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Oltre l’orgoglio umano: per la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo


Le ideologie politico-sociali come il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il nazionalismo, il totalitarismo, ecc., derivano da quell’empio ed assurdo principio chiamato naturalismo, secondo il quale:

"l’ottima regione della pubblica società e il civile progresso richiedono che la società umana si costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la religione, come se questa non esistesse o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le false religioni". […] Ma chi non vede e non sente pienamente che una società di uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia non può avere altro proposito fuorché lo scopo di acquisire e di accumulare ricchezze, e non può seguire nelle sue operazioni altra legge fuorché un’indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità?
(PIO IX, Lettera Enciclica, Quanta cura, 1868)

I filosofi propagatori di queste ideologie vollero che la religione cristiana fosse

uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati. […] vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)


In tal modo appare chiaro che le più grandi nefandezze compiute dalle ideologie sopra citate, non siano imputabili ad altri se non al laicismo di cui si sono fatte portatrici. Per questo una volta giunte al potere tali ideologie si sono rese responsabili di pessimi frutti:

i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili […], insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Dunque per cambiare veramente la realtà occorre slegarsi dall’orgoglio umano, dal materialismo, e avere il coraggio di tornare a volgere lo sguardo verso il cielo, verso Dio, poiché

non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno «esecranda fame dell’oro»; non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all’estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza, che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l’esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio, senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati, che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse. […] Se questo stesso egoismo […] si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d’encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo. Alla grande legge dell’amore e della fraternità umana, che abbraccia tutte le genti e tutti i popoli in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei cieli, subentra l’odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano i sacri princìpi che erano la guida di ogni convivenza sociale; vengono manomessi i solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui dovrebbe basarsi lo Stato; sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche tradizioni che nella fede in Dio e nella fedeltà alla sua legge vedevano le basi più sicure del vero progresso dei popoli. Approfittando di tanto disagio economico e di tanto disordine morale i nemici di ogni ordine sociale […] audacemente si adoperano a rompere ogni freno, a spezzare ogni vincolo di legge divina o umana, ad ingaggiare apertamente o in segreto la lotta più accanita contro la religione, contro Dio stesso, svolgendo il diabolico programma di schiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso, poiché sanno molto bene che, tolta dal cuore dell’umanità la fede in Dio, essi potranno fare tutto quello che vorranno. E così vediamo oggi quello che mai si vide nella storia, spiegate cioè al vento senza ritegno le sataniche bandiere della guerra contro Dio e contro la religione in mezzo a tutti i popoli e in tutte le parti della terra. […] l’ateismo ha già pervaso larghe masse di popolo; con le sue organizzazioni si insinua anche nelle scuole popolari, si manifesta nei teatri, e per diffondersi si vale di proprie pellicole cinematografiche, […], della radio; con tipografie proprie stampa opuscoli in tutte le lingue; promuove speciali esposizioni e pubblici cortei. Ha costituito propri partiti politici, proprie formazioni economiche e militari. Questo ateismo organizzato e militante lavora instancabilmente per mezzo dei suoi agitatori con conferenze e illustrazioni, con tutti i mezzi di propaganda occulta e manifesta in tutte le classi, in tutte le strade, in ogni sala, dando a questa sua nefasta operosità l’appoggio morale delle proprie Università e stringendo gl’incauti tra i vincoli potenti della sua forza organizzatrice. Al vedere tanta operosità posta al servizio di una causa così iniqua, Ci viene davvero spontaneo alla mente e al labbro il mesto lamento di Cristo: «I figli di questo mondo sono nel loro genere più scaltri dei figli della luce» […] E le società segrete, che sono sempre pronte ad appoggiare la lotta contro Dio e contro la Chiesa da qualunque parte venga, non mancano di rinfocolare sempre più questo odio insano che non può dare né la pace, né la felicità ad alcuna classe sociale, ma condurrà certamente tutte le nazioni alla rovina.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Caritate Christi Compulsi, 1932)

Nel XXI secolo queste analisi sono quanto mai attuali e ci spingono sempre di più a scavare nella tradizione della dottrina sociale della Chiesa per scoprire un tesoro da utilizzare e da «spendere» anche ai giorni nostri, per migliorare l’odierno quadro politico-sociale che, dopo tanti anni di presunti progressi, ripresenta gli stessi problemi. E infatti il panorama politico odierno non è altro che la riproposizione, con abiti rinnovati, ma sempre gli stessi, di quelle ideologie condannate, per il bene dell’umanità, dai sommi pontefici, in primis il liberalismo che oggi è l’ideologia dominante, ma anche il socialismo, il nazionalismo, il comunismo, ecc. Di fronte a questo quadro politico desolante i cattolici fedeli alla tradizione della Chiesa non devono assecondare questo scempio morale, ma è opportuno che riscoprano la dottrina tradizionale della Chiesa per opporla allo sfacelo che giorno dopo giorno si consuma sotto i nostri occhi trascinando l’umanità verso le viscere della terra, impedendole di librarsi verso Dio. Quindi, urge innanzitutto ristabilire quell’incommensurabile patrimonio dell’uomo e di Dio chiamato societas christiana, ossia la vera nozione della civiltà umana, della umana Società, quale ce l’insegnano la ragione e la rivelazione per il tramite della Chiesa Magistra gentium. Essa è la societas perfecta dove tutto fa capo ordinatamente a Dio, primo principio e fine ultimo di ogni cosa, come una grande cattedrale gotica protesa verso l’alto. Reggitore di questa società non può essere altri che Gesù Cristo con la sua sociale regalità. Il principato del redentore riguarda tutti gli uomini, non i soli cattolici e cristiani, non solo gli individui ma le comunità, è quindi un regno universale, rivolto al genere umano nella sua totalità, infatti

sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall'esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L'impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». Né v'è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l'autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell'uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l'incolumità del loro potere, l'incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all'inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l'autorità appare senz'altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v'è ragione per cui uno debba comandare e l'altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali». Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l'intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l'autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. In questo senso l'Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell'esigerne l'esecuzione. In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l'ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l'immagine e l'autorità di Cristo Dio e Uomo. Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri"» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell'orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l'antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l'impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Per fare si che le ideologie scaturite dall’orgoglio umano e quindi pervase di errore non raggiungano le alte sfere del potere civile pervertendo la verità e la pace sociale

è necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell'uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d'ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come "armi di giustizia" offerte a Dio devono servire all'interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Quas primas, 1925)

Tali parole di speranza inducono a

dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli «facendo del bene» a tutti. Non vi sarebbero né socialismo né comunismo se coloro che governavano i popoli non avessero disprezzato gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto, sulle basi del liberalismo e del laicismo, fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l’uno dopo l’altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull’unica pietra angolare che è Gesù Cristo.
(PIO XI, Lettera Enciclica, Divini Redemptoris, 1937)

Per tutti questi motivi i cattolici devono impegnarsi politicamente con l'obiettivo di sostituire alla "sovranità del popolo" la "sovranità di Dio", ai "diritti umani" i "diritti di Dio" per ricostruire una società su basi divine, la sola e l'unica che possa garantire in modo autentico la verità, la giustizia, la pace e la libertà. In tal senso, la tradizionale dottrina sociale della Chiesa, fedele custode delle leggi eterne stabilite da Dio, può ancora dare un valido contributo alla rinascita della societas christiana che per secoli ha donato pace e concordia ai popoli europei. Certo, rispetto al passato molte cose sono cambiate, ma l'essenziale non è mutato, la fede non è mutata, le leggi eterne non sono mutate, dunque non bisogna avere paura di spalancare le porte a Cristo, poiché Egli è con noi fino alla fine dei tempi.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)