00 22/12/2008 21:38
L'Umanesimo Cristiano di san Tommaso D'Aquino

L'UMANESIMO CRISTIANO

Mons. Prof. Brunero Gherardini

Pontificia Accademia Teologica Romana

Quando, esattamente 50 anni fa, un vescovo impose le sue mani sulla mia testa per costituirmi prete di Cristo e della sua Chiesa, non potevo neanche lontanamente immaginare che l'esercizio del mio sacerdozio sarebbe stato così lungo, e ricco, e vario; né che un giorno, forse fra i miei ultimi, l'avrei coronato con la commovente esperienza di parlar alla presenza del Papa. Grato al Signore per tanta accondiscendenza, m'accingo a verificare quale fondamento abbia la non rara negazione d'una qualche forma d'umanesimo cristiano in san Tommaso, anzi d'un umanesimo come tale.

E poiché assertore d'una tale negazione fu, tra gli altri, un tomista di caratura mondiale, l'indimenticato Cornelio Fabro(
1) che mi degnò della sua stima e della sua amicizia, son ben lungi dal dar alla verifica il significato d'una polemica. Mio unico intento è quello d'una onesta lettura dell’Aquinate. Tenterò, anzitutto, di precisare la nozione d'umanesimo, anche nella sua versione cristiana e ne ricercherò poi le tracce, supposto che ci siano, nel Corpus Thomasianum.


1 - L'umanesimo.

Ognuno conosce, o avverte, l'ambiguità dell'espressione. Per la cultura rinascimentale, fu sinonimo d'autonomia del conoscere, di adogmatismo metodologico e di ricupero del pensiero classico. Ma anche d'innesto sul ceppo cristiano di quanto i paradigmi pagani offrissero di buono, di bello e di vitale.
Da emblema di libertà, l'umanesimo, sotto la pressione dello sviluppo scientifico, divenne presto naturalismo, pragmatismo e riflessione antropologica. In tempi più recenti, è tornato alla forma estetizzante già assunta nel ‘400 e ‘500, e alla concezione dell'uomo come armonia e misura dell'universo (Winkelmann e Wolf, Lessing e Goethe, Schiller e von Humbolt).

Ma, per incontrar un umanesimo meno ambiguo, sarebbe opportuno partire dalla nozione ciceroniana d'humanitas, parente stretta del mondo classico, la quale pertanto dà ad humanus il senso di colto, erudito, ben educato. Da humanitas l'idea di litterae humanae come sintesi d'una cultura umanistica nella quale il moderno indirizzo filologico-filosofico si sposa con le premesse estetizzanti dell'umanesimo classico (Jaeger, Stenzel). Se non che, come nel ‘400-’500 la sapienza cristiana fu un non secondario coefficiente del primo umanesimo, così alcune forme umanistiche del presente attingono alla tradizione cristiana i loro valori più nobili, quali quelli riguardanti Dio-l'uomo-il mondo, per convogliarli nelle maglie della civiltà tecnologica, non sempre ricettiva, e spoglia d'orizzonti metafisici.

La nozione d'umanesimo cristiano va ulteriormente determinata, anche per non confonderlo con la filosofia cristiana. Russel, Heidegger, Jaspers e quanti s'oppongono perfino alla possibilità di essa, denotano la fragilità o la prevenzione ideologica dei loro argomenti. Ma ciò non dà una patente di legittimità all'umanesimo cristiano. Esso infatti non s'identifica con la filosofia cristiana, non ne è nemmeno una parte, ma apre prospettive più ampie di civiltà e di cultura.

2 - San Tommaso e l'umanesimo.

L'Aquinate, ovviamente, non conobbe alcuna sfaccettatura del fenomeno umanistico quattro e cinquecentesco, essendo vissuto più d'un secolo prima (1225ca-1274). Non ignorò, tuttavia, la pregnanza d'humanitas e studiò l'uomo in tutt'i suoi risvolti, come ben pochi altri prima e dopo di lui. Contrariamente a quanto gli si rimprovera, di procedere cioè astrattamente, egli mise a fuoco una visione dell'uomo, sotto ogni punto di vista completa: sul piano storico non meno che su quello metafisico, come spirito incarnato e socialmente correlato non meno che come essere intelligente e libero. In libros politocorum, De regimine principum, Secunda secundae, De perfectione vitae spiritualis, buona parte della Summa contra Gentiles, Quaestiones disputatae, Lectiones, Distinctiones, Expositiones: son gli scritti ai quali l'Angelico affidò un'antropologia filosofico-teologica, attenta ai valori dell'humanitas, del diritto naturale e della singola persona non meno che a quelli della Parola rivelata. Costruzione grandiosa, la sua, supportata da una logica stringente, aperta alle acquisizioni del passato nella stessa misura che alla "metafisica delle cose divine"
(2).

