00 27/03/2010 09:08


L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo
Un grazie a Messainlatino e a don Morselli [SM=g1740722]

"Tutto Israele"

Commento della nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano

III parte


L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo
“i monti Sion” Sal 47 (48), 6.
“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno.
[...] Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”
S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.
1. Perché annunciare?
Se gli Ebrei, come tutti, dovranno credere in Gesù Cristo, è chiaro che bisogna che qualcuno glielo annunci, giacché non si può amare ciò che non si conosce.
Sia Gesù che gli Apostoli hanno rivolto la buona novella per primi agli Ebrei; e, poi, in una via in un certo modo subordinata, ai pagani.
Non si vede perché dobbiamo fare diversamente da quanto ha fatto Gesù o da quanto ha fatto San Paolo.
Inoltre, siccome gli Ebrei sono un popolo particolare, è necessario un annuncio particolare.
2. Proselitismo?
Innanzi tutto sgomberiamo il campo da possibili obiezioni con una buona explicatio terminorum.
La parola proselitismo ha assunto una connotazione negativa: siamo i primi a voler escludere ogni mancanza di rispetto, ogni forzatura nella conversione, ogni invadenza nella presentazione degli argomenti.
E questa non è una novità post-conciliare: è vero che, per via della mentalità di intere epoche e non solo dei Cristiani, possono essersi verificati eccessi nella predicazione del Cristianesimo agli Ebrei. Ma è anche vero, ad esempio, che nei tanti conventi dove si sono rifugiati gli Ebrei durante la II guerra mondiale, non è stato fatta nei loro confronti nessuna opera di persuasione: sono stai sempre rispettati al massimo, né è mai stata loro posta alcuna condizione per essere aiutati, e questo anche rischiando la vita.
Se proselitismo dovesse indicare un pur minimo allontanamento dai criteri che hanno ispirato una simile condotta, siamo i primi ad essere anti-proselitismo.
Se invece, nel desiderio che abbia il suo compimento la realizzazione storica del tutto Israele, con grande carità, proponessimo, in occasioni opportune e in modo gentile e garbato, ai nostri fratelli Ebrei di riflettere sulla persona di Gesù Cristo - collaborando nel frattempo su orizzonti che oggettivamente ci sono comuni (ad esempio difendendo i dieci comandamenti nelle legislazioni mondiali) -, non vedo nulla di male: anzi, per noi cristiani questo è un dovere.

3. Un annuncio particolare.
Posta la particolare forma di conversione che compete agli Ebrei, che non mutano, ma perfezionano e coronano la loro religione, anche l’annuncio deve essere specifico: non è certo una missio ad gentes.
Allora quale annuncio? Proverò a proporne un’icona e una linea teoretica.

 3.1 Un’icona dell’annuncio
Come icona di questo annuncio, mi sembra conveniente proporre - nel contesto della parabola del figliol prodigo[1] - la sollecitudine del buon Padre, che cerca di fare entrare nella festa il figlio maggiore; e faccio questo sulle orme si S. Agostino, che ci offre un’interpretazione meravigliosa del finale di questa parabola, nel commento al salmo 47.
Dapprima il vescovo di Ippona si chiede come mai, al versetto 3, si parla dei monti di Sion e non di un monte, come è nella realtà.
Ne conclude che i due monti sono gli Ebrei e i gentili uniti nell’unica pietra angolare:

“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno”.


S. Agostino sente quasi già realizzato questo evento, a tal punto che vola alla parabola del figliol prodigo, modificandola:

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”[2].


Perché modificandola? Perché S. Luca lascia la parabola incompiuta: essa termina con l’esortazione del Padre al figlio maggiore ad entrare nella festa; ma non ci dice se il figlio maggiore accoglie l’invito (secondo molti autori cristiani, particolarmente S. Agostino, il figlio maggiore rappresenta il popolo ebraico; il dissoluto e freddo calcolatore figlio rappresenta i popoli pagani).
Il Vescovo di Ippona, in un vero slancio di amore, vede già compiuta la speranza del buon Padre.
Gli elementi per vedere nella parabola del figliol prodigo un’allegoria dell’ingresso degli Ebrei nella nuova alleanza non mancano:

“Suo padre allora uscì...”:


Notiamo bene uscì, perché gli Ebrei non sono ancora dentro la Nuova Alleanza;

“... a supplicarlo ...”:


ecco il modello dell’annuncio agli Ebrei: una supplica amorevole e paziente.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo...”:


l’alleanza antica non è revocata, tu sei sempre figlio, le promesse non ti sono tolte…

“… ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”:


... ma ormai la nuova alleanza è conclusa, la Vittima immolata, anche i pagani sono figli, perché il pagano è tuo fratello, affrettati ad entrare dove c’è la festa (la nuova Alleanza)”
Quale fine vede S. Agostino per la parabola?

