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5. L'isolamento progressivo

Poco dopo la Pentecoste del 1525 i Consiglieri pretesero di imporre alle suore una riforma in cinque punti, al fine, dicevano, «di preservarle dagli eccessi popolari». Si trattava:

- di rimettere le doti a disposizione delle suore (in modo di assicurare la loro vita materiale, nel caso volessero lasciare la comunità);

- di rimandare le giovani presso le famiglie che volessero riprendersele a tutti i costi, anche contro la loro stessa volontà, perché, dicevano: «Il comandamento di Dio è che i figli obbediscano ai loro genitori»;

- di lasciare l'abito religioso e di vestire come tutti gli altri, perché «non esisteva nessuna differenza tra i laici e gli ecclesiastici»;

- di consegnare al Consiglio l'inventario di tutti i loro beni, redditi, censi, ritenute, guadagni, il tesoro (cioè la cassa), l'ammontare delle doti;

- di aprire una finestra nella grata del parlatorio per conversare liberamente con le suore (pp. 109-115).

Consultate, «le monache tutte e ognuna in particolare, risposero che esse volevano conservare la Regola che avevano accettata davanti a Dio e non quello che sarebbe piaciuto al Consiglio d'imporre» (p. 116).

Le suore fecero l'elenco dell'inventario. Quanto allo finestrella dissero «che certamente non ne consentivano di buon grado la sua apertura, ma che, per evitare un male ancora peggiore, valeva meglio cedere; d'altronde la nostra Regola non impediva di mostrarsi a viso scoperto (p. 117). Ma esse non potevano decidersi di accettare il cambiamento di vestito prima di aver domandato consiglio a qualcuno dei nostri buoni amici ... » i quali consigliarono loro di attendere (p. 118).

In tutte queste occasioni le suore manifestano un senso considerevole di ciò che è essenziale ed un grande spirito di discernimento che testimonia la qualità della loro vita spirituale. Le monache Domenicane avevano accettato d'aprire i loro chiostri ed ebbero a subire molti dispiaceri per questo: «Qualche settimana più tardi il Consiglio decise che i chiostri sarebbero ormai diventati aperti, e che chiunque vi poteva accedere e visitare i propri amici, a piacimento. Da parte loro le suore avevano la libertà di uscire per andare a casa dei loro amici, quando ne sentissero la necessità. E quando gli amici invitavano una monaca a venire da loro, l'Abbadessa non aveva il diritto di rifiutarglielo, ma doveva darle una compagna che mangiava a fianco dell'invitata e poi la riconduceva in seguito al convento. Avevano apportato queste innovazioni a Santa Caterina e ora in questo chiostro c'era un andirivieni perpetuo. Si racconta che il predicatore luterano, Thomas, aveva fatto a cambio di vestito con un altro burlone e poi si era introdotto nel convento di Santa Caterina. Là aveva dato fastidio alle giovani suore pretendendo che gli promettessero di sposarlo. Quando uscì dal convento lui raccontò molte sconvenienze sulle povere figliole di cui invece loro erano totalmente innocenti. Esse reclamarono davanti al Consiglio. Certi Consiglieri che ci sono favorevoli avevano colto l'occasione di tale scandalo per opporsi con tutta la loro forza contro l'apertura dei conventi delle donne. Avevano detto al Consiglio: 'Che ci guadagnerete voi a causare una simile onta. Tra le suore ci sono pure le vostre figlie, le vostre sorelle' ... » (p. 119).

Questo duro combattimento d'una comunità, ormai isolata, contro tutta una città è chiaramente portato avanti con forze ineguali e le Clarisse vedono sempre più restringersi le loro condizioni di vita. Parecchi privilegi ed esenzioni sono soppressi, le rendite delle loro terre compromesse dalle rivolte contadine e dalle guerre tutt'intorno. La loro vita materiale è molto povera; incominciano a prendere in considerazione la possibilità di vendere i loro beni a un prezzo molto basso.

