DIFENDERE LA VERA FEDE

SUMMORUM PONTIFICUM Motu Proprio sulla Messa Antica

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    Caterina63
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    00 26/12/2008 20:09
    Benedetto XVI liberalizza la Messa Antica -san Pio V-



        



    LETTERA APOSTOLICA
    MOTU PROPRIO DATA

     

    BENEDETTO XVI

    SUMMORUM PONTIFICUM

    Sull'uso straordinario dell'antica forma del Rito Romano*



     

    I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, "a lode e gloria del Suo nome" ed "ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa".


    Da tempo immemorabile, come anche per l'avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede" [1].


    Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di San Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell'Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l'Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell'Urbe. Promosse con la massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di San Benedetto, dovunque unitamente all'annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: "Nulla venga preposto all'opera di Dio" (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l'uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell'età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.


    Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca S. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell'esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l'edizione dei libri liturgici, emendati e "rinnovati secondo la norma dei Padri" e li diede in uso alla Chiesa latina.


    Fra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

    "Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l'aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all'inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale" [2]. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, San Pio X [3], Benedetto XV, Pio XII e il Beato Giovanni XXIII.


    Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato "perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia" [4].


    Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell'anno 1984 con lo speciale indulto Quattuor abhinc annos, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal Beato Giovanni XXIII nell'anno 1962; nell'anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica Ecclesia Dei, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.


    A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull'aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:


    Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della "lex orandi" ("norma della preghiera") della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII deve venire considerato come espressione straordinaria della stessa "lex orandi" e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella "lex credendi" ("norma della fede") della Chiesa; sono infatti due usi dell'unico rito romano.

    Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa.

    Le condizioni per l'uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori Quattuor abhinc annos e Ecclesia Dei, vengono sostituite come segue:


    Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.


    Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o "comunitaria" nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l'edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.


    Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all'art. 2, possono essere ammessi - osservate le norme del diritto - anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.


    Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del canone 392, evitando la discordia e favorendo l'unità di tutta la Chiesa.


    § 2. La celebrazione secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una sola celebrazione di tal genere.


    § 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.


    § 4. I sacerdoti che usano il Messale del Beato Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.


    § 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.


    Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche in lingua volgare, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.


    Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all'art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".


    Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione "Ecclesia Dei", perché gli offra consiglio e aiuto.


    Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell'amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell'Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.


    § 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.


    § 3. Ai chierici costituiti "in sacris" è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.


    Art. 10. L'Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del canone 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.


    Art. 11. La Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", eretta da Giovanni Paolo II nel 1988 [5], continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.


    Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l'autorità della Santa Sede, vigilando sulla osservanza e l'applicazione di queste disposizioni.


    Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come "stabilito e decretato" e da osservare dal giorno 14 settembre di quest'anno, festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.


    Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato
    .

    BENEDETTO PP. XVI



    [1] Ordinamento generale del Messale Romano, III ed., 2002, n. 397.

    [2] Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.

    [3] Ibid.

    [4] San Pio X, Lett. Ap. motu proprio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, n. 3: AAS 81 (1989), 899.

    [5] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498.


    __________________

    * Traduzione italiana rivista e corretta alla stregua del testo ufficiale del Motu proprio, pubblicato in AAS 99 (2007), p. 777-781




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                                                                           [SM=g1740722] [SM=g1740722]





    [SM=g1740720] Benedetto XVI ci ha veramente fatto un immenso dono.....



    LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
    AI VESCOVI IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DELLA
    LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO DATA"SUMMORUM PONTIFICUM
    SULL'USO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA EFFETTUATA NEL 1970

     

    Cari Fratelli nell’Episcopato,

    con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.

    Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.

    A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.

    In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto  che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso,  sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

    Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le “giuste aspirazioni” di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così,  aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.

    In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.

    E’ vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico  potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione “Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior” studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.

    Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.

    Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.

    In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: “Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum”).

    Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.

    Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.

    Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue” (Atti 20,28).

    Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

    Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007

    BENEDICTUS PP. XVI


    [Modificato da Caterina63 19/08/2015 17:07]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 26/12/2008 20:17

    Sul vero significato di questo documento pontificio, Giovanni Peduto ha raccolto la riflessione del cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e per molti anni prefetto della Congregazione per il Clero:


    R. – Io direi che già Giovanni Paolo II voleva dare ai fedeli che amavano l’antico rito - alcuni dei quali erano passati al movimento dell’arcivescovo Lefebvre, ma che poi lo avevano lasciato per mantenere la piena unità con il Vicario di Cristo - l’opportunità di celebrare il rito che era più vicino alla loro sensibilità. Il Santo Padre Benedetto XVI ha partecipato sin dall’inizio a tutta la questione Lefebvre ed ha quindi conosciuto benissimo il problema che creava a quei fedeli la riforma liturgica. Il Papa ha un amore speciale per la liturgia. Un amore che si traduce anche in capacità di studio, di approfondimento della Liturgia stessa. Ecco perché Benedetto XVI considera un tesoro inestimabile la Liturgia anteriore alla Riforma del Concilio. Il Papa non vuole tornare indietro. E’ importante sapere e sottolineare che il Concilio non ha proibito la Liturgia di San Pio V e bisogna inoltre dire che i Padri del Concilio hanno celebrato la Messa di San Pio V. Non è come alcuni sostengono, perché non conoscono la realtà, un tornare indietro. Al contrario: il Concilio ha voluto dare ampia libertà ai fedeli. Una di queste libertà è proprio quella di prendere questo tesoro – come dice il Papa – che è la Liturgia, per mantenerlo vivo.


    D. – Cosa cambia, in realtà, con questo Motu Proprio?

    R. – Con questo Motu Proprio, in realtà, il cambiamento non è tanto grande. La cosa principale è che in questo momento i sacerdoti possono decidere, senza permesso né da parte della Santa Sede né da parte del vescovo, se celebrare la Messa nel rito antico. E questo vale per tutti i sacerdoti. I parroci sono essi stessi che in parrocchia devono aprire la porta a quei sacerdoti che, avendo le facoltà, vanno a celebrare. Non è, quindi, necessario chiedere nessun altro permesso.


    D. – Eminenza, questo documento è stato accompagnato da polemiche e timori: ma cosa non è vero di quanto è stato detto o letto?

    R. – Non è vero, per esempio, che sia stato tolto ai vescovi il potere sulla Liturgia, perché già il Codice dice chi deve dare il permesso per dire Messa e non è il vescovo: il vescovo dà il celebret, la potestà di poter celebrare, ma quando un sacerdote ha questa potestà, sono il parroco e il cappellano che devono offrire l’altare per celebrare. Se qualcuno lo impedisce, tocca allora alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei prendere misure, a nome del Santo Padre, affinché questo diritto – che è un diritto ormai chiaro dei fedeli - venga rispettato.


    D. – Alla vigilia dell’entrata in vigore del Motu Proprio, quali sono i suoi auspici?

    R. – I miei auspici sono questi: l’Eucaristia è la cosa più grande che noi abbiamo, è la manifestazione più grande dell’amore, dell’amore redentore di Dio che ci vuole accompagnare con questa presenza eucaristica. Questo non deve essere mai un motivo di discordia: lì ci deve essere solo l’amore. Io auspico che questo possa essere un motivo di gioia per tutti coloro che amano la tradizione, un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che non avranno più divisioni, ma avranno – al contrario – una molteplicità di santità con un rito che è stato certamente il fattore e lo strumento di santificazione per più di mille anni. Ringraziamo, quindi, il Santo Padre che ha recuperato per la Chiesa questo tesoro. Non viene imposto niente agli altri. Il Papa non impone l’obbligo; il Papa impone però di offrire questa possibilità laddove i fedeli lo richiedono. Se ci fosse un conflitto, perché umanamente due gruppi possono entrare in contrasto, l’autorità del vescovo – come dice il Motu Proprio – deve intervenire per evitarlo, ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato a tutta la Chiesa.

    http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=154791




    ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato a tutta la Chiesa.


    __________________
    "Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)



                       
    ORDINARIUM MISSAE

    RITUS INITIALIS

    INTROITUS

    In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
    Amen.
    Dominus vobiscum.
    Et cum spiritu tuo.

    Fratres, agnoscamus peccata nostra, ut apti simus ad sacra mysteria celebranda.
    Confiteor Deo omnipotenti et vobis, fratres,
    quia peccavi nimis cogitatione, verbo, opere et omissione:
    mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
    Ideo precor beatam Mariam semper Virginem,
    omnes Angelos et Sanctos,
    et vos fratres, orare pro me ad Dominum Deum nostrum.
    Misereatur nostri omnipotens Deus
    et, dimissis peccatis nostris, perducat nos ad vitam aeternam.
    Amen.
    Tratto da: www.maranatha.it
    __________________



    Testo del signor Cardinale Joseph Ratzinger apparso all’inizio dell’edizione francese del libro di Mons. Klaus Gamber “La Réforme liturgique en question” (tit. orig. “Die Reform der Römischen Liturgie”), ed. Sainte-Madeleine (1992), 84330 Le Barroux, Francia. Il testo francese è stato preso dal sito dei monaci dell’Abbazia di Sainte-Madeleine di Barroux (http://www.barroux.org/docum/documpres.html ).

    “Il coraggio di un vero testimone”


    Un giovane sacerdote mi diceva di recente: “Ci vorrebbe oggi un nuovo movimento liturgico”. Era l’espressione di una preoccupazione che, di questi giorni, solo degli spiriti volontariamente superficiali potrebbero allontanare. Ciò che importava a questo sacerdote, non era di conquistare nuove e audaci libertà: quali libertà non ci siamo già arrogati? Sentiva che abbiamo bisogno di un nuovo inizio che tragga origine dall’intimo della liturgia, come l’aveva voluto il movimento liturgico quando si trovava all’apogeo della sua vera natura, quando non si trattava di fabbricare testi, di inventare azioni e forme, ma di scoprire il centro vivente, di penetrare nel tessuto propriamente detto della liturgia, affinché l’adempimento di questa fosse il risultato della sua stessa sostanza.



    La riforma liturgica, nella sua concreta realizzazione, si è allontanata sempre più da questa origine. Il risultato non è stata una rianimazione ma una devastazione. Da un canto, abbiamo una liturgia degenerata in “show”, nella quale si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto di idiozie alla moda e di massime morali seducenti, con dei successi momentanei nel gruppo dei fabbricanti di liturgia, e una attitudine all’arretramento tanto più pronunciata presso coloro che cercano nella liturgia non lo “shomaster” spirituale, ma l’incontro col Dio vivente davanti al quale ogni “fare” diventa insignificante, essendo solo questo incontro capace di farci accedere alle autentiche ricchezze dell’essere.

    D’altro canto, abbiamo la conservazione di forme rituali la cui grandezza emoziona sempre, ma che, spinte all’estremo, manifestano un isolamento ostinato e alla fine non lasciano altro che tristezza. Certo, tra i due estremi rimangono tutti i sacerdoti e le loro parrocchie che celebrano la nuova liturgia con rispetto e solennità, ma vengono rimessi in discussione dalla contraddizione tra i due estremi, e la mancanza di unità interna nella Chiesa alla fine fa comparire la loro fedeltà, a torto per molti di loro, come una semplice verità personale di neoconservatorismo. Un nuovo impulso spirituale è quindi necessario affinché la liturgia sia di nuovo per noi una attività della comunità della Chiesa e che venga strappata all’arbitrio dei sacerdoti e dei loro gruppi liturgici.

    Non si può “costruire” un movimento liturgico di questo genere –non più di quanto si possa costruire un qualche cosa di vivo-, ma si può contribuire al suo sviluppo sforzandosi di assimilare di nuovo lo spirito della liturgia e difendendo pubblicamente quanto abbiamo fin qui ricevuto. Questo nuovo inizio ha bisogno di “padri” che siano dei modelli, e che non si contentino di indicare la via da seguire. Chi cerca oggi di tali “padri” incontrerà immancabilmente la persona di Klaus Gamber, che ci è stato purtroppo portato via troppo presto, ma che forse, e proprio nel lasciarci, ci è divenuto autenticamente presente in tutta la forza delle prospettive che ci ha dischiuso.

    Giustappunto perché lasciandoci sfugge alla diatriba delle parti, potrebbe in questo momento di sconforto, divenire il “padre” di un nuovo inizio. Gamber ha portato con tutto il suo cuore la speranza dell’antico movimento liturgico. Senza dubbio, venendo da una scuola straniera, è rimasto un “outsider” sulla scena tedesca, dove non lo si voleva accettare sul serio; ancora di recente una tesi ha incontrato ingenti difficoltà perché la giovane ricercatrice aveva osato citare Gamber troppo diffusamente e con troppa benevolenza. Ma forse questo essere messo da parte è stato provvidenziale perché ha costretto Gamber a seguire la sua propria via e gli ha evitato il peso del conformismo.

