00 15/12/2008 07:36

Postiamo il n.16 che era mancante....per ritornare dopo dal n. 19 in sequenza numerica...

http://www.stpauls.it/madre06/0610md/0610md08.htm 

La mariologia di Benedetto XVI – 16

 
di BRUNO SIMONETTO


La fede mariana della Chiesa

   

Nei dogmi mariani si realizza l’unità del vecchio e del nuovo Popolo di Dio e, più profondamente ancora, il mistero della creazione e dell’Alleanza.
 

Continuiamo l’analisi del libro del futuro Papa Benedetto XVI sulla Madonna: "Die Tochter Zion" [in italiano: La figlia di SionLa devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979-20064], risultato di tre Conferenze da lui tenute poco prima della sua nomina ad Arcivescovo di Monaco e Frisinga.

Ricordavamo già che, in sintesi, l’intento dell’Autore è quello di mostrare che la devozione a Maria nella Chiesa può avere fondamento e spazio nella Teologia e nella vita spirituale dei Cristiani. Due linee direttive guidano l’opera del teologo Ratzinger: in una prima riflessione [da noi riassunta nella precedente puntata] egli porta il lettore a scoprire una "teologia della donna" nel Vecchio Testamento; in una seconda [nella quale ora ci introduciamo] esamina i principali dogmi mariani, vedendo in essi l’unità del vecchio e del nuovo Popolo di Dio e, più profondamente ancora, il mistero della creazione e dell’Alleanza.

In queste due linee di riflessione teologico-mariologica si riassume il significato più proprio de "la devozione a Maria nella Chiesa": sottotitolo dell’opera che stiamo analizzando.

Come abbiamo visto, l’approccio al tema mariologico, per il grande teologo-esegeta Joseph Ratzinger, non poteva che prendere avvio dalla Sacra Scrittura: da qui la parte prima "introduttiva" del volumetto, dove si identificava come proprio "il luogo biblico della mariologia". Nella parte seconda dell’opera [= "La fede mariana della Chiesa"] si analizzano i dogmi mariani: quello originario della verginità e della maternità divina di Maria, la sua esenzione dal peccato di Adamo e l’assunzione corporale nella gloria celeste.

Sui singoli dogmi seguiremo l’analisi che ne fa Papa Ratzinger; qui intanto ne diamo un quadro d’insieme, quasi un’ouverture di sinfonia che li inquadra nel loro contesto teologico-mariologico.

Sandro Botticelli, Natività mistica – National Gallery, Londra.
Sandro Botticelli, Natività mistica – National Gallery, Londra.

Il fondamento biblico dei dogmi mariani

"Tutto il Nuovo Testamento – riprende Joseph Ratzinger – si fonda nel Vecchio; esso non vuole essere nient’altro che una nuova lettura dell’Antico Testamento alla luce di ciò che è avvenuto in Gesù di Nazareth e per mezzo di lui.

E nella mariologia è stato raggiunto, sotto un certo aspetto, il punto nodale di questo nesso: essa non può essere reperibile se non nell’unità con la teologia profetica del Popolo di Dio considerato come "fidanzata" e se, secondo Luca e Giovanni [i due più grandi scrittori mariani del Nuovo Testamento], in Cristo è presente il fatto nuovo della sua Parola, della sua vita, Passione, Croce e Risurrezione, Maria, con il suo silenzio e la sua fede, impersonifica la continuità che si realizza nei poveri di Jaweh, ai quali sono dirette le Beatitudini: "Beati in poveri in spirito" [Mt 5, 1].

In fondo, le Beatitudini non sono che una variazione della parte centrale e spirituale del Magnificat. "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" [Lc 1, 52]: questa parte centrale del Magnificat è il nucleo della teologia biblica del Popolo di Dio. E in questa prospettiva va vista anche la particolare struttura dei dogmi mariani, i quali - se così è - non possono assolutamente essere derivati soltanto da singoli testi del Nuovo Testamento, poiché essi esprimono il grande disegno unitario dei due Testamenti. Del resto, essi possono divenire visibili solamente per chi percepisce quest’unità, all’interno cioè di una prospettiva che comprende ed attua l’interpretazione ‘tipologica’, l’accordo dell’unica storia di Dio nella differenza delle varie storie di eventi esteriori.

