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[SM=g1740758] 3. «Ricordati del giorno di riposo, per santificarlo» (Esodo 20, 8)

 

    Occupa convenientemente il terzo posto, dato che prima dobbiamo venerare Dio col cuore, indi con le parole, e prestargli infine il dovuto ossequio nell'agire. Per questo egli ha stabilito che gli uomini avessero un giorno determinato, in cui dedicarsi [più interamente] al suo servizio.

    Tale opportunità è ben motivata.

 

    I. Il comandamento del giorno sabatico (172) doveva confutare l'errore - previsto dallo Spirito Santo - di quei filosofi che avrebbero sostenuto l'esistenza ab aeterno del creato. «Negli ultimi giorni verranno degli uomini beffardi, schernitori, che vivono secondo le loro passioni. E diranno: dov'è la promessa della sua venuta? Poiché, da quando i padri sono morti, tutto è rimasto come era fin dal principio della creazione. Ma essi a bella posta vogliono ignorare come in principio vi erano i cieli e una terra, che la Parola di Dio aveva fatto emergere dalle acque» (2 Pt 3, 3-5).

    Dio ha voluto che, a ricordo della creazione operata in sei tempi - nonché del settimo, in cui egli cessò dal chiamare altre creature all'esistenza -, osservassimo anche noi un giorno di riposo. È appunto il «ricordati di santificare la festa».

    I giudei celebravano di sabato la memoria della prima creazione. Cristo operò la seconda proprio il giorno in cui si concludeva la settimana [giudaica]. Da questa seconda creazione non ebbe origine l'uomo terrestre, bensì l'uomo spirituale: la nuova creatura, quella che ha valore agli occhi del Padre (cf. Gal 6, 15). Essa prese a vivere in forza della risurrezione di Gesù (cf. Rm 6, 4-5). Ora, la risurrezione del Signore avvenne nel giorno che i cristiani hanno a lui dedicato. Per questo noi celebriamo la domenica [giorno della risurrezione, o della nuova creazione], come i giudei avevano il sabato in venerazione.

 

    2. Esso ha valore di insegnamento religioso intorno al redentore, il cui corpo nel sepolcro fu esente dal processo di decomposizione. La sua carne, secondo il salmista, riposò nella speranza (cf. Sal 15, 9), ossia nella certezza che «il Santo» non sarebbe stato abbandonato alla corruzione della morte (cf. Sal 15, 10). Con la quiete del giorno festivo è simboleggiata la sua deposizione dalla croce, come i sacrifici ne prefigurarono la morte. Noi non pratichiamo più i riti sacrificali dell'antica alleanza per il motivo che, sopraggiunta la realtà messianica, i simboli hanno perso il loro significato. Col sorgere del sole svaniscono le ombre notturne. Tuttavia veneriamo il sabato in onore della gloriosa Vergine che pure in tal giorno serbò la fede nel Cristo, sebbene [come uomo] lo sapesse morto.

 

    3. Poi [tale precetto] ha il compito di dar maggiore efficacia alla promessa quiete [eterna], allorché si avvererà qualcosa di assai più grande e durevole di quanto profetava Isaia ai deportati in Babilonia: «Il Signore ti darà riposo dalla tua pena, dai tuoi affanni e dalla dura servitù in cui eri tenuto» (Is 14, 3) e abiteremo in un soggiorno di pace, in dimora sicura, in luoghi di perfetta quiete (cf. Is 23, 18).

    L'uomo attende di potersi riposare sia dal peso della vita terrena, sia dagli assalti delle tentazioni, sia dalla dipendenza da satana. Cristo ha promesso tutto ciò a coloro che seguiranno lui: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre; poiché il giogo è soave, e leggero il mio peso» (Mt 11, 28-30).

    Dobbiamo riflettere sul fatto che se il Creatore operò in sei fasi (173), riposandosi in quella successiva, lo fece per mostrarci che ogni cosa dev'essere compiuta nel miglior modo possibile. Anche se avremo faticato poco, troveremo un abbondante riposo (cf. Sir 51, 35), poiché l'eternità eccede senza paragone il tempo presente: assai più che mille anni di fronte alla durata di un giorno (cf. Sal 89, 4).

