrancata dalla barbarie, pur restando barbara nel fondo dell’anima; e che quando, dal cattolicesimo ha abiurato, alla barbarie è sempre tornata. Fosse Hitler, fosse Lutero, fossero i vescovi tedeschi progressisti, fossero i comunisti, fossero -oggi- il liberalradicalismo e la dittatura del politicamente corretto, che sta portando la Germania, avvolta in una strana smania di odio per se stessa e di cupio dissolvi, verso la propria eutanasia. La “dolce morte”, la chiemerebbero quelli divenuti come loro, e cioè più niente. Basta dare un’occhiata alle sue grandi realtà metropolitane: depopolate di tedeschi ripopolate di musulmani, omosessuali, fanatici ecologisti, sbandati d’ogni risma, amanti della morte in ogni caso. Imago mortis essi stessi. Destino e forse castigo divino strani ma non inappropriati per la nazione che sfidando le categorie stabilite da Dio, s’era voluta dire “ariana”, “sopra tutti”: morirà straniera, musulmana, invertita. Il destino di tutti i Faust del mondo, l’esito fatale d’ogni patto col demonio, è questo. L’autodistruzione, la morte e il nulla. Non era dunque nichilista la penna di Benn: è nichilista la realtà che quella penna racconta.

 

 

 

 di  Antonio Margheriti Mastino

 

 

 INTINGERE LA PENNA NEL CADAVERE MORALE TEDESCO

Il giovane medico Benn nel 1912, al tavolo settorio dell'obitorio

Mi torna in mente un vecchio e un po’ dimenticato letterato prussiano. Gottfried Benn. Poeta sui generis, quasi narratore, si può dire narri la poesia, racconti poeticamente. I tormenti cupi, onirici e allucinati dell’epoca che lasciava dissepolta la “inutile carneficina” della Prima Guerra. I cui miasmi infettivi preparavano le folate livide del malarico vento nazista e la Seconda Guerra.

Per la verità, Benn non era solo uno scrittore, ma anche un medico – e medico militare, che vive in prima persona, come sifilopatologo, l’esperienza del fronte. E medico resta a guerra finita. Ed è proprio dentro gli ospedali, nella carne lacerata, nelle viscere sordide della sofferenza, nella putredine dell’immenso obitorio morale della Germania intinge la sua penna espressionista. Penna simbolistica, pesante, scandalosa, onirica, oscena e piena di cadaveri. E di giudizi letali, nel raccontare l’agonia spirituale di una nazione, la tedesca, che “comincia a morire”, a sentir lui, dai tempi della Riforma luterana che essa stessa ha scatenato, rompendo l’unità religiosa del Continente.

E’ proprio lui, figlio di un pastore luterano, a parlarne in termini così tetri e nefasti di quella sua Germania che tutto ci farebbe credere essergli congeniale. E invece no. Ma, qui pure, nella contraddizione, in quell’infinita putrefazione – che tanto ci fa pensare alla Germania di oggi che si odia, che ha deciso di eutanasizzare se stessa, che sta dissolvendosi nell’ideologia del politicall correctness stile peggiore americanata –, in quella putrefazione dunque, resta invischiato e cade anche il Benn.

 

IL RIFORMATO CHE ESALTA LA CONTRORIFORMA

Benne giovane sifilopatologo al microscopio

È volontario alla Prima Guerra ma poi si oppone a Weimar. Vede nel nascente nazismo la promessa di una nuova, e al contempo già mitica, Germania eroica, “dionisiaca”. Illusione, proiezione onirica che rende febbrile la sua ansia estetizzante.

È qui un’altra contraddizione del personaggio: da un lato condanna la latente e terragna indole pagana del suo popolo; dall’altra parte fa una feroce (feroce è la penna) critica alla Germania riformata, unita all’elogio sperticato per il “trionfo delle forme” nella Controriforma romana. Ma nei fatti si dimostra attratto dal fenomeno più mitizzante, tellurico e pagano, eminentemente teutonico della storia tedesca, che è il nazismo. E che al contempo è quanto di più alternativo e lontano dalla romanità controriformistica e cattolica si possa immaginare. E Benn lo esalta, e proprio con giudizi che nascono sì dalla sua sensibilità estetizzante, la quale, però, secerne da un paganesimo mitologico, tutto nibelungico che Benn sembra avere nel sangue. Mostrandosi afflitto da quella stessa patologia che egli diagnostica e stigmatizza nei suoi connazionali.