Non c'è dubbio che, in tale metafisica, consiste gran parte della filosofia cristiana; ma è anche sufficiente a dar vita ad una forma d'umanesimo cristiano?

La risposta coglie, in prima istanza, quell'analogia entis ch'è un intreccio armonico tra "scitum" (o sapere dialettico) e "creditum" (o sapere rivelato). Tale analogia attesta che c'è una proporzione tra la perfezione dell'ente e la sua attualità e risale, di perfezione in perfezione, all'Atto puro
(3) come ricchezza infinita e originaria di essere; donde, per partecipazione, la gamma indefinita ed indefinibile degli enti. Analogicamente all'Atto puro, ognuno di codesti enti ha la sua perfezione nell’actus essendi che ne determina l'importanza, l'intelligibilità e la verità come emergenza ontica da ogni indeterminatezza potenziale e come riflesso analogico dell'attualità assoluta(4).

Nella gamma dei valori che gli spiriti eletti della Rinascenza chiameranno umanesimo, l'Angelico pone dunque, sul piano ontologico, la relazione analogica al divino e la dipendenza genetica da Dio. Una dipendenza che rende l'ente partecipe allo stesso "actus essendi" di Dio, costituendolo nel proprio creaturale "actus essendi" come sussistenza singola, collegata all’Ipsum esse subsistens" non per continuità ed identità di essere, né per emanazione panteistica, ma per creazione e quindi per partecipazione analogica.

Ne consegue che l'uomo tomasiano, in quanto ha, "aliter tamen ac aliter", 1'"actus essendi" in comune con Dio ed in codesto atto ha tutta la sua perfezione, esprime se stesso, non diversamente dall'uomo dell'umanesimo, come sintesi e misura d'ogni forma creaturale inferiore.

3 - L'onnicomprensività dell'uomo.

C'è una gerarchia che, secondo san Tommaso, connota la distribuzione dell'essere secondo il principio del più e del meno
(5). Tutto l'essere partecipato è raccolto e coordinato da tale gerarchia; al suo vertice, l'uomo, perfezione d'ogni perfezione, che assomma in sé ed unifica, centralizza e spiritualizza, nobilita e razionalizza tutte le perfezioni inferiori. Aristotele aveva subordinato l'uomo ai mondi superiori immutabili; l'Angelico subordina tutto all'uomo, attesa la maggiore nobiltà della natura umana rispetto a qualunque altra natura creata(6).

Tale nobiltà scaturisce dall'anima. Nell'anima si riassumono, e tutti essa li trascende, i valori creaturali; essa è "comprensiva di tutto l'essere"
(7). Giustamente può dirsi perciò "quodammodo omnia"(8). E n'è chiaro il motivo: "fit quodammodo omnia secundum sensum et intellectum"(9): "Sicut sensus recipit species omnium sensibilium, et intellectus recipit species omnium intelligibilium"(10). Qualcosa d'infinito, dunque, risalta nell'anima dell'uomo, e quindi nell'uomo come soggetto d'attribuzione, il quale, attingendo intellettualmente l'essere in quanto essere, attinge il tutto e lo assume in sé, divenendo in certo senso e misura (si ricordi il "quodammodo") questo medesimo tutto.

L'Angelico risolve la dialettica uomo-tutto alla luce della natura attivo/passiva dell'intelletto umano
(11). Come "intellectus patiens", esso "recipit formas aliquas a rebus"; ma come "intellectus agens", rende intelligibili e per così dire immateriali le forme recepite, determinandone un passaggio qualitativo da particolari ad universali, da molteplici ed estese ad unificate e semplici, dall'attualità del loro limite creaturale a quella intellettuale ed onnicomprensiva del soggetto umano(12).

4 - Uomo: perfezione e creaturalità.

