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IV
"CHE C’È TRA ME E TE, O DONNA?" (Gv 2,4)


In questa seconda parte del nostro cammino vogliamo seguire Maria nel mistero pasquale, lasciandoci guidare da lei alla comprensione profonda della Pasqua e alla partecipazione alle sofferenze di Cristo.

1 - "Imparò l’obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5,8)

Il mistero pasquale non comincia nella vita di Gesù con l’arresto nel Getsemani e non dura solo la settimana santa. Tutta la sua vita, da quando Giovanni Battista lo indicò come l’Agnello di Dio, è una preparazione alla sua Pasqua. Secondo il vangelo di Luca, la vita pubblica di Gesù fu tutta una lenta e inarrestabile salita verso Gerusalemme dove avrebbe consumato il suo esodo (cfr. Lc 9,31). Il battesimo nel Giordano fu già un preludio alla Pasqua, perché in esso la parola del Padre rivelò a Gesù che sarebbe stato il Messia sofferente e rifiutato, come il servo di Dio di cui aveva parlato Isaia.

Parallelo a questo cammino del nuovo Adamo obbediente si svolge il cammino della nuova Eva. Anche per Maria il mistero pasquale cominciò assai per tempo. Già le parole di Simeone sul segno di contraddizione e sulla spada che le avrebbe trapassato l’anima contenevano un presagio che Maria conservava nel suo cuore, insieme con tutte le altre parole.

Il passo che vogliamo compiere in questo capitolo è proprio di seguire Maria durante la vita pubblica di Gesù e vedere di che cosa ella è figura e modello per noi.

In questo periodo della sua vita, Maria ci è di guida e di modello di come comportarci quando viene il tempo della potatura, della purificazione, della spoliazione, della notte della fede. Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica "Redemptoris Mater" applica giustamente alla vita di Maria la grande categoria della "kènosi", con cui san Paolo ha spiegato la vicenda terrena di Gesù: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò (ekènosen) se stesso" (Fil 2,6-7).

Scrive il papa: "Mediante la fede Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione... Ai piedi della croce Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione" (n. 18).

Questa spoliazione si consumò sotto la croce, ma cominciò molto prima. Anche a Nazaret e durante la vita pubblica di Gesù, ella avanzava nella peregrinazione della fede. Non è difficile notare già allora "una particolare fatica del cuore unita a una sorta di notte della fede" (n. 17).

Tutto questo rende la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi; restituisce Maria alla Chiesa e all’umanità. Dobbiamo prendere atto con gioia di un grande progresso che si è realizzato nella devozione alla Madonna. Prima del Concilio Vaticano II la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza di Maria era quella del privilegio o dell’esenzione. Si pensava che Maria fosse stata esentata non solo dal peccato originale e dalla corruzione (che sono privilegi definiti dalla Chiesa con i dogmi dell’Immacolata e dall’Assunzione), ma si pensava che Maria fosse stata esentata dai dolori del parto, dalla fatica, dal dubbio, dalla tentazione, dall’ignoranza e infine la cosa più grave, anche dalla morte.

Pensavano che queste cose sono conseguenze del peccato, ma Maria non aveva peccato, quindi... Non ci si rendeva conto che, in questo modo, invece di associare Maria a Gesù, la si dissociava completamente da lui che, pur essendo senza peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio tutte queste cose: fatica, dolore, angoscia, tentazioni e morte.

Ora la categoria fondamentale con la quale, seguendo il Concilio Vaticano II, cerchiamo di spiegarci la santità unica di Maria non è più tanto quella del privilegio, ma quella della fede. Maria ha progredito nella fede (cfr. LG 58). Questo non diminuisce, ma accresce a dismisura la grandezza di Maria. La grandezza spirituale di una creatura davanti a Dio, in questa vita, non si misura da quanto Dio le dà, ma da ciò che Dio le chiede. E a Maria ha chiesto tanto, più che a ogni altra creatura.

Di Gesù il Nuovo Testamento dice: "Noi abbiamo un sommo sacerdote che sa compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato" (Eb 4,15); e ancora: "Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5,8).

