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L'ultima Messa di Padre Pio

Da come un prete celebra la Santa Messa si misura il valore e l’altezza del suo sacerdozio. Non si può discutere su questo fatto; non ci possono essere polemiche al riguardo, neppure dei «ma», essendo la Messa il cuore stesso del sacerdozio. È incontrovertibile che quando Cristo istituì il sacerdozio istituì anche l’Eucaristia: era il Giovedì Santo di ventun secoli fa e da allora queste due realtà si alimentano reciprocamente, in perfetta simbiosi. Tanto più il sacerdote vive e sente il Santo Sacrificio, tanto più santificherà se stesso e i fedeli che ad esso assistono.

San Filippo Neri (1515-1595) aveva un concetto così alto del sacerdote che si sentiva profondamente indegno di diventarlo; fu soltanto l’insistenza del suo padre spirituale che lo convinse al gran passo, quando aveva già 36 anni e, da allora, assistere alle Sante Messe da lui officiate era qualcosa di paradisiaco per alcuni e di sconvolgente per altri…
La Santa Messa era l'avvenimento più atteso dal santo fiorentino trapiantato nella città dei Santi Pietro e Paolo, il momento più desiderato, ma anche il più doloroso perché si trovava faccia a faccia con il suo Signore: mentre celebrava tremava, scolorava in viso, gemeva. Le sue Sante Messe erano senza tempo: molte volte restava rapito in estasi e si sollevava da terra, allora gli astanti dovevano richiamarlo alla realtà di questo mondo. La gioia estrema si alternava con le lacrime più intense.

Un giorno aveva un fervore così acuto che, senza accorgersene, impresse con i suoi denti il segno sull'orlo del calice, contenente già il Sangue di Cristo, tanto era il fuoco che gli ardeva dentro. Nelle sue mani l’ostia si faceva Carne visibile e i testimoni de visu, cioè chi gli serviva il Santo Sacrificio, deponendo per il processo di beatificazione e di canonizzazione, hanno giurato di aver visto Quel Sangue e Quella Carne.
Chi visita le camere private di Filippo Neri a Santa Maria in Vallicella di Roma può ancora osservare la finestrella della porta della sua piccola cappella dalla quale le persone “spiavano” le estasi eucaristiche dell’amico di san Carlo Borromeo.

«Mi piacerebbe piangere una qualche volta partecipando alla messa di un santo sacerdote! Nei primi tempi del suo ministero, i fedeli erano assai sorpresi, per non dire sconcertati, del suo "strano" modo di celebrare; poi avvicinandolo, comprendevano subito qual sacerdote e confessore egli fosse. La sua messa era la più frequentata e al suo confessionale era una viavai di penitenti, sin da quando la chiesa apriva le porte. Chi si fosse recato una volta da padre Filippo, ci ritornava sempre. Certo padre Filippo non era il confessore dalle mezze misure, anzi conosceva i peccati all'odore che sentiva provenire dal cuore dei penitenti» (Padre Giorgio Finotti, San Filippo Neri. La grandezza di un autentico pastore di anime, «L’Osservatore Romano», maggio 2001). Questa citazione è speculare ad un altro santo sacerdote che viveva la Santa Messa con la forza di san Filippo Neri e con lo stesso ardore confessava le moltitudini di persone che al suo confessionale si inginocchiavano, ovvero san Pio da Pietrelcina, al quale, il 15 agosto 1905, nel santuario di Santa Maria del Monte a Campobasso, la Madonna apparve per mostrargli che la sua missione sarebbe stata quella di essere totalmente Alter Christus.