Ho detto che, l’"actus essendi" è tutta la perfezione dell'uomo e ch'egli è capace di recepire, per via intellettuale, tutte le perfezioni inferiori, conferendo loro significato ed importanza. Ma ciò né idealizza l'uomo, né sopprime gli evidenti limiti della sua natura. Anche l'uomo, infatti, come tutte le perfezioni che gli son inferiori, è segnato dal finito e contingente della creaturalità; allo stesso modo di tutto ciò che non è Dio, anche l'uomo è per ciò stesso da Dio creato
(13). Lungi dall'autoctisi, soggiace anch'egli a quell'atto creativo, ch'è produzione assoluta dell'essere(14): "secundum totam suam substantiam, nullo praesupposito subiecto". Vale a dire "ex nihilo sui", perché prima non era, "et ex nihilo subiecti" perché non dipendente da una sostanza (o materia, o soggetto) previa, né da una sua o accidentale o sostanziale trasformazione(15).
Anche per l'uomo, pertanto, la creaturalità è la nota primordiale, donde altre note discendono:
a) l'esser partecipato, o in-dipendenza, rispetto al Sussistente-per-se-stesso, ch'è l'Uno, l'Identico, il Semplice, il Creatore(16);
b) l'esser contingente, in totale e radicale dipendenza sia dal Necessario, sia dalla distinzione reale tra essenza ed atto, che è il segno della partecipazione
(17);
c) l'essere storicizzato, temporalizzato, imprigionato nel prima e nel poi, in una cornice di tempo e di spazio, dalla medesima circoscritto e misurato, lui, centro e misura di tutto e tuttavia incapace di dominar il fluire della temporalità, della parzialità, della successione, non essendo titolare di quella pienezza di essere che trascende in sé e per sé tutt'i limiti dell'essere partecipato e storicizzato
(18). E' "quodammodo omnia", ma nel "quodammodo" s'inscrivon tutt'i limiti predetti.
5 - L'uomo ed il limite morale.

Quelli già segnalati costituiscon lo sfondo ed il teatro d'un limite maggiore, la cui drammaticità si coglie in ambito più teologico che filosofico. E' il limite morale, il peccato. Di fronte ad esso, la considerazione tomasiana dell'uomo non si ferma sul gradino della creaturalità partecipata, contingente e storicizzata, ma affronta i gradini ulteriori: dalla creatura, alla creatura peccatrice, decaduta e ri-creata.
In effetti, l'uomo non si capisce solo nel quadro della causalità e della partecipazione. Causalità e partecipazione ne rivelano sì, la perfezione ontica unitamente ai suoi limiti, ma il vero volto dell'uomo è quello che delinea i suoi contorni "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,26.27; 9,6; Sir 17,3). San Tommaso lo tratteggia così:
a) riconoscibile dai tratti analogici che ne rivelano l'origine da Dio e dal suo amore diffusivo di sé;
b) capace a sua volta di conoscer attraverso quei tratti Dio come suo Creatore;
c) soprannaturalizzato dalla Grazia che ne cancella il peccato, ne assicura il destino eterno e lo anticipa;
d) perfezionato, dopo la sua vicenda terrena, dal c.d. "lumen gloriae"
(19).
La figura dell'uomo peccatore non vien certo banalizzata dall'Angelico, ma egli è perentorio: il peccato non cancella l'immagine di Dio. La ragione è semplice: la giustizia originale, nel cui possesso l'uomo era stato collocato dal suo Creatore e nella cui realtà confluivan insieme Grazia, elevazione all'ordine soprannaturale e doni preternaturali (quelli cioè che perfezionavan la natura nel suo stesso ordine) non fu dal peccato annullata, ma solo indebolita. Il peccatore fu infatti privato della Grazia e dei doni preternaturali, ma non del suo ordinamento naturale, né della sua finalizzazione al Creatore(20).

Su questa base, l'Angelico analizza la sostanziale "restitutio in integrum" prevista dal progetto del Padre e compiuta dal suo Verbo incarnato. Con i segni del peccato sul volto dell'uomo egli riconosce così anche gli effetti di un'azione ricreante (la redenzione) e giustificante (il perdono dei peccati e la costituzione d'un organismo soprannaturale). E' l'azione che, sottraendolo a Satana, mette l'uomo in rapporto con Dio UniTrino; che manifesta la sovrana libertà dell'amore redentore; e che fa del peccatore redento la dimora del Padre Figlio e Spirito Santo. Un'azione profondamente innovatrice, anzi una "creazione nuova" ed una nuova partecipazione ontica: l'innesto della sopranatura sulla natura ferita: quel medesimo Dio che, nella sua infinita realtà di "Ipsum esse subsistens", partecipa l'essere e fa sbocciar il creato, è anche Colui che partecipa la sua stessa vita e fa sbocciare l'ordine della Grazia
(21).

