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5 - Conclusione -

In fondo al percorso che m'ero prefisso, m'accorgo che potrei dir ancora tante cose, sulle quali, invece, taccio per non eccedere nell'uso del tempo mio ed altrui.

Continuando un'osservazione iniziale sulla totale estraneità di quanto esposto alla ricorrente accusa d'antisemitismo, non nego che l'antisemitismo ci sia; se ne vedono spesso le manifestazioni e le conseguenze. Dico solo che un sereno e serio discorrere su dati biblico-teologici riguardanti gli Ebrei non ha nulla che fare con l'antisemitismo. E nemmeno con i piani egemonici degli apocrifi Protocolli dei Savi di Sion, e con le biliose ritorsioni antitedesche di provenienza giudaica, di cui in Occhio per occhio di John Sack(36).

Non è facile capire in che cosa l'antisemitismo consista: evidentemente il suo significato s'evince dal prefisso "anti" che precede il sostantivo "semitismo". Ma ciò solo in parte fa luce su un concetto che di per sé non è di facile comprensione. Quando Pio XI dichiarò che siamo tutti semiti, non disse un assurdo: semiti furono infatti Maria, Giuseppe, gli Apostoli e, nella sua umanità, lo stesso Gesù. Tuttavia, ad avvalorare la sua asserzione, Pio XI la precisò con l'avverbio "spiritualmente" e con il riferimento alla fede: quanto ad essa, infatti, tutti discendiamo da Abramo che, per la fede, vide i giorni del Signore Gesù e ne gioì (Gc 8,56). L'antisemitismo significa, allora, un comportamento o un indirizzo avverso al popolo ebraico? Nessun biblista e nessuno storico risponderanno di sì senza ma e senza se.

Semita infatti non ha un significato univoco, pur rimandando a Sem ed ai suoi discendenti (Gn 10,21), la cui complicatissima classificazione, peraltro, segue criteri culturali, storici e geografici, più che caratteristiche etniche. Sembra infatti che, assai più d'altre ragioni, sian le lingue di varie popolazioni e la loro corrispondenza reciproca ad unificarne il raggruppamento sotto il nome di Semiti.

E l'analisi delle lingue ha portato alla conclusione che furon certamente Semiti:

a) gli Accadi della Mesopotamia al tempo dei Sumeri;

b) gli Amorrei della valle del Tigri e dell'Eufrate fino al Golfo Persico;

c) gli Aramei del deserto siro-arabico e dintorni dei Golfo d'Alessandretta;

d) Cananei della zona tra il Libano, la Siria, la Palestina, la depressione tra il Mar Rosso, il Golfo d'Aqaba ed i territori tra il Mediterraneo ed il deserto siro-arabico. Cananei son pure i Fenici, gli Ammoniti, i Moabiti (cf Gn 19,3038), gli Idumei (da Esaù=Edom) e gli Ebrei (da Giacobbe=Israele).

e) Sono infine di discendenza semitica anche gli Etiopi e gli Arabi(37).

Se il mio scritto nascesse da spirito antisemitico, sarei curioso di sapere contro quale delle popolazioni sopra indicate sarebbe rivolto. E se per caso fossero gli Ebrei a sentirsene colpiti, la curiosità aumenterebbe per capire come e perché essi unifichino su se stessi dei rilievi storico-teologici che, in teoria, potrebbero riguardare tutti gli altri Semiti.

Sarà solo una mia impressione, ma a me par eccessivo ed un po' puerile il cedere acriticamente alla moda ormai largamente diffusa di veder un po' dovunque non solo un antisemitismo che risolleva la testa, ma che la volge, oltraggioso ed impudente, in direzione antiebraica. A tale riguardo, sarà opportuno chiarir l'idee.

Fermo restando che antisemita non significa soltanto antiebreo, il "soltanto" dovrà esser espunto da ogni esposizione critico-scientifica. Riconosco, peraltro, che al detto significato limitativo fu riservata un'accoglienza pressoché unanime in seguito a persecuzioni scatenate da motivi razziali, economici, sociali, politici, nelle quali il dato religioso era preminente.

Con l'accusa d'antisemitismo, tuttavia, sono state impropriamente bollate, qualche volta - ed oggi in particolare -, quelle espressioni di senso negativo nei confronti degli Ebrei, che affiorano lungo la storia dei rapporti giudeo-cristiani
(38). Non mi pare criticamente corretto il metter tutto sullo stesso piano. Che si sia ecceduto nei toni, è indubbio ed è deprecabile, soprattutto quando ad eccedere fu un testimone della religione dell'amore, magari ai vertici del governo ecclesiastico; ma torno a ripetere che non si trattò d'antisemitismo, puerilmente ancorato all'accusa d'omicidi rituali(39), di pozzi avvelenati(40) e d'ostie profanate(41). La causa dell'opposizione cristiana e segnatamente cattolica era di natura rigorosamente religiosa e, come tale, non riconducibile né ad una ragione razziale, né a contrapposizioni politiche.