Se Maria ha seguito il Figlio nella kènosi, queste parole, fatte le debite proporzioni, si applicano anche a lei, e costituiscono la vera chiave di comprensione della sua vita. Maria, pur essendo la madre di Dio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì. Imparare qui ha il senso di sperimentare, assaporare. Gesù esercitò l’obbedienza e crebbe in essa per le cose che patì. Anche Maria imparò la fede e l’obbedienza e crebbe in esse per le cose che patì così che possiamo dire di lei: abbiamo una madre che sa compatire le nostre infermità, essendo stata ella stessa provata in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato.

2 - Maria durante la vita pubblica di Gesù

Partiamo dall’episodio dello smarrimento di Gesù nel tempio (cfr. Lc 2,42 ss.). Luca, mettendo in rilievo che Gesù fu trovato "dopo tre giorni" allude forse già al mistero pasquale di morte e risurrezione di Cristo. È certo, in ogni caso, che questo fu l’inizio del mistero pasquale di spoliazione di Maria. Infatti, dopo averlo ritrovato, si sente rispondere: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (o: "Io devo essere nella casa del Padre mio?"). Queste parole mettono tra Gesù e lei una volontà diversa, infinitamente più importante, quella del Padre, che fa passare in second’ordine ogni altro rapporto, anche il rapporto filiale con lei. Troviamo poi una menzione di Maria a Cana di Galilea. Alla sua discreta richiesta di intervento, si sentì rispondere: "Che c’è tra me e te, o donna?" (Gv 2,4). Comunque si vogliano spiegare queste parole, sembrano di nuovo porre una distanza tra Gesù e sua madre.

Tutti e tre i sinottici ci riferiscono quest’altro episodio avvenuto durante la vita pubblica di Gesù. Un giorno, mentre Gesù era intento a predicare, giunsero sua madre e alcuni parenti per parlargli. Andarono da Gesù a riferirgli: "Fuori c’è tua madre che ti vuole parlare". Gesù sempre sulla linea degli episodi precedenti, disse: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?" (Mc 3,33). Noi sappiamo, oggi, che in quelle parole è contenuto più un elogio che un rimprovero per la madre; ma lei, almeno in quel momento, non lo sapeva.

Un altro giorno, una donna, tra la folla, esclamò verso Gesù: ""Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano"" (Lc 11,27-28).

Cosa significa tutto questo? Maria ha dovuto passare anche lei attraverso la sua kènosi. La kènosi di Gesù consistette nel fatto che anziché far valere i suoi diritti e le sue prerogative divine se ne spogliò, assumendo lo stato di servo e apparendo all’esterno un uomo come gli altri. La kènosi di Maria consistette nel fatto che, anziché far valere i suoi diritti di madre del Messia se ne lasciò spogliare, apparendo dinanzi a tutti una donna come le altre. La qualità di Figlio di Dio non servì a risparmiare a Cristo alcuna umiliazione; così non servì a risparmiare a Maria alcuna umiliazione la qualità di Madre di Dio.

Dopo aver iniziato il suo ministero, Gesù non ebbe dove posare il capo e Maria non ebbe dove posare il cuore. Alla sua povertà materiale, Maria aggiunse anche la sua povertà spirituale nel suo grado più alto.

Questa povertà di spirito consiste nel lasciarsi spogliare di tutti i privilegi, nel non poter fare affidamento su nulla, né del passato, né del futuro. San Giovanni della Croce chiamò questo la "notte oscura della memoria" e, nel parlarne, ricorda esplicitamente la Madre di Dio (cfr. Salita al monte Carmelo III, 2, 10). Essa consiste nel non potersi ricordare, neppure volendolo, del passato ed essere protesi unicamente verso Dio, vivendo in pura speranza. È la vera e radicale povertà di spirito che è ricca solo di Dio e, anche questo, solo in speranza. Paolo lo chiama un vivere "dimentico del passato" (Fil 3,13).

Gesù si è comportato con la madre come un direttore spirituale lucido e intelligente, che non fa perdere tempo, che non lascia indugiare tra sentimenti e consolazioni naturali, che trascina in una corsa senza tregua verso la totale spoliazione, in vista dell’unione con Dio. Ha insegnato a Maria il rinnegamento di sé. Egli conduce la madre nella sua stessa corsa a fare la volontà del Padre.