 

    4. Esso si rivela quale mezzo adattissimo ad alimentare l'amore verso Dio. Da un lato è vero che «il nostro corpo corruttibile è di peso all'anima, e questa abitazione di argilla grava la mente nei suoi pensieri» (Sap 9, 15), ossia l'uomo tende sempre a cose che sono inferiori a lui per natura, se non cerca di sottrarsi al loro fascino. Opportuno quindi un giorno che faciliti questa elevazione.

    Vi sono uomini che stabilmente si dedicano alla quiete [della contemplazione], che sembrano ripetere in continuazione: «Benedirò il Signore in ogni tempo» (Sal 33, 2) e fan proprio l'invito dell'Apostolo di pregare senza intermissione (cf. I Ts 5,17): vivono quasi un lungo giorno consacrato a Dio.

    Altri ve ne sono, che fanno questa offerta del loro tempo a intervalli regolari. Ad esempio, lodano il Signore sette volte al dì [nella recita del divino ufficio]. Affinché i rimanenti uomini non si scordassero di Dio completamente, è stato necessario assegnar loro un giorno stabilito: l'unico modo per evitare che il loro amore verso di lui si raffreddi troppo. Anch'essi potranno gustare le delizie dell'incontrarsi con Dio, venerandolo almeno nel giorno del riposo (cf. Is 58, 13-14), e con Giobbe troveranno gioia nell'Onnipotente, nel sollevare il volto e il cuore verso di lui (cf. Gb 22, 26).

    Il giorno della festa non è stato istituito perché l'uomo lo trascorra per intero nei divertimenti, bensì per rendere più intensa la lode e la preghiera (174). Sant'Agostino sosteneva che arare in giorno di festa sarebbe stato un male minore che immergersi senza freno nei passatempi.

 

     5. Con esso ci viene fornita la possibilità di esercitare le opere di misericordia. È sempre esistita infatti gente che, disumana verso sé e verso gli altri, non smetterebbe mai d'affaticarsi pur di accumulare nuovi guadagni. Ordina perciò il Signore: «Osserva il giorno del riposo santificandolo, come il Signore, Iddio tuo, ti ha comandato. Lavora sei giorni... ma al settimo c'è riposo, è sacro al Signore, Iddio tuo; non fare nessun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava... affinché anch'essi possano prender fiato al pari di te» (Dt 5, 12-14).

    «Ricordati di santificare il giorno del riposo». Abbiamo detto che, mentre i giudei celebravano il sabato, noi cristiani dedichiamo al Signore la domenica e altre feste tra le principali. Vediamo adesso come convenga vivere tali giornate.

    Cominciamo intanto col far notare che la Scrittura non dice semplicemente «osserva», bensì «ricordati di santificare» il giorno di festa.

    Santo si può intendere in due sensi. Indica ciò che è puro («Voi siete stati lavati, siete stati santificati» (I Cor 6, 11)), o una cosa consacrata al culto di Dio (e può dirsi santo un luogo, un determinato tempo, le vesti e i vasi sacri). Ebbene, la festa dobbiamo celebrarla tenendo presenti entrambi i significati del termine. Dobbiamo cioè dedicarci al giorno del riposo con animo puro, attendendo in prevalenza al divino servizio. Bisognerà astenersi da alcune cose, e farne invece alcune altre.

    Evitare cioè tre generi di occupazioni, cominciando dai lavori servili. «Abbiate cura... di non portare un peso in giorno di sabato... In tale giorno non fate alcun lavoro» (Ger 17, 22); altrettanto prescriveva il Levitico: «Non farete in quel giorno alcuna opera servile» (Lv 23, 25). Per opera servile deve intendersi quella che affatica il corpo: infatti l'attività liberale è propria dell'anima, come il pensare e simili occupazioni più spirituali, riguardo alle quali l'uomo non può subire costrizioni.

    Tuttavia, quattro scusanti possono giustificare il lavoro fisico nel giorno festivo.

    La necessità: il Signore stesso difese i discepoli che [per sfamarsi] coglievano spighe di sabato (cf. Mt 12, 1-2). Per l'utilità della Chiesa: così il Vangelo narra che i sacerdoti in quel giorno compivano tutto ciò che era richiesto dai sacrifici cultuali (cf. Mt 12, 1-5). Per aiutare il prossimo: Gesù curò di sabato l'uomo dalla mano inaridita, e ridusse al silenzio quei giudei che lo avevano contestato, portando loro l'esempio della pecora tratta in salvo (cf. Mt 12, 10-13). Per ordine della superiore autorità: ad esempio, il Signore ordinò che gli israeliti praticassero la circoncisione anche di sabato (cf. Gv 7, 22-23).