La Messa di Padre Pio

Venne ordinato il 10 agosto 1910; il 14 agosto ricevette le stigmate invisibili; fra il 5-7 agosto 1918 fu protagonista della trasverberazione, la ferita al cuore che continuerà a sanguinare; mentre il 20 settembre dello stesso anno riceverà le stigmate, visibili, alle mani, ai piedi e al costato.
Ogni volta che Padre Pio, dalla sua prima Messa, quella del 14 agosto 1910, fino all’ultima, celebrata il 22 settembre 1968, salirà ogni volta il Calvario e parteciperà, personalmente, alla Passione di Nostro Signore. Aveva scritto sull’immaginetta della sua ordinazione:
«O Gesù, mio sospiro e mia vita, mentre oggi ti elevo in un mistero d’amore, ti chiedo che per Te io sia per il mondo Via, Verità, Vita. E per Te sacerdote santo, Vittima perfetta». Di questa vittima perfetta, che non smise mai di esserlo fino all’ultimo respiro, e in particolare di come padre Pio celebrava la Santa Messa, quella del Vetus ordo, perché mai volle celebrare quella riformata dal Concilio Vaticano II, tratta il bellissimo e toccante libro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, dal titolo L’ultima Messa di Padre Pio. L’anima segreta del santo delle stigmate (Piemme, € 15,00), uno studio denso di informazioni nuove sul santo di San Giovanni Rotondo, perseguitato dalla Chiesa e poi dalla Chiesa canonizzato, dove il misticismo del primo sacerdote stigmatizzato della storia si incontra con documenti inediti di eccezionale valore spirituale e storico.
Tali documenti sono rinvenuti in un ricchissimo archivio che il figlio spirituale di padre Pio, Giuseppe Pagnossin ha donato alla Fraternità Sacerdotale di San Pio X e che ora si trova nel priorato di Albano Laziale. Pagnossin decise di rivolgersi alla FSSPX perché «andò in cerca di qualcuno che fosse legato alla Messa e alla dottrina cattolica di sempre come vi era legato il santo di Pietrelcina e lo trovò in monsignor Marcel Lefebvre […]. Non lo spaventarono le accuse riversate addosso al vescovo francese per la sua opposizione alle innovazioni in corso nella Chiesa a partire dagli anni Sessanta. E neppure gli strascichi canonici della vicenda […]. Anzi, trovò un approdo sicuro nella tradizione, dove, a garanzia della fedeltà alla dottrina e alla Messa di sempre, vigeva una profonda devozione per san Pio X, il papa in onore del quale il giovane Francescco Forgione da Pietrelcina prese il nome al momento di farsi religioso» (pp. 13-14).

Dal libro di Gnocchi e Palmaro emerge tutto l’ardore mistico che il frate di San Giovanni Rotondo viveva nel momento della celebrazione del Santo Sacrificio: quando il santo saliva all’altare era veramente visibile tutto il pathos che da quella liturgia sarebbe scaturito e a mano a mano che il rito procedeva ai fedeli si palesava tutto il tremendo mistero che si verificava grazie alle parole, ai gesti, alla ritualità di Padre Pio.
Fra i documenti, pubblicati per la prima volta in questo libro, si trovano conferme straordinarie e consolanti di quanto padre Pio ha detto e fatto a proposito della Santa Messa, come, per esempio, questa dedica che egli scrisse sul frontespizio del messale di una sua figlia spirituale, Angelina Buratti di Venezia e datata 1958:
«Nell’assistere alla Santa Messa rinnova la tua fede e medita quale vittima s’immola per te alla divina giustizia per placarla e renderla propizia. Non allontanarti dall’altare senza versare lagrime di dolore e di amore per Gesù Crocifisso per la tua eterna salute. La Vergine Addolorata ti terrà compagnia e ti sarà dolce ispirazione» (pp. 16-17).
Madre Eleonora Francesca Foresti, fondatrice delle Francescane adoratrici, della quale è in corso il processo di beatificazione, aveva conosciuto padre Pio e nel Diario  che ella ha lasciato registra quanto Gesù le disse a proposito dell’eccezionalità del Santo del Gargano:
«L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. È cielo tersissimo in cui gli angeli riflettono il loro volto stupendosi. È favo di miele! È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. È specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l’eco riprodotta tra due monti! Il suo linguaggio è dolce e tagliente! […] misterioso come il mio: conforta e abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, IO, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo eloquio di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che emana da lui.  È il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun’altra creatura. È il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la  mia gloria!» (pp. 20-21).
Padre Pio dichiarava che il mondo può stare anche senza il sole, ma non senza la Santa Messa e ai sacerdoti insegnava a dividere la giornata in due parti, la prima in preparazione al divino sacrificio e la seconda in ringraziamento. Durante la Messa padre Pio soffriva molto, perché, diceva, è proprio lì che avviene una nuova e ammirabile distruzione e creazione. Nella sua Messa, dove il tempo spariva (poteva durare anche oltre due ore), egli diventava un tutt’uno con Cristo e arrivò ad affermare: «La mia missione finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa». Chissà che cosa voleva realmente dire. La missione redentiva delle anime che prosegue ancora oggi sulla terra, anche dopo la sua morte, fino alla fine dei tempi? Oppure il santo si riferiva alla sua morte che precedette di un anno la nuova Messa  studiata, a tavolino, da monsignor Annibale Bugnini, buttando alle spalle il risultato di secoli e secoli di liturgia cattolica?