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre”.


Tutto l’apostolato nei confronti degli Ebrei si può riassumere come la condivisione della sollecitudine e della misericordia del Padre nei confronti del Figlio maggiore, unita alla speranza mostrataci da S. Agostino.
3.2 Una linea teoretica.
La Rivelazione stessa ci mostra come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei; vorrei esaminare, in un brano già preso in esame precedentemente, la condotta di San Paolo presso la Sinagoga di Tessalonica:

“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”. Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[3].


Riprendo questo brano perché il discorso di San Paolo nella sinagoga di Tessalonica è del tutto simile alla spiegazione della Sacra Scrittura che Gesù risorto svolge il giorno di Pasqua, prima ai discepoli di Emmaus e poi agli “undici e agli altri che erano con loro”[4].
3.2.1 Scholion: L’esegesi midrashica di Gesù modello dell’annuncio cristiano agli Ebrei[5].
È indispensabile, a questo punto del nostro studio, fare alcune considerazioni circa il midrash, cioè circa l'approccio culturale ebraico alla Sacra Scrittura[6].
Ai tempi di Gesù, era opinione che il significato della Scrittura non si limitasse al senso più ovvio, al significato immediato del testo: scrivono a questo proposito A.C. Avril - P. Lenhardt:

«È degno di nota il fatto che la tradizione di Israele, nell’epoca del nuovo testamento, non conosca la parola “senso”, ma solamente i termini mishma’ (“la cosa udita”) o shammua’ (“ciò che si ode”), i quali designano il senso della Scrittura in prima audizione. Non si tratta di ciò che noi chiamiamo il "senso letterale", vale a dire il senso che il testo ha per il suo autore. Il mishma’ è senza dubbio il senso più ovvio; ma proprio in quanto tale esso né viene considerato come il senso più sicuro, né come quello migliore. Esso appare al contrario come sospetto, o per lo meno come provvisorio e da sottoporre a verifica»[7]



«…si ammette che la Scrittura non possa limitarsi a dare un unico senso, ma richieda necessariamente una molteplicità di interpretazioni: solo attraverso una tale molteplicità - purché sempre compatibile con l’insieme della Verità rivelata - si può arrivare a cogliere l’infinita potenza ed efficacia rivelativa della Parola di Dio.»[8]


Alla luce di quanto sopra, appare chiaro che, per un ebreo, ciò che “si udiva” leggendo la S. Scrittura, doveva essere interpretato; era necessario “aprire” la S. Scrittura, ricercandone i molteplici significati[9]; il midrash non é altro che la “ricerca” che “apre” il senso della Scrittura.
Per meglio comprendere il significato dell’espressione “aprire [il senso del]le Scritture”, ci può essere utile esaminare Lc 24, 25-32:

"[25] [Gesù] disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! [26] Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27] E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28] Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29] Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. [30] Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31] Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. [32] Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [lett. ci apriva][10] le Scritture?»".


In questa pericope, possiamo osservare come è Gesù stesso che fa il midrash, che "apre" il senso della S. Scrittura (ci apriva le Scritture). All’apertura del senso della Scrittura corrisponde l’apertura degli occhi (si aprirono loro gli occhi) e il riconoscimento di Gesù Cristo (lo riconobbero).
Possiamo constatare che l'oggetto del midrash non é soltanto la S. Scrittura, ma sono anche gli eventi storici, in particolare quelli concernenti Gesù; esaminiamo ora anche i versetti precedenti: Lc 24, 18-20:

" [18] uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». [19] Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20] come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso»".


continua...........

[Modificato da Caterina63 27/03/2010 09:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)