    E’ difficile esprimere in poche parole ciò che, nella disputa tra i liturgisti, è veramente essenziale e ciò che non lo è. Forse l’indicazione seguente potrò essere utile. J.A. Jungmann, uno dei veri grandi liturgisti del nostro secolo, aveva definito a suo tempo la liturgia, tale quale la si ascoltava in Occidente rappresentandola soprattutto attraverso la ricerca storica, come una “liturgia frutto di uno sviluppo”; probabilmente anche per contrasto con la nozione orientale che non vede nella liturgia il divenire e la crescita storici, ma solamente il riflesso della liturgia eterna, la cui luce, attraverso lo svolgimento sacro, illumina il nostro tempo mutevole con la propria bellezza e grandezza immutabili. Le due concezioni sono legittime e in definitiva non sono inconciliabili.

    Ciò che è avvenuto dopo il Concilio significa tutt’altro: al posto di una liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di divenire per entrare nella fabbricazione.

    Non si è più voluto proseguire il divenire e la maturazione organici del vivente attraverso i secoli, e li si è rimpiazzati – come fosse una produzione tecnica – con una fabbricazione, prodotto banale del momento. Gamber, con la vigilanza di un autentico profeta e con il coraggio di un autentico testimone, si è opposto a questa falsificazione e ci ha insegnato instancabilmente la viva pienezza di una liturgia autentica, grazie alla sua conoscenza incredibilmente ricca delle fonti.

    Un uomo che conosceva e amava la storia, ci ha mostrato le molteplici forme del divenire e del cammino della liturgia; un uomo che vedeva la storia dall’interno, ha visto in questo sviluppo il frutto dello sviluppo stesso e il riflesso intangibile della liturgia eterna, la quale non è oggetto del nostro fare ma che può continuare meravigliosamente a maturare e fiorire, se ci uniamo intimamente al suo mistero. La morte di questo uomo e sacerdote eminente dovrebbe stimolarci; la sua opera potrebbe aiutarci a prendere nuovo slancio.

    Joseph, cardinale RATZINGER.






    KLAUS GAMBER

    Storia della liturgia

    Molto volentieri, in occasione del decesso improvviso di Klaus Gamber, dirò qualche parola in sua memoria, conoscendo il defunto da lunga data, soprattutto attraverso le sue pubblicazioni scientifiche consacrate alla storia della liturgia.
    Ci sono poche discipline per le quali la storia abbia una importanza tanto fondamentale quanto per la liturgia, ovvero la scienza del culto cristiano nel senso più vasto del termine. Senza la conoscenza delle origini della liturgia, della sua evoluzione, delle suo modifiche e degli sviluppi che ha subito, non si possono comprendere le ragioni e lo stato attuale dei riti e dei testi liturgici, né il loro svolgersi nei tempi, lo spazio e le cose.
    La conoscenza della storia della liturgia è dunque la condizione indispensabile per una interpretazione corretta e per un apprezzamento della liturgia di ieri così come per quella di oggi.
    Considerando lo stretto legame esistente tra la fede e la liturgia (lex orandi – lex credendi), quest’ultima obbedisce a delle leggi analoghe a quelle della fede stessa, bisogna sapere che essa esige di essere preservata con grande cura, e quindi che è essenzialmente orientata verso la conservazione. Ogni ulteriore sviluppo dovrà essere oggetto di una prudente riflessione, essere in qualche modo guidata dal sensus fidelium, e non potrà divenire effettivo se non sotto il controllo attento dell’autorità. Per diversi motivi, durante questi lunghi periodi di evoluzione, possono sorgere delle deformazioni, che saranno spesso rilevate postume, e che, presto o tardi, dovranno essere corrette.
    Per apprezzare al pertinenza delle riforme e degli sviluppi che la liturgia ha conosciuto nel passato, come per apportarvi eventuali rettifiche, e ancora più per contribuire allo sviluppo del culto richiesto dai nostri tempi, la conoscenza esatta degli elementi costitutivi e della loro evoluzione è una condizione importante e addirittura indispensabile.


    (Translation from French made by courtesy of Angela, amici di Ratzinger)

    __________________
    Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

    Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
    (Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)
     

     
    LA MESSA CON I LEFEBVRIANI E' VALIDA
    http://www.papanews.it/news.asp?IdNews=3479#a


    Messa in latino, esclusiva di “Petrus” - Parla Monsignor Perl della Commissione 'Ecclesia Dei': “Troppi Vescovi e sacerdoti disubbidienti, al vaglio una nota chiarificatrice sul Motu Proprio del Papa”


    di Bruno Volpe


    CITTA’ DEL VATICANO - “E’ vero, stiamo redigendo un documento-istruzione sulla giusta interpretazione del Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’ che la liberalizzato la Messa secondo i libri liturgici di San Pio V cosi’ come modificati dal Beato Giovanni XXIII“. Lo afferma in un’intervista esclusiva a “Petrus” Monsignor Camille Perl, Segretario della Pontificia Commissione ‘Ecclesia Dei’, che aggiunge: “Pur non essendo una Congregazione, abbiamo ricevuto la facoltà di preparare questa nota per la definizione di alcuni aspetti del Motu Proprio papale quale, ad esempio, quello del gruppo stabile. Dovremo cioè chiarire per gruppo stabile cosa si intende, quante persone precisamente dovranno chiedere al proprio parroco di celebrare con il rito pre-conciliare“.

    Monsignor Perl, l’istruzione si deve alle varie contestazioni sollevate da vescovi e sacerdoti contrari alle nuove norme sull’accesso alla Messa con rito tridentino?

    “La situazione è sotto gli occhi di tutti. Del resto, dopo il Motu Proprio del Papa era lecito aspettarsi reazioni contrastanti. Alcuni hanno manifestato entusiasmo, altri no. Eppure basterebbe considerare che il Motu Proprio non è caduto dal cielo, ma è il frutto di un lungo cammino”.

    Allora perchè alcuni vescovi e molti sacerdoti non lo accettano?

    “Bisognerebbe chiederlo a loro. Personalmente, credo che il problema sia di ordine generale. Oggi, in tutti i campi della società, si è perso il senso dell’obbedienza e del rispetto dell’autorità. Come dire, in pochi sono davvero capaci di ubbidire“.

    Eppure il rito tridentino di San Pio V, caratterizzato da bellezza liturgica e spiritualità, non è mai stato abolito dalla Chiesa…

    “Assolutamente no, il Concilio Vaticano II non ha mai cancellato il messale anteriore. Ritengo che il Papa Benedetto XVI abbia fatto bene a liberalizzarlo, valorizzando così un patrimonio e un gioiello della Chiesa. Non voglio fare una comparazione tra la Messa di Papa Paolo VI e quella anteriore, non sarebbe giusto. Ma non è storicamente sensato voler cancellare il valore della tradizione”.

    E intanto gli abusi liturgici, definiti “al limite del sopportabile” dallo stesso Benedetto XVI nel Motu Proprio “Summorum Pontificum”, sono sempre maggiori…

    Non me ne parli. E nessuno riesce ad eliminarli, proprio perchè, come le ho detto, non esiste il senso del rispetto dell’autorità. La liturgia non si può imporre, ma mi sembra giusto affermare che dopo il Concilio Vaticano II, e con questo non voglio ovviamente emettere alcuna sentenza di condanna, la Messa alcune volte si è trasformata in qualcosa di emozionale, e così è stato messo da parte il suo reale valore di sacrificio e di dono. Si è pensato che il nuovo fosse migliore, che il nuovo sia sempre migliore. Succede così anche nella vita di tutti i giorni, le scarpe nuove vengono considerate meglio di quelle vecchie…”.

    In ultimo, un chiarimento: i fedeli in comunione con il Papa e la Chiesa di Roma possono assistere a Messe della Fraternita’ di San Pio X o incombono nella scomunica?

    Non sono assolutamente scomunicati coloro i quali assistano ad una Messa della fraternità di San Pio X. La liturgia è valida, anche se loro sono considerati scismatici. Del resto, è valida per i cattolici anche la liturgia degli ortodossi“.


                                     

    Nella foto, l'allora Cardinale Joseph Ratzinger mentre presiede una Santa Messa celebrata con il rito tridentino di San Pio V.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 26/12/2008 23:03

     
    Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.

     LETTERA DI S. S. GIOVANNI PAOLO II
    ALLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
    E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI 21.9.2001

     Occhiolino
    va da se che chi usa il Papa esclusivamente per un proprio tornaconto(o riconoscimento) OMETTENDO però di citare ciò che il Papa dice quando CORREGGE, AMMONISCE ED INSEGNA....(come la Lettera qui citata), non è un buon cattolico ed agisce EGOISTICAMENTE idolatrando la figura del Pontefice per quando fa comodo, ma omettendone l'insegnamento....ecco una immagine di Giovanni Paolo II che si appresta a celebrare la Messa san Pio V

                                


     

                                        

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 23/01/2009 23:51
    EVVIVA....IL PAPA TOGLIE LA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI!!! [SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740742] [SM=g1740721] [SM=g1740722]

    [SM=g1740750] [SM=g7182] [SM=g1740720]


    Citta' del Vaticano, 23 gen - L'Osservatore Romano pubblichera' domani una ''nota esplicativa'' sulla decisione di papa Benedetto XVI di revocare la scomunica dei quattro vescovi scismatici ordinati dal tradizionalista mons. Marcel Lefebvre nel 1988. Lo scrive l'agenzia francese I.Media.

    L'atto di papa Ratzinger verra' presentato sul quotidiano della Santa Sede come ''un atto di misericordia del papa''.

    Le fonti dell'agenzia francese hanno anche commentato le parole antisemite di uno dei vescovi che sta per essere riaccolto nella Chiesa, l'inglese Richard Williamson, che in un'intervista tv ha negato l'esistenza delle camere a gas.

    ''Se uno dei quattro vescovi vuol dire delle sciocchezze, e' un suo problema''.

    Questa anticipazione, se corretta, confermerebbe le voci secondo la quale domani verra' pubblicato il decreto di revoca della scomunica dei tradizionalisti da parte di papa Benedetto XVI.



    **********************

    dunque visto che la Nota dell'OR oggi non c'era per l'uscita del giornale di domani, immagino che sarà pubblicata domani pomeriggio per l'uscita di domenica....

    faccio notare un punto discordante...

    - i vescovi sono 3 e non 4 dal momento che, come riportato dalla fonte Cesnur:

    Mons. Rangel vi chiedeva il ritiro della scomunica incorsa in conseguenza della sua elevazione all’episcopato. In occasione della festa di Natale del 2001, il Papa ha inviato a mons. Rangel una lettera autografa con la quale lo assolve dalla scomunica e lo riceve nella piena comunione della Chiesa romana. È questo ad avere permesso la cerimonia del 18 gennaio 2002, a Campos.

    a meno che non abbiano eletto un altro vescovo, ma ciò non è avvenuto.... [SM=g7831]

    - se poi ci si preoccupa di ciò che dice mons. Williamson, ci si preoccupi principalmente dei vescovi e sacerdoti che ancora parlano male del MP del Papa e della Messa san Pio V....e ancora oggi non facilitano IL COMPENDIO DEL CATECHISMO (redatto dal Papa appena eletto) NELLE PARROCCHIE... [SM=g1740730]
    Il sistema migliore per abbassare i toni di Williamson è quello di occupare i Cattolici ad un interesse verso la sana Tradizione, il resto verrà da se... [SM=g1740717]

    a domenica, o domani sera, per un santo BRINDISI.... [SM=g1740721] [SM=g1740710]


    [SM=g1740750] [SM=g7182] un milione di Rosari (pregati e supplicati) sono stati portati a Natale quale dono al Papa dalla FSSPX proprio per togliere la scomunica che penalizzava non solo i 3 vescovi ma soprattutto le migliaia di fedeli che non avevano alcuna colpa....

    [SM=g8925] SANTO PADRE!! [SM=g1740721] [SM=g1740717]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 02/10/2009 22:37
    Editoriale di don Andrea Caniato sul motu proprio di Benedetto XVI sull'uso del Messale precedente alla riforma liturgica.

    www.giovanietradizione.org

    www.fedecultura.com

    www.iltimone.org


    La presentazione è breve, solo 3 minuti per spiegare la grande rivoluzione riformatrice apportata da Benedetto XVI, ma sono abbastanza per comprendere in poche parole l'essenziale...

    [SM=g1740722]








    [SM=g1740733]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 30/10/2009 22:49

    LA MESSA detta DI S. PIO V



    L'Ordo Missae detto di San Pio V è servito egregiamente per secoli e secoli, anche per i Santi che oggi si vanno canonizzando. Perché il cosiddetto Messale di San Pio V è ben più antico, è il rito romano tradizionale, la Messa cioè quale sostanzialmente è stata celebrata a Roma fin dai tempi apostolici, sia pure lentamente arricchita di riti e di orazioni.

    Lo spiega molto bene anche il card. Ratzinger nella sua autobiografia:

    "rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Pio V e non diversamente da lui, anche molti dei suoi successor avevano rielaborato questo messale, in un processo continuativo di crescita storica e di purificazione, in cui, pero', la continuità non veniva mai distrutta. Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C'è stata la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica.