    Poi dovremo astenerci [più che mai nel giorno sacro] dalle colpe. Si può qui applicare l'avvertenza di Geremia: «Se volete salva la vita, non portate pesi di sabato» (Ger 17, 21), poiché il peccato è un tremendo fardello per l'anima, che faceva sospirare Davide: «Le mie iniquità... come un grave peso mi opprimono» (Sal 37, 5).

    Orbene, anche il lavoro servile può costituire peccato, una specie di schiavitù interiore (cf. Gv 8, 34). Cosicché l'invito a non compiere lavori servili nel tempo della festa, può intendersi come un ulteriore invito a non cadere in peccato. Viola quindi questo precetto chi pecca nel giorno di festa. Potrebbe ripeterci il profeta, a nome del Signore: «I vostri sabati e le adunanze rituali non le posso soffrire» (Is I, 13-14). E sapete perché? Per il fatto che «il vostro è un ritrovarsi che sa d'iniquo» (Is I, 13-14). Per questo Jahvè dichiarava di odiarle, d'essere stanco di sopportarle.

    Va evitata l'inerzia totale. «L'ozio è il maestro di tutti i vizi» (Sir 33, 29), per cui Girolamo raccomandava a Rustico: «Abbi sempre qualcosa da fare, in modo che il demonio ti trovi continuamente occupato». Non sarebbe nel giusto chi si contentasse di osservare le feste principali, per poi restarsene in ozio nei rimanenti giorni. «Fa onore al re osservare la giustizia» (Sal 98, 4), nel nostro caso il discernimento. Nella storia dei Maccabei si racconta che alcuni israeliti si erano nascosti e, (convinti che. non fosse lecito neppur difendersi di sabato, quando i nemici irruppero su di loro li massacrarono (cf. I Mac 2, 29-38). Accade qualcosa di simile a molti che trascorrono inerti i giorni della festa. «La videro i suoi nemici, e risero dello stato di abbandono [in cui giaceva Gerusalemme]» (Lam I, 7). Era assai meglio imitare quegli altri giudei che stabilirono, prudentemente: «Chiunque venga a battaglia contro di noi in giorno di sabato, combatteremo contro di lui, per non morire» (I Mac 2, 41).

    «Ricordati di santificare la festa». Sin qui si è veduto che santo può avere il senso di cosa monda o consacrata a Dio. E abbiamo esaminato pure da quali pratiche ci si debba astenere per la durata del giorno festivo.

    Vediamo adesso quali siano le specifiche occupazioni dei giorni santi.

    È conveniente innanzitutto attendere all'offerta del sacrificio. Jahvè prescrisse che ogni giorno gli fossero immolati due agnelli, uno al mattino, l'altro all'ora del véspro. Ma di sabato l'offerta doveva essere raddoppiata (cf. Nm 28, 9). E questo indica che nel giorno festivo dobbiamo offrire a Dio in sacrificio, per intero, il nostro essere. «Tutto proviene da te, e noi non facciamo che restituirti quello che la tua mano ci ha dato» (I Cr 29, 14).

     Rimettiamo nelle sue mani la nostra anima, dolendoci dei peccati commessi («Sacrificio a Dio è uno spirito contrito» (Sal 50, 19) e ringraziandolo dei benefici («S'innalzi la mia preghiera come un incenso al tuo cospetto» (Sal 140, 2)). Il giorno festivo infatti è particolarmente idoneo a procurarci quella letizia spirituale che promana dalla preghiera, per cui in tal giorno dovremo moltiplicare il nostro dialogo col Signore.

    È giusto affliggere il corpo, [tra l'altro] mediante il digiuno («Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi quale ostia viva» (175) oltre che mediante la lode («L'offerta della lode mi onorerà» (Sal 49, 23); perciò nel giorno festivo vengono moltiplicati i canti.

     Farai bene a sacrificare qualcosa dei tuoi averi, distribuendo il superfluo. «Non vogliate dimenticarvi della beneficenza e della comunione [nella carità], poiché con tali vittime si guadagna la benevolenza di Dio»  (Eb 13, 16). Una carità operosa e più abbondante che negli altri giorni della settimana, facendo sì che la letizia divenga generale. «Mandate una parte [dei vostri cibi e delle vostre bevande] a quelli che non han potuto preparare nulla, perché questo giorno è sacro al Signore» (Ne 8, 10).