6 - L'umanesimo "cristiano" di san Tommaso d'Aquino.

La cultura contemporanea è satura d'immanenza e mal sopporta l'accostamento cristiano ad umanesimo. D'altra parte, ho detto all'inizio che nemmeno san Tommaso parla d'umanesimo. Dando per scontata l'aberrazione critica dell'ubriacatura immanentistica, mi domando se la strada verso una risoluzione umanistica dell'Angelico sia o no percorribile.
In assenza d'una forma ben articolata d'umanesimo, si trova in lui un'antropologia integrata, comprensiva cioè dei valori naturali e soprannaturali dell'uomo. Ad essa l'umanesimo immanentistico contrappone un sistema soggettivistico e sostanzialmente ateo, che decreta il fallimento dell'uomo anche quando lo esalta, abbandonandolo alla mercé del collettivo, della razza, della nazione, del mondo, della storia.

Perfino un Heidegger ne prese le distanze, spaventato, e parlò di "Weltkatastrophen"
(22). Esito fatale e catastrofe inevitabile. Non c'è, infatti, altro sbocco all'identità dialettica tra l'uomo e Dio, all'idealismo metafisico dell'autocoscienza o dell’"essere di coscienza", nonché al panteismo irrisolto ed ambiguo, dove tutto perde la propria identità: l'uomo, il mondo, Dio.
Ad impedir una tale catastrofe s'erge il baluardo dell'umanesimo cristiano. Al suo interno concorre allo scopo la lettura umanistica dell'antropologia integrata che, con l'Aquinate, possiam opporre:
a) all'umanesimo classicheggiante che volge a ritroso la ricerca, la sostanzia d'estetismo formale e la blocca sui modelli antichi;
b) all'umanesimo razionalistico, da quello storico di Cartesio e Leibniz, Spinoza e Malebranche, Kant e Fichte, a quello "teologico" di Hegel che, nella sinistra del suo sistema (Feuerbach, Marx) sottopone l'umanesimo stesso alla "lotta di classe";
c) all'umanesimo esistenzialista che, in ognuno dei suoi indirizzi (ontologico, con M. Heidegger; ateistico, con J.P. Sartre; e religioso-teologico con K. Barth e R. Bultmann, e l'unica felice eccezione di S. Kierkegaard), resta invischiato nell'unilateralità delle sue premesse.
Nel suo aspetto integrato e complementare, l'antropologia tomasiana può ben esser risolta in umanesimo, ed ovviamente cristiano, accentuando due valori di fondo:
l. la creaturalità con tutto ciò che comporta di storicità e dipendenza, temporalità e partecipazione;
2. la redenzione o "creazione nuova", con la sua vis liberatrice dal peccato e dispensatrice della vita nuova in Cristo
(23).
Il suo punto di forza, però, sta tutto nel prolungamento speculativo della partecipazione dall'ambito naturale dell'essere a quello soprannaturale dell'essere per grazia. Una partecipazione, questa, più intensa, più profonda, sott'alcuni aspetti nuova: arricchisce l'essere creaturale di quel "qualcosa in più" che non gli è dovuto a titolo naturale e l'innalza a livelli, sempre ovviamente partecipati, non solo d'appartenenza, ma anche di comunione con la Trinità sacrosanta. E' quell’"in più che definisce l'uomo senza strapparlo alla sua condizione di creatura ed in lui realizza più compiutamente, in virtù della "similitudo divinitatis"(24), l'immagine che Dio gli aveva impresso creandolo.
Logica la conclusione. Quello di san Tommaso d'Aquino è un vero umanesimo, perché:
l. spiega col ricorso alla partecipazione la creazione e ricreazione dell'uomo, distinguendone "in re" i livelli ontologico-operativi;