[…] Perciò, lo spazio della mariologia, di una sana mariologia, va perso quando si dissolve l’unità tra Antico e Nuovo Testamento. E quest’unità dei Testamenti è insieme il presupposto perché rimangano intatte la dottrina della creazione e la dottrina della grazia. Nell’era moderna, tuttavia, la perdita dell’esegesi ‘tipologica’ [cioè, della connessione tra l’unica storia e le molte storie] ha condotto di fatto alla divisione dei Testamenti e, a causa di un isolamento della dottrina della grazia, ha al tempo stesso minacciato visibilmente anche la dottrina della creazione. Per questo - sia detto per inciso - si vede qui quanto la mariologia sia indice che fa capire se sono posti giustamente o no i pesi sulla bilancia della realtà cristiana".

Non si tratta, quindi, di costruire qui una elaborazione completa, di carattere scientifico, della mariologia, ma soltanto di sottolineare un meditato sviluppo dei fondamentali contenuti della pietà mariana della Chiesa. Non, dunque, una mariologia costruita pezzo dopo pezzo, partendo da singoli elementi scritturistici neotestamentari, ma dai fondamenti biblici complessivi sui quali si fondano i dogmi mariani.

Papa Benedetto XVI a Les Combes (AO), saluta i fedeli durante l'Angelus.
Papa Benedetto XVI a Les Combes (AO), saluta i fedeli durante l'Angelus.

Visione teologica unitaria dei quattro dogmi mariani

1] "Il più antico dogma mariano della Chiesa, il dogma mariano fondamentale, dice: Maria è sempre vergine ["semper virgo": Symbola, DS 10-30; 42/64; 72; 150], e madre; anzi, può essere chiamata "Madre di Dio" ["Theotókos": DS 251, Concilio di Efeso].

I due titoli sono uniti in modo strettissimo: quando la si chiama "Madre di Dio", noi usiamo anzitutto un’espressione dell’unità tra essere-Dio ed essere-uomo in Cristo, unità che è talmente profonda che, per gli avvenimenti umani, qual è la nascita, non si può immaginare un Cristo puramente umano, staccato dall’insieme del suo essere persona. Era stata questa l’argomentazione dei Nestoriani, i quali volevano si ammettesse solamente il titolo di "Madre di Cristo" [= Christotókos], al posto dell’appellativo "Theotókos". Ma in una simile dicotomia della figura di Cristo [nella quale il biologico-umano viene nettamente separato dall’essere divino], si celano concetti antropologici e teologici di grande importanza: dietro la formula "genitrice di Dio" vi è la convinzione che l’unità di questo Cristo sia tale che io non posso in qualche modo astrarre il Cristo puramente corporale, poiché nell’uomo è umano-corporale anche il corporale, come ci conferma la stessa biologia moderna.

[…] Ma se, per quanto concerne l’unità dell’uomo, essa è come la vede la fede dei Concili, allora la maternità di Maria ha profondamente a che fare col mistero dell’Incarnazione in quanto tale, e arriva al cuore del mistero stesso. In tal modo, la tesi cristologica dell’Incarnazione di Dio in Cristo diventa necessariamente mariologica, e in effetti essa lo fu fin dall’inizio. Viceversa, solamente se la cristologia è intesa in modo così radicale da toccare anche Maria e da diventare mariologia, è essa stessa radicale come dev’essere in base alla fede della Chiesa. Sicché il manifestarsi di un senso veramente mariologico è la regola per stabilire se sia veramente presente il contenuto cristologico [della fede].

[Nel Concilio di Efeso] la mariologia fu a difesa della cristologia; ciò non significa, evidentemente, istituire una concorrenza che sminuisce la cristologia, ma solo affermare che essa fonda il completo trionfo di una professione di fede in Cristo che, nella definizione dogmatica della divina maternità di Maria, ha raggiunto il suo pieno rigore.

Maria "Regina mundi" - Statua lignea [sec. XIV] venerata nella Cappella mariana del Duomo di Treviri.
Maria "Regina mundi" – Statua lignea [sec. XIV] venerata nella Cappella mariana del Duomo di Treviri.

La Chiesa credente, conformemente alla testimonianza di Matteo e di Luca, vide realizzata questa peculiarietà di una maternità che impegna tutto l’uomo per Colui che qui nasce, nell’unità di essere-madre e di essere-vergine di Maria; e, contemporaneamente, [si realizza] l’intreccio veterotestamentario di ‘benedetto’ e ‘non benedetto’, di ‘fecondo’ o ‘sterile’: elementi che si fanno conoscere in quest’unità come perenne contenuto di senso [di fede]".