Sull'altra sponda, infatti, c'era il ripudio di Cristo, della sua rivelazione, della sua Chiesa; da questa matrice, squisitamente religiosa, insorgeva l'accusa di "maledizione" e di "deicidio".

Sulla prima di esse ho già detto molto di quanto pensavo che dovesse esser detto, sulla seconda mi permetterò tra breve qualche osservazione. Su ambedue, peraltro, mi si permetta d'insistere per sottolineare l'acriticità del peso che P. Demann addebita ali' "assurdità teologica" e alla "carica dell'odio"(42).

È assurdo teologicamente - l'avverbio indica un ben determinato settore dello scibile ed esclude il valore assoluto dell'asserto - ciò che contraddice alla sacra rivelazione, alla realtà dei fatti ai quali essa si riferisce, alla dottrina della Chiesa che su di essa si fonda. Ora, l'equivoco della "mai revocata Alleanza" in base alla "irrevocabilità dei doni di Dio" può aver indotto a giudicare assurdo, teologicamente parlando, anche ciò che tale non è. Ma, appunto, si tratta d'un equivoco. In Gal 3,14-15 si legge che "Christus nos redemit de maledicto legis...ut in Gentibus benedictio Abrahae fieret...per fidem".

Qui tutt'è chiaro. La benedizione antica, l'Antica Alleanza, i doni che Dio aveva elargito al popolo eletto son passati, mediante la fede, ai pagani. Chiunque creda in Cristo cessa d'esser ebreo o romano o greco, perché diventa una "creazione nuova". E nuova grazie a quella benedizione il cui destinatario, ieri, era il popolo ebraico ed oggi è chiunque, da qualunque popolo, confessi in Cristo il Figlio di Dio, l'unico mediatore, il proprio salvatore (cf 1Tm 2,5; ct 4,12; 10,43; 1Cr 1,30; Rm 5,9-10; Gv 3,18; 10,9; Mc 16,15). Lo stato di popolo eletto si concluse con il no a Cristo; ciò che lo costituiva eletto è passato ad altri: "veniet et perdet colonos et dabit vineam aliis", si legge in Mc 12,9. Quel "perdet" mette in evidenza la riprovazione e la condanna.


È, dunque, teologicamente assurdo non il trarre, "in lumine fidei, sub ductu Ecclesiae", le dovute conseguenze dalla rivelazione neotestamentaria; bensì, il contrario. Ma l'accusa di "deicidio "rientra nel teologicamente assurdo o nel teologicamente corretto?

La questione, in questi termini, e soprattutto se la si fondi sul presunto parallelismo della maternità divina(43), è mal posta. Maria ha diritto al titolo di "Madre di Dio" sia perché generò Colui che è l'Unigenito del Padre e, come tale, Dio egli stesso, sia perché le spiegazioni che ebbe dall'Angelo al momento dell'Annunciazione la misero in condizione d'emettere un "sì" pienamente responsabile e di totale adesione al progetto di Dio. Nell'uccisione di Cristo non si riscontra questa medesima coincidenza di causalità materiale e formale. Chi ,lo mise a morte uccise, sì, il Figlio di Dio, non perché proprio il Figlio di Dio volesse uccidere, bensì colui che, definendosi tale, aveva bestemmiato e meritato l'esecuzione mortale. La causale unica dell'uccisione di Cristo fu una bestemmia: "Pur essendo uomo, s'è detto Dio". Gesù, dunque, fu messo in croce non perché era Dio, ma perché si diceva Dio. Il deicidio, pertanto, è qui solo "materialiter" presente, ma "formaliter" è del tutto assente.

È vero che in Act 3,14-17 l'apostolo Pietro rimprovera agli Ebrei d'aver tradito e rinnegato dinanzi a Pilato "il Santo ed il Giusto", cioè il Figlio poi risuscitato dal Padre, e d'avergli preferito un omicida. Ma non accenna per nulla alla consapevolezza degli Ebrei che Gesù fosse davvero Figlio di Dio, né alla loro conseguente determinazione d'ucciderlo per tale ragione : "Santo e Giusto" non significano "Dio" né "Figlio di Dio". Anzi, la responsabilità del deicidio è almeno implicitamente espunta da Pietro là dove osserva: "Scio quia per ignorantiam fecistis"(44).