    Dobbiamo inoltre dedicarci alla meditazione delle divine verità, come fanno tuttora gli ebrei. «Gli oracoli dei profeti si leggono tutti i sabati» (At 13, 27). Dunque, i cristiani, che devono mostrarsi più perfetti di loro, devono frequentare la chiesa per ascoltarvi la parola di Dio e i canti della liturgia. «Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio» (Gv 8, 47).

    Il nostro parlare dev'essere [più che mai] teso alla edificazione del prossimo: «Non esca dalla vostra bocca alcun cattivo discorso, ma tale che sia atto a insegnare le verità della fede e risulti utile a coloro che ascoltano» (Ef 4, 29). Ciò, assieme alla riflessione sulla divina parola, fa del bene a chi vive nel peccato, poiché mutano in meglio le sue disposizioni interiori. «La mia parola non è forse come il fuoco, dice il Signore, come il martello che frantuma le pietre?» (Ger 23, 29).

    Non ne ricavano frutto invece quei buoni che non si preoccupano di comunicare ad altri la Parola che hanno ascoltato, oppure non l'ascoltano essi stessi. «I cattivi discorsi corrompono i costumi virtuosi. State all'erta, voi giusti, e non peccate» (I Cor 15, 33-34); e un salmo ci esorta alla continua meditazione della legge di Dio, quale mezzo validissimo per evitare di offenderlo (cf. Sal 118, 11). La dottrina [del Signore] infatti istruisce chi non sa («La tua parola è una lampada dinanzi ai miei piedi, una luce sui miei sentieri» (Sal 118, 105), e infervora il tiepido: «La parola del Signore lo infiammò» (176).

    Infine, sarà utile dedicarci alle pratiche che alimentano la pietà, come fanno i più progrediti [nella vita spirituale]. «Fate esperienza di quanto sia soave il Signore» (Sal 33, 9). Ne trarrà vantaggio l'anima, innanzi tutto: l'anima che desidera quei momenti di quiete, non meno che il corpo affaticato. E non c'è luogo in cui lo spirito si senta rinascere, meglio che accanto al Signore. «Sii per me un Dio protettore e un luogo in cui sentirmi al riparo» (Sal 30, 3). Resta in vigore [anche per noi cristiani] un giorno in cui poter riposare: chi partecipa del riposo di Dio, trova ristoro dalle proprie fatiche (cf. Eb 4, 9-10). Rientrati nella quiete dello spirito, ci riposeremo in compagnia della Sapienza (cf. Sap 8, 16).

    Prima però di poter giungere a questa pace, l'anima deve purificarsi da tre motivi d'inquietudine. Dal travaglio che è frutto del peccato («Il cuore dell'empio è simile a un mare in tempesta, che non riesce a calmarsi») (Is 57, 20); dalle passioni della carne, giacché «la carne ha desideri opposti a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne» (Gal 5, 17); dalle occupazioni profane. «Marta, Marta tu t'inquieti e ti affanni per troppe cose» (Lc 10, 41).

    Dopo, sì, l'anima può, senza impacci, riposare in Dio, stare nell'intimità del suo Signore (cf. Is 58, 13-14).

    Ecco perché i santi hanno preferito sempre staccarsi da tutto: questa [pace dell'anima] è simile alla perla di gran valore, di cui parla Matteo: il mercante che ne ha scoperto l'esistenza si dà da fare, e investe in essa il suo capitale pur di entrarne in possesso (cf. Mt 13, 46).

    È [un anticipo del]la vita eterna, [del] gaudio interminabile. È il luogo del nostro riposo, dove abbiamo scelto di abitare per sempre (cf. Sal 131, 14). E che Dio ci accompagni!

 

    4. «Onora tuo padre e tua madre, affinché siano prolungati i tuoi giorni sopra la terra che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Esodo 20, 12)

 

    La perfezione dell'uomo, dunque, consiste nell'amare Dio e il prossimo. I primi tre comandamenti riguardanti la carità verso Dio erano incisi sulla prima delle tavole di pietra; sulla seconda, i rimanenti sette, relativi alla carità verso se stessi e gli altri uomini.

    Non possiamo limitarci a esprimere solo verbalmente questo nostro amore: come raccomanda l'apostolo Giovanni, dobbiamo manifestarglielo in concreto e con sincerità (cf. I Gv 3,18), evitando di nuocergli e, al contrario, facendo gli tutto il bene possibile. Ecco perché tra i comandamenti ne troveremo alcuni che invitano a ben fare, altri invece che vietano di recar danno al prossimo.