La vigilia del Corpus Domini dello stesso anno ebbero il dispiacere di vedersi portare via tre delle loro sorelle. Le loro famiglie erano venute a riprenderle con la forza, scortate dai membri del Consiglio e dai gendarmi della città. La moglie del loro Curatore partecipava alla 'spedizione'. Su loro richiesta l'incontro ebbe luogo nella Cappella. Le discussioni durarono delle ore: «Ogni madre battagliava con sua figlia, a turno, riempiendola di promesse o asfissiandola di minacce; ma le povere ragazze continuavano a piangere e a lamentarsi senza retrocedere. Il combattimento durò molto a lungo. Caterina lo sostenne così validamente e con tanta intelligenza, che ci si sbalordiva ad ascoltarla. Seppe mettere in tutte le sue parole le affermazioni della Sacra Scrittura, rispondeva a tutte le obiezioni e dimostrò a quelle donne che esse agivano contro il santo Vangelo. Dopo di questo i Consiglieri dissero che non avevano mai udito niente di paragonabile» (pp. 131-132).

Alla fine, però, presero le figlie per le braccia, le tirarono fuori, e le spinsero fin dentro la carrozza malgrado le loro grida e le loro lacrime.

In questo periodo in Germania la dottrina di Lutero avanzava. «Molti principi elettori ed altri hanno ordinato che la nuova religione sia insegnata in ogni luogo dei loro stati e che nessun prete papista poteva ormai predicare, perché non si voleva più vedere gente simile ai membri degli antichi Ordini» (p. 161).

Ma c'erano ancora tanti problemi da risolvere, specialmente quello dell'istruzione della gioventù, perché la cura dell'educazione era, fino a quel momento, affidata alla Chiesa: Melantone era atteso a Norimberga per organizzare un nuovo collegio.

Nello stesso tempo sembra insinuarsi negli spiriti un senso di rilassamento. Nessun dubbio che questo dissidio tra i cristiani sia stato all'origine di una corrente di scetticismo di fronte alla religione, che crescerà sempre più nel corso dei tempi moderni, e che fosse l'esatto contrario di quanto aveva detto Gesù Cristo: «che essi siano una cosa sola affinché il mondo creda». Caritas scrive nelle sue memorie: «Intendo dire che molte persone sono perplesse e che non vanno più a nessuna predica. Dicono che sono indotte in errore dai predicatori e non sanno più a che cosa bisogna credere e darebbero molto per non averli mai ascoltati» (p. 161).

Intanto il Curatore Nutzel si fa sempre più pressante. Cerca tutti i mezzi per convincere le suore. C'è da notare che quasi mai, nelle sue argomentazioni, si parla di scandali o di deficienze del clero. Il dibattito si colloca a livello della fede, non della morale.

Le suore sono preoccupate di ricopiare le lettere o memorie e di annotare certi elementi della predicazione o delle dichiarazioni che i Consiglieri della città sono venuti a fare, assieme alle risposte che loro stesse hanno dato. Per questo motivo noi conosciamo gli argomenti utilizzati da una parte e dall'altra. Lo scambio tra il Dottor Link, e la comunità è particolarmente interessante. Le suore hanno studiato e ricopiato il piccolo trattato del Dottor Link, che mette in discussione tutta la loro vita religiosa.

 

6. I confronti teologici e le controversie sulla vita religiosa

I grandi dibattiti girano attorno ai principali elementi della 'nuova dottrina'.

La Sacra Scrittura. La lettura e l'interpretazione della Sacra Scrittura è sempre alla base dei dibattiti e gli avversari s'appigliano alle citazioni bibliche.

Caritas è fiera di poter affermare a coloro che l'accusano d'essere male illuminate e d'essere dei 'ciechi condotti da altri ciechi': «Noi affermiamo che l'Antico e il Nuovo Testamento, in latino e in tedesco, sono presso di noi di uso quotidiano. Noi li studiamo e ci sforziamo di comprenderli. E non leggiamo solamente la Bibbia, ma anche gli scritti che ci giungono giornalmente. Noi leggiamo tutto, ad eccezione dei libelli o degli opuscoli che ripugnano alla nostra coscienza e che non ci sembrano conformi alla semplicità cristiana» (p. 51).