    Dopo il concilio di Trento, per contrastare l'irruzione della riforma protestante che aveva avuto luogo soprattutto nella modalità di "riforme" liturgiche, tanto che i confini tra cosa era ancora cattolico e cosa non lo era più, spesso erano difficili da definire. In questa situazione di confusione, resa possibile dalla mancanza di una normativa unitaria e dall'imperante pluralismo liturgico eredito dal tardo medioevo, il Papa decise che il
    Missale Romanum
    , il testo liturgico della città di
    Roma, in quanto sicuramente cattolico, doveva essere introdotto dovunque non ci si potesse richiamare a una liturgia che risalisse ad almeno duecento anni prima. Dove questo si verificava, si poteva mantenere la liturgia precedente, dato che il suo carattere cattolico poteva essere considerato sicuro"

    (J. Ratzinger La mia vita pp. 111-112).

    San Pio V, dunque, non fece altro che estendere a tutto l'Occidente la Messa romana tradizionale quale barriera contro il protestantesimo.
    San Pio V abolì non il rito romano tradizionale, ma tutti gli altri riti che non datavano da 200 anni e li abolì perché inquinati di protestantesimo o almeno sospetti di infiltrazioni protestantiche, estendendo a tutto l'Occidente il Messale romano perché "sicuramente cattolico".

    Secondo alcuni studiosi non è detto che Paolo VI abbia realmente abolito l'uso del Messale di Pio V . Questo sarebbe ancora da dimostrare, come è tutto da dimostrare che egli avesse la volontà di abolire il più venerando rito della Chiesa latina per semplici motivi pastorali cioè, senza altro motivo che quello di compiacere i protestanti.
    Nella costituzione Missale Romanum di Paolo VI, infatti, non si legge la solenne formula abrogativa ed imperativa che si legge nella Quo Primum di San Pio V.
    Che Paolo VI, promulgando il Novus Ordo, avesse abolito l'uso del Messale di San Pio V fu del resto così poco chiaro che da Vescovi di tutto il mondo giunsero alla Santa Sede interpellanze in merito, come attesta uno dei principali artefici del Novus Ordo Missae, mons. Annibale Bugnini ne La riforma liturgica (CL V-Edizioni Liturgiche, Roma 1983).

    *********************************************************************

    ordunque cosa disse Paolo VI invece?

    www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro...

    E ciò è tanto più grave, in particolare, quando si introduce la divisione, proprio là dove congvegavit nos in unum Christi amor, nella Liturgia e nel Sacrificio Eucaristico, rifiutando l’ossequio alle norme definite in campo liturgico. È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.

    La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno.


    ***********************************************

    ora attenzione alle parole di Ratzinger nel libro scritto da lui stesso riportate sopra, sta dicendo ESATTAMENTE IL CONTRARIO (infatti a liberato la Messa antica da questa assurda scelta di Paolo VI, incomprensibile):

    "rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia.
    Pio V e non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano rielaborato questo messale, in un processo continuativo di crescita storica e di purificazione, in cui, pero', la continuità non veniva mai distrutta. Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C'è stata la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica.

    ********************

    Ratzinger sta rispondendo AD UN ERRORE DI VALUTAZIONE FATTO DA PAOLO VI...  



     

    [Modificato da Caterina63 01/06/2010 22:36]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 06/11/2009 22:34

    S. Pio V Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE"
    Pius Episcopus servus servorum dei ad perpetuam dei memoria

    Bolla con la quale san Pio V decretò l'unicità del Messale Romano al quale oggi si da erroneamente il nome "Messa san Pio V", la Messa NON è di san Pio V, Egli si limitò esclusivamente a decretare il MESSALE ROMANO da usarsi nella Messa DI SEMPRE e che oggi è ritornata, seppur nella forma Straordinaria, grazie ad un gesto coraggioso di Benedetto XVI dopo che era stata abusivamente (come scrive il Papa nel MP sopra) vietata....

    Questo ciò che scrisse nel MP san Pio V e che non è mai decaduto:


         I. Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovuteGli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè, pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, così sommamente conviene che uno solo sia il rito di celebrare la Messa.

         II. Per la qual cosa, abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità — quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo — e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei Santi Padri.

         III. Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già così riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato in Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare, perciò affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'Orbe cristiano: nelle Patriarcali, Cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle, dove a norma di diritto e per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale Noi pubblicato e ciò anche se le summenzionate chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.

         IV. Non intendiamo tuttavia in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale, che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo, o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo.

         V. Invece, mentre con la presente nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto stabiliamo e comandiamo, sotto pena della nostra indignazione che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato nulla mai possa venire aggiunto, detratto, cambiato...

    Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non escluso i Cardinali che Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtù di santa obbedienza, che, in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggono la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo messale.

         VI. Anzi, in virtù dell'autorità Apostolica noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'lndulto Perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo alcuno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, cosi che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta ne d'altra parte. possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.

         VII. Similmente, decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma stabili sempre e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò non ostanti: precedenti costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concili sia Provinciali che Sinodali; qualunque stauto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni.
     

         VIII. Inoltre, vogliamo, e con la medesima Autorità, decretiamo che, avvenuta la promulgazione della presente Costituzione, e seguita l'edizione di questo Messale, tutti siano tenuti a conformarvisi nella celebrazione della Messa cantata e letta: i Sacerdoti della Curia Romana, dopo un mese; quelli che sono di qua dai monti, dopo tre mesi quelli che sono di la dei monti, dopo sei mesi, o appena sarà loro proposto in vendita.

         IX. Affinché poi questo Messale sia ovunque in tutta la terra preservato incorrotto e intatto da mende ed errori, ingiungiamo a tutti gli stampatori di non osare o presumere di stamparlo, metterlo in vendita o riceverlo in deposito, senza la Nostra autorizzazione o la speciale licenza del Commissario Apostolico, che Noi nomineremo espressamente nei diversi luoghi a questo scopo: ciò, se prima detto Commissario non avrà fatto all'editore piena fede che l'esemplare, che deve servire di norma per imprimere gli altri, e stato collazionato con il Messale stampato in Roma secondo la grande edizione, e che gli e conforme ed in nulla ne discorda; sotto pena, in caso contrario, della perdita dei libri e dell'ammenda di duecento ducati d'oro da devolversi ipso facto alla Camera Apostolica, per gli editori che sono nel Nostro territorio e in quello direttamente o indirettamente soggetto a Santa Romana Chiesa: della scomunica latae sententiae e di altre pene a Nostro arbitrio, per quelli che risiedono in qualsiasi altra parte della terra.

         X. Data però la difficoltà di trasmettere le presenti Lettere nei vari luoghi dell'orbe cristiano, e di portarle alla conoscenza di tutti il più presto possibile. Noi prescriviamo che esse vengano affisse e pubblicate come di consueto alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, e in piazza di Campo dei Fiori, dichiarando che sia nel mondo intero accordata pari e indubitata fede agli esemplari delle medesime, anche stampati, purché sottoscritti per mano di pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, come se queste Lettere fossero mostrate ed esibite.

         XI. Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto dichiarazione, volontari, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.

         Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno quattordici di luglio, nell'anno mille cinquecento settanta, quinto del Nostro Pontificato.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 27/01/2010 22:42

    Dichiarazione del Presidente della Federazione “Una Voce” sul “Summorum Pontificum”


    Il documento sarà una “fonte di rinnovamento nella vita spirituale della Chiesa”


    DELFT, venerdì, 13 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la dichiarazione di Jack P. Oostveen, Presidente della Federazione Internazionale “Una Voce” (FIUV), a commento del Motu proprio Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970.

    La FIUV raccoglie una trentina di associazioni nazionali che si richiamano al mantenimento della liturgia tradizionale della Chiesa, celebrata col Messale romano secondo l’edizione tipica del 1962.

    * * *

    Con grande gioia e senso di profonda gratitudine, la Federazione Internazionale Una Voce accoglie il Motu Proprio Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI. Per molti mesi abbiamo atteso con pazienza nella preghiera. Durante questo lungo periodo di attesa, il presidente, il segretario e il tesoriere della Federazione Internazionale hanno avuto numerosi incontri a Roma con funzionari della curia, e siamo stati consigliati pregare sempre per il Santo Padre, per l'uscita del Motu proprio e affinché esso possa essere un bene per tutta la Chiesa. Abbiamo avuto il privilegio di incontrare il Santo Padre il 13 giugno 2007, ed egli ci ha assicurati personalmente che il Motu proprio sarebbe stato pubblicato "presto, prima dell'estate". La nostra pazienza è stata ricompensata, e la Chiesa ha ricevuto un grande dono dal successore di Pietro.

    Nella sua lettera apostolica Summorum Pontificum e nella lettera accompagnatoria ai suoi fratelli vescovi, il Santo Padre non solo ha liberalizzato l'uso del rito romano tradizionale, ma impartisce alla Chiesa alcune importanti lezioni. Con grande coraggio ha dichiarato quello che molti costituiti in autorità (comprese le gerarchie) conoscevano da molti anni: il Messale del 1962 non è mai stato abrogato e, di conseguenza, è sempre stato in vigore.

    Questa dichiarazione, considerando che essa è coperta dalla piena l'autorità del Sommo Pontefice, mette fine al dibattito che si è aperto nel 1970. Ora noi tutti possiamo procedere in modo molto più costruttivo per il bene della Chiesa Universale. Con grande chiarezza, inoltre, Santo Padre ha definito la posizione del Messale di Giovanni XXIII e di quello di Paolo VI. Dichiarando questi due messali rispettivamente la forma ordinaria e quella straordinaria dello stesso rito romano, è pervenuto a una soluzione che può essere abbracciata, con la dovuta carità, da tutti i membri della Chiesa - vescovi, sacerdoti e laici -, e ha espresso la speranza che queste "due forme dell'uso del rito romano possano arricchirsi a vicenda".

    Papa Benedetto ha dichiarato che la ragione che ha motivato la sua decisione di pubblicare questo Motu proprio doveva venire "a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa". Nei momenti critici nella storia della Chiesa, quando le divisioni hanno lacerato il corpo di Cristo, egli ammette che "non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l'unità". La Federazione Internazionale Una Voce è profondamente riconoscente al Santo Padre per il suo coraggio e la sua saggezza, e farà il possibile per aiutarlo nel suo desiderio della "la riconciliazione e l'unità". La Federazione è convinta che questo documento e la liberalizzazione del rito romano tradizionale saranno una fonte di rinnovamento nella vita spirituale della Chiesa. Pertanto chiediamo a tutti i fedeli di accettare il documento come segno di riconciliazione e come importante passo avanti verso la pace liturgica. Chiediamo inoltre a tutte le nostre associazioni membri di offrire al Santo Padre, ai vescovi diocesani, ai sacerdoti e ai fedeli tutto l'aiuto possibile per realizzare gli obiettivi del Motu proprio.

    Rinnovando le nostre espressioni della più profonda devozione per l'augusta Persona del Vicario di Gesù Cristo in terra, e implorando il favore dell'Apostolica Benedizione per la nostra Federazione, ci professiamo figli obbedienti della Sua Santità, e lo assicuriamo della nostra lealtà, amore e preghiera.

    J. P. Oostveen, Presidente della Federazione Internazionale Una Voce
    Delft, Paesi Bassi 9 luglio 2007


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    00 22/04/2010 00:16
    Le Costituzioni Quo Primum di san Pio V e Missale Romanum di Paolo VI


    Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi



    ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'articolo di oggi mette a confronto le Costituzioni apostoliche con le quali san Pio V e Paolo VI (nel 1570 e nel 1969) pubblicarono le edizioni del Messale Romano preparate durante i rispettivi pontificati. Dalla breve analisi proposta, si ricava l'impressione che, così come esiste un unico Rito Romano in due forme non opposte tra loro (cf. Benedetto XVI, Summorum Pontificum), allo stesso modo bisogna parlare di due edizioni di un unico libro, entrambe espressive della tradizione liturgica latina. L'Autore dell'articolo studia Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana ed è alunno dell'Almo Collegio Capranica (don Mauro Gagliardi).




    ***

    Don Natale Scarpitta




    La rubrica «Spirito della Liturgia» si sta soffermando diffusamente lungo quest'anno sulla peculiare indole eucaristica del sacerdozio ministeriale. In questo contributo, desideriamo focalizzare l'attenzione su un elemento importante che permette al presbitero di celebrare debitamente il memoriale del Sacrificio di Cristo: il Messale Romano, il libro liturgico che contiene i testi eucologici del rito della Santa Messa secondo la tradizione liturgica latino-romana.

    L'Ordinamento Generale del Messale Romano al n. 399 afferma: «... il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini, si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito Romano». Tale auspicio contiene in sé una consapevolezza maturata nella tradizione liturgica della Chiesa già nei secoli precedenti. Fu, infatti, san Pio V (1566-1572) che, con la Costituzione Apostolica Quo Primum (14 luglio 1570), promulgò il Messale Romano offrendolo a tutti i cristiani «come strumento di unità liturgica e insigne monumento del culto genuino e religioso nella Chiesa»[1].