 

IL LUTERANO NICHILISTA

Dalle sue parole di fuoco, di lui luterano, contro il luteranesimo “tetro” e glaciale e di lode encomiastica per la “bellezza” abbagliante del cattolicesimo controriformista, si sarebbe portati a pensare trattarsi di un ex luterano naturalizzato cattolico. Ma forse le cose non stanno proprio così. Dal momento che egli stesso si riconosce “nichilista”, o meglio dà retta -ma con scetticismo- a chi così lo vede, e i cattolici sono in prima linea a dirlo tale. Ma per la verità lo dicono anche i suoi versi: almeno sembra. Ma certe volte non parla affatto come tale, come “nichilista”: è la realtà che egli descrive dal vero, che anzi dipinge a grumose e bollenti, tizianesche e sanguinolente pennellate di poetica esprressionista, ad essere tale, nichilista: è il mondo che è diventato all’improvviso così, in quegli anni Venti. Lui descrive soltanto, vomita nelle sue pagine quelle immagini di disumanizzazione che lo hanno stomacato incontrandole per strada.

Siamo sinceri: forse Gottfried Benn poteva dirsi “cattolico” solo dal punto di vista dell’amore per il bello. Amore per il bello che, sia chiaro, non va sottovalutato perchè è la prima “lettera d’amore” che Dio manda a noi e che noi spediamo a Dio: corrispondenza d’amorosi sensi. Cattolica era certamento la sua vista, ma il cuore? il cervello?

 

IL NICHILISTA NAZISTA

Fatto sta che il nazionalsocialismo si accorge di questo intellettuale anomalo che lo osanna, e allora lo chiama a presiedere l’Accademia Prussiana. Solo un momento prima opportunamente ripulita di quella porzione del gotha intellettuale che riempiva quell’arcadia teutonica che non volle ridursi a cantore di liriche hitleriane. Ma giunto al vertice di quell’olimpo di cartapesta non è che si trovò troppo a suo agio, questo intellettuale tormentato e angosciante. E tuttavia vi rimase, onorato dalla prebenda. Finchè l’altra primadonna del regime con fisime letterarie, Joseph Goebbels, non si accorse di lui. E pur di trovare il casus belli col quale impalare pubblicamente l’odiato e invidiato talentuoso rivale, non trovando nulla di “compromettente” negli scritti recenti di Benn, va a spulciare in quelli giovani: dove trova quel che cerca. E con tutta la perfidia degli aspiranti letterati dalle ambizioni magne ma frustrati e senza talento proprio -guardacaso- nello scrivere, la sola arte nella quale avrebbero voluto primeggiare (essendo stata la politica solo un ripiego, un far della propria vita letteratura, scrivere coi gesti e le imprese il romanzo che si ha dentro e che la penna non riesce a cavar fuori), prende di mira Benn. Perchè non sopporta, il Goebbels, quella che lui chiama “l’arte degenerata”, ovverossia l’espressionismo, che fosse pittorico od anche letterario. E Benn “espressionista” letterario era, così almeno la vedeva Goebbels, il nuovo padrone della cultura da caserma avvinazzata tedesca. Ed è così che il gerarca, la cornacchia di Hitler, il corvo zoppo del nazismo, il ministro della propaganda, decide di far cacciare Benn dall’Accademia di Prussia. E, naturalmente, ci riesce. Ma non in modo indolore e definitivo: vi saranno per anni alti e bassi, dove Benn troverà chi lo difendesse a mitra sguainato, tipo Himmler, nientemeno che il “burocrate dello sterminio”; ma inciamperà anche in chi continuerà a dargli addosso, fra i seguaci di Goebbels. Come Willrich, ufficiale delle SS, che di Benn scriverà in un libro (Pulizia del Tempio dell’Arte) alcune sanguinose pagine biografiche, piuttosto calunniose. E come non bastasse, tentano il colpo di grazia: è bandita la stampa, ristampa e vendita dei libri dello scrittore sassone. L’amarezza di Benn è profonda per questo oltraggio, ma più amara ancora per lui fu la perdita della patacca dello scranno presidenziale dell’Accademia, dove poteva indossare, fregiarsi e sfoggiare tutta la sinistra pompa magna e vacua della vanagloria di regime, nazista per giunta.