[Vedremo, nella prossima puntata, quali sono i testi biblici che fondano questo "dogma originario" della perpetua verginità e della divina maternità di Maria].

2] "Dalla medesima radice della teologia del Popolo di Dio e dal suo compimento nella nuova maternità di Maria cresce un po’ alla volta la certezza la Santa Vergine sia esente da peccato, come espressione della sua particolare elezione ["immaculata conceptio", DS 2800-2804]".

Sono solo queste poche parole che l’Arcivescovo Joseph Ratzinger spende per introdurre l’analisi di questo dogma. Ma [nel seguito del discorso] il tema si allargherà tanto da concludere che "la dottrina dell’Immacolata alla fine è espressione della certezza della fede che esiste realmente la "Chiesa santa", come persona e in persona. In questo senso essa è espressione della certezza di salvezza della Chiesa. Di tale certezza partecipa la conoscenza che l’Alleanza di Dio in Israele non è fallita, ma è diventata il pollone dal quale è sbocciato il fiore di Cristo Redentore […]".

Lodi della Madre di Dio con Inno "Acathistos" - Icona del XVI sec., Mosca [Museo Russo di San Pietroburgo].
Lodi della Madre di Dio con Inno "Acathistos" – Icona del XVI sec., Mosca [Museo Russo di San Pietroburgo].

3] "La fede nell’esenzione di Maria da ogni peccato genera, a sua volta, la convinzione della sua partecipazione al destino di Risurrezione del Figlio ed alla sua vittoria sulla morte" ["assumpta est Maria in Coelum", DS 3900-3904].

Anche questo ultimo dogma mariano viene così semplicemente qui presentato. Ma per spiegare diffusamente in seguito questo dogma ricorrerà, fra l’altro, alla teologia battesimale elaborata da San Paolo che afferma: "Dio con Gesù Cristo ha risuscitato anche noi e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" [Ef 2, 6]. "Questo significa - rispondeva il Card. Ratzinger al giornalista tedesco Peter Seewald che lo intervistava sui principali temi della nostra fede - che, in quanto battezzati, il nostro futuro è già tracciato.

Secondo il dogma dell’Assunzione di Maria al Cielo si adempie, dunque, pienamente in Maria ciò che il Battesimo opera in tutti noi: il dimorare ["sedere"] con Dio "nei cieli" [perché Dio è nei Cieli!]. Il Battesimo [cioè, l’unione a Cristo] dispiega in Maria la sua massima efficacia. In noi l’unione a Cristo, la risurrezione, è una condizione ancora incompiuta e imperfetta. Non così per lei, cui non manca più nulla, poiché è già entrata nella piena comunione con Cristo. E di questa comunione è partecipe anche una nuova corporeità, per noi inimmaginabile. In breve, il portato essenziale i questo dogma è la pienezza dell’unione di Maria a Dio, a Cristo, la pienezza del suo essere ‘cristiana’".

Questi sono, intanto, approfondimenti davvero grandiosi della teologia-mariologia di Papa Ratzinger sulla fede mariana della Chiesa.

Bruno Simonetto



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La mariologia di Benedetto XVI – 19

 
di BRUNO SIMONETTO


L’esenzione di Maria
dal peccato di Adamo – 1

   

Nel dogma dell’Immacolata Concezione Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa, secondo un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente.
 

Continuando a rivisitare l’esposizione che nel libro La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa (Jaca Book, Milano 1979, 20064; originale tedesco Die Tochter Zion, Johannes Verlag, Einsiedeln 1977) il futuro Papa Benedetto XVI fa dei dogmi mariani, esaminiamo questa volta il dogma dell’esenzione di Maria Vergine dal peccato di Adamo.

Va peraltro posta una premessa, chiarendo che la trattazione dell’argomento del dogma dell’Immacolata da parte del cardinale Joseph Ratzinger è piuttosto una difesa del suo fondamento teologico-biblico che un’esposizione del dogma stesso, del quale del resto già abbiamo scritto nel numero di Madre di Dio dello scorso giugno 2006, citando la risposta dell’illustre teologo alla domanda del giornalista tedesco Peter Seewald che gli chiedeva «cosa si può dire del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria?» (cfr. Dio e il mondo, San Paolo, 2001, pp. 276-277, originale tedesco Gott und die Welt).

