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La Pontificia Università Gregoriana ha organizzato in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede tre giornate di studio dedicate alle Dei Verbum che si sono aperte con la conferenza “Ascoltare la Parola di Dio – vedere il mondo alla luce della fede” del cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione.


di Angela Ambrogetti (23-11-2015)


Il 2015 è un anno molto appropriato per la riflessione sui documenti del Concilio Vaticano II. Molti infatti furono promulgati esattamente 50 anni fa, nelle ultime sessioni conciliari e gli studiosi in questo anno che sta per concludersi stanno approfittando del giubileo conciliare per riflettere sui testi più significativi.



La scorsa settimana la Pontificia Università Gregoriana ha organizzato in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede tre giornate di studio dedicate alle Dei Verbum che si sono aperte con la conferenza “Ascoltare la Parola di Dio – vedere il mondo alla luce della fede” del Card. Gerhard Ludwig Müller, il Prefetto della Congregazione.


Una riflessione che parte dalla interpretazione del Concilio e di un supposto “spirito del Concilio” fon troppo malinteso. “Negli ultimi cinquantʼanni- spiega il cardinale- tante cose, che non avevano niente a che fare con il Concilio, vennero confuse con esso, lette in chiave selettiva e interpretate, mentre per lʼermeneutica si scelsero criteri non inerenti al Concilio stesso. Alcuni brani e documenti isolati furono favoriti e citati, altri invece silenziosamente ignorati.


Avvenne tra lʼaltro, che lʼideale teorico-scientifico di un testo stilisticamente e intellettualmente uniforme di un singolo autore, fu più considerato rispetto al risultato di un lungo, spesso faticoso, ma comune sforzo del Concilio, il quale non deve cercare soltanto una comunicazione sincronica, ma vuole collocarsi anche diacronicamente allʼinterno della corrente della tradizione. Testi conciliari che portano sempre anche lʼimpronta di questo sforzo, esito di vari correnti e sviluppi, vennero diffamati da alcuni teologi come “compromessi della disonestà reciproca”, nati – così si sostenne – da una sorta di “commercio” tra le forze conservatrici e progressiste, che avrebbero tradito lo “spirito” di ciò che era invece voluto dai Padri conciliari. Questo verdetto venne emesso soprattutto in merito alla Costituzione sulla divina Rivelazione, che oggi si colloca al centro della nostra riflessione. E in verdetti del genere dilagava unʼermeneutica sbagliata e fatale.”


Ma negli ultimi anni in cui sono stati ricordati tanti “giubilei” di documenti conciliari molte cose sono state chiarite. Ed ora è il momento della Dei Verbum. Per il porporato sono cinque i momenti di impatto della Costituzione conciliare nella storia.


Si inizia con il tema della Rivelazione come “illuminazione” tramite Dio, la fede come luce, recuperando la parola “illuminismo” e sottraendola al razionalismo. Cristo è il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini.


E la Rivelazione che si attua tramite la dottrina ma tramite la liturgia: “La liturgia non è un lusso che la Chiesa si permette, finalizzato alla sua autorappresentazione, in modo da poterla plasmare a nostro piacimento, secondo le sole leggi della plausibilità e dellʼattrattiva. Anzi, la liturgia è un locus theologicus, in cui il popolo rende presente la dimensione indescrivibile della fedeltà e della presenza di Dio, al di là di quanto possa essere contenuto in una dottrina”.


C’è poi la unità della Rivelazione nella Creazione e nella storia: “la più recente risonanza di questa visione si trova nellʼenciclica Laudato si‘ di Papa Francesco, dove egli insiste sul legame intrinseco che esiste tra natura e Rivelazione, tra Creazione e redenzione” spiega Müller.


La Scrittura è poi “anima della teologia”, e inoltre “la Dei Verbum ha messo nuovamente in evidenza la consapevolezza dellʼunità intrinseca della Sacra Scrittura composta da Antico e Nuovo Testamento.”


Interessante la relazione tra Rivelazione e misericordia. Spiega il cardinale: “la divina misericordia non è soltanto un qualche isolato atto di perdono dei nostri peccati (lo è anche), ma si colloca nel più intimo della comunicazione di Dio stesso. La Rivelazione è fondamentalmente misericordia divina proprio perché non è unʼinteressante rivelazione di verità soprannaturali, ma lʼavvenimento della comunicazione tra Dio e il suo popolo”.


Ma la De Verbum deve anche affrontare delle sfide oggi. Lo sfondo è quello della teologia pluralista delle religioni. E oggi “la critica che la Rivelazione biblica rivolge alle religioni e ai loro dei, è ritenuta responsabile per lʼindisturbato assorbimento tecnologico della natura; la chiara professione dellʼunico vero Dio, propria del monoteismo, viene accusata di intolleranza e violenza intrinseca”.