La Fede e la Rivoluzione

Fin da giovane egli sapeva a quale tipologia di vocazione religiosa Dio lo aveva chiamato: «Gesù mi ha associato al grande negozio della redenzione umana. Il Padre celeste mi ha fatto ascendere sulla croce del Figlio suo e sono certo che di là non scenderò mai più. Scendo dall’altare per salire sulla croce; scendo dalla croce per distendermi sull’altare» (p. 31) e tutto questo per “comprare” le anime a Dio.
La figlia spirituale Cleonice Morcaldi riuscì a strappare a padre Pio molte risposte a quesiti di carattere spirituale delicati ed intimi e nel riprodurle i due autori del libro hanno utilizzato una tecnica chiarificatrice sia per coloro che vivono nel mondo e non sono del mondo e sia per coloro che, invece, pur dicendosi cristiani lavorano per tutt’altra patria. Infatti le domande della Morcaldi e le risposte di padre Pio sono intercalate efficacemente da asserzioni e commenti di modernisti e ultramodernisti. Qualche esempio:
«D. Padre che cosa è la vostra Messa?
R. Un completamento sacro con la passione di Gesù.
D. Che cosa debbo leggere nella vostra Messa?
R. Tutto il calvario.
D. Padre, ditemi tutto quello che soffrite nella Santa Messa.
R. Tutto quello che ha sofferto Gesù nella sua passione, inadeguatamente, lo soffro anche io, per quanto a umana creatura è possibile. E ciò contro ogni mio demerito e per sola sua bontà.
D. Padre, come possiamo conoscere la vostra passione?
R. Conoscendo la passione di Gesù; in quella di Gesù troverete anche la mia…» (p. 48).
Ed  ecco che, come controcanto, troviamo la terribile considerazione del monaco trappista padre Ernesto Cardel (Ministro della Cultura nel Governo sandinista del Nicaragua):
«Fu con l’avvento della teologia della liberazione, nei primi anni Settanta, che ci venne rivelata la verità evangelica secondo la quale tutti quelli che lottano per i poveri, credenti o atei, sarebbero stati uniti oltre la morte; e il regno di Dio, o regno dei Cieli, e la società comunista perfetta sono la stessa cosa […] scoprii come il gesuita francese padre de Lubac avesse trasformato la frase di sant’Agostino “Ama e fai quello che vuoi” in “Ama e credi in quello che vuoi”…» (p. 49).

Riprende “l’interrogatorio”:
D. «Come restò Gesù dopo la flagellazione?
R. Il Profeta lo dice: “Diventò una sola piaga; diventò un lebbroso”.
D. E allora anche voi siete tutto una piaga dalla testa ai piedi?
R. E non è questa la nostra gloria? E se non ci sarà spazio per fare altre piaghe nel mio corpo, faremo piaga su piaga.
D. Dio mio, questo è troppo! Siete, padre mio, un vero carnefice di voi stesso!
R. Non ti spaventare ma gioisci! Non desidero la sofferenza in se stessa, no; ma per i frutti che mi dà. Dà gloria a Dio e salva i fratelli, che altro posso desiderare?» (pp. 50-51).

Dopo affermazioni di tale afflato mistico e di donazione totale per il prezzo da pagare nel donare al Paradiso anime per amore di Dio e del prossimo, ci raggiungono, come uno schiaffo sul volto, le traumatiche parole di Camillo Torres, il prete terrorista colombiano:
«[…] la Rivoluzione è non solo lecita, ma obbligatoria per i cristiani che vedono in essa l’unico modo efficace e completo per realizzare l’amore per tutti.  […] Io ho lasciato i privilegi e i doveri del clero, ma non ho smesso di essere sacerdote. Credo di essermi dato alla Rivoluzione per amore del prossimo. Ho smesso di dire la messa per realizzare quell’amore al prossimo, nel terreno temporale, economico e sociale. Quando il mio prossimo non avrà nulla contro di me, quando sarà realizzata la Rivoluzione, tornerò a offrire messa...» (p. 51).