Spiegando la dottrina della Chiesa sul dogma dell’Immacolato Concepimento della Vergine Maria, legato al tema del peccato originale, Joseph Ratzinger diceva: «Lo sfondo di questo dogma è costituito dalla dottrina del peccato originale, secondo cui ogni uomo ha alle spalle un contesto di peccato (che abbiamo chiamato "distorsione relazionale") ed è quindi affetto fin dall’inizio da una distorsione nel suo rapporto con Dio. Gradualmente nel cristianesimo si è affermata la convinzione per cui colei che, fin dall’inizio, è destinata ad essere la "porta di Dio", che è stata consacrata a lui in maniera tanto particolare, non fosse riconducibile a questo contesto.

L'Immacolata Concezione, olio su tela di Martino Altomonte, 1719, Lubiana, Galleria nazionale della Slovenia.
L’Immacolata Concezione, olio su tela di Martino Altomonte, 1719, Lubiana, Galleria nazionale della Slovenia.

«Nel Medio Evo è sorta a questo proposito una forte controversia. Da una parte stavano i Domenicani che affermavano che Maria è una persona come le altre, e che quindi è intaccata dal peccato originale. Dall’altra parte stavano i Francescani che sostenevano la posizione opposta. Nel corso di questa lunga disputa si è lentamente formata la convinzione che l’appartenenza di Maria a Cristo prevalesse sull’appartenenza ad Adamo e che inoltre la sua consacrazione a Cristo fin dalla notte dei tempi (perché Dio precede ognuno di noi, e i pensieri di Dio ci plasmano fin dall’inizio) fosse l’elemento caratterizzante della sua esistenza.

«Maria non è concepibile all’interno del contesto creato dal peccato originale perché con lei ha inizio una nuova storia: la sua relazione con Dio non è distorta, fin dall’inizio gode dello sguardo benevolo di Dio che "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Magnificat) e le ha consentito di sollevare a sua volta lo sguardo fino a lui.

«Non solo; ma la sua appartenenza a Cristo, così specifica, comporta anche la grazia di cui è ricolma. Le parole dell’angelo: "piena di grazia", che inizialmente ci sembrano così semplici, possono essere interpretate fino ad abbracciare l’intero arco temporale della sua esistenza. E, in ultima analisi, non esprimono un privilegio riservato a Maria, ma una speranza che ci riguarda tutti» (Dio e il mondo, pp. 276-277).

Risposta a due obiezioni al dogma dell’Immacolata Concezione

Nel capitolo "L’esenzione dal peccato di Adamo" (La figlia di Sion, pp. 59ss.) il teologo-mariologo Ratzinger intende piuttosto rispondere alle due obiezioni che si muovono al dogma dell’Immacolata:

1 «La prima dice: la preservazione dal peccato originale (se c’è) è un fatto. Non si possono però desumere dei fatti mediante speculazioni; li si può conoscere solamente per comunicazione (rivelazione). Ma non esiste una simile comunicazione relativa a Maria, poiché in tutto il primo millennio non se ne sa nulla. Di conseguenza, la dottrina che ciò nonostante viene proposta può essere solamente un eccesso della speculazione».

Edicola sacra raffigurante l'Immacolata Concezione, in via dei Cappellari a Roma.
Edicola sacra raffigurante l’Immacolata Concezione, in via dei Cappellari a Roma.

2 «L’altra obiezione sostiene che con una siffatta affermazione verrebbe negata l’universalità della grazia. La disputa della teologia medioevale si muove attorno a questo problema; la teologia della Riforma le ha conferito una forma ancora più fondamentale, quando ha determinato l’essenza della grazia come giustificazione del peccatore. Può bastare, in questa sede, rimandare al rappresentante sicuramente più impressionante della fede dei riformatori, Karl Barth, il quale – in una teologia che vorrebbe attribuire a Maria una certa qual autonomia nella storia della salvezza – vede il tentativo di "illustrare e fondare solo in un secondo momento, a partire dall’uomo, dalla sua recettività" il prodigio della rivelazione» (cfr. K. Barth, Kirchliche Dogmatik, I/2, p. 158s., nota).