 

IL VANAGLORIOSO ANTINAZISTA

Il militare prussiano Benn

Se ne lagna in continuo Benn, e di continuo frigna e brontola per il suo giocattolo defraudato. Dirà allora del regime che molto gli aveva dato e tutto si era ripreso: “Il tutto mi comincia ad apparire come una sceneggiata che annuncia sempre il Faust ma la troupe è appena sufficiente per un’operetta. Con quali toni grandiosi ha esordito e come appare schifoso oggi!”. Già solo ora per lui tutto è “diabolico”, patetico, “schifoso”; ora che non è lui a stringer patti diabolici col suo Mefistofele, che non sta lui sul palcoscenico da primadonna a rendere “capolavoro” ciò che senza di lui sarebbe “operetta”, ora che non può sventolare patacche uncinate sul petto quel mondo del quale s’era ubriacato gli appare disgustoso. Eppure, il pur grande letterato che fu, sulfureo a suo modo, avrebbe dovuto ricordate gli esiti finali di tutti i patti col diavolo, il destino senza scampo di tutti i Faust della storia umana.

 

 

 

 

OSCURANTISMO RIFORMATO E SPLENDORE CONTRORIFORMISTA

Solo a questo punto nasce l’ostilità del Nostro al regime nazista. Un po’ troppo tardi forse? Per motivi troppo personali e di interesse forse? Forse sì. Ma siccome non possiamo sapere dei nascondigli del suo cuore, manteniamoci alle sue parole. Che se in caso i sentimenti di Benn fossero foschi e contraddittori come tutto nella sua vita, le sue parole spesso sono quelle giuste, chiare e inequivocabili. Terribili. Ed -per questo che ne scrivo- esalano un sentimento, una sensibilità direi cattolica, un cattolicesimo realista, duro, senza illusioni. Frasi che assumono maggiore rilevanza se si pensa che il giovane Benn veniva fuori da studi berlinesi di teologia (sebbene poi interrotti) la più duramente luterana e “antiromana” delle scuole teologiche… in terra tutta luterana prima che diventasse (oggi) post-cristiana e anti-cristiana. Per esempio, ho trovato un suo pensiero interessante sul profilo facebook di amici, ma che già tempo fa avevo letto e sottolienato, poi dimenticandomene, in uno di quegli oleosi e flatulenti libri (le poesie certamente, ma anche qualche “romanzo lungo”) di Gottfried Benn: “Romanzo del fenotipo

Così Gottfried Benn, prussiano, medico e poeta, figlio di pastore protestante, così da Berlino parla, nel 1945, su tedeschi, Riforma e politica:

I germani sono una razza che, diciamolo pure, si è limitata a riprendere il grosso dagli altri e là dove è intervenuta in modo autonomo, ha sortito effetti devastanti. E’ contraddistinta da una forte tendenza a svilire tutto, degradando il sublime a totalità, lo spirituale a pesantezza dottrinaria, l’esempio più noto, la Riforma, ossia la degradazione del XV secolo, di quella poderosa impennata di genialità nella pittura e nelle arti plastiche, in favore della tetraggine di visioni balorde. [...] Una bella congrega della Bassa Sassonia, da Lutero fino a Loens! Protestanti – ma in protesta sempre e soltanto contro le cose superiori, in privato piacevolmente adagiati fra coltri di famiglia, casucce, prosit e distese verdi. Lontanissimi dalla meravigliosa idea del martire dei primi secoli che accetta nell’arena le zampate dei leoni e, legato a un palo, le frecce dei pagani, rifiutando l’apostasia. La degradante secolarizzazione dell’Io, il suo atteggiamento individual-borghese di fronte al dio, questo irriverente e banale far di tutto un sacramento – ecco ciò che ha improntato il tedesco moderno. Questa meschina glorificazione della vita ha poi portato a compimento la devastazione morale e prodotto l’antropologia escrementizia che oggi riscontriamo intorno a noi nella politica“.