Che la questione sia mal posta si deduce anche da un altro motivo. Quasi sempre, alla liberazione degli Ebrei dall'accusa di deicidio si fa seguire un richiamo al coinvolgimento di tutti i peccatori, d'ogni tempo e luogo, nella morte di Gesù. In effetti, già Is 53,5.6 aveva sottolineato ch'Egli sarebbe "stato trafitto a causa dei nostri peccati, ...e dei nostri delitti". Inoltre, una tradizione ininterrotta porta attraverso i secoli la voce della Chiesa, la quale ne ripete il contenuto e lo raccoglie nel Catechismo della Chiesa Cattolica, dove confluisce a sua volta l'insegnamento del Catechismo Romano, ispirato al Concilio di Trento e come tale approvato nel 1566(45): "La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che «ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle sofferenze» del divino Redentore... La Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei".
Questione mal posta, perché trasferita dal piano storico-giuridico a quello morale-teologico. Su questo piano si sa, per l'attestazione che ne dà la stessa rivelazione in 1 Cor 2,8, che gli Ebrei "non avrebbero mai crocefisso il Re della Gloria" se come tale l'avessero conosciuto. Sta di fatto, però, che furon gli artefici della sua crocefissione.

La conseguenza da trarre è che:

a) sul piano storico, la loro responsabilità è innegabile, così come innegabile è il concorso d'altri soggetti;

b) sul piano teologico, manca nel modo più assoluto la formalità che configuri l'esecrando delitto di deicidio, nonostante che la vittima crocefissa fosse proprio il Figlio di Dio.

A mio modesto parere, anche la non estensibilità della responsabilità suddetta ai membri attuali del popolo ebraico presta il fianco a qualche riserva. Nessuno, sia ben chiaro, intende sostenere la non pertinenza personale delle colpe: chi le ha commesse, ne porta la responsabilità e le conseguenze. Ciò, tuttavia, non autorizza a chiudere gli occhi su una qualche loro continuità. La stessa Scrittura avverte a tale riguardo che, come di generazione in generazione si diffonde la lode del Signore (Ps 78,13), così Egli rimprovererà l'iniquità commessa fino alla terza e alla quarta generazione (Es 20,5; Nm 14,18).

C'è una solidarità di fondo, infatti, alla quale nessuno sfugge. E la solidarità che stringe ogni singolo uomo nell'unità del genere umano, ma anche quella che fa di determinati individui un unico e medesimo popolo. All'interno di esso, ovviamente, agiscono i capi, ma impersonando il popolo e spesso in suo nome.

Fu certamente dei capi d'Israele la responsabilità della crocefissione di Gesù, ma il popolo non se ne dissociò, anzi la fece propria e l'invocò. Ne consegue che, se gli Ebrei d'oggi - e l'esser ebreo, per confessione degl'interessati
(46), è il collegamento a due valori costitutivi, la religione e la nazione, i quali trascendono gl'individui d'ieri d'oggi e di domani - non commisero personalmente il misfatto della crocefissione, non per questo non ne condividono moralmente la responsabilità ed il peso. Per la misteriosa solidarità che li congiunge nell'unità del popolo ebraico, son anch'essi, che pure a quel misfatto non parteciparono personalmente, solidali con esso in quanto Ebrei(47).

Un'ulteriore conseguenza riguarda la decisione dei Padri conciliari, nella fase preparatoria di Nostra aetate, d'appoggiare la loro benevola presa di posizione nei riguardi d'Israele a Rm 11,28-29 non senza un uso piuttosto libero del testo sacro. Esso dice: "Secundum Evangelium quidam, inimici propter vos: secundum electionem autem, carissimi propter Patres. Sine poenitentia enim sunt dona et vocatio Dei". Il testo approvato è il seguente: "Secundum Apostolum, Judaei Deo, cuius dona et vocatio sine poenitentia sunt, adhuc carissimi manent propter Patres" (NAe 4/d).

Che l'uso del testo fosse piuttosto libero fu chiaro agli stessi Padri conciliari, come risulta dalla Expensio modorum. Ma è ancor più chiaro in sede esegetica. L'Apostolo scrive a cristiani provenienti dal paganesimo, contro i quali gli Ebrei sono spesso in disaccordo. Egli intende metterne a fuoco le peculiari posizioni e presenta agli etnico-cristiani la reale situazione degli Ebrei: "invisi a Dio" in quanto nemici dell'Evangelo ed a Lui cari in considerazione dei loro Padri. Essendo stati gratificati da Dio con la scelta del Messia dai loro ranghi ed avendone per primi ascoltato l'Evangelo, per primi avrebbero anche dovuto accoglierne la parola e metterla in pratica. La rifiutarono. Il rifiuto è tuttora in atto. Perciò non son più amici di Dio. Discendono però dai Padri, attraverso i quali venne loro assicurata l'elezione che li rende a Dio carissimi: dunque, non in quanto Ebrei che rifiutano Cristo - sotto questo aspetto sono anzi "invisi" -, ma in quanto eredi di quei Padri che predissero Cristo e la sua salvezza, ed in quanto chiamati, essi pure, alla conversione per la gloria eterna.