Perciò, per Barth «l’accettazione di Maria può significare solamente che per lei, "malgrado i peccati dei quali […] è colpevole, viene accettata come colei che concepisce il Dio eterno" (cfr. Kirchliche Dogmatik, I/2, p. 214). Barth si trova qui sulla linea di Lutero della rigida contrapposizione tra legge e vangelo: tra Dio e l’uomo non vi è alcuna corrispondenza (analogia), ma solamente opposizione (dialettica). Là dove l’agire di Dio viene presentato sulla base della corrispondenza, sembra che sia negata la grazia pura, la giustificazione senza meriti».

Ratzinger si chiede poi se tutto questo sia giusto; e per rispondere alle argomentazioni di Barth si rifà al domenicano B. Langenmeyer il quale, «facendo riferimento al Concilio Vaticano II, ha di nuovo sottolineato con decisione la tipologia (si potrebbe tradurre: la dottrina della corrispondenza) che congiunge Antico e Nuovo Testamento nell’unità interiore di promessa e di compimento» (cfr. B. Langenmeyer, "Konziliare Mariologie und biblische Typologie…" in Catholica 2 1 , 1967, 295-316).

L’argomentazione che Ratzinger riprende da Langenmeyer e sviluppa è la seguente: «La tipologia, in quanto forma di interpretazione, comprende analogia, somiglianza nella dissomiglianza, unità nella separazione. Ora, già le considerazioni che abbiamo svolto sino a questo punto si sono basate su questa visione, sull’affermazione della profonda unità esistente tra i due Testamenti. Esse si rendono chiare ora nel riferimento al fatto concreto. Così – continua Ratzinger – per il nostro problema Langenmeyer fa presente che alla severa predicazione dei profeti (nella quale vi è il momento della discontinuità) appartiene sostanzialmente anche il riferimento al resto santo di Israele, quel resto che sarà salvato: un pensiero questo che Paolo riprende esplicitamente in Rm 11, 6, vedendolo adempiuto nell’Israele cristiano. Resto santo; ciò vuol dire che la continuità non sta solamente nella volontà divina, mentre nella storia vi sarebbero solamente rottura ed opposizione, ma che vi è continuità anche dentro la storia: la Parola di Dio non resta parola vuota».

La festa dell'Immacolata a Roma: un vigile del fuoco pone una corona di fiori come omaggio alla statua della Madonna in piazza di Spagna (dicembre 2006).
La festa dell’Immacolata a Roma: un vigile del fuoco pone una corona di fiori come omaggio
alla statua della Madonna in piazza di Spagna (dicembre 2006).

Maria, "risposta" alla Parola di Dio

Nel seguito della pagina riportata da La figlia di Sion vengono citati, in sequenza, tre passi dall’articolo di Langenmeyer:

a) «Il parlare di un resto che ha resistito, di una "radice santa", sarebbe assurdo se l’antica alleanza avesse condotto solamente alla caduta e al peccato. Allora ci sarebbe solamente un inizio nuovo» (p. 304).

b) «L’agire di Dio non cade solo verticalmente sulla storia già trasformatasi per il suo stesso agire. La fede non cade dal cielo. Essa viene accolta, in incontro orizzontale-storico, come sgorgante dalla testimonianza di fede» (p. 313).

c) «In Maria, la discendenza fisica del popolo eletto è arrivata completamente a termine insieme alla fede nella promessa fatta a questo popolo. E con questo – non per opera umana, ma per la grazia dell’alleanza che governa la storia – si è realizzato alla fine anche quel senso di salvezza che doveva spettare, secondo il piano salvifico di Dio, all’antica alleanza: accogliere, cioè, fisicamente e spiritualmente quel regno escatologico di Dio che Dio voleva far giungere, per mezzo di Israele, a tutti i popoli della terra» (p. 314, cfr. La figlia di Sion, p. 61-62).

Tali argomentazioni vengono quindi "magistralmente" applicate al dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.

«Resto santo, in quanto espressione strutturale – ripete Ratzinger – significa che la Parola di Dio porta realmente frutto, che Dio non è l’unico attore della storia, la quale sarebbe così solo un monologo di Dio, ma significa che egli trova una risposta che è veramente risposta. Maria, come resto santo, esprime il fatto che in lei antica e nuova alleanza sono realmente una sola cosa. Ella è interamente giudea, interamente figlia d’Israele, dell’antica alleanza; e, proprio per questo, figlia dell’alleanza in generale, interamente cristiana: madre della Parola. Perciò, per il fatto che ella è la nuova alleanza nell’antica alleanza; anzi, come antica alleanza, come Israele, non c’è alcuna comprensione della sua persona e della sua missione là dove si spezzano Antico e Nuovo Testamento».

