00 18/12/2008 20:39
Una ricorrente obiezione da parte delle confessioni non cattoliche è che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto ai vescovi un ruolo "monarchico" che ai tempi apostolici non avrebbe avuto, essendo il termine episcopo, a quel tempo, sinonimo di presbitero.

 

A proposito dei "ministeri" nella chiesa nascente, si deve dire che non è ancora del tutto chiara la distinzione delle loro funzioni, almeno per quanto riguarda gli episcopi e i presbiteri; segno evidente, questo, che siamo all'inizio della regolamentazione della gerarchia della chiesa, che si conoscerà sicuramente fissata nei suoi tre gradi solo con S. Ignazio di Antiochia (cf Magn. 6,1; Troll. 7,2; Philad. 7,1).


Così, ad esempio, mentre si ricorda a Tito che egli è stato lasciato a Creta per stabilire dei presbiteri nelle varie città (1,5), subito dopo si dice: bisogna infatti che l'episcopo sia irreprensibile (1,7). C'è anche qui lo stesso scambio linguistico che incontriamo nel discorso di S. Paolo agli anziani di Efeso, i quali subito dopo vengono chiamati episcopi: Attendete a voi stessi e a tutto il gregge sul quale lo Spirito Santo vi ha stabilito episcopi, per pascere la chiesa di Dio (20,28).


Sembra dunque che gli uni siano inglobati negli altri.


La stessa impressione che i due termini si inglobino reciprocamente si ha dal fatto che in ITm 3,1-15, parlandosi dei doveri dei responsabili delle varie chiese, si passa direttamente dagli episcopi ai diaconi (vv. 8-13), saltando i presbiteri; mentre il fenomeno inverso capita in ITm 5,17-19, dove non sono nominati gli episcopi.


A differenza però di Atti 20,28 e di Filippesi 1,1( La lettera è indirizzata a tutti i santi... che sono in Filippi, insieme agli episcopi e ai diaconi), nelle Pastorali il termine "episcopos" è sempre adoperato al singolare (ITm 3,2; Tt 1,7).
Si ha pertanto la fondata impressione che, già a questo tempo, mentre i presbiteri sono molti, l'episcopo è uno solo
; niente lo differenzia dagli altri presbiteri, salvo il fatto di essere stato preposto a capo del " collegio presbiterale " (In ITm 4,14 si. parla di presbiterio, cioè del collegio dei presbiteri.), e, conseguentemente, di tutta la comunità.

Non sappiamo in qual modo uno dei presbiteri fosse designato a tale ufficio di presidenza: forse si faceva a turno, oppure veniva eletto chi avesse particolari doti o attitudini al comando. Sta di fatto, però, che non doveva essere un posto molto appetibile, se S. Paolo esorta quelli che erano forniti delle doti necessarie a porre la propria candidatura: Se qualcuno aspira all'episcopato (episcopes), desidera un nobile lavoro (ITm 3,1). Si doveva dunque trattare di un " primus inter pares " con molte incombenze e con poca libertà di iniziativa, dato che forse era il " presbiterio " il solo responsabile dell'andamento della comunità.


Non si dimentichi, però, che di fatto il responsabile vero delle comunità di Efeso e di Creta, così come pure di tutte le comunità che aveva fondato, era S. Paolo che, pur lontano, le dirigeva e le governava mediante i suoi diretti collaboratori, Tito e Timoteo
.

(Tito1,5 Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato…,

2Co 11,28 E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.)


Niente di strano, perciò, che, quando l'Apostolo o i suoi collaboratori non ci saranno più, uno dei presbiteri, che poteva essere l'episcopo di cui parlano le Pastorali, diventasse il capo permanente e legittimo della comunità, però, in questo caso, non tanto come espressione dei poteri del "presbiterio ", quanto come legittimo erede dei poteri apostolici di Paolo, o di Tito, o di Timoteo o di altri apostoli, venuti a mancare. Ecco quindi in che modo è venuta a determinarsi la figura dei nostri attuali vescovi, con i poteri che riconosce loro S. Ignazio d'Antiochia e che sono da considerare già comunemente riconosciuti al momento in cui egli scriveva: dall'Episcopos del Nuovo Testamento trarrebbero il nome, la funzione sarebbe mutuata dalla loro legittima successione apostolica, come eredi dei poteri degli Apostoli al momento della loro morte.