Il frate cappuccino fu un mistero per tutti e per tutta la sua esistenza. Patì atroci sofferenze non solo a causa delle stigmate e delle piaghe, ma anche delle continue lotte che di notte doveva sostenere contro Satana; tutto quel dolore veniva offerto per completare i patimenti di Cristo, come afferma San Paolo: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Alla luce di ciò non dovrebbe essere difficile comprendere le asserzioni di padre Pio, arcane per chi non ha Fede oppure per chi è in essa debole e vacillante: «[…] perché soffro? Non lacrimucce, ma torrenti di lacrime vorrei versare! […] Un Dio vittima dei nostri peccati! Noi poi siamo i suoi macellai» (p. 56). Quando padre Pio si esprimeva in questi termini e viveva la Santa Messa in Cristo e per Cristo, la rivista milanese «Il Confronto», nel 1968, pubblicava articoli di questo tenore:

«E voi, i pochi che nell’alta gerarchia avete la nostra fiducia: voi, gli Alfrink e i Suenes e i Döpfner e i Pellegrino e gli Helder Camara, il tempo della prudenza è finito. Contate i vostri seguaci e, qualunque sia il loro numero, uscite dalla Chiesa che non vi merita più, se è vero che non ci avete ingannato. Il cattolicesimo nuovo è già nato» (p. 62).
Il misticismo

I mistici, i grandi protagonisti del fuoco di Dio, hanno sempre caratterizzato la storia della cristianità. I fenomeni che si manifestano nell’universo del misticismo come le stigmate, la levitazione, le guarigioni, le profezie, le visioni, le apparizioni, le bilocazioni, l’estasi… provocano, a partire dal Novecento, due tipi di reazioni: o sono analizzati, esaminati, “vivisezionati” o sono negati a priori come realtà paranoiche ed oscure che rientrano in una dimensione da allontanare il più distante possibile perché capaci di suggestionare le persone e di condurle ad una religiosità fatta di superstizione e di magia.
I mistici. Anime che fanno discutere, che diventano oggetto di studio, di ricerca, di indagine, di polemica, di perplessità e di sospetto. Processi e persecuzioni. L’irrazionale è di per se stesso causa di sospetto perché non rientra nella “normalità”. Il mistico, malato di protagonismo per molti, è per regola un “fuori legge”. Questo “fuori legge”, in grado di mandare all’aria le regole della natura, è in realtà un innamorato che perde la testa per il suo Signore e quando si perde la testa può succedere di tutto. Sono dei carismatici e Chàrisma significa «dono gratuito»: è lo Spirito Santo  che colma di grazia la creatura che si pone al servizio totale di Dio, in lui tutto si abbandona. Essenza e destino in queste creature, che amano a dismisura, così trasparenti da smaterializzarsi e passare attraverso porte e muri, coincidono.

Il titolo del libro di Gnocchi e Palmaro, che tutti i sacerdoti dovrebbero avere la fortuna di poter leggere, adombra anche una scoperta sorprendente, nel testo svelata, a riguardo delle stigmate correlate all’ultima messa che padre Pio celebrò prima di morire, scoperta che però non vogliamo anticipare, per non togliere al lettore il piacere di scoprirla da sé.

Rimane il fatto che in Padre Pio, nostro contemporaneo, avvezzo a vivere dentro e fuori dalla dimensione terrena e da quella celeste, in una continua altalena, sperimentando fenomeni umanamente e razionalmente non riscontrabili e non imitabili, come la bilocazione, si verificò l’effusione dello Spirito Santo, la stessa che aveva dilatato, secoli prima, il cuore di san Filippo Neri, come constatò l’autopsia su di lui effettuata: lo aveva dilatato così tanto da staccare alcune costole dallo sterno per dargli spazio e lo aveva infiammato di un tale amore da costringere san Filippo ad affermare: «Cor meum et caro mea exultaverunt in Deum vivum».

Cristina Siccardi





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)