Di fronte alle diverse interpretazioni della Parola di Dio Caritas non trova ragioni di sceglierne una piuttosto che quella della Chiesa: «Vostra Saggezza per un certo tempo mi ha vantato molto Zwingli e altri. Se noi avessimo creduto loro, dove saremmo arrivate oggi, per esempio, per quanto riguarda il dogma dell'Eucaristia? I predicatori di Strasburgo, me ne sono dettagliatamente informata, non considerano il Cristo che un uomo, simile a tutti gli altri uomini. Se noi li ascoltassimo saremmo certamente sulla cattiva strada. Ciascuno dice: 'Seguiamo la verità della Scrittura', ma ciascuno si serve della Scrittura a modo suo, ciascuno vuole avere ragione, nessuno vuol cedere e queste discussioni non hanno mai fine. Noi ci rimettiamo a quelli più saggi di noi per sbrogliarci da questo caos. In attesa che ci si mostri ciò che è meglio, ci atteniamo a quello che pensiamo meno biasimevole. Se ci sbagliamo in qualche punto, ne siamo dispiaciute, ma ci sono tanti errori in questo momento che saremmo sicure di non soddisfare Dio intraprendendo una qualunque via; preferiamo restare come siamo e Dio accordi la sua grazia a noi povere creature. Amen» (p. 184).

I protestanti le accusano: «Voi credete che Dio giudichi gli uomini solo attraverso i meriti di Gesù Cristo; ne consegue che non dovete annettere tanti meriti alle vostre azioni, alle vostre preghiere, né credervi giustificate attraverso le vostre opere, né sperare il perdono per i meriti dei santi, né per la loro intercessione; ma solamente per la fede, in grazia di Gesù Cristo. Perché queste stazioni, queste cappelle alle quali è affisso un così grande numero di indulgenze? Perché cercate consolazione e soccorso presso i santi, confidando in loro e non soltanto in Dio? E non dite che fate queste opere come frutto della vostra fede, perché la fede non agisce che attraverso l'amore. Non ci sono opere cristiane al di fuori di quelle determinate dall'amore di Dio e del prossimo, perché Cristo è Dio e uomo e ci renderà quello che noi abbiamo fatto al più piccolo dei nostri fratelli» (p. 171).

Caritas replica: «Ci si accusa di confidare nelle nostre opere e di non aspettare salvezza che dal loro soccorso. Grazie a Dio, noi non ignoriamo che l'uomo, seguendo la parola di san Paolo, non può essere giustificato dalle sole opere, ma dalla sua fede nel Nostro Signore Gesù Cristo. Il Salvatore ce lo ha insegnato lui stesso dicendo che, allorché noi avremmo compiuto tutto ciò che era in nostro potere, dobbiamo considerarci come dei servi inutili. Sappiamo, d'altra parte, che una fede vera non esiste senza gli atti, le opere, come non esiste un buon albero senza dei buoni frutti. Noi siamo sicure che Dio tratterà ciascuno secondo le sue buone o cattive opere, allorché appariremo davanti al tribunale di Cristo.
San Giacomo dice che la fede senza le opere è una fede morta .... Sappiamo che non dobbiamo attribuirci il merito delle nostre azioni, e che, se qualche bene si compie per mezzo nostro, la gloria ritorna a Dio, unicamente a Dio. È dunque senza alcun fondamento che ci si accusa di gloriarci nelle nostre opere, perché la nostra gloria è tutta intera in Gesù crocifisso e umiliato, che ci invita a portare la sua croce e a seguirlo.
Ma se l'uomo è salvato per la grazia di Dio, e non per i propri meriti, bisogna dunque che, come un buon albero, porti dei buoni frutti, che saranno la dimostrazione della sua fede, perché il Signore Gesù ha detto: 'li riconoscerete dai loro frutti'.
Quando le opere della fede non esistono e più ancora quando la carità fraterna, che insegna a sopportarci reciprocamente, è assente, allora la fede è meno che niente, e non sposta nessuna montagna. È proprio perché, secondo le parole di san Paolo, sappiamo che saremo giudicati sulla nostra fede, che noi siamo in pace con Dio. In tale fede vogliamo vivere e morire; e che il mondo ci giudichi come vuole» (p. 152).

La vita religiosa. Il grande argomento dei Luterani: questa forma di vita non c'è nel Vangelo; è una invenzione umana e perciò diabolica. Il Curatore Nutzel diceva loro: «Che i loro dottori insegnano, al momento, che in questo mondo non serve a niente condurre la vita del chiostro, e che perciò il chiostro non poteva essere di nessun aiuto alla nostra salvezza, non avendo il suo fondamento nel Vangelo» (p. 23). «E che non si deve fare niente per Dio al di fuori di ciò che la sua parola ci ordina con sicurezza ... » (p. 195). Caritas replica citando san Paolo e gli Atti degli Apostoli: «Noi seguiamo l'esempio dei primi cristiani di cui è scritto negli Atti, che possedevano tutte le cose in comune, condividevano tra loro ogni nutrimento e che dimoravano tutto il giorno nel tempio e lodavano Dio» (p. 32).