    Al fine di comprendere meno superficialmente la rilevanza di tale avvenimento, può risultare opportuno un breve riferimento che inquadri storicamente la Bolla di san Pio V. Prima del Concilio di Trento, esistevano nella Chiesa latina innumerevoli libri liturgici che, osservando consuetudini liturgiche locali (territoriali) e particolari (ordini religiosi, confraternite, ecc.), presentavano un'ampia molteplicità di forme rituali della Celebrazione eucaristica. Essi, pur conservando la medesima struttura celebrativa, differivano per una non identica disposizione consequenziale delle parti della Messa, per l'uso di formulari e preghiere tipiche, per invocazioni a santi specifici, per l'aggiunta inopportuna di elementi aventi non raramente un carattere superstizioso o addirittura eterodosso.

    Alla già non perfetta uniformità rituale del culto liturgico nella Chiesa latina e alla precarietà di uno stile celebrativo non ancora ben definito, si aggiungevano pure le sempre più diffuse contaminazioni liturgiche provenienti dalla teologia protestante[2].

    In un contesto storico simile, per purificare il rito della Celebrazione eucaristica da elementi impropri, e nel tentativo di promuovere una maggiore unità tra i fedeli mediante l'unificazione rituale, i padri del Concilio di Trento, nella XXV sessione, stabilirono che fosse redatto un nuovo messale[3]. A tal fine fu costituita una commissione di esperti i quali consultarono diligentemente i codici presenti nella Biblioteca Vaticana e le edizioni correnti del messale[4], raccolsero e studiarono antichi libri provenienti da varie chiese locali e considerarono gli scritti dei Padri della Chiesa.

    Una volta completato il lavoro, l'opera[5] fu sottoposta a san Pio V, il quale stabilì immediatamente che il nuovo Messale entrasse in vigore e sostituisse obbligatoriamente tutti quei libri liturgici che erano stati precedentemente utilizzati nelle comunità di rito latino. La netta determinazione con la quale il Pontefice espresse la sua volontà possiamo facilmente dedurla dalle solenni espressioni che Egli stesso utilizzò nella Quo Primum:

    «[...] I sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. [...] Ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe cristiano [...] dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa [...] non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato».

    Nella stessa Costituzione Pio V ordinò anche che gli ecclesiastici

    «in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale».

    Va tuttavia notato che il Missale Romanum fu introdotto obbligatoriamente dovunque ad eccezione delle diocesi e degli ordini religiosi che avevano un rito proprio da almeno duecento anni. Era questo il caso del rito mozarabico di Toledo, del rito di Braga, di quello di Lione e del rito ambrosiano di Milano; ma anche delle tradizioni liturgiche di ordini religiosi quali i certosini, i cistercensi, i domenicani e i carmelitani.

    Se la prima editio typica del Messale Romano post-tridentino nacque per attuare i decreti di quel concilio ecumenico, quattro secoli più tardi[6], in ossequio alla richiesta di riforma liturgica fatta dal concilio Vaticano II, venne alla luce il Novus Ordo Missae.

    I padri conciliari, nel solco del movimento liturgico, fissarono, infatti, alcuni principi generali che avrebbero dovuto portare ad una revisione dei libri liturgici. L'obiettivo primario che si prefissero era quello di una liturgia che fosse maggiormente comprensibile, mediante l'uso di un linguaggio rituale (simboli, gesti, parole) che potesse favorire l'actuosa participatio dei fedeli. Una prima riforma del Messale Romano vide la luce nel 1964-1965, quando fu pubblicata una versione bilingue del rito riformato della Messa. Non ci soffermiamo ora ad analizzare le possibili ragioni per cui tale Messale sia stato ritenuto non pienamente attuativo della volontà espressa dai padri del Vaticano II e sia perciò stato ritenuto necessario approntare un'ulteriore riforma del Messale.

    E così, il 3 aprile 1969, nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI presentò la nuova composizione dell'editio typica del Messale Romano, evidenziandone ciò che era stato rivisto e modificato rispetto all'ultima edizione (1962) del Vetus Ordo (o Usus antiquior) di san Pio V.

    Un semplice confronto tra le due Costituzioni permette di notare come ambedue siano scaturite dalla volontà rinnovatrice dei Concili che avevano preceduto la loro redazione. Ambedue, quindi, sono il frutto di due contesti storico-ecclesiali in fermento: la Controriforma, da una parte, e il movimento liturgico dall'altra.

    Comune ai due atti pontifici è stato anche il riferimento espresso alla volontà che i riti liturgici attingessero alla medesima fonte dell'antica tradizione dei santi Padri[7]. Tale elemento acquista un significato profondo se si pensa come la medesima traditio abbia inciso profondamente sulla composizione delle due edizioni del Messale Romano.

    È ora comprensibile come i due Ordines Missae rappresentino la norma circa l'uso delle due forme celebrative di un unico rito liturgico (lex orandi), quello romano, patrimonio dell'unica ed immutata fede (lex credendi) della Chiesa. Ciò è quanto insegnava anche Benedetto XVI nel Motu proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007), nel quale offriva un'ampia regolamentazione giuridica sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e mai abrogata.

    Vogliamo concludere questo contributo con qualche osservazione di stampo canonistico in merito proprio alla quaestio disputata circa l'abrogazione. La Summorum Pontificum, essendo una Lettera Apostolica sotto forma di Motu proprio, ha il valore giuridico di legge universale. Essa abroga le leggi contrarie e quelle anteriori ad esse che riguardano il medesimo argomento. Nel nostro caso, le norme abrogate sono quelle prescritte da Giovanni Paolo II (1978-2005) nella Lettera Quattuor abhinc annos[8] e nel Motu proprio Ecclesia Dei Adflicta[9].

    Bisogna poi distinguere tra le rubriche che regolano lo svolgimento pratico della liturgia e le leggi liturgiche che governano la disciplina liturgica in generale. Le rubriche indicano al ministro celebrante cosa deve fare durante la celebrazione del rito; esse rimangono in vigore per coloro che celebrano la Messa secondo la forma straordinaria. Tuttavia, le leggi liturgiche del Codice del 1917, così come alcune norme inserite nel Messale del 1962, sono state abrogate dalla recente legislazione ecclesiale. Pertanto queste leggi disciplinari possono non essere più osservate quando la legge in vigore permette qualcosa di diverso. Un semplicissimo esempio ci aiuterà a capire meglio la questione: nella legge vigente nel 1962, la Messa non poteva essere celebrata nel pomeriggio o alla sera senza permesso dell'Ordinario del luogo. Questa restrizione non è più valida, anche quando si celebra secondo la forma straordinaria. Possiamo quindi concludere che le leggi liturgiche, universali e vigenti, devono essere osservate anche nella celebrazione del rito in forma straordinaria, mentre rimangono chiaramente valide

    --------

    [1] A. Bugnini, La riforma liturgica, Roma 1983, p. 380.

    [2] La fede cattolica era stata seriamente minacciata dall'eresia protestante nei suoi dogmi centrali quali la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo nelle specie eucaristiche.

    [3] Per approfondire segnaliamo: M. Midali, «La tradizione liturgica alla quarta sessione del Concilio di Trento», Ephemerides Liturgicae 87 (1973), 501-525; A. Bugnini, «La liturgia dei sacramenti al Concilio di Trento», ibid. 59 (1945), 39-51.

    [4] Non dimentichiamo che sin dall'XI secolo appaiono i primi libri contenenti le varie parti della Messa (il Missale, il Liber missalis o il Missale plenarium). Il più conosciuto e diffuso fu il Missale secundum consuetudinem curiae, stampato a Milano nel 1474, che riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenzo III.

    [5] A. P. Frutas afferma che la Commissione incaricata «non creò un nuovo Messale, ma ritoccò e aggiornò il Messale della Curia, più volte stampato dopo il 1474. In genere le parti essenziali del Messale di s. Pio V differiscono poco da quelle dell'ed. del 1474, anzi talvolta ci sono le identiche varianti nei testi scritturali [...]»: (Messale, in Enciclopedia Cattolica VIII, 836).

    [6] Il Messale Romano subì in questo arco di tempo lievi revisioni ad opera di alcuni Pontefici come Clemente VIII (1604); Urbano VIII (1634); Leone XIII (1884); Benedetto XV (1920) e Giovanni XXIII (1962). La modifica più rilevante fu apportata ai riti della Settimana Santa da Pio XII, nel 1955.

    [7] Dopo la pubblicazione del Messale Romano del 1570, la tradizione liturgica (d'Oriente e d'Occidente) presente negli antichi libri e documenti liturgici (soprattutto romani, ambrosiani, ispanici, gallicani) fu notevolmente approfondita da studi specifici. Le ricchezze dottrinali e spirituali contenute in quelle fonti hanno offerto un contributo prezioso alla redazione del Messale Romano del 1970. Pare, tuttavia, che almeno in alcuni casi la ripresa delle fonti antiche sia avvenuta in modo creativo, o semplicemente ispirazionale, e non letterale.

    [8] Con questo documento il Papa accordò ai Vescovi diocesani la facoltà di permettere ai preti di celebrare la Messa seguendo il Messale romano del 1962.

    [9] Cfr. anche Benedetto XVI, Summorum Pontificum, art. 1.
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    00 10/06/2010 09:03

    Per ora, non è previsto che il Papa celebri in rito antico


    Rome.Reports ha realizzato un'intervista a mons. Guido Marini, riportata (parzialmente in parafrasi) nel citato sito. Eccone la traduzione.


    8 Giugno 2010. Il monsignore italiano Guido Marini ha 45 anni ed è Maestro di cerimonie pontificie dall'ottobre del 2007. È un lavoro delicato, tenuto conto che l'attenzione alla liturgia è uno degli elementi fondamentali del pontificato di Benedetto XVI.

    Mons. Guido Marini: "Penso che l'attenzione del Papa per la liturgia, le sue lezioni in questo ambito e il suo esempio, aiutino molti sacerdoti e molti cattolici a riscoprire il valore centrale della liturgia per la vita della Chiesa e per la vita di ogni persona".

    Secondo il Maestro delle cerimonie papali, la liturgia non è un'area riservata solo ad utenti esperti. Ma egli osserva che i cattolici hanno bisogno di aiuto per comprendere il pieno significato dei simboli e gesti liturgici.

    Mons. Guido Marini: "La liturgia ha una dimensione popolare che dovrà essere mantenuta perché attraverso la liturgia ci troviamo di fronte al mistero di Dio. In essa il mistero della salvezza diviene reale per la vita di ogni persona. Per questo è importante preparare il popolo in modo che possa leggere i gesti e i simboli della liturgia."

    Negli ultimi anni, Benedetto XVI ha riportato alcuni elementi liturgici tradizionali che raramente erano utilizzati. Ad esempio, la presenza del Crocifisso al centro dell'altare o la comunione ricevuta in ginocchio. Sono gesti che il Papa ha spiegato come cosiddetta "ermeneutica della continuità."

    Mons. Guido Marini: "L'ermeneutica della continuità evidenzia che, nella vita della Chiesa, c'è un'autentica crescita in quanto non si tagliano le radici così che questo sviluppo comprende la ricchezza della sua storia e tradizione".

    Egli dice che per il momento non è previsto che il Papa celebrerà una Messa secondo i riti anteriori al Concilio Vaticano II. Monsignor Marini riceve regolarmente le istruzioni dal Papa, ma anche l'Ufficio delle celebrazioni liturgiche propone elementi per ogni celebrazione.

    Mons. Guido Marini: "Oltre a mettere in pratica le istruzioni del Papa, suggeriamo alcuni elementi liturgici. Egli decide se accettarle o no. Bisogna dire, in ogni cerimonia ci sono istruzioni dal Santo Padre e suggerimenti presentati dal nostro ufficio".

    In ogni caso, dal momento che il Papa ha scritto molte opere sulla liturgia, quando era cardinale, per l'Ufficio per le celebrazioni liturgiche è molto facile sapere che cosa si aspetta il Papa da ogni celebrazione. In altre parole, che la celebrazione aiuta a condurre le persone più vicine al mistero di Dio.


    ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


    Una breve riflessione:


    Egli dice che per il momento non è previsto che il Papa celebrerà una Messa secondo i riti anteriori al Concilio Vaticano II  
     
    *****  
     
    Tutti noi attendiamo un pò questo evento e mi piacerebbe che (noi tutti) non ne rimanessimo delusi se Benedetto XVI ancora non giunge a "soddisfare" i nostri desideri... Wink  
    Leggendo le parole di mons. Guido Marini (che non ringrazierò mai abbastanza!) , mi è venuto alla mente il quadro di Mosè nella Genesi.... nel suo pellegrinare nel deserto per 40 anni (un numero non casuale), accompagnando un popolo caro al Cuore di Dio ma alquanto bizzarro, disobbediente, a volte attezzoso, altre volte superbo, altre volte sfinito...  
    Inutile dire che possiamo vedere tranquillamente Ratzinger in questo Mosè che in questi 40 anni non ha fatto altro che scrivere, parlare di Liturgia, ammonire in qualità di Prefettto per la Fede autentica.... un ruolo che Dio gli aveva affidato fin da quandoegli accettò la sfida della vocazione...  
    Chiamandolo ad occupare la scomodissima Sede Petrina, sembra come avessimo attraversato il Mar Rosso, fra due altissimi muri d'acqua ai lati e il popolo benedettiano dietro al suo Mosè, fiducioso, speranzoso, timoroso, trepidante.... giunti all'altra sponda sembrava fatta, sembrava essere giunti alla meta con quel Summorum Pontificum, ed invece ecco davanti a noi il deserto... la dura prova...  
     