    Si noti però che mentre rientra nei limiti delle nostre capacità il cercar di non ledere il prossimo, mai riusciremmo a beneficiare tutti quanti i bisognosi. Dice in proposito sant'Agostino che tutti devono esser oggetto del nostro amore, ma non siamo tenuti ad aiutare ciascuna persona in particolare.

    La precedenza spetta ai congiunti, poiché «se uno non ha cura dei suoi, e massimamente di quelli della propria famiglia, ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele» (I Tm 5, 8). Primi fra tutti, nostro padre e nostra madre. Scrive Ambrogio che «Dio va amato per il primo, ma subito appresso vengono i genitori». E Aristotele ce ne fornisce la ragione: mai potremo ricambiare interamente la somma di benefici che, in quanto figli, abbiamo ricevuto dai nostri genitori. Offeso gravemente, un padre potrebbe giungere a scacciare suo figlio, mentre costui non potrà fare altrettanto, in nessun caso.

    I genitori danno ai figli tre sorta di beni. L'inizio della terrena esistenza. «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le pene sofferte da tua madre. Ricordati che senza di loro mai saresti venuto al mondo» (Sir 7, 27-28). Il nutrimento e tutto il resto che è necessario per vivere; un figlio nasce nudo, e riceve dai genitori riparo e vesti. Essi, infine, provvedono alla sua educazione. «Per precettori abbiamo avuto i nostri parenti carnali» (Eb 12, 9). «Hai dei figli? Allevali bene» (Sir 7, 23).

    Due sono gli insegnamenti di base che occorre dare ai figli il più presto che si può, considerando che «abituato il fanciullo a una buona condotta, egli non l'abbandonerà nemmeno quando comincerà a invecchiare» (Prv 22, 6). È un bene che l'uomo si avvezzi al giogo [della disciplina] fin da piccolo (cf. Lam 3, 27).

    Queste due raccomandazioni fondamentali son le medesime che Tobia dava al proprio figliolo: il timor di Dio e la fuga da ogni specie di ingiustizia (cf. Tb 4, 6). Una simile impostazione esemplare condanna quei genitori che, all'opposto, godono delle malefatte dei propri figli. [Dal canto loro] «i figli nati da unioni illegittime, nel giorno del giudizio attesteranno l'immoralità dei genitori» (Sap 4, 6), e talvolta Dio punisce il peccato dei genitori nella loro prole (177).

    E allora evidente che, ricevendo la vita, il nutrimento e l'educazione, noi dobbiamo avere nei loro riguardi un rispetto maggiore di quello che si ha verso gli altri superiori da cui otteniamo determinati beni temporali. Dopo Dio, che ci ha dato l'anima, vengono i genitori. «Chi teme il Signore, onora suo padre, e serve i propri genitori come suoi signori: essi lo hanno generato, ed egli [li ricambia] coi fatti e le parole, con grande condiscendenza. Figlio mio, onora tuo padre... affinché riposi su di te la sua benedizione» (Sir 3, 8-10).

    Così facendo, tu onori te stesso. Difatti, come afferma la Scrittura, «la gloria di un uomo sta nell'onore di suo padre, mentre fa vergogna a un figlio un padre disonorato» (Sir 3, 13).

    Essi provvidero alle nostre necessità per tutto il tempo della fanciullezza; quindi dobbiamo pensare a essi, al sopraggiungere della tarda età. «Figlio, soccorri tuo padre nella sua vecchiaia e non lo contristare durante la sua vita. Anche se gli vien meno la mente, abbine compassione: non disprezzarlo vantandoti del tuo vigore» (Sir 3, 14-15). «Quanto spregevole è chi trascura suo padre! e chi disgusta sua madre è maledetto da Dio» (Sir 3, 18).

    Cassiodoro, per umiliare certi figli snaturati, narra che le giovani cicogne usano ricoprire con le proprie penne i genitori che, a causa dell'età, le hanno perdute, e li nutrono dividendo con loro il cibo, non essendo quelli più in grado di procurarselo. Una commovente delicatezza, questo restituire quanto si ricevette in dono nei primi anni della vita!