Una sfida che arriva soprattutto dal mondo occidentale che “parte dal presupposto che Dio rimanga un mistero e che non esista religione in grado di nominarlo e mostrarlo in toto. Il giudaismo e il cristianesimo – e cioè le forme istituzionalizzate della fede biblica sin dai tempi di Abramo – vengono poi sussunti come due forme delle tante “religioni” esistenti. In questo modo, si tralasciano soprattutto le affermazioni della teologia della Rivelazione, che la Dei Verbum riporta in modo sistematico”.


Altra sfida è la questione della “realtà della vita” come locus theologicus. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede spiega che “il cristianesimo non è una religione del Libro, come si ama definirlo, ma Rivelazione divina nella storia del popolo che Egli ha scelto a questo scopo. Per questa ragione, il principio della sola scriptura non è mai stato sufficiente per trovare una misura per una vita di fede. La teologia cattolica invece ha coniato la formula “Scrittura e tradizione”, che, essendo fondamentalmente niente di nuovo, significava soltanto lʼapplicazione di quel principio che fece parlare già nel giudaismo di una tradizione scritta e di una tradizione orale”.


Una delle questioni aperte è che “oggi la tradizione della Chiesa – anche quella che ha conosciuto un vivido progresso – viene spesso e volentieri compresa come “principio generale” e “dottrina astratta”, oppure caratterizzata come “ideale” irraggiungibile, che non avrebbe alcuna “capacità di connessione con le odierne costellazioni mondane“ e perciò nessuna rilevanza per lʼuomo nella sua situazione concreta”. Ma “la visione che contrappone la dottrina della Chiesa, la sua tradizione e la verità vissuta dagli uomini del nostro tempo, quasi fossero delle alternative reciproche, è errata. La Dei Verbum ci indica unʼaltra direzione”. E aggiunge: “Le indicazioni ci dicono che la “realtà della vita” per noi rilevante non è una qualsiasi realtà che ha a che fare con la vita; non è compito della statistica o dell’opinione riportata dalla stampa, ma si tratta della realtà della vita in obbedienza alla fede pienamente realizzata e vissuta (cfr. Rm 1,5), oppure – cristologicamente parlando – della sequela di Cristo. È vero: bisogna prendere sul serio le biografie degli uomini con i loro progressi, le loro crepe. Poiché anche noi cristiani non dobbiamo farci un’immagine illusoria della nostra vita. Dobbiamo affrontare la nostra realtà. E non lo facciamo fabbricando di essa una norma su come Dio dovrebbe vedere noi e il mondo, ma confrontando la nostra debole, fragile vita con il disegno divino, collocandola allʼinterno della “luce della fede” che nonostante non sappia tutto, sa illuminare tutto”.


In conclusione la Dei Verbum è un invito all’ascolto della Parola per la Chiesa e per gli uomini con con quel desiderio che i Padri espressero 50 anni fa: “che il tesoro della Rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre di più il cuore degli uomini”.




EDITORIALE

Concilio Vaticano II

 

Ricorre oggi il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione pastorale Gaudium et spes con cui, di fatto, si è concluso il Concilio Vaticano II. È stato il testo più combattuto del Concilio e quello più usato per ispirare teologie "umaniste" discutibili. Eppure l'allora cardinale Ratzinger nel 2000 aveva chiarito il criterio teocentrico con cui leggerla.

di Stefano Fontana

Ricorre oggi il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione pastorale Gaudium et spes con cui, di fatto, si è concluso il Concilio Vaticano II. Era stata discussa, dopo un iter redazionale lungo e controverso, dal 21 settembre all’8 ottobre 1965 e approvata il 6 dicembre con 2111 placet e 251 non placet. Porta la data del 7 dicembre 1965. Il giorno successivo Paolo VI avrebbe chiuso il Concilio.

 

La Gaudium et spes, insieme con la Costituzione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, è stato il testo più combattuto del Concilio, quello maggiormente utilizzato a simboleggiare la “svolta” conciliare e più frequentemente citato come espressione dello spirito del Concilio e, quindi, anche quello su cui si scontrano di più entusiasti e perplessi, convinti e titubanti. Un testo dalla vicenda non ancora conclusa. Sulla sua eredità vera la discussione è ancora aperta.