    Ed è qui che si conclude il "questo quadro", con questo Mosè che sa di non poter entrare nella terra promessa (il sacro presbiterio nella forma antica), ma solo di poterla vedere da lontano....senza potervi celebrare...  
    Del resto non dimentichiamo che il cuore stesso del Summorum Pontificum non è semplicemente la liberalizzazione della Messa nella forma antica e legittima, e l'avergli ridato la sua legittima visibilità, ma quanto piuttosto un atto per cominciare la vera Riforma di una Messa ordinaria piena di abusi, Benedetto XVI sta davvero accompagnando il popolo e i suoi pastori verso questa PURIFICAZIONE e tentando di spazzare via questi 40 anni di creatività liturgica che hanno minato le fondamenta del sacro...  
    Il Papa sta RI-INSEGNANDO ai sacerdoti come si celebra la Messa, come si fa una liturgia, come si deve servire il popolo, il gregge ad essi affidato...  
    accompagnamolo con la nostra fiducia, fedeltà e tanta, tanta preghiera, qualche sacrificio, anche quello dell'attesa...e penitenza...  
     
    Ancora il mio augurio grande per tutti i Sacerdoti: tra oggi e domani si conclude questo Giubileo che resterà negli annali della storia della Chiesa, entrando di diritto nella TRADIZIONE, una santa Tradizione cominciata 2000 anni fa e che non finirà che al ritorno di Cristo Re!





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    00 06/07/2010 20:28

    III Anniversario MP Summorum Pontificum

    Mercoledì 7 Luglio ore 19,00
    Santuario di Montenero, Livorno

    nel III Anniversario della promulgazione
    del Motu Proprio "Summorum Pontificum

    "SANTA MESSA
    (iuxta Traditionem)

    con Te Deum di ringraziamento e di preghiera
    per S.S. Benedetto XVI Papa felicemente regnante

    Celebra il Rev. Don Luca Bernardo Giustarini o.s.b.v., parroco




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    00 08/07/2010 09:23

    Tres iam annos

    Buon anniversario, motu proprio Summorum Pontificum!


    Per festeggiare in letizia il compleanno dell'atto più importante di Papa Benedetto XVI, quale migliore modo che riportare le notizie delle ordinazioni tradizionaliste che si sono svolte e si svolgono in questi giorni. Ecco qualche foto:


    Ordinazioni presbiterali all'ICRSS (Firenze)

    Ordinazioni presbiterali alla FSSP (Lincoln, USA)

    Ordinazioni presbiterali alla FSSPX (Ecône, CH)


    A ciò si aggiungano questi dati significativi: nelle diocesi di Francia, quest'anno, il totale delle ordinazioni sarà di 83 sacerdoti. Il numero più basso mai raggiunto (erano dieci volte tanto subito prima del Concilio: 850 nel 1956!). Ci consola che, invece, le comunità più tradizionali sono le più attive e prolifiche: 10 nuovi preti alla comunità dell'Emmanuel, 3 alla comunità San Martino (cui appartiene il vescovo Aillet, per intenderci). Senza contare i dieci francesi ordinati quest'anno dalla FSSPX, i tre francesi della FSSP, e quelli dell'IBP e dell'ICRSS.

    L'unica diocesi che ancora funziona in Francia è quella di Fréjus-Tolone. Sfido: il giorno prima dell'ordinazione il vescovo mons. Rey ha incoraggiato i suoi ordinandi a celebrare il più possibile in forma straordinaria, poiché quello, ha detto, è il desiderio del Papa. Con i suoi 13 ordinati biritualisti, la sola diocesi di Tolone totalizza il 15% delle ordinazioni diocesane e sorpassa di parecchio perfino Parigi, coi suoi milioni di abitanti. Ma soprattutto: assieme alle 13 ordinazioni presbiterali, Tolone ha avuto più di venti nuovi diaconi quest'anno (e parliamo di diaconi transeunti, intendiamoci, incamminati al sacerdozio). Questo significa che, l'anno prossimo, la diocesi filotradizionale di Tolone, da sola, ordinerà un quarto di tutti i preti di Francia.

    In altri termini: è la forza dei numeri e la soluzione anagrafica che ci libereranno dei famigerati preti (e vescovi) 'del concilio'. Basta aspettare. Lasceranno macerie, ma almeno 'lasceranno'.

    Enrico

    Fonte: Perepiscopus

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 19/07/2010 23:37

    Pubblichiamo l’editoriale de “La Civiltà Cattolica”, apparso nel numero del 15 settembre 2007, in cui si analizza la Lettera apostolica Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 con la quale Benedetto XVI ha consentito l’uso del Missale Romanum anteriore al Concilio, nell’edizione approvata da Giovanni XXIII nel 1962.

    In una lettera accompagnatoria il Papa rassicura i “fratelli nell’Episcopato” sull’infondatezza dei timori che il provvedimento potrebbe suscitare. Infatti il Missale Romanum rinnovato da Paolo VI nel 1970 rimane la forma ordinaria della celebrazione eucaristica, mentre il Missale Romanum del 1962 potrà essere usato come forma straordinaria in favore di gruppi di fedeli ancora legati all’uso antico, che ne facciano richiesta.

    Il documento pontificio, che entrerà in vigore il 14 settembre, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, stabilisce le condizioni relative a tale uso.

    * * *
    LA LITURGIA NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE

    Il 7 luglio 2007 è già passato alla storia quale data da cui non potrà prescindere né lo studioso dei riti che si occupa del cammino della riforma liturgica, né il pastore o il semplice fedele che si preoccupano della verità della celebrazione. Con un nuovo documento «sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970», reso pubblico in quella data, Benedetto XVI ha posto fine alle notizie che, seppure incerte, circolavano da tempo e che disponevano gli uni a «un’accettazione gioiosa», gli altri a «un’opposizione dura».

    È lo stesso Pontefice a non far mistero di questi contrapposti sentimenti nei confronti di «un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto». Adesso che lo conosciamo, lo vogliamo accogliere «con animo grato e fiducioso», certi che lo spirito della liturgia da tutti ricercato riuscirà a comporre in unità di vedute posizioni per il momento ancora distanti.

    * * *

    Prima di esaminare il contenuto del documento che Papa Benedetto presenta quale «frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera», al fine di inquadrarlo nella sua giusta luce, sarà bene dare uno sguardo alla lettera accompagnatoria, dalla quale già abbiamo stralciato le espressioni citate. In essa il Vescovo di Roma, parlando — per così dire — col cuore in mano ai «fratelli nell’episcopato», esamina i due timori che si opponevano più direttamente alla pubblicazione del documento e ad ognuno di questi dà una circostanziata risposta.

    Il primo timore è «che qui venga intaccata l’autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali — la riforma liturgica — venga messa in dubbio». A conferma dell’infondatezza di tale timore il Pontefice opera una distinzione importante, affermando che il Messale di Paolo VI «è e rimane la forma normale — la forma ordinaria — della liturgia eucaristica», mentre invece «l’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma straordinaria della celebrazione liturgica».

    Quindi il Pontefice si sofferma sui meriti del Messale del 1962. Precisa che «questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso». Ricorda che non pochi sono rimasti «fortemente legati a questo uso del rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare», soprattutto «nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica». Tra costoro menziona in particolare coloro che, pur accettando il Vaticano II, «desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra liturgia». Riconosce che in costoro «la fedeltà al Messale antico» si è configurata spesso come una comprensibile reazione «a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile».

    Dopo aver evocato le «deformazioni arbitrarie della liturgia» che purtroppo ci sono state, Benedetto XVI illustra l’opera del suo predecessore Giovanni Paolo II, che intervenne in due riprese. Anzitutto, già nel 1984 egli offrì ai vescovi diocesani, tramite la lettera Quattuor abhinc annos della Congregazione per il Culto Divino (cfr AAS 76 [1984] 1.088 s), la possibilità di concedere a quei sacerdoti che ne avessero fatto richiesta un indulto in favore del Messale del 1962. Quindi (cfr ivi, 80 [1988] 1.495-1.498) istituì con il motuproprio Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988 un’apposita Commissione, composta da un cardinale presidente e da altri membri della Curia romana, con lo scopo di facilitare la piena comunione di tutti coloro che si sentivano legati al Messale del 1962. Il motu proprio Summorum Pontificum si propone dunque di aggiornare e regolamentare quanto era stato avviato dai due provvedimenti anteriori, fra l’altro anche per «liberare i vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni».

    Il secondo timore era «che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali». Ma si tratta di un timore non realmente fondato. Infatti le condizioni presupposte per il suo utilizzo, vale a dire «una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina», fanno sì che il numero dei fedeli che faranno ricorso al Messale antico resti pur sempre esiguo rispetto a quanti continueranno a utilizzare il nuovo Messale.

    Dopo aver rassicurato i destinatari della lettera, cioè i vescovi, circa l’infondatezza dei due timori, Benedetto XVI accenna a un possibile e vicendevole arricchimento tra «le due forme dell’uso del rito romano», in quanto l’una non potrà prescindere dall’altra. Se il Messale antico potrà e dovrà recepire dal nuovo, oltre all’inserimento dei nuovi santi e di alcuni nuovi prefazi, opportuni stimoli per una necessaria messa a punto delle «possibilità pratiche», cioè dell’assetto rubricale, d’altra parte nell’utilizzo del nuovo Messale «potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso».

    Nel concludere la lettera accompagnatoria, il Pontefice precisa che la ragione positiva che lo «ha motivato ad aggiornare mediante questo motuproprio quello del 1988» è il desiderio di «giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Citando un testo paolino e facendo sua la franchezza con cui l’Apostolo contrappone al suo «cuore aperto» i «cuori stretti» dei corinzi (cfr 2 Cor 6,11-13), il Papa invita tutti ad aprire generosamente il cuore, per lasciar entrare, insieme alla convinzione che anche la liturgia cresce e progredisce, quella percezione del sacro dalla quale la liturgia stessa non può prescindere. Il messaggio è chiaro: se gli uni «non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi», gli altri devono preoccuparsi di «conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto».

    Consapevole delle conseguenze liturgico-pastorali che potrà avere questo suo personale intervento, il Pontefice così si rivolge ai vescovi: «In conclusione, cari confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli [...]. Inoltre, vi invito [...] a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo motuproprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio».

    * * *

    Mentre la lettera accompagnatoria, grazie allo stile piano e trasparente con cui il Pontefice comunica le sue preoccupazioni di pastore supremo, favorisce una comprensione immediata, la parte giuridica del documento vero e proprio invece richiede un’analisi attenta del testo che dovrà essere letto «prouti iacet», e possibilmente nell’originale latino.

    La prima parte del documento prende le mosse dal noto assioma patristico che regola il rapporto tra lex orandi e lex credendi. Letto nel contesto originario e nella formulazione peraltro sospesa dell’argomentazione di Prospero di Aquitania († 455) in favore della necessità della grazia, così suona l’assioma: «[...] affinché la normativa della preghiera determini la normativa della fede ([...] ut legem credendi lex statuat supplicandi)» (Denz.-Schönm. 246). Si può tuttavia notare che nel motuproprio, sulla base di una citazione tratta dalla Institutio generalis Missalis Romani e proveniente a sua volta dall’istruzione Varietates legitimæ (cfr AAS 87 [1995] 298 s) l’assioma è invertito.

    Vi leggiamo: «Da tempo immemorabile, come pure per l’avvenire, si deve osservare il principio “per cui ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la lex orandi della Chiesa corrisponde (respondet) alla sua lex credendi”» (Missale Romanum 20023, Institutio generalis, n. 397). Il rovesciamento qui operato è senz’altro legittimo, sia perché già lo si incontra nell’enciclica Mediator Dei di Pio XII (cfr AAS 39 [1947] 541), sia perché tra le due leges che presiedono al depositum fidei c’è sincronia e sintonia perfetta, né potrebbe l’una contrapporsi all’altra.



    Nel documento, il Pontefice prosegue menzionando alcuni suoi Predecessori, particolarmente legati alla storia e agli sviluppi del Messale romano: san Gregorio Magno († 604), che si prodigò per arricchire la liturgia; san Pio V († 1572), che promosse l’edizione dei libri liturgici e principalmente del Messale emendato ad normam Patrum; Clemente VIII († 1605) e Urbano VIII († 1644), che ne curarono importanti revisioni; san Pio X († 1914), che tanto si impegnò per ripulire l’edificio liturgico «dallo squallore dell’invecchiamento» (AAS 5 [1913] 449 s); Benedetto XV († 1922), che pubblicò l’edizione rivista dal suo Predecessore; Pio XII († 1958), che volle il rinnovamento della veglia pasquale e della Settimana santa; il beato Giovanni XXIII († 1963), che ebbe il privilegio di aggiornare l’ultima edizione del Messale tridentino; Paolo VI († 1978), che seguì personalmente la riforma del Messale, nonché degli altri libri liturgici voluta dal Concilio; e infine Giovanni Paolo II († 2005), che ha legato il suo nome alla terza edizione tipica del Messale conciliare.