Altro argomento dei protestanti: si deve seguire la via comune e non bisogna fare i singolari, in quanto non c'è che un solo popolo cristiano. «Voi non dovete separarvi dal resto degli uomini, né cercare delle vie e dei modi di vivere in maniera singolare. L'amore non vuole queste cose, è libero e comune a tutti e Cristo non ama che le opere che emanano da una vera fede e da una vera carità. Io temo che la vostra scelta di opere singolari vi impedisca di fare opere di carità cristiana. Quante tra di voi potrebbero servire gli uomini attraverso delle strade ordinarie, sia nell'istruzione della gioventù, la manutenzione di una casa, il governo di un ambiente coniugale, l'educazione dei ragazzi ecc. Ecco le opere che Dio domanderà, nell'ultimo giudizio, come i veri frutti di una fede vera. Voi siete impedite e imprigionate dalle vostre opere che vi siete inventate, non meno di un giovane albero che è soffocato, tanto che non può crescere e portare frutti per i bisogni degli uomini. È evidente che voi non cercate nella vita del chiostro che la vostra salvezza, non tenendo conto di ciò che è utile al prossimo e di ciò che è comandato dal vero amore. Non rispondete: 'noi preghiamo, noi cantiamo, e digiuniamo per gli altri'; queste cose non devono servire che per la mortificazione dell'uomo vecchio e per il rinnovamento della vita interiore; pur facendo queste cose non devono essere trascurate le opere della carità. Il Cristo vi punirà come delle ipocrite, voi che prendete pretesto dalla vostra vita chiusa nel chiostro per disinteressarvi del vostro prossimo. Ciascuno riceverà il prezzo delle sue opere secondo il modo in cui avrà messo a prova la propria fede nel servizio dei suoi fratelli, e non secondo come avrà cantato, pregato e fatto le sue stazioni» (pp. 171-172).

Di fronte all'accusa d'inutilità fatta ai monasteri, suor Caritas replica: «Noi non possiamo credere che uno sia in buonafede quando ci rimprovera la nostra vita claustrale. Abbiamo imitato gli Apostoli che avevano tutto in comune, i cristiani. della Chiesa primitiva. Allorché la vita claustrale abbia per scopo un'intenzione retta e non faccia del torto a nessuno non può essere un male, perché si ottiene, grazie ad essa, più pace, ordine e concordia in mezzo ad un gran numero di persone.
Sappiamo anche che dobbiamo sostenere fedelmente ed aiutare il nostro prossimo. Speriamo di non mancare a questo dovere: si tratta di un dovere che le nostre suore si sono prefisse di esercitare tra di loro. Ma se con questo rimprovero s'intende che noi ci aiutiamo tra noi e non aiutiamo per niente gli altri, ebbene, allora possiamo invocare a nostro favore la testimonianza di molta gente di fuori» (p. 179).

Quanto al matrimonio sul quale i protestanti insistevano tanto, lei dichiara: «Non crediate tuttavia che noi disprezziamo lo stato di matrimonio. Colui che si sposa fa bene, ma san Paolo ci dice che colui che non si sposa fa meglio. Nessuna persona sensata saprebbe biasimarci della scelta di servire Dio nello stato verginale. Noi non vorremmo mai trattenere tra noi quelle che non hanno questa vocazione; noi non tratteniamo, contro la sua volontà, nessuna delle nostre sorelle; i loro parenti possono testimoniarlo, noi non nascondiamo la possibilità del matrimonio. Se qualcuna desiderasse ritornare nel mondo, noi non la condanniamo: che ciascuna di noi giudichi se stessa, ciascuno parlerà per conto suo davanti al tribunale di Dio. Giacché non opprimiamo nessuno, noi chiediamo che si usi questa stessa reciprocità con noi: reclamiamo la libertà, non del corpo ma dello spirito».