3 - "Se il chicco di grano non muore..." (Gv 12,24)

Quando noi, creature di carne e di sangue, ascoltiamo queste cose, nel nostro cuore affiora una domanda: Perché era necessario tutto questo? Maria non era già santa, piena di fede, già abbastanza provata? La prima risposta è: Gesù ha fatto così, e Maria doveva essergli vicina, per essere la prima e più perfetta discepola.

Ma c’è anche un altro motivo più misterioso. Per capirlo partiamo da una frase di san Paolo: "La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile, l’incorruttibilità" (1Cor 15,50).

Il piano della grazia è diverso da quello della natura; ciò che è eterno è diverso da ciò che si svolge nel tempo. Non si passa dall’uno all’altro piano per evoluzione rettilinea e indolore. C’è di mezzo un salto di qualità infinito. Occorre perciò un’interruzione, una morte, per passare dall’uno all’altro.

La maternità di Maria era anche una maternità temporale, umanissima, avvenuta "nella carne e nel sangue". Perché potesse diventare qualcosa di eterno, di spirituale, doveva passare attraverso una morte, come avvenne, del resto, della stessa santissima umanità del Figlio, prima di essere glorificata e resa corpo spirituale.

"Il passaggio all’ordine soprannaturale, anche per una creatura innocente e santa, non potrebbe mai compiersi senza una specie di morte" (H. de Lubac, Il mistero del soprannaturale).

Lo Spirito dà la vita, ma facendo prima morire la carne: "Se con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete" (Rm 8,13). La natura deve essere riplasmata e spiritualizzata per risorgere nella grazia. Gesù ha portato l’esempio del chicco di grano che, solo se muore, porta molto frutto (cfr. Gv 12,24).

In natura esiste un altro esempio: quello del baco da seta. La sua vicenda è una formidabile parabola per la vita spirituale. Il bruco è destinato a diventare una farfalla. Quello che prima strisciava per terra, ora vola; non ricorda più le sofferenze della sua evoluzione e non rimpiange ciò che era perché finalmente è diventato ciò che doveva essere.


4 - Maria discepola di Cristo

Come reagì Maria a questa condotta del Figlio e di Dio stesso nei suoi riguardi? Rileggendo il vangelo non troveremo mai il benché minimo accenno di contrasto di volontà, di replica o di autogiustificazione da parte di Maria; mai un tentativo di far cambiare decisione a Gesù! Docilità assoluta. Qui appare la santità personale unica della Madre di Dio, la meraviglia della grazia. Per rendersene conto basta un confronto. Per esempio con Pietro. Quando Gesù fece capire a Pietro che stava andando a Gerusalemme per morire in croce, egli protestò e disse: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22).

Pietro si preoccupava per Gesù, ma anche per sé. Maria no. Maria taceva. La sua risposta a tutto era il silenzio. Non un silenzio di ripiegamento e di tristezza. Quello di Maria era un silenzio buono, ricco di interiorità, ricco di fede, di grazia, di Dio. Anche quando Maria non capiva, è scritto che ella taceva e "serbava tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 2,51). Il fatto che tace non significa che per Maria è tutto facile. Ella fu esente dal peccato, non dalla lotta e dalla fatica del credere. Se Gesù ha dovuto sudare sangue per portare la sua volontà umana ad aderire pienamente alla volontà del Padre, non ci deve sorprendere che anche Maria abbia dovuto agonizzare.

Dopo aver contemplato nel capitolo precedente la Madre di Dio, contempliamo ora la discepola di Cristo. A proposito della parola di Gesù: "Chi è mia madre?... Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,33-35), sant’Agostino commenta: "Santa Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché Madre di Cristo. Vale di più, è una prerogativa più felice, essere stata discepola anziché Madre di Cristo. Maria era felice perché, prima di dare alla luce il Figlio, portò nel ventre il Maestro... È per questo dunque che anche Maria fu beata, poiché ascoltò la Parola di Dio e la mise in pratica. Corporalmente Maria è dunque soltanto madre di Cristo, ma spiritualmente gli è sorella e madre" (Disc. 72 A; La santa verginità, 5-6, PL 40,399).