    * * *

    Dopo questa carrellata di Pontefici benemeriti e dopo un breve cenno ai problemi sollevati da parte di «non pochi fedeli» rimasti affezionati all’antico Messale e il ricordo degli interventi del suo immediato Predecessore in loro favore, Benedetto XVI affida la nuova normativa a una sequenza di dodici articoli. Li possiamo riassumere in maniera discorsiva nel modo seguente.

    Esistono due soli usi del rito romano: la «forma ordinaria (ordinaria expressio)» con il Messale del 19701-20023 e la «forma straordinaria (extraordinaria expressio)» con il Messale del 1962 (art. 1). Nelle Messe senza concorso di popolo, ogni sacerdote di rito latino può usare liberamente il Messale del 1962 (art. 2). La precisazione «il sacerdote non ha bisogno di nessun permesso, né della Sede Apostolica né del suo ordinario» esprime un reale mutamento rispetto alla normativa in vigore dal 1984.

    Allora si trattava di un «indulto», cioè di una concessione fatta — a titolo di deroga «indulgente» alla norma — dal vescovo diocesano a singoli sacerdoti e ai rispettivi fedeli, previa ammissione della legittimità ed esattezza dottrinale del Messale di Paolo VI. Ciò che prima era concessione, adesso è norma. L’uso del Messale del 1962 non è però consentito «nel Triduo sacro», perché in quei giorni la liturgia, da celebrarsi «cum fidelium frequentia» (Missale Romanum 20023, p. 298, sub 3), deve restare unica in una medesima chiesa. A queste celebrazioni possono essere ammessi anche quei fedeli che spontaneamente lo chiedono (art. 4). Con lo stesso Messale possono celebrare la Messa conventuale o «di comunità» tutte le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica (art. 3).

    Nelle parrocchie in cui esiste «stabilmente (continenter)» un gruppo di fedeli affezionati alla precedente tradizione liturgica, il parroco è pregato di concedere volentieri ai sacerdoti «idonei» l’uso del Messale del 1962, però limitatamente a una sola celebrazione nelle domeniche e nelle feste; nessuna limitazione è invece espressa per le celebrazioni nei giorni feriali, come pure nel caso di matrimoni, esequie o pellegrinaggi (art. 5). La precisazione espressa dall’avverbio «continenter» esclude che la richiesta del «ritus antiquior» possa essere determinata da curiosità per il diverso, da ricerca di folklore religioso e — come si legge nella lettera accompagnatoria — da «aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine dei fedeli». Invece la clausola «idonei esse debent» implica che i sacerdoti, oltre a conoscere bene il latino, dovranno avere un’adeguata familiarità con il «Ritus servandus in celebratione Missae» e analogamente con i rituali degli altri sacramenti.



    Allorché si usa il Messale del 1962 nelle Messe con concorso di popolo, le letture possono essere fatte nella lingua vernacola, utilizzando i lezionari approvati (art. 6). I fedeli che, pur avendo chiesto al parroco l’uso del Messale del 1962, non lo avranno ottenuto, possono ricorrere al vescovo diocesano, che è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio; qualora poi non fosse in grado di esaudirlo, dovrà informarne la Commissione Pontificia Ecclesia Dei e attendere da questa consiglio e aiuto (art. 7-8).

    In vista del bene delle anime, è lasciata: a) alla discrezione del parroco la possibilità di utilizzare il rituale più antico per il Battesimo, la Penitenza, il Matrimonio e l’Unzione degli infermi; b) alla discrezione del vescovo la scelta dell’antico Pontificale romano per la Confermazione; c) alla discrezione dei chierici ordinati la possibilità di usare il Breviario romano del 1962 (art. 9).

    Dal fatto che nulla viene detto per il sacramento dell’Ordine si deve dedurre che l’unico rituale per le ordinazioni resta quello della riforma liturgica. In vista del bene dei fedeli affezionati al Messale del 1962, l’ordinario diocesano potrà erigere una parrocchia personale (art. 10). Infine, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, riconfermata nelle sue funzioni, dovrà vigilare sull’osservanza e l’applicazione di quanto è stato disposto (art. 11 e 12).

    Il motu proprio conclude fissando al 14 settembre 2007 l’entrata in vigore dei nuovi provvedimenti, e abrogando di conseguenza, tramite la consueta clausola «contrariis quibuslibet rebus non obstantibus», tutte le precedenti determinazioni in materia. 

    La Civiltà Cattolica 2007 III 455-460 quaderno 3774, @
    ZENIT.org

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 24/07/2010 19:52

    Alcuni lineamenti fondamentali riguardo i diritti e doveri stabiliti in Summorum Pontificum

    Un commento canonistico del Mag. theol. Michael Gurtner

    Ogni tanto [noi diremmo: molto spesso] si sente o legge di difficoltà che ancora si frappongono al tentativo di stabilire una Santa Messa regolare nel rito del 1962. Non mancano i casi nei quali sono proprio i vescovi che cercano di ostacolare questi pii desideri da parte di fedeli non meno cattolici dei vescovi stessi. A volte si capisce però, leggendo fra le righe, che ancora sono in giro alcuni malintesi riguardo il testo legislativo Summorum Pontificum. Da qui errori che impediscono qua e là una messa regolare nel rito gregoriano, cosa che non sarebbe necessaria se ci fosse un po’ più di chiarezza e conoscenza dei diritti e doveri stabiliti dal Santo Padre. Perciò sembra opportuno ricordare alcuni lineamenti fondamentali stabiliti nel ben noto Motu Proprio.

    I sacramenti e sacramentali amministrati secondo i libri liturgici che erano in uso nel 1962 sono un diritto e dovere, non un privilegio.

    Una prima cosa importantissima che bisogna sottolineare e renderci presente è il fatto che la Santa Messa celebrata secondo i libri che erano in uso nel 1962, dal punto di vista formale, non è semplicemente un privilegio concesso oppure un semplice indulto (in quel caso avrebbe un carattere eccezionale), ma è un vero e proprio diritto di chi la desidera (sacerdoti e laici), e dall’altro canto un vero e proprio dovere per il sacerdote chiesto di celebrare una tale liturgia. Il fedele che la chiede ha il diritto di essere soddisfatto nel suo desiderio da parte del suo parroco (SP art. 5 §1). Questo non vale soltanto per le Messe regolari, ma ugualmente anche per occasioni singolari o speciali (SP art. 5 §3).

    Per quanto riguarda il clero, il singolo prete (o vescovo) non è obbligato a prendere iniziative per conto proprio. Ma se un prete desidera celebrare il vecchio rito non bisogna fare richiesta a nessuno, e nessuno glielo può vietare, nemmeno il (suo) vescovo diocesano, purché non sia ostacolato alla celebrazione in genere, cioè anche alla celebrazione delle Messa secondo il Missale di Paolo VI. Se nemmeno il suo vescovo può impedirglielo, tanto meno il consiglio parrocchiale, com’è successo nella parrocchia St. Peter a Monaco, dove il consiglio ha deciso – illegittimamente da vari punti di vista - di non offrire una Messa nella forma straordinaria, proprio nella parrocchia più tradizionale della città dove non hanno mai eretto un altare popolare e dove si celebra regolarmente anche in latino.

    Quindi, quanto al prete, ha il diritto assoluto di celebrare anche il rito tridentino, ma non è obbligato a farlo per sua propria iniziativa. Se però un parroco è richiesto da parte di fedeli di stabilire una Messa regolare oppure in un'occasione speciale, secondo il Missale del Beato Giovanni XXIII, in tale caso è obbligato dal diritto, promulgato dal nostro Santo Padre feliciter regnans in forma di un Motu Proprio, ad accogliere la richiesta rivolta a lui. Questo diritto dei fedeli (e dei sacerdoti) presenta contemporaneamente un dovere vincolante per i responsabili preti richiesti di una tale liturgia: il parroco non deve negare ai fedeli questa richiesta (SP Art.5 §1). Una risposta negativa è contro l’universale diritto ecclesiastico, perciò i fedeli hanno il diritto di insistere e di appellare, nel caso di una risposta negativa, al vescovo diocesano responsabile per il territorio in cui la parrocchia si trova. Prima che il parroco neghi (illegittimamente) questa richiesta, non occorre assolutamente rivolgersi alla curia diocesana, perché non è essa a concedere il permesso o meno: non ci vuole un permesso da parte dalla curia diocesana.

    Se però, per un qualunque motivo, anche la curia diocesana non fosse in grado di soddisfare la richiesta dei fedeli, ci si rivolge alla Commissione Ecclesia Dei. Se non lo fa direttamente il vescovo, come dovrebbe fare obbligatoriamente se non fosse egli stesso in grado di cambiare la decisione negativa del parroco (SP art. 7) lo facciano i fedeli stessi: se il vescovo non nega la supplica per via di un decreto formale, basta rivolgersi in una lettera direttamente alla Commissione Ecclesia dei, la quale è fornita da parte del Sommo Pontefice delle competenze necessarie per poter agire in maniera efficace [altro discorso è se queste benedette competenze le voglia effettivamente esercitare].

    Le possibilità dei vescovi

    Le possibilità dei vescovi riguardo il vecchio rito sono uguali a quelle del nuovo rito. A loro spetta il compito e il dovere di sorvegliare il degno e giusto svolgimento della sacra liturgia in genere nella loro diocesi. Vuol dire: un vescovo non può impedire una Messa soltanto perché è celebrata in un rito o nell’altro. In certe circostanze un vescovo può vietare la celebrazione di una Messa, però solo per motivi giusti e sufficienti, ma non la celebrazione del vecchio rito in sé. Oltre a ciò, non solo non lo può vietare, ma nemmeno limitare, per esempio ad una sola messa mensile. Questo tentativo sarebbe un atto giuridicamente invalido e non obbligherebbe nessuno in obbedienza.

    La competenza del vescovo in questioni liturgiche è la stessa per entrambi riti, secondo il Nr. 22 di Sacrosanctum Concilium, il quale il Santo Padre cita anche nella sua lettera accompagnatoria al testo legislativo. In concreto vuol dire: un vescovo può impedire a un suo sacerdote, per esempio, di celebrare un’altra Messa in più a quelle che celebra già, perché andrebbe al di là del numero massimo di celebrazioni concesse dalla chiesa per giorno. Questo però vale per la Messa in sé e per ogni rito, non per un rito solo. In tal caso si dovrebbe far sì che un secondo sacerdote celebri o una delle Messe secondo il Messale di Paolo VI, o quella del Messale di Giovanni XXIII. Il Motu Proprio cita anche il canone 392 del CIC. In questo canone è stabilito che il vescovo promuova l’unità della chiesa, che include la cura che tutte le leggi ecclesiastiche siano rispettati. Nel secondo paragrafo di questo canone il diritto canonico si riferisce esplicitamente alla liturgia e al dovere del vescovo di sorvegliare che tutto sia rispettato anche nel campo del culto divino. Ma se questo è uno dei compiti affidati al vescovo: come potrebbe non essere egli stesso il primo che rispetta e applica tutte le leggi, incluse quelle liturgiche, e quindi anche il Motu Proprio Summorum Pontificum?

    In accordo con questo, la suddetta lettera accompagnatoria del Santo Padre dice esplicitamente che i vescovi mantengono sì la loro autorità che consiste in primo luogo nel dovere di “vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità”, e quindi possono agire anche loro nel caso di necessità, ma soltanto “in piena armonia con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio”, come scrive Sua Santità stessa. Ogni legge, norma o regola particolare promulgata da parte dei vescovi, che sia in contraddizione con Summorum Pontificum, non ha nessun valore e non vincola nessuno, nemmeno i loro preti diocesani, perché il canone 135 §2 del CIC 1983 stabilisce che “da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore”. Ciò significa, che ogni decreto, ordine o legge particolare che è contraria alla legge del supremo legislatore, ovvero di Sua Santità il Papa, non è valida e di conseguenza da trattare come se non esistesse. Nessuno può limitare, alterare o espandere la legge pontificia che ci è data in Summorum Pontificum.