2. costituisce in esso il centro e la misura dell'universo, la sintesi di tutte le forme create, l'"horizon et confinium omnium corporeorum et incorporeorum"
(25);
3. lo riscatta dalla colpa d'origine a prezzo del Sangue redentore;
4. lo pone in comunione, ammembrandolo nel Corpo di Cristo, col Padre e lo Spirito Santo;
5. gli affida il compito di costruire la città terrena come concrezione di valori naturali e soprannaturali, per una cultura ed una civiltà commensurate sull'uomo, e quindi in armonia col progetto originario di Dio Creatore e Redentore.
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NOTE
1) L'anima. Introduzione al problema dell'uomo, Roma 1955, p. 340-341 (310-346).
2) S.TOMMASO, CG I,4,1-2.
3) STh I,4,1.
4) II Sent I,1,1; STh I,44,1c: "Relinquitur ergo quod omnia alia a Deo non sint suum esse, sed participent esse. Necesse est igitur omnia quae diversificantur secundum díversam participationem essendi, ut sint perfectius vel minus perfecte, causari ab uno primo ente, quod perfectissime est".
5) STh I,76,2: "secundum perfectius et minus perfectum"; cf I,3,3; I,57,1; I,78,1.
6) III Sent I,1 ad 2.
7) CG III,112.
8) De anima III,3; CG III,112; De verit. XVIII, 4 ad 6.
9) STh I,80,1; De anima XIII,12-13.
10) STh I,80,1; cf I,7,2 ad 2; De verit. XVIII,4 ad 6.
11) De anima III,10; Ethic. VI, l.
12) STh I,87,1c; CG II,60.
13) STh I,44-45,2c; I,65,1-4; I/2,79,2c; I Sent I,1,2-3.17; CG II,6.15.16; Opusc. III,68,69; XV,19.
14) STh I,45,5.
15) STh I,45,1; De Poten. III,1 ad 7.
16) III Physic. I; cf FABRO C., La nozione metafisica di partecipazione, Torino 1969 , p. 421-448; Elementi per una dottrina della partecipazione, in "Divinitas" 2 (1967) 559-586, poi in Esegesi tomistica, Roma 1969, p. 421-448.
17) S.TOMMASO, De divinis nomin. II,3; De Poten. II,5 ad 6; V,3c et 8.9.12; St I,27,2 ad 3; I,104,1 ad l; 1/2,93,4 ad 4. Cf. FABRO C., La nozione tomistica di contingenza, in "Rivista di Filos. neoscolatica" XXX(1938)132-149, poi in Esegesi, cit. p. 49-69.
18) S.TOMMASO, III Physic. IX, 368; IV Physic. VIII,491; VIII Metaphysic. 1742; XI Metaphysic. X, 2339; Cf. BOGLIOLO L., L'uomo nel mondo. Antropologia filosofica, Roma 1971, p. 160-173.
19) Tutta l'antropologia tomasiana ruota attorno a questi valori. Cf. STh I, 3 ad 2; I, 4, 3c; I, 35, 2 ad 3; I, 45, 7c; I, 91, 4 ad 1 et 2; I,93,1 ad 3.
20) De malo IV, 2 ad 17; V, 1 ad 13; STh I, 95, 1; I, 100, 1 ad 2; I/2,81,3; I/2,83,2 ad 2.
21) STh III,3 et 4 ad 3; III,7,13; I,43; CG IV,34; De divinis nomin. I,2; In Symb. Apost. III; In ep. ad Rm. I,3; In ep. ad Eph. I,l; In ep. ad Haebr. II,3; In Joann. ev. I,8; III Sent X,2,l et 2; De Poten. II, 4c.
22) HEIDEGGER M., Nietzsches Wort "Gott ist tot", in Holzwege, Francoforte s. M. 1957, p. 200ss; Die Zeit des Weltbildes, ivi p. 100 n. 9.
23) Si veda con quale e quanta acutezza l'Angelico esplori il mistero dell'anima in De spirit. creat. I; cf STh I/2,50,4 ad 2 et 5; I/2,110 4c; I,77,1; I,79,3c et 5c; I,76,1c; I,87,1c; sull'approfondimento tomasiano della "scientia fidei" e della "libertas" nell'atto di fede, cf STh I,1,2 ad 2; I,1,7; I,5,4 ad 3; I/2,74,1; I/2,87,6; I/2,19,6; II/2,1.
24) STh I,13,9 ad 1; I/2 prol.
25) Cf. III Sent., Prol.; De Verit. XVIII, 4 ad 6.; CG III,59.112: De Anim. 13; De Causis Prop. IX. et alibi.

FONTE
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"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)