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Epigrafi e storia nella Galleria lapidaria dei Musei Vaticani

Finestre sul passato per ritrovare il presente


di Ivan Di Stefano Manzella

La storia è "grande" solo perché si compone di tante storie "piccole", e la conoscenza che dell'una e delle altre possediamo è legata a quella rete di relazioni che il tempo è pronto a disfare, a meno che qualcuno - a esempio un contadino o un epigrafista - non faccia opposizione ricordando tutto, caparbiamente.
 
Fra le maglie di questa rete c'è, dunque, anche l'epigrafia:  una disciplina che studia le iscrizioni da vari punti di vista. L'archeologico-topografico guarda alla classe del manufatto, alla sua funzione, allo stato di conservazione, al contesto originario di appartenenza, alle manipolazioni subite; l'artistico esamina le figure abbinate all'iscrizione in un rapporto di mutuo completamento narrativo; il linguistico traccia il profilo dei committenti e degli scriventi; il grafico investiga materie e modalità scrittorie, tecniche, esiti formali:  alla ricercatezza della scrittura "capitale" su marmo, geometricamente solenne, si contrappongono il gusto anarchico e la secchezza che agitano il corsivo della vita quotidiana, per non parlare delle molli sinuosità partorite dal pennello degli scriptores pompeiani, annuncianti spettacoli gladiatorii, come Aemilius Celer che "scrisse da solo al lume della Luna"; lo storico-antiquario impiega i dati del testo per ricostruire il panorama di un'epoca; il collezionistico-museografico e umanistico non solo indaga l'apporto che gli studiosi europei dal XV secolo hanno recato, trascrivendo e commentando iscrizioni, ma ricostruisce le raccolte private e pubbliche e i passaggi di proprietà, puntando, con un percorso inverso, alla provenienza archeologica; lo storico-culturale accerta il ruolo che nel mondo moderno taluni documenti antichi hanno avuto in relazione al clima politico dell'epoca; infine il bibliografico-archivistico impiega e ordina la produzione manoscritta e a stampa in relazione alla storia degli studi.

L'epigrafia è dunque un universo vario, denso di sfide, provocazioni, curiosità:  pone davanti i suoi rigidi formalismi, i suoi sottintesi, le sue sintesi, le sue lacune defatiganti, gli enigmi, le abbreviature irrisolvibili, le ambiguità lessicali, gli inganni delle falsificazioni. Mette spesso in imbarazzo proponendo argomenti sconosciuti, costringendo a ricominciare daccapo. Il più delle volte non è lo studioso a scegliere di cosa occuparsi, ma è l'epigrafe che, offrendosi casualmente, condiziona il percorso di approfondimento, seducendo la fantasia.

Se si è fortunati si lavora sugli originali ancora in situ, ma quasi sempre si trovano fuori contesto, nei luoghi più diversi. Spesso l'originale è perduto, sicché si deve ricostruirne le vicende e verificare l'esattezza del testo confrontando le trascrizioni note.

Negli anni della rivoluzione francese, dell'impero napoleonico, dei sofferti papati di Pio VI (1775-1799) e Pio VII (1800-1823), Gaetano Marini (1742-1815), prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana dal 1798, fra le tante imprese compiute, che attendono ancora un narratore (l'ha rilevato Marco Buonocore nel 2004), trovò il tempo di salvare alcune migliaia di antiche "piccole" storie, facendone murare il pietrificato ricordo nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, nota come Ambulacrum Iulianum (da Papa Giulio ii) o come "corridore bramantesco" dall'architetto che la costruì.

Salvare la storia, mentre se ne viene travolti, è impresa coraggiosa, esemplare, generosa, lungimirante, benefica e, a suo modo, anche poetica.

In quelle lapidi divise per argomenti Marini ci si specchiava come degno rappresentante di una posterità non immemore; per lui ogni epigrafe era la finestra di un passato da ricomporre per ritrovarvi il senso del presente coi suoi traguardi e i suoi orrori.
Marini ci ha consegnato il frutto del proprio lavoro e regalato l'opportunità di compiere gli stessi viaggi che egli fece tante volte quanti furono i testi decifrati, letti, analizzati, contestualizzati, spiegati, datati.

La sfida di allora era e rimane quella di ricostituire i legami che il tempo ha sciolto, magari partendo dalla storia di un marinaio della flotta di Capo Miseno, originario della provincia Aegyptus, passando per un ex voto, sino a scendere nel quotidiano, col tempo dedicato al lavoro, con una sosta alla trattoria del "cuoco sobrio" o nelle terme private di Aurelia Faustiniana, la cui insegna vantava in Ficulea servizi ed efficienza paragonabili a quelli offerti nell'Urbe.

L'epigrafia delle carriere può stupire, giovando alla ricostruzione della mappa dei poteri distribuiti nel tempo e nei luoghi, svelando la complessa struttura della macchina imperiale e il profilo della sua classe dirigente, che fu caparbiamente conservatrice nella forma e pragmaticamente innovatrice nella sostanza (vedi la storia del diritto romano).

La "scrittura esposta" mostra ancora oggi, come nell'antichità, la metamorfosi della lingua, del formulario, dei contenuti, passa da un'avara età repubblicana al ricco alto impero (I-II secolo) e poi, attraverso un periodo di crisi che culmina con l'editto dioclezianeo sui prezzi (III), al basso impero (iv-vi), con un'epigrafia anarchica e povera di informazioni (nel 1997 fu dedicata una mostra a Le iscrizioni dei cristiani in Vaticano).

Il profilo appena tracciato contiene tutti gli elementi che sono alla base di quella passione di ricerca nota come "mal d'epigrafia":  chi la volesse contrarre dovrà - studio a parte - trovare dentro di sé il giusto equilibrio tra fantasia e realismo, tra impulso all'azzardo e autocontrollo critico, fra desiderio di certezza e necessità di approssimazione. Schiere di "ammaliati" ci tengono buona compagnia, anche se ad alcuni, come a Gaetano Marini, è andata via la voce.


(©L'Osservatore Romano - 2- novembre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)