Immacolata Concezione, olio su tavola di ignoto ligure, XVI secolo, conservato nella Pinacoteca civica di Savona.
Immacolata Concezione, olio su tavola di ignoto ligure, XVI secolo, conservato nella Pinacoteca civica di Savona.

Poiché Maria «è interamente risposta, corrispondenza, non vi è nessuna possibilità di comprenderla là dove la grazia può esser vista solamente come opposizione; vale a dire: là dove una risposta, una reale risposta della creatura, appare come negazione della grazia. Infatti, una parola che non arriva mai, una grazia che resta solamente nel progetto di Dio e non si fa risposta ad esso, non sarebbe grazia, ma vuoto gioco.

«Ciò che, a partire da Eva, viene descritto come la natura della donna: il fatto di essere "persona di fronte" che è tutta nel "derivare dall’altro" e che è, tuttavia, "la persona che questi ha di fronte", ottiene qui il suo significato più alto: pura derivazione da Dio e, al tempo stesso, il più concreto essere di fronte nell’essere proprio della creatura che è diventata risposta» (p. 63).

Si comprende bene da quest’analisi (che completeremo in una seconda puntata, nel numero di aprile) che a papa Benedetto XVI interessa particolarmente mettere in evidenza il fatto che «il dogma dell’Immacolata applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all’antitetica vecchio-nuovo Israele e se esse sono, in questo senso, un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa di conseguenza che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (La figlia di Sion, p. 65).



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La mariologia di Benedetto XVI – 20

 
di BRUNO SIMONETTO


L’esenzione di Maria
dal peccato di Adamo – 2

   

Il discorso mariologico dell’Immacolata Concezione di Maria si lega alla visione ecclesiologica del nuovo Israele, ecclesia immaculata – Significato teologico dell’espressione «preservata dal peccato originale».
 

Continuiamo a visitare l’esposizione che nel libro La figlia di Sion – La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979 (20064) il futuro papa Benedetto XVI fa dei dogmi mariani, seguitando a esaminare in questa seconda parte – dopo quanto abbiamo scritto nel numero del marzo scorso – il dogma dell’esenzione di Maria Vergine dal peccato di Adamo.

L’esenzione dal peccato originale è conosciuta tipologicamente

Concludevamo nella precedente puntata il discorso su Maria, "risposta" alla Parola di Dio, affermando che si comprendeva bene dall’analisi fatta che a Benedetto XVI interessa particolarmente mettere in evidenza che «il dogma dell’Immacolata applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all’antitetica Vecchio-Nuovo Israele; e poiché esse sono, in questo senso, un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa di conseguenza che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (pag. 65).

La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.
La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.

Ma prima di arrivare a questa conclusione, rileggiamo alcuni passaggi precedentemente esposti nei "chiarimenti" del teologo Ratzinger, dove si afferma che «rimane però aperta la questione del "fatto" del peccato originale; ed essa chiede nuovamente una risposta: benissimo, dal punto di vista concettuale può essere questa una risposta ragionevole – si obietta ora –, ma chi ci autorizza ad asserire come dato di fatto che Maria è proprio questo "resto santo"? Non viene forse desunto dal principio un fatto che non può derivare solamente da esso? Al riguardo ci sarebbe anzitutto da osservare che il concetto di fatto, riferito al peccato originale, non è comunque applicabile nella sua crudezza positivistica. Infatti, lo stesso peccato originale non è un fatto nel senso positivistico, constatabile come, ad esempio, lo è il fatto che Goethe è nato il 28 agosto 1749. Il peccato originale è un "fatto", una realtà d’altro tipo, di modo che di esso si può sapere e si sa soltanto partendo dalla tipologia: il testo basilare di Rm 5 (sulle conseguenze del peccato di Adamo e su Adamo figura di Cristo) è una interpretazione tipologica dell’Antico Testamento. Il peccato originale si riconobbe solamente nel tipo di Adamo e nel suo ricorrere nelle svolte della storia. La sua affermazione si basa perciò sull’identificazione tipologica di ogni singolo uomo con l’uomo in genere, con la media-uomo, con l’uomo a partire fin dalle sue origini. Il peccato originale, fin dall’inizio, non è stato trasmesso (e, da quel momento, tramandato) come fatto, ma attraverso un’interpretazione tipologica della Scrittura; è stato quindi conosciuto per via teologica (concettuale).