    Essi ci hanno dato un'educazione, e dobbiamo ubbidire. «Figlioli, siate ubbidienti in tutto ai genitori» (Col 3, 20): in tutto, tranne ovviamente in ciò che fosse peccato. In tal caso la sola, vera pietà [filiale] sarà il mostrarsi irremovibili, come san Girolamo consiglia a Eliodoro. Del resto, conosciamo tutti le parole di Gesù: «Se uno non ama meno di me il padre e la madre, non è degno di me» (Lc 14, 26). Dio infatti è il nostro padre più vero: forse non è lui «che t'ha procreato, colui che t'ha fatto e per cui tu sussisti?» (Dt 32, 6).

    «Onora tuo padre e tua madre». Solo a questo comandamento fa seguito una postilla: «affinché ti siano prolungati i giorni sopra la terra», onde cioè rassicurarci che sebbene si tratti di precetto conforme a natura, gli è stato annesso un premio da parte di Dio.

    Ben cinque [anzi] sono i beni destinati a quanti tengono nel dovuto ossequio i propri genitori.

 

    I. La grazia, attualmente, e in futuro l'eterna gloria: due cose desiderate in sommo grado. La benedizione paterna accompagnerà il figlio rispettoso sino alla fine (cf. Sir 3, 9-10), mentre assai diversa è la sorte di chi oserà insultare i genitori: sono maledetti, tali figli, perfino della legge, come si può vedere nelle pagine del Deuteronomio (cf. Dt 27, 16).

    L'evangelista Luca ci ricorda che «chi è ingiusto nelle piccole cose, è ingiusto anche nelle grandi» (Lc 16, 10); orbene, la vita fisica è quasi un nulla a paragone della vita di grazia. Perciò, se ti mostri ingrato riguardo al beneficio primario che ricevesti dai tuoi genitori, ti rendi indegno di esser ammesso alla vita soprannaturale della grazia (maggiore della precedente), e assai più indegno della vita eterna di gloria, massimamente desiderabile.

    2. Altra cosa che gli uomini bramano è la longevità. La Scrittura promette una vita più lunga a chi onora i genitori (cf. Sir 3, 7). Fa attenzione però che una vita è veramente lunga quando è piena di [autentici] beni. Essa non si misura, infatti, in base alla durata temporale bensì all'attività, come insegna il filosofo (Aristotele). Un'esistenza ricca di opere virtuose. Quindi può dirsi con verità che l'uomo onesto, e [tanto più] il santo, ha vissuto a lungo anche se morisse giovane. È per lui l'elogio della Sapienza: «Divenuto perfetto in breve tempo, compì le opere di una lunga vita. La sua anima era gradita a Dio» (Sap 4, 13-14).

    Fa degli ottimi affari quel tale che in una giornata riesca a combinare quanto ad altri riesce di concludere nell'arco di un anno intero. E non dimentichiamo neppure che, alle volte, un protrarsi dell'esistenza terrena può condurre a una [triste] morte e fisica e spirituale, vedi il caso di Giuda.

    Chi tribola i genitori raccoglie frutti mortiferi. Dai nostri genitori ricevemmo la vita, come gli uomini d'arme hanno in custodia dal re un feudo. E se è giusto che, in pena del loro tradimento, i feudatari perdano la signoria di cui godevano, così non sono degni di vivere quei figli che sono ingiusti verso chi li mise al mondo. «L'occhio che schernisce il padre e disprezza l'età della madre, sia cavato dai corvi della valle e lo divorino i figli dell'aquila» (Prv 30, 17). (Le giovani aquile possono raffigurare i re e i principi, i corvi gli ufficiali subalterni).

    Se non sempre la morte precoce viene a punire i figli ingrati, non per questo potranno sperare d'essere sfuggiti alla morte spirituale.

    Dal canto suo, un padre non deve eccedere nel lasciare ai figli troppa libertà; non dovrà mai rinunziare interamente all'autorità paterna (cf. Sir 33, 21; 20).

 

    3. Chi ha saputo onorare i propri genitori, avrà in sorte a sua volta figli riconoscenti e amabili. E nell'ordine delle cose che un padre accumuli beni per i figli. Non altrettanto sicura è la gratitudine da parte di questi ultimi. Però «chi avrà rispettato suo padre, sarà allietato dai figli» (Sir 3, 6). Anche qui può ripetersi: «Nella misura in cui avrete misurato, sarà misurato a voi» (Mt 7, 2).