Le si accusa anche di confidare nell'intercessione dei Santi al posto di contare sull'unica mediazione del Cristo, accusa che Caritas rifiuta energicamente: «Io so, e le nostre suore lo sanno come me, che non c'è altro mediatore tra Dio e gli uomini al di fuori di Gesù fatto uomo; tuttavia, non è giusto non onorare i cari santi; invocandoli io seguo le lezioni di sant'Agostino, di san Girolamo e di san Cipriano. Se si dice che costoro erano degli uomini e potevano sbagliarsi, rispondo che nemmeno quelli che li combattono sono degli dèi e possono sbagliarsi anche loro. Questi grandi santi di cui molti hanno versato il loro sangue per la fede cristiana sono più degni di fede che gli iconoclasti e i detrattori dei Santi».

Con un grande e abile buon senso, con una costanza tenace e infrangibile, suor Caritas oppone a tutti questi attacchi degli argomenti che testimoniano una fede molto illuminata. Nello stesso tempo ella rivendica, in un modo molto moderno, l'imprescrittibile libertà della coscienza. Ha saputo accogliere gli argomenti protestanti, riconoscendo in essi quello che c'è di buono e utilizzandoli per difendere la sua fede cattolica.

I suoi argomenti sono semplici, chiari e vanno diritto all'essenziale. Non si perde dietro questioni secondarie. Non è fissa sul passato come tale, ma in questi tempi di dubbi dove nessuno è d'accordo, essa si attiene al perenne pensiero dell'intera Chiesa. «Essendo la nuova dottrina oggetto di grandi discordie ... poiché ognuno rivendica per sé la vera interpretazione della Sacra Scrittura, noi povere figlie ignoranti, vogliamo rimanere attaccate alla fede primitiva del santo Vangelo, finché tutto quanto non sarà rientrato nell'ordine con l'aiuto di Dio» (p. 93).

Ella fa questa professione di fede: «La Chiesa è stata governata fino ad ora dallo Spirito Santo, secondo le promesse del Cristo. Niente ci separerà da essa. Noi soffriremo ciò che piacerà a Dio di mandarci, è meglio soffrire a causa del male che consentire a fare del male» (p. 72).

Il dibattito è stato spesso indirizzato sul problema della libertà. Caritas fa della libertà della coscienza la sua roccia incrollabile. Contrariamente a ciò che ci si sarebbe potuto attendere, è Caritas che prende la difesa della libertà di fronte ai Luterani che non esitano a pensare che si possa costringere qualcuno pur di salvarlo. Per esempio, appoggiandosi sul decalogo, essi trovano legittimo che i parenti impongano la loro volontà ai loro figli anche se adulti. Alle suore che deplorano questo fatto, i Consiglieri dichiarano: «Voi dovete capire bene che gli amici e i parenti cercano di portarvi via dal chiostro attraverso tutti i mezzi possibili e condurvi nella vera via della salvezza, senza sentire se volete restare o no al convento. Allo stesso modo che, quando si vede un malato in preda alla febbre, non si deve esitare, né domandare il suo consenso per curarlo. E voi siete obbligate dalla legge di Dio a obbedire ai vostri parenti e ai vostri superiori e non ai vostri voti che non sono stati ordinati dalla parola di Dio». In modo più generale aggiungono: «Se vi si dimostra con ragione, attraverso le Scritture, che alcune delle vostre cerimonie non
sono utili né benefiche ai cristiani, anche se non ne convenite, bisogna tuttavia che vi sottomettiate a questa verità e non vi crediate perseguitate perché uno ve le impedisce. Voi le conservate solo per delle ragioni estranee alla parola di Dio. Colui che predica la Parola non deve domandarsi se è dolce o no a colui che l'intende, se ferisce o no, se è contro la sua coscienza o no, perché la coscienza non esiste se non si fonda sulla Parola di Dio; fuori di ciò, tutto quanto è pura chimera».

A quell'epoca non c'era separazione tra potere civile e potere religioso, perché si considerava che ogni autorità provenisse da Dio. Ciò spiega le pretese del Consiglio di dirimere le questioni religiose. Ma suor Caritas afferma: «Se si deve cedere nelle altre cose, è per andare incontro alla salvezza, e non bisogna abbracciare una fede solo per obbedire a delle creature» (p. 92). «La Fede è un dono di Dio ed è libera; è per questo che non può essere introdotta a forza e con le minacce nel cuore degli uomini» (p. 152).

 




[SM=g1740771]  continua...........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)