 

La Gaudium et spes fu il frutto più evidente della scelta pastorale fatta da Giovanni XXIII fin dal discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia. Chi, però, pensava che si trattasse di tenere intatta la dottrina e di rivedere solo la pastorale si illudeva. Il Vaticano II, allo scopo di aggiornare la pastorale, dovette ripensare anche la dottrina. Non la ripensò però tutta, in quanto proprio per motivi pastorali fece delle omissioni e delle riduzioni. Data la scelta pastorale, il Concilio avrebbe dovuto ripensare tutta la dottrina ed essere addirittura ancor più dottrinale dei concili precedenti che della dottrina si occupavano di alcuni aspetti dottrinali e basta, ma contemporaneamente non poteva esserlo fino in fondo per non pregiudicare l’aggiornamento relativo all’apertura al mondo. La pastoralità ha richiesto la dottrina ma poi l’ha anche limitata.

 

Anche nella Gaudium et spes questo è evidente. C’è il ripensamento dottrinale, per esigenze pastorali, del rapporto Chiesa-Mondo, ma del mondo viene messa in evidenza soprattutto la valenza positiva; c’è il ripensamento del rapporto tra Chiesa e modernità, ma si evita di parlare del comunismo, senza del quale la modernità è difficilmente comprensibile. Questo è stato osservato da molti, dal cardinale Giacomo Biffi al “Contadino della Garonna” Jacques Maritain e quindi, come si dice, ormai appartiene agli atti.

 

Non che con questo il problema sia risolto. Con la Gaudium et spes la Chiesa ha accettato il mondo moderno? Difficile rispondere sulla base della sola Gaudium et spes. Per rispondere bisogna prendere il Catechismo, frutto maturo del Concilio, voluto da Giovanni Paolo II e, in quella luce, leggere la Gaudium et spes. Purtroppo, però, si è fatto spesso il contrario.

 

Appellandosi alla Gaudium et spes sono nate le più svariate teologie. Segno che questa Costituzione manifesta un bisogno di interpretazione autentica, a cui il Magistero successivo non si è sottratto. Ciò è dovuto anche al suo linguaggio non definitorio ma narrativo ed esistenziale. Un linguaggio suggestivamente pastorale – come per esempio il poetico incipit -  che però doveva veicolare contenuti dottrinali. Un problema non da poco. Capita così che alcune frasi della Gaudium et spes per essere correttamente interpretate, abbiano bisogno di altre frasi dello stesso documento, o di altri documenti del Concilio o del Catechismo della Chiesa Cattolica. 

 

Nella Gaudium et spes si dice che la persona è “principio, soggetto e fine della società” e che “l’attività umana come deriva dall’uomo così è finalizzata all’uomo”. Frasi simili, prese da sole, potrebbero far pensare che l’uomo abbia sostituito Dio. C’è bisogno, allora, di riferirsi ad altri punti del documento, come quando si dice che “la ragione principale della dignità umana consiste nella chiamata dell’uomo alla comunione con Dio” oppure che “senza il Creatore la creatura viene meno”. Per altri punti bisogna completare il quadro anche cercando al di fuori della Gaudium et spes.

 

Con ciò abbiamo toccato il punto fondamentale. Molti hanno letto la Gaudium et spes come la rinuncia della Chiesa alla centralità di Dio nella costruzione del mondo secolare e l’accettazione di una posizione almeno paritetica della Chiesa e del mondo. In una famosa lezione del 2000, tenuta in occasione del Giubileo per il nuovo millennio, il cardinale Joseph Ratzinger aveva sostenuto che lo scopo dei Padri Conciliari era stato di ribadire la centralità di Dio. Il Concilio non era stato antropocentrico, né ecclesiocentrico, ma teocentrico. Dopo cinquant’anni molte letture della Gaudium et spes, anzi oggi forse più di ieri, non seguono queste indicazioni dell’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Continua ad essere diffusa l’idea della “svolta antropologica” della Gaudium et spes. E’ invece facilmente argomentabile, anche per questo documento conciliare, che Ratzinger aveva ragione. Il paragrafo 36 che parla dell’autonomia delle realtà terrene si affretta a precisare che “la creatura viene ottenebrata se dimentica Dio”. Il paragrafo 40, secondo cui la Chiesa “cammina con tutta l’umanità” dice anche che essa “diffonde su tutto il mondo il riflesso della sua luce”. Nel 41, ove si parla del progresso umano, viene detto che questo movimento dev’essere impregnato di spirito del Vangelo e protetto contro ogni specie di falsa autonomia”.

 

La storia della Gaudium et spes non è finita. Essa va restituita a se stessa, così come il Concilio va restituito a se stesso. Cosa difficile, però, se della Gaudium et spes si citano solo e sempre le prime righe, per di più dimenticando l’avverbio “veramente” prima dell’aggettivo “umano”: “La gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia degli uomini d’oggi, soprattutto dei poveri e di tutti i sofferenti, sono anche la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia dei discepoli di Cristo, e non c’è nulla di veramente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Senza Dio, quell’avverbio cade.



 




[Modificato da Caterina63 09/12/2015 13:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)