«Avere disconosciuto ciò fu probabilmente l’errore principale della dottrina neo-scolastica del peccato originale; nel momento in cui quest’errore era commesso, in misura maggiore o minore, esso, in connessione con la totale mancanza di comprensione di un’identificazione tipologica, condusse alla contestazione del peccato originale, ossia all’impossibilità di potervi pensare e di poterne parlare. Se questa è la situazione, è chiaro che anche una libertà dal peccato originale non può essere tramandata come un fatto, ma essa viene conosciuta tipologicamente: non c’è altro modo» (pp. 63-64).

Adamo ed Eva con il serpente; in primo piano Gesù Cristo redentore, dipinto di Nino e Silvio Gregori tratto da La divina commedia - Paradiso, Famiglia Cristiana 1992.
Adamo ed Eva con il serpente; in primo piano Gesù Cristo redentore, dipinto di Nino e Silvio Gregori
tratto da La divina commedia - Paradiso, Famiglia Cristiana 1992.

La dottrina dell’Immacolata anticipata come ecclesiologia

È davvero entusiasmante che Ratzinger leghi, per così dire, il discorso mariologico dell’Immacolata concezione di Maria alla visione ecclesiologica del nuovo Israele, Ecclesia immaculata.

Egli afferma categoricamente: «Se si cerca un’identificazione tipologica che fonda la libertà di Maria dal peccato originale, non c’è bisogno di cercare a lungo. La lettera agli Efesini descrive il nuovo Israele, la sposa, con le espressioni "santa", " immacolata", "tutta gloriosa", "senza macchia né ruga o alcunché di simile" (Ef 5, 27). Nella teologia patristica quest’immagine dell’Ecclesia immaculata è stata ulteriormente sviluppata in testi di innodica bellezza (cf K. Rahner, Maria und die Kirche, Innsbruck 1951; A. Müller, Ecclesia-Maria, Fribourg 19552).

«Ciò vuol dire che, fin dall’inizio, esiste nella Scrittura e soprattutto nei Padri una dottrina dell’Immacolata, come dottrina però dell’Ecclesia immaculata; la dottrina dell’Immacolata, al pari di tutta la mariologia successiva, è qui anticipata in primo luogo come ecclesiologia. L’immagine della Chiesa vergine-madre è stata riferita a Maria secondariamente, non viceversa. […] Ciò significa conseguentemente che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (pp. 64-65).

La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.
La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.

Dunque, il tipo di cui parla l’ecclesiologia del Nuovo Testamento e dei padri della Chiesa esiste in Maria come persona.

«Ma chi ci autorizza», si chiede poi Ratzinger, «a personalizzare il tipo in Maria e non diversamente?». Citando, fra l’altro, studi di R. Laurentin (Court traité de théologie mariale, Paris 1953) e di Hans Urs von Balthasar ("Wer ist die Kirche?" in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1954), Ratzinger risponde che «l’identificazione tipologica tra Maria e Israele, la presenza del tipo nella persona, è stata chiaramente attuata in Luca (e, in maniera diversa, in Giovanni)». E aggiunge: «Nella struttura della teologia biblica essa non è meno presente dell’interpretazione sistematica del tipo Adamo-Cristo nella dottrina del peccato originale. Grazie alla parificazione lucana della vera figlia di Sion con la Vergine che ascolta e crede, quell’identificazione è quindi presentata in forma completa nel Nuovo Testamento» (La figlia di Sion, pp. 65-66).

Cosa significa «preservata dal peccato originale»?

Infine, come addentrandosi nel cuore del dogma dell’Immacolata, il teologo si chiede che cosa significhi propriamente l’espressione «preservata dal peccato originale».

E, di sicuro per ovviare a superficiali spiegazioni correnti del peccato di origine, specifica che con l’affermazione dell’esenzione di Maria dal peccato originale è stata troncata ogni visione di tipo naturalistico di questo: «Da qui in poi, si dovrà dire che il peccato originale non è un’affermazione riguardante una mancanza naturale nell’uomo o riferita all’uomo stesso, ma un’affermazione di relazione, la quale è ragionevolmente formulabile soltanto nel contesto di relazione Dio-uomo» (La figlia di Sion, pp. 66-67).