    Consigli pratici

    In consapevolezza di quanto può essere difficile in pratica organizzare una Messa tridentina celebrata regolarmente, pare utile dare alcuni consigli generali, anche se non sono applicabili in ogni luogo. Generalmente non è necessario rivolgersi alla curia diocesana per chiedere il permesso del vescovo o di qualche altra autorità di poter celebrare più o meno spesso una Messa nel rito straordinario: questo permesso è già dato dal Santo Padre stesso! Di conseguenza, nessuno può rifiutare o limitare questo diritto. Quindi si cerchi un prete disponibile alla celebrazione secondo il Messale di Papa Giovanni XXIII. In più si cerchi un parroco (oppure un rettore di una chiesa) che dia il permesso di usarla. Solo se questo fosse negato da vari parroci/rettori di chiese, ci si rivolga al vescovo, ma per chiedergli di aiutare a trovare una soluzione positiva, cercando di convincere un parroco a dare il permesso di usare la sua chiesa.

    Si chiede il permesso di poter usare la chiesa per una Messa, celebrata nella forma straordinaria, però non si chiede il permesso di poter celebrare in un determinato rito. Sembra quasi la stessa cosa, in effetti però c'è una netta differenza. Se ci fossero davvero dei motivi che indicano una risposta negativa, devono valere anche per l’uso della chiesa per una Messa celebrata nel novus ordo.

    Ordini ed eventuali decreti da parte dalla curia vescovile che tentino di ostacolare o di limitare la celebrazione secondo i riti che furono in uso nel 1962 non sono validi e di conseguenza non bisogna rispettarli, essendo in contraddizione con la suprema legge papale, che è sempre la legge più augusta.

    Se anche il vescovo non è disposto a soddisfare i legittimi desideri, ci si rivolga alla Commissione Ecclesia Dei. Se il vescovo, invece, fosse ben disposto, ma non in grado, si rivolgerà lui alla Commissione.

    Se entro tre mesi il vescovo non risponde, è da considerare come una risposta negativa. In seguito si dovrebbe fare una seconda richiesta, supplicando di cambiare la (finta) risposta negativa, e dopo altri 10 giorni senza risultato soddisfacente ci si rivolga direttamente alla Curia Romana.

    Ma la cosa migliore sarà sempre di trovare per conto proprio sia un prete disponibile sia un rettore di una chiesa disponibile a permettere l’uso della chiesa. Ma a volte questo non è facile, in quel caso sì che non resta che prendere la strada ufficiale. Per questi casi, però, sarebbe bene se alcuni associazioni e siti noti potessero mettere a disposizione indirizzi di persone adatte che possano dare consigli canonistici e pratici per le situazioni concreti, affinché la forma straordinaria, amata e voluta dal Santo Padre stesso, possa espandersi per la gloria del Signore e la salvezza delle anime. Perché soltanto insieme alla restaurazione di una liturgia adeguata potremmo anche restaurare la fede persa in Europa e il mondo.

    Grazie a Michael Gurtner per queste riflessioni
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 03/03/2011 18:53

    Il Summorum Pontificum è salvo

    A volte sembra che le parole del Papa siano coperte sempre troppo corte. Finisce che, a tirare dalla propria parte, ogni volta qualcuno ci lascia fuori i piedi e si lagna. Adesso nei Suoi confronti siamo addirittura alla protesta preventiva, quella che si fa per portarsi avanti.

    Non sapendo che pensare un amico mi ha scritto alcune considerazioni che ho trovato illuminanti.

    “[...]
    1) Prima di lamentarti aspetta almeno di sapere perché.

    2) Comunque, quand’anche ne avessi motivo, non lamentarti, oportet ut scandala eveniant. Ma poichè nessuno sa mai dove stia esattamente il vero motivo di scandalo, non provarci nemmeno a fare baruffa: potresti trovarti fregato ancora al “E però io…”. E guai a colui attraverso il quale gli scandali arrivano, giusto?


    2) Il Summorum Pontificum non é politica: non serve a litigare ma a pacificare. Perciò solo quando una Messa porta pace allora si onora il senso di una Messa e del SP. Vero è che spesso la pace è un seme che ha da germogliare, perciò pensa a zappare.

    3) Il cristianesimo è dei martiri, e la pazienza è un martirio spirituale. Perchè vuoi scappare da quest’ottima occasione?


    4) Il SP non é per pochi eletti (o pochi “disgraziati”, a seconda) ma è per tutti i fedeli di buona volontà. Va da sé che la buona volontà non è di tutti. Tu pensa alla tua.


    5) Il SP è un coraggioso atto della riforma della Chiesa, ma non è la Riforma della Chiesa. Diciamo piuttosto un buon inizio: cammina perchè non sei ancora arrivato.


    6) La riforma della Chiesa è sempre e comunque opera dello Spirito Santo, anche quando soffia attraverso del parole del Papa. Tu per primo lo devi lasciar agire: i tuoi buoni consigli lo impicciano.


    7) Se un cuore è sordo, è sordo. Con chi non vuol sentire non serve urlare. Prega piuttosto che Dio gli doni orecchi e sussurri le parole che solo Lui sa. Di questi tempi potresti ritrovarti “padre” nella fede di numerosa prole. Non sei felice?


    8 ) Davanti al rifiuto continua a cantare le lodi a Dio. C’è chi si è commosso per questa mite insistenza.


    9) Un documento interpretativo è l’interpretazione della norma, non è la contraddizione della norma; e talvolta quello che crediamo essere “restrizione” della norma è semplice “discrezione”. Perciò dormi tranquillo, perché tanto la tua comunione frequente e il tuo Rosario quotidiano non vengono toccati.


    10) Come ordinano i preti e cosa facciano a Milano sono faccende che riguardano i preti e chi abita a Milano. Lascia che chi deve decidere decida, perché non capiti di arrogarti diritti che non hai, e ancor peggio, di violare diritti che altri hanno. E poi, per risolvere certe faccende, converrai bisognerebbe rivedere la Ministeria Quaedam. Non si può fare tutto insieme.


    11) Le norme non sono cannoni, l’Istruzione non è una mitragliatrice, l’Ecclesia Dei non è il Quartier Generale della battaglia finale. Dovresti aspirare a metterti in testa un’aureola, non un elmetto.


    12) Il SP è salvo perché è nelle mani di questo meraviglioso Papa. Lo è sempre stato e lo sarà sempre. Quindi sta sereno, prosegui umile e confida in Dio. L’Istruzione che non ti cambierà la vita è pronta. Tu, piuttosto, sei pronto?

    [...]“

     

     

    a 4 anni di distanza dal MP ricordiamo volentieri:

     

     

    «Ite missa est»: viaggio tra i seguaci della messa in latino

    di Redazione

    Un ringraziamento commosso del sacerdote a Papa Benedetto XVI durante l’omelia e, in conclusione, il canto del «Te Deum». Questi alcuni dei momenti che hanno caratterizzato una delle messe che si celebrano a Roma col rito tridentino. È stata una «prima» importante, ieri, per la numerosa comunità tradizionalista romana. L’emanazione papale del «Motu Proprio» è stata vissuta, infatti, come un giusto e atteso riconoscimento liturgico per i tanti seguaci della liturgia in latino.

    Per capire gli umori e le reazioni dei fedeli, abbiamo assistito a una delle celebrazioni che si tengono secondo l’antico rito. Nella chiesa di Gesù e Maria al Corso si riunisce una delle storiche comunità di seguaci del rito romano. Per questi non è stata una domenica come le altre: «Abbiamo ricevuto un dono di grazia, che ha riparato a molte incomprensioni che duravano da decenni», spiega Carlo Marconi, presidente romano dell’associazione «Una Voce». Uno dei gruppi più attivi nella difesa della liturgia latino-gregoriana: l’importanza dell’avvenimento è sottolineata dal fatto che «a giorni il nostro presidente internazionale ringrazierà ufficialmente il Sommo Pontefice». Tanti i giovani che hanno assistito alla celebrazione. Tra questi, numerosi sono gli aderenti del «Trifoglio», un’associazione identitaria che utilizza il latino come lingua madre delle sue campagne culturali: «Oggi siamo entusiasti perché festeggiamo la “liberazione” del rito romano - dichiara Alfredo Iorio, presidente del “Trifoglio” -. Noi siamo stati sempre convinti che la messa è un rito che non va solo capito ma soprattutto vissuto. È un’esperienza che può rappresentare un momento di rinascita per la nostra civiltà».

    Tra gli altri luoghi di culto dove si celebra l’antica liturgia vi è la chiesa di San Gregorio dei Muratori, in via Leccosa. Qui, dal 1992, padre Joseph Kramer ha il permesso di celebrare la messa in latino. Le celebrazioni avvengono tutti i giorni feriali, alle 18.30, e la domenica. I sacerdoti della «Fraternità San Giovanni», invece, celebrano la messa nelle chiesa di San Nicola in Carcere, in via del Teatro Marcello, tutti i giorni alle 12.15 e la domenica alle 9.15. Solo la domenica, alle 11, la liturgia viene officiata nelle chiesa di San Giuseppe a Capo le Case, in via Francesco Crispi, mentre solo l’ultimo mercoledì di ogni mese, alle 16.30, viene celebrata nella basilica di Santa Maria Maggiore. Infine nella cappella di Santa Caterina da Siena di via Urbana celebrano messa i sacerdoti della «Fraternità San Pio X», seguaci di Monsignor Lefevbre. «Tutte le domeniche, alle 11, la nostra cappella è ed è stata sempre piena di fedeli, soprattutto giovani - spiega don Fausto Buzzi -. Affermando il diritto di celebrare la messa secondo l’antico rito, il Papa ha riconosciuto che questo non è mai stato abrogato. È bello vedere come la tradizione è più viva che mai».

     Il Giornale, 9 luglio 2007


     


    [Modificato da Caterina63 18/07/2011 17:19]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 01/08/2012 21:17

    "Se la fede della Chiesa è quella di sempre, perché avere paura della messa di sempre?"

    Il Summorum Pontificum,
    un'arma a doppio taglio.

    Non vogliamo fare una critica al documento del Santo Padre, state tranquilli, vogliamo solo dire che può essere usato differentemente, a seconda delle intenzioni che si hanno.

    Di fatto abbiamo assistito a un fenomeno strano, in questi cinque anni: al Summorum Pontificum si sono richiamati tutti o quasi, sia quelli che volevano il ritorno della Tradizione nelle chiese della cattolicità, sia quelli che volevano arginarla, perché non desse fastidio al nuovo corso di violenta modernizzazione, ormai introdotto da quasi mezzo secolo.

    Tutto questo noi lo constatammo già nel luglio del 2007. Entusiasti iniziammo a celebrare nel Vetus Ordo (la messa tradizionale), lieti della liberalizzazione miracolosamente operata da Benedetto XVI, e le curie intervennero per dire che quello che facevamo non era l'intenzione vera del Santo Padre. Vi risparmiamo tutti i “tira e molla” di quel tempo, con le diatribe su cosa fosse “messa privata” e su cosa non lo fosse: si arrivò a pretendere che i sacerdoti avessero la libertà di celebrare la messa “antica”, da soli, a porte chiuse, con al massimo un inserviente ben preparato... più “privata” di così si muore, è il caso di dirlo!... si arrivò ad esigere i dati di tutti i richiedenti e assistenti alla messa tradizionale, alla faccia della “privacy”, si tentò di vietare catechismo e predicazione. Tutto questo veniva fatto richiamandosi ai vari cavilli giuridici del documento papale, ai cavilli giuridici, non alla sostanza.
    Poi ci si risolse a screditare dietro le quinte i fedeli della tradizione, con le parole magiche... ”sono dei disobbedienti”, senza specificare oltre.

    In una Chiesa dove regna il caos su tutto, dove pochissimi accettano ancora tutte le verità del Credo senza esclusione, dove i comandamenti sono accolti o rifiutati a piacimento, dove i parroci non possono chiedere quasi più nulla ai fedeli, pena l'essere sottoposti al giudizio pubblico, dove il Papa è criticato per gusti personali (simpatico-antipatico), dove anche nei confessionali la legge morale è sovente inventata dal sacerdote di turno, più o meno “aperto” alle nuove esigenze umane, è molto strano che gli unici “disobbedienti” siano i sacerdoti e i fedeli amanti della Tradizione!

    Non è che la questione dell'obbedienza la si tiri fuori solo per fermare il ritorno alla Tradizione? Quanti fedeli sono stati spaventati così, sibilando loro “attento, sono dei disobbedienti”? Ma quelli che così hanno sibilato, si sono poi curati delle loro anime? ...temiamo di no, l'unico desiderio loro era quello di staccarli dalla Tradizione.

    C'è una cosa che resta il punto centrale del motu proprio Summorum Pontificum, la sostanza: “La messa tradizionale non fu mai abolita” questo è il punto chiaro. Da qui bisogna partire per capirci. Non è una concessione, la messa tradizionale, è una realtà, fa parte della vita della Chiesa. È quindi questione di giustizia non fermarla, la messa di sempre, non impedirne i frutti, né con i mezzi espliciti dei divieti, né con quelli subdoli dell'instillare i dubbi.

    Non fu mai abolita. E allora, lasciatela libera di operare il bene di sempre in tutti i campi della vita. Non fu mai abolita, è stata la messa di secoli e secoli di cristianità, ha fatto i santi della Chiesa... ma allora di cosa avete paura? Sì, di cosa avete paura? Se la fede della Chiesa è quella di sempre, perché avere paura della messa di sempre? A meno che qualcuno pensi che la fede cambi a seconda delle epoche, ma questa è un'altra storia, si chiama modernismo, è un'eresia bella e buona, anzi è l'insieme di tutte le eresie.