 

LA GERMANIA QUANDO S’È STACCATA DAL CATTOLICESIMO È RITORNATA ALLA BARBARIE DA CUI L’AVEVA AFFRANCATA

Benn, nel dopoguerra, e gli ultimi amari anni della sua vita

Non pare anche a voi di intravvedere persino ciò che resta della Germania “cattolica” di oggi, con tutti i suoi vescovi spostati, i suoi preti “sposati”, i suoi teologi spudorati? Non vi sembra di gettare lo sguardo su alcuni dati del prolisso referto autoptico sull’immenso cadavere morale in avanzata decomposizione della Germania? Morta, a detta di Benn -almeno nella “certa idea” che ne aveva- con l’avvento della Riforma, “inizio della fine”? Io ci vedo molti indizi sulle origini di ogni eccesso, deviazione, ribellione decostruttiva e distruttiva di tutto, e di se stessi in primis, propri del cattolicesimo tedesco e propri dello spirito tedesco. Quella Germania che proprio perchè aveva accettato il cattolicesimo si era affrancata dalla barbarie, pur restando barbara nel fondo dell’anima; e che quando, dal cattolicesimo ha abiurato, alla barbarie è sempre tornata. Fosse Hitler, fosse Lutero, fossero i vescovi tedeschi progressisti, fossero i comunisti, fossero -oggi- il liberalradicalismo e la dittatura del politicamente corretto, che sta portando la Germania, avvolta in una strana smania di odio per se stessa e di cupio dissolvi, verso la propria eutanasia. La dolce morte. Basta dare un’occhiata alle sue grandi realtà metropolitane: depopolate di tedeschi ripopolate di musulmani, omosessuali, fanatici ecologisti, sbandati d’ogni risma, amanti della morte in ogni caso. Imago mortis essi stessi. Destino e forse castigo divino strani ma non inappropriati per la nazione che sfidando le categorie stabilite da Dio, s’era voluta dire “ariana”, “sopra tutti”: morirà straniera, musulmana, invertita. Il destino di tutti i Faustdel mondo, l’esito fatale d’ogni patto col demonio, è questo. L’autodistruzione, la morte e il nulla. Non era dunque nichilista la penna di Benn: è nichilista la realtà che quella penna racconta.

Il mondo alla rovescia. Un'immagine della Berlino che fu di Gottfried Benn, oggi. Grande Germania addio...

Ma torniamo al nostro Gottfried Benn. Infine: perchè fu nazista? Mi pare di capire che egli vede la storia tedesca degli ultimi secoli, dalla Riforma in poi, come un continuo deterioramento, ininterrotta decadenza, che è prima di tutto sfascio di forme, smagliarsi di sontuose architetture di sapienza, infine desolazione, sterilità, buio tetro. Nel nazismo vede l’occasione di una “controriforma” tutta tedesca che sia un rinascere e un trionfo di antiche e nuove “forme” insieme, nuove liturgie, apparati, architetture tutte “radiose” e  gloriose, come a suo tempo lo fu, ai suoi occhi, la Controriforma romana, che abbandonò a se stessa mezza Germania riformata. Incapace di essere grande e “radiosa” e bella da sola se non inserita in un intero sistema culturale, quello cattolico, come lo poteva essere quello pre-riformato. E giacchè in quell’alveo non si può ritornare più, nè forse il cattolicesimo era -sempre ai suoi occhi- quello immediatamente seguito alla Controriforma, vede nel nazismo la possibilità di un balzo indietro ardimentoso. Non al periodo di Lutero, ma ancora oltre, oltre anche un certo pezzo di storia barbara: nell’indefinito tempo della Germania mitica e pagana, la stessa delle saghe nibelungiche e della mitologia nordica. Nel nazismo, dunque, vede la sua personale occasione in extremis di “Controriforma” tutta tedesca, che facesse risplendere la Berlino dei suoi tempi e dei tempi di Hitler così come la Roma di Bernini in cui l’unità cristiana a causa dei principi tedeschi e di Lutero si spezzò.

 Isolato, evitato e alla fine dimenticato (per forza) dall’intellighenzia tedesca del dopoguerra, morirà nel 1956, settantenne, senza illusioni e senza pretese. E, qui pure, ancora una volta, le sue parole furono chiare e inequivocabili. Feroci: «Quando uno come me, negli ultimi quindici anni, viene pubblicamente definito dai nazisti un porco, dai comunisti un imbecille, dai democratici uno che si prostituisce spiritualmente, dai religiosi un nichilista patologico, non è più così desideroso di farsi largo tra questo pubblico».

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)