L'Immacolata Concezione, dipinto Zurbarán, Budapest, Museum of fine arts.
L’Immacolata Concezione, dipinto Zurbarán, Budapest, Museum of fine arts

Il che significa che il peccato originale consiste nella spaccatura tra quello che l’uomo è a partire da Dio e ciò che è in se stesso, nell’opposizione tra il volere del Creatore e l’essere empirico-esistenziale dell’uomo. Allora – è la logica conclusione di Ratzinger – proclamare l’esenzione di Maria dal peccato originale è affermazione equivalente al fatto che in lei non c’è opposizione tra l’essere di Dio e l’esistenza (o il non-essere creaturale) dell’uomo, ma piuttosto c’è un intrecciarsi del di Dio con il della Vergine-Madre: «Preservazione dal peccato originale non significa quindi una particolare capacità; essa, al contrario, significa che Maria non riserva come per sé nessun settore dell’essere, della vita, della volontà, ma si appropria veramente di se stessa nella totale espropriazione per Dio: la grazia, in quanto espropriazione, diviene risposta che assume la forma di un trasferimento. Pertanto, partendo da un altro punto di vista, qui si rendono comprensibili il mistero della fertilità sterile, il paradosso delle madri sterili, il mistero della verginità: espropriazione come appropriazione, come sede della nuova vita.

«Perciò», è la conclusione originale e assolutamente rigorosa del teologo Joseph Ratzinger, «la dottrina dell’Immacolata alla fine è espressione della certezza della fede che esiste realmente la Chiesa santa, come persona e in persona. In questo senso, essa è espressione della certezza di salvezza della Chiesa. Di tale certezza partecipa la conoscenza che l’alleanza di Dio in Israele non è fallita, ma è diventata il pollone dal quale è sbocciato il fiore, il Redentore.

«La dottrina dell’Immacolata testimonia quindi che la grazia di Dio è stata sufficientemente potente da suscitare una risposta; testimonia che grazia e libertà, grazia ed essere se stessi, rinuncia e compimento si contraddicono solamente in apparenza, mentre in verità una condiziona e procura l’altra» (p. 67).

L'Immacolata Concezione, dipinto di Rubens, Madrid, Museo del Prado.
L’Immacolata Concezione, dipinto di Rubens, Madrid, Museo del Prado
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Si chiarisce così ancora meglio la trattazione del dogma dell’Immacolata che fa qui il cardinale Joseph Ratzinger, legandolo al tema del peccato originale, come si evinceva già dalla risposta dell’illustre teologo alla domanda del giornalista tedesco Peter Seewald che gli chiedeva «cosa si può dire del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria» (Dio e il mondo, Edizioni San Paolo 2001, pp. 276-277): «Lo sfondo di questo dogma è costituito dalla dottrina del peccato originale, secondo cui ogni uomo ha alle spalle un contesto di peccato (che abbiamo chiamato "distorsione relazionale") ed è quindi affetto fin dall’inizio da una distorsione nel suo rapporto con Dio. Gradualmente nel cristianesimo si è affermata la convinzione per cui Colei che, fin dall’inizio, è destinata ad essere la "porta di Dio", che è stata consacrata a lui in maniera tanto particolare, non fosse riconducibile a questo contesto.

«[…] Nel corso di una lunga disputa teologica si è lentamente formata la convinzione che l’appartenenza di Maria a Cristo prevalesse sull’appartenenza ad Adamo e che inoltre la sua consacrazione a Cristo fin dalla notte dei tempi (perché Dio precede ognuno di noi, e i pensieri di Dio ci plasmano fin dall’inizio) fosse l’elemento caratterizzante della sua esistenza.

«Maria non è concepibile all’interno del contesto creato dal peccato originale perché con lei ha inizio una nuova storia: la sua relazione con Dio non è distorta, fin dall’inizio gode dello sguardo benevolo di Dio che "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Magnificat) e le ha consentito di sollevare a sua volta lo sguardo fino a lui.

«Non solo; ma la sua appartenenza a Cristo, così specifica, comporta anche la grazia di cui è ricolma. Le parole dell’angelo: "piena di grazia", che inizialmente ci paiono così semplici, possono essere interpretate fino ad abbracciare l’intero arco temporale della sua esistenza».











[Modificato da Caterina63 25/09/2009 16:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)