    E allora, disobbediente è chi pensa che bisogna modernizzare la fede: e questa è la disobbedienza, la sola gravissima, quella non contro le leggi umane, ma contro la fede."
     
     
    Editoriale di "Radicati nella fede", foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell'Ospedale di Domodossola dove si celebra la Messa tradizionale.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 07/07/2013 00:56
    [SM=g1740758] 7.7.2007 /7.7.2013 Sei anni fa Benedetto XVI donava alla Chiesa il MP Summorum Pontificum.....
     lodiamo Dio per questo dono immenso e siamo eternamente grati all'amato Pontefice Benedetto,
    egli ha consegnato nelle nostre mani, nelle mani dei Sacerdoti santi un ricco patrimonio liturgico da far fruttare....
    coraggio allora, anche il suo successore ha detto chiaramente che non opporrà alcun veto alla sua applicazione - come certi vescovi avevano sfacciatamente chiesto - bando alle ciance, chi può si dia da fare....


    Così si esprimeva il cardinale Darío Castrillón Hoyos, allora presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e per molti anni prefetto della Congregazione per il Clero


    D. – Alla vigilia dell’entrata in vigore del Motu Proprio, quali sono i suoi auspici?


    R. – I miei auspici sono questi: l’Eucaristia è la cosa più grande che noi abbiamo, è la manifestazione più grande dell’amore, dell’amore redentore di Dio che ci vuole accompagnare con questa presenza eucaristica.
    Questo non deve essere mai un motivo di discordia: lì ci deve essere solo l’amore.
     Io auspico che questo possa essere un motivo di gioia per tutti coloro che amano la tradizione, un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che non avranno più divisioni, ma avranno – al contrario – una molteplicità di santità con un rito che è stato certamente il fattore e lo strumento di santificazione per più di mille anni.
    Ringraziamo, quindi, il Santo Padre che ha recuperato per la Chiesa questo tesoro. Non viene imposto niente agli altri. Il Papa non impone l’obbligo; il Papa impone però di offrire questa possibilità laddove i fedeli lo richiedono.
    Se ci fosse un conflitto, perché umanamente due gruppi possono entrare in contrasto, l’autorità del vescovo – come dice il Motu Proprio – deve intervenire per evitarlo, ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato a tutta la Chiesa.

    l titolo: LA TUNICA STRACCIATA esprime già di per se il senso della riflessione riportata in questo spazio...

    Tito Casini.... chi era?
    interessante che il curatore del sito è:

    Fra Pier Damiani Maria obl. O.S.B. Cam. una consolazione dal momento che non si tratta di un laico...

    Scriveva così Tito Casini:

    I protestanti, ho detto (dimenticando che dovevo dire i «fratelli separati», e di quale fraternità si tratti è palese presentemente in Irlanda), per dire appunto i padri e maestri di questi nostri riformatori da cui essi, come il paggio Fernando della famosa partita, si riconoscono di gran lunga superati, e ricordare ciò che il santo pontefice pur ora citato diceva e prediceva, in quella sua prima enciclica alle soglie del secolo: «L'errore dei protestanti diè il primo passo su questo sentiero; il secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire l'ateismo».

    Siamo prossimi a questo, all'ultimo stadio, la «morte di Dio», e la Riforma, la «nostra», n'è la propellente: il principio protestante, cuius regio illius et religio, ogni regione la sua religione, ha nel «pluralismo liturgico» - nella legge del culto autonoma, regionale, lingua e riti, rispetto a quella del Credo - il suo equivalente, con la conseguenza che la religione, la vera, la buona, langue in ogni regione, che il pluralismo si risolve in nullismo, avverandosi in tutte, anche in quelle dove il volgare è meno volgare, meno barbaro, ciò che il Marshall scriveva, per i cattolici riformisti, dell'Inghilterra riformata: «Non c'illudiamo: non sarà la liturgia in volgare a far venire gl'invitati al festino di nozze. La Chiesa anglicana canta il più bell'inglese davanti ai banchi più vuoti, mentre il (cattolico) più ignorante in latino intende benissimo ciò che fanno i monaci di Solesmes».

    e ancora scriveva profeticamente negli anni '70:

    Risorgerà, vi dicevo... [la Santa Messa Tridentina] risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com'è che io ne sono certo, rispondo (da «poeta», se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole... Sarà magari sera avanzata e là nella chiesa di San Domenico i frati, a Vespro, canteranno: Iam sol recedit igneus; ma tra qualche ora gli stessi domenicani miei amici canteranno, a Prima: Iam lucis orto sidere e così sarà tutti i giorni.

    Il sole, voglio dire, risorgerà, tornerà, dopo la notte, a brillare, a rallegrar dal cielo la terra, perché... perché è il sole e Dio ha disposto che così fosse a nostra vita e conforto. Così, aggiungevo, è e sarà della Messa - la Messa «nostra», cattolica, di sempre e di tutti: il nostro sole spirituale, così bello e santo e santificante - contro l'illusione dei pipistrelli, stanati dalla Riforma, che la loro ora, l'ora delle tenebre, non debba finire; e ricordo: su questa mia ampia terrazza eravamo in molti, l'altr'anno, a guardar l'eclisse totale del sole; ricordo, e quasi mi par di risentire, il senso di freddo, di tristezza e quasi di sgomento, a vedere, a sentir l'aria incaliginarsi e addiacciarsi via via, ricordo il silenzio che si fece sulla città, mentre le rondini, mentre gli uccelli scomparivano, impauriti, e ricomparivano svolazzando nel cielo i ripugnanti chirotteri.

    A uno che disse, quando il sole fu interamente coperto: - E se non si rivedesse più? - rammento che nessuno rispose, quasi non si addicesse, in questo, lo scherzo... Il sole si rivide, infatti, il sole risorse, dopo la breve diurna notte, bello come prima e, come ci parve, più di prima, mentre l'aria si ripopolava di uccelli e i pipistrelli tornavano a rintanarsi.

    *************************************

    Tito Casini era scrittore, magari anche poeta, squisitamente Cattolico che pur rimanendo fedele alla Chiesa non accettò tuttavia gli eventi che susseguirono al Concilio, denunciandoli attraverso questi scritti malinconici se vogliamo, ma anche profetici e poetici... Occhiolino
    Scrisse negli anni '30 "Storia Sacra", in tomo di 500 pagine impregnate di Tradizione pura da lui riportata in tono poetico, come si porta un gioiello ad una sposa...

    Nato a Cornacchiaia, frazione di Firenzuola, il 23 novembre 1897, da una famiglia di antiche tradizioni rurali e religiose, Tito Casini fin dalle prime classi elementari dimostrò una particolare attitudine alla letteratura.

    Nella notizia biografica redatta da Nicola Lisi, in "Antologia degli scrittori cattolici", è definito "Avvocato per la laurea e per gli occhiali a stanghetta, per tutto il resto colto, intelligentissimo montanaro, esaltatore e difensore di tutto ciò che vive e si muove all'ombra dei suo campanile".

    Ben presto, infatti, depose la toga di avvocato, una professione che necessitava di compromessi che maL si confacevano al suo carattere, e si unì a un gruppo di scrittori fiorentini, tra i quali Papini, Bargellini, Giuliotti e Betocchi. Insieme fondarono il "Frontespizio", la famosa rivista pubblicata a Firenze tra il 1929 e il 1940. Muore nel 1987.

    L'uscita de "La vigilia dello sposo", uno dei libri più gradevoli di Tito Casini, veniva, sul "Frontespizio" del giugno 1930, così salutata:

    "E' un diario quaresimale, dove, con squisitezza d'animo l'autore canta, in pulitezza trecentesca di lingua e spontaneità di affetti, la vita liturgica dei periodo di penitenza che precede la Pasqua, armonizzandola in sapiente vigilia ed attesa della Resurrezione, massimo e sublime evento per il cristiano... Lo stile, ravvivato specialmente dal brio e dalla belle proprietà dei parlare toscano, fiorisce spontaneo sotto la penna dei giovane e brioso scrittore, al quale va dato atto di farsi leggere con gusto". Per chi scrive libri è davvero il massimo.

     

    Ne "La Tunica stracciata" troviamo così una raccolta di brani, scritti poeticamente, che descrivono di una grande apostasia nella Chiesa a seguire dopo il Concilio...

    "sublime" per le parole usate, ma drammatico al tempo stesso è questo racconto della "prima messa riformata di Paolo VI" intilolato: IL GRANDE SACRIFICIO che vi invito  a meditare:

    " Non questo, non così egli, Paolo VI, aveva creduto o mostrato di credere - allorché, parlando dalla finestra quel non limpido mezzogiorno del 7 marzo 1965, aveva detto: «Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento... Il bene del popolo esige questa premura».

    E quasi dolendosi, quasi rimpiangendo, al contempo, ciò che si è obbligato a immolare (come Iefte l'amata figlia che ignara del voto paterno gli è venuta incontro festosa con cembali e danze e saputolo gli chiede di poter prima andare con le compagne sui monti a piangere la sua giovinezza): «È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino: lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante».

    E ancora, ancora e più conscio della gravità di ciò che diceva: «Ha sacrificato, la Chiesa, tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l'unità di linguaggio nei vari popoli...»
    Così aveva parlato e scritto il devoto suo antecessore Giovanni, dimenticando la sua nota mitezza per percuotere con le più dure parole e minacce chi avesse parlato o scritto, o lasciato, da Superiore o da Vescovo, che si dicesse o scrivesse in contrario, «contra linguam Latinam in sacris habendis ritibus»; così il suo ascetico predecessore, pio XII; così il forte Pio XI; così tutti i sommi Pontefici - nel loro cognome di «romani» - con ragioni e sanzioni come quelle che la Veterum Sapientia confermava poc'anzi nel nome stesso della civiltà universale... Tutti, fino a lui, e d'essere stato lui a spezzar la catena, a chiuder la tradizione, a privar la Chiesa di quella sua «propria lingua», pareva non essere interamente tranquillo, come di un cambiamento che i fatti avrebbero potuto giustificare o condannare: «Questo per voi, fedeli... e se saprete davvero...»

    Aveva visto da sé, poche ore innanzi, nell'àrribito di una chiesa, che cosa comportasse nell'àmbito della Chiesa il sacrificar, col latino, «l'unità di linguaggio nei vari popoli».
    Vari popoli, d'Europa e d'altre parti del mondo, riconoscibili al colore, all'accento, alla foggia degli abiti, erano infatti casualmente presenti, quella mattina, nella chiesa d'Ognissanti, in via Appia Nuova, dov'egli s'era portato a celebrar la sua prima messa riformata. Erano stranieri, di religione cattolica, affluiti per diporto a Roma ai primi richiami della primavera in arrivo, e si trovavano lì per assolvere il precetto festivo; ma, differentemente dal loro solito di ferventi cristiani, essi se ne stavan lì muti e come smarriti, stranieri, anche lì, tra quei pur fratelli di fede ch'erano i fedeli romani, dai quali li separava, precisamente, ciò che prima li univa, li affratellava; e il Papa sentiva con pena, pena di padre comune, il loro silenzio, le loro mancate risposte ai suoi auguri, detti in lingua italiana, che il Signore fosse con essi, che il Signore desse loro la pace; li sentiva, li vedeva assenti, quasi dissenzienti, quando nella lingua degli italiani diceva ciò che nella lingua di tutti si era detto - o cantato, nelle dolci universali note del gregoriano - fino a stamani: ... unum Deum... unum Dominum... unam Ecclesiam... conforme al monito dell'Apostolo: ut unanimes, uno ore honorificetis Deum... Con pena aveva sentito, il Papa, quel loro muto lamento: Extraneus factus sum fratribus meis, et peregrinus filiis matris meae, avvertendo com'egli stesso, il padre, si fosse, così, fatto loro straniero e pellegrino, in quella Roma patria spirituale di tutti.

    Con pena aveva così visto e sentito - in quella sua prima messa dalla brutta denominazione di «riformata», che nei paesi di molti fra quegli stranieri equivaleva a «protestante» - i primi effetti del «sacrificio» detto poi in quel discorso, la rinunzia della Chiesa alla sua univocità, temendone di conseguenza quello dell'unanimità...

    Con pena, e si tradiva nel tono stesso della sua voce: voce di chi dubita, entro sé, dubita di ciò che afferma: voce che si fece sicura, giulivamente sincera, allorché, terminando, disse: «Noi pregheremo la Madonna, la pregheremo ancora in latino», e in latino intonò il Saluto dell'Angelo, a cui si uni, dalla piazza, la folla cosmopolita, fatta, per quella comune lingua, non più di stranieri gli uni agli altri, ma di fedeli, di credenti, gli uni agli altri fratelli.




    LA TUNICA STRACCIATA 



    [SM=g1740733]


    [Modificato da Caterina63 07/07/2013 09:05]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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