La figura e i compiti del vescovo sarebbero quindi da ricavare da quanto S. Paolo ordina a Timoteo e a Tito, suoi intimi collaboratori e prossimi successori.

Nel caso della lettera di Clemente notiamo alcuni dettagli:

" Vi è un caso di ribellione da parte dei credenti nei confronti dei presbiteri legittimamente ordinati.

Per tale situazione di caos, nessuno nell’intera regione si sente investito dell’autorità per intervenire e decidere sulle decisioni da prendere. "


Clemente, al momento in cui scrive dice di aver tardato a intervenire a causa dei molti problemi avuti a causa delle persecuzioni, ma il modo con cui interviene fa comprendere il carattere autorevole e decisivo della sua lettera.

Probabilmente NESSUNO in quel momento storico era visto come autorevole rispetto alle singole chiese locali, salvo la Chiesa di Roma che rivendicava a ragione il diritto dovere di intervenire.


Quindi è possibile che nel momento della transizione subito dopo il tempo della morte degli apostoli, in mancanza di essi l’unica autorità superiore era Roma. La lettera appare importante soprattutto per questo fatto.

Se a Corinto o nella regione vi fosse stato un rappresentante investito di autorità come quello del vescovo come lo descrive Ignazio, il problema sarebbe stato risolto prima che diventasse così forte. E questo ci fa comprendere una esigenza importante che le Chiese dovettero avere in quel momento. L’esigenza cioè di poter dirimere le questioni senza aspettare che per ogni cosa si muovesse la Chiesa di Roma.


Ora, se pensiamo che la nomina dei diaconi avvenne a seguito di una esigenza della chiesa primitiva e cioè quando gli apostoli si resero conto di star facendo un servizio che poteva essere delegato ad altri, anche se Gesù non aveva comandato e neanche accennato di eleggere dei diaconi, quindi ci si organizzò per fronteggiare una situazione emergente, che prima non c’era, così dopo la morte degli apostoli si venne a determinare che la loro posizione di preminenza risultò vacante con la conseguente esigenza di rimpiazzarla.


Dov’è dunque il problema se la figura del vescovo assunse la preminenza che prima avevano gli apostoli?

Se l’organizzazione viene adeguata all’esigenza da fronteggiare si fa forse torto alla dottrina, che resta immutata?


E’ chiaro quindi che, la Chiesa sotto la guida dello Spirito, ad un certo momento ha ritenuto di dare ai vescovi questa maggiore responsabilità che in Ignazio troviamo già documentata.

Si può forse dire con questo che Clemente la pensasse diversamente da Ignazio?

No assolutamente.

Perché Clemente documenta e fotografa la situazione che al suo tempo l’autorità posto al di sopra delle parti era proprio lui e non la figura di un vescovo della zona di Corinto.

Ignazio documenta che ogni comunità poteva e doveva fare riferimento al suo vescovo come figura di riferimento per ogni problema.


Clemente non ha mai discusso con Ignazio circa l’opportunità di dare maggiore responsabilità alla figura del vescovo. Se vi fosse stata tale figura, probabilmente egli stesso non avrebbe dovuto affrontare da tanto lontano e con tale ritardo una questione tanto urgente e si sarebbe accorto dell’esigenza inderogabile di assegnare al vescovo i compiti che gli vediamo assegnati e riconosciuti subito dopo. E’ possibile quindi che nel frattempo, situazioni come quelle sorte a Corinto abbiano fatto capire alla Chiesa di allora, che era opportuno assegnare un ruolo di coordinamento in ciascun territorio a una persona designata a tale scopo, così come prima veniva svolto da Paolo, da Tito o da Timoteo.

2 Tess. 3, 6 - Ora, fratelli, vi ordiniamo nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che vi ritiriate da ogni fratello che cammini disordinatamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi. 14-15 E se qualcuno non ubbidisce a quanto diciamo in questa epistola, notate quel tale e non vi associate a lui, affinché si vergogni. Non tenetelo però come un nemico, ma ammonitelo come fratello.


2Ti 1,12 È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno.


Sia lodato Gesù Cristo.




(Un grazie all'amico Teofilo [SM=g7557]  )

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)