Dobbiamo allora pensare che la vita di Maria fu una vita di continue afflizioni, una vita tetra? Al contrario. Maria scopriva di giorno in giorno una gioia di tipo nuovo rispetto alle gioie materne di Betlemme e di Nazaret. Gioia di non fare la propria volontà. Gioia di credere. Gioia di dare a Dio tutto. Gioia di scoprire Dio, le cui vie sono inaccessibili e i cui pensieri non sono i nostri pensieri: Dio, il Santo! "Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, Salvatore!" (Is 45,15).

La beata Angela da Foligno, che aveva fatto esperienze simili, parla della gioia dell’incomprensibilità. Essa consiste nel capire che non si può capire, ma che un Dio capito non sarebbe più Dio. Questa incomprensibilità, anziché tristezza, genera gioia, perché fa vedere che Dio è ancora più ricco e più grande di quanto riusciamo a comprendere. Questa è la gioia che i santi hanno in cielo e che la santa Vergine ebbe, in modo diverso, fin da questa terra (cfr. Il libro della B. Angela da Foligno, Istr. III, p. 468).

5 - "Se qualcuno vuol venire dietro di me..." (Mc 8,34)

Ora dobbiamo passare da Maria alla Chiesa, a noi. L’applicazione per noi è già scritta nel vangelo: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" (Mc 8,34-35).

Questo brano del vangelo è il segreto e il cardine della vita ascetica. Per essere disponibili a Dio fino alla morte dobbiamo rinnegare noi stessi. Lo stesso verbo rinnegare (arnèomai) viene usato anche quando si parla di rinnegamento di Cristo: "Chi mi rinnegherà davanti agli uomini..." (Mt 10,33). Le due cose sono in alternativa: o si rinnega se stessi o si rinnega Cristo. Non si può dire sì a uno senza dire no all’altro, perché i due - la carne e lo Spirito - hanno desideri contrari tra loro (cfr. Gal 5,17).

Il rinnegamento di sé non è fine a se stesso, ma è in funzione al seguire Cristo. Dire no a se stessi è il mezzo; dire sì a Cristo è il fine. Nel vangelo abbiamo un esempio pratico: Pietro rinnegò Gesù perché non aveva rinnegato se stesso. Volendo salvare la propria vita, rinnegò Cristo, la Vita. Si tratta di sapere quale fondamento vogliamo dare alla nostra vita: se il nostro io o Cristo; se vogliamo vivere per noi stessi o per il Signore.

Questa scelta si presenta in modo esigente nella vita dei martiri, ma in modo diverso la stessa scelta si impone a tutti i discepoli, ogni momento. Ogni no detto a se stessi per amore, è un sì detto a Cristo.

L’ascetica cristiana non è una rinuncia autolesionistica. È via al possesso di una vita più piena. Lasciare il proprio tugurio per trasferirsi in un magnifico palazzo non è essere rinunciatari. Lo sarebbe se facessimo il contrario e preferissimo rimanere nella nostra stamberga con i nostri quattro stracci. Il nostro io è la stamberga, Cristo è il palazzo.

Non occorre fare grandi sforzi per vedere che la nostra vita passa e si consuma; che la nostra zattera sta affondando sempre più, giorno per giorno. E allora, finché siamo in tempo, facciamo il salto della salvezza, traslochiamo prima di rimanere sotto le nostre stesse macerie.

Finché queste proposte restano a livello teorico sono poetiche e belle, ma quando dobbiamo scendere al concreto la cosa è tanto difficile. La natura mette in atto tutti i suoi meccanismi di difesa: essa vuol salvare la propria vita e non perderla. Essa tende a tenere Dio fuori dai propri confini, perché sa che l’avvicinarsi di Dio è la fine della sua quiete e della sua autonomia. Si accontenta delle sue piccole cose umane a buon prezzo e lascia a Dio le cose divine.

Maria sa comprendere e compatire queste nostre infermità, essendo stata provata lei stessa, in ogni cosa, come noi, eccetto il peccato. Ricorriamo dunque a lei e preghiamola con semplicità: Maria, aiutaci a non fare la nostra volontà; facci scoprire la gioia nuova di dare qualcosa a Dio, anziché chiedere sempre a Dio di dare a noi.


continua...............
[Modificato da Caterina63 03/08/2011 16:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)