 

    4. Ne deriva una buona fama. «La gloria di un uomo sta nell'onore di suo padre» (Sir 3, 13) e, al contrario, «quanto è spregevole colui che non si cura [delle necessità] di suo padre» (Sir 3, 18)!

 

    5. Forse verranno anche le ricchezze. «La benedizione del padre consolida le famiglie nate dalla sua prole; la maledizione della madre ne sradica le fondamenta» (Sir 3, 11).

    «Onora tuo padre e tua madre», dunque. Si noti però che il rispetto è dovuto non solo a coloro che ci hanno fisicamente generato, bensì a chiunque possa dirsi nostro padre o nostra madre per altri titoli. Anch'essi meritano l'ossequio da parte nostra.

     Chiamiamo infatti padri gli apostoli e altri santi che hanno alimentato la nostra fede con la dottrina e l'esempio. «Quand'anche aveste migliaia di maestri in Cristo, non avreste tuttavia molti padri. Difatti io vi ho generati in Cristo Gesù per mezzo del vangelo» (1 Cor 4, 15). Anche altrove la Scrittura ci invita a tessere l'elogio degli uomini pii, che hanno contribuito ad alimentare in noi l'amore per la vita integra (cf. Sir 44, 1). Ma che sia una lode fatta non semplicemente di belle parole. Imitiamoli, con la maggiore fedeltà possibile. «Ricordatevi dei vostri capi spirituali, che vi predicarono la parola di Dio: e considerando quale fu il termine della loro vita, imitatene la fede» (178).

     Chiamiamo giustamente padri anche i nostri superiori. Dobbiamo venerarli in quanto ministri di Dio. Ha detto Gesù, rivolto a essi: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi vi disprezza, è me che disprezza» (Lc 10, 16). Venerarli mediante l'ubbidienza. «Ubbidite a coloro che vi guidano e siate disciplinati, perché essi vegliano sulle vostre anime e dovranno renderne conto» (Eb 13, 17). È giusto, inoltre, contribuire al loro sostentamento.

     Sotto un analogo profilo vanno considerati anche i nostri governanti. Ad esempio, i servi si rivolsero a Naam, capo dell'esercito del re dell'Aram, con l'appellativo di «Padre» (2 Re 5, 13), e ciò in quanto [i sovrani e i loro ministri] hanno il compito di promuovere il bene dei sudditi. Comportiamoci, a nostra volta, da sudditi leali. Insegna l'apostolo Paolo: «Ognuno sia soggetto alle autorità superiori poiché non c'è autorità che non venga da Dio. Chi si oppone all'autorità, resiste all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13, 2). E non già in quanto mossi dal timore, non per la sola paura del castigo, ma spinti dall'amore [almeno del bene comune], secondo una retta coscienza. Il motivo lo si è visto, poiché come ha detto l'Apostolo, il potere trova in Dio la sua origine; quindi è un debito da soddisfare, in diversi modi: «A chi è dovuta l'imposta [sia versata] l'imposta; a chi la gabella, la gabella. A chi [spetta] la riverenza, la riverenza; a chi l'onore, l'onore» (179). «Figlio mio, temi il Signore e il re» (Prv 24, 21).

   Hanno diritto a una particolare benevolenza, i benefattori. Essi ascoltarono l'invito del Signore (cf. Sir 4, 10), aiutando ci come fa un padre, perciò noi siamo tenuti a ricambiare. «Non dimenticare - ad esempio - la bontà di chi ti è stato garante: egli ha esposto la sua vita per te» (Sir 29, 20). Agli ingrati potranno applicarsi le parole della Sapienza: «La speranza dell'ingrato svanirà [quando egli tornerà a trovarsi nel bisogno] come brina invernale e si disperderà come inutile acqua che passa» (Sap 16, 29).

    C'è infine una paternità che deriva dalla canizie. Gli anziani contribuiscono al tuo sapere, insieme ai genitori (cf. Dt 32, 7). «Alzati in piedi davanti a chi ha già i capelli bianchi; onora i vecchi» (Lv 19, 32). «In mezzo ai grandi non ritenerti pari e quando uno [di essi] parla non prender tu la parola» (180); e ancora: «Ascolta in silenzio: in cambio del rispetto che dimostri, sarai ben voluto» (Sir 32, 9).

    Tutti costoro, dunque, devono esser trattati con particolare onore: hanno in sé un qualche riflesso del Padre che sta nei cieli. Avendo in mente anche loro, Gesù ha detto: «Chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10, 16).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)