L'elezione - e con essa le promesse, la benedizione, l'Alleanza - ha la sua continuità nella "creazione nuova" operata da Cristo, il quale pertanto si pone dinanzi a tutti, Ebrei compresi, come l'unico Salvatore. Non avrebbe senso, altrimenti, il continuo ripetere da parte della Chiesa che l'unico Salvatore è Cristo, se non lo fosse anche per gli Ebrei.

In questa luce è da interpretare Rm 11,29: "i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili". Lo sono, certamente, ma secondo l'eterno progetto salvifico di Dio, realizzato da Cristo. Lo si capisce anche grammaticalmente parlando: infatti, la presenza dell'articolo determinativo (τά ed η) individua non doni generici o comuni, ma quegli specialissimi doni che si concentrano nell'Alleanza di Dio col suo popolo: l'antico ed il nuovo Israe(48).

Ad esso son chiamati anche gli Ebrei. In esso, con la tensione amorosa del Padre verso il figliol prodigo (Lc 15,11-32), Dio ne attende e ne vuole l'integrazione.


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NOTE

1 Israél et les nations. La perspective missionnaire de l'Ancien Testament, Delachaux & Niestlé, Neuchatel-Parigi 1959.

2 ...on doit reconnaitre qu'en théorie...le Talmúd émettait des principes de franc universalisme», J. BONSIRVEN, Talmúd, in DThC XV, Parigi 1946, c. 22.

3 Da notare che "Lethal Weapon" è il titolo d'un altro film di Mel Gibson: un accostamento senza dubbio intelligente.

4 E. RATIER, Misteri e segreti del (sic!) B'nai B'erîth. La più importante organizzazione ebraica internazionale, tr. it. dal fr., Verrua Savoia 1998, p. 198-207; cf. EPIPHANIUS, Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia, volume di 545 pagine, privo d'altre indicazioni (editore, luogo e data d'edizione), p. 476-489.

5 Dal "Dossier sul Film La Passione", pubblicato da "Sodalitium" XX/4 (2004) 4-18.

6 Tra le moltissime introduzioni all'Antico e al Nuovo Testamento scelgo C. ZEDDA, Introduzione ai Vangeli, Roma 1957 (volume prezioso, informato ed aggiornato sulla produzione scientifica del suo tempo, e proprio per questo ancor valido) e "Bible de Jérusalem", Parigi 1974, p. 1407-1413.

7 Con testi di R. Royal, L. Baugh e G. Bertagna, Milano 2004.

8 Ivi, p. 84.

9 Cf. B. GHERARDINI, Coscienza cattolica e cultura contemporanea, Roma 1987, p. 208.

10 La Passione, cit. p. 86.

11 Per opportune notizie si veda E. COHEN, Maimonides, in RGG, IV. Tubinga 19603, c. 611-612; H. BAMBERGER, Das System des Maimonides, Berlino 1935; E. GILSON, La Philosophie au Moyen Age, Parigi 19722, p. 373ss.

12 La Passione, cit. p. 22.

13 R. S. HIRSCH, Ueber die Beziehung des Talmuds zum Judentum und zu der sozialen Stellung seiner Bekenner, Francoforte s.M. 1884, p. 5, dove si sostiene che il Talmúd "è l'unica sorgente dell'attuale Giudaismo, il suo fondamento, l'anima vivente che l'ha modellato e consacrato". Si veda anche il cit. J. BONSIRVEN, DTHC XV, c. 9-30; A. STEINSALZ, The Talmúd, A reference guide, New York 1989; I. SHALAK, Storia ebraica e Giudaismo. Il peso di tre millenni, Verrua Savoia 20002, p. 69-99.

14 A. STEINSALZ, cit. da I. SHALAK, Storia, cit. p. 98. In realtà, non è facile sintetizzar in breve che cosa sia il Talmúd. Basti dire ch'esso è duplice: quello babilonese, la vera autorità del mondo giudaico, e quello palestinese, in funzione supplementare. Consta della Mishnah e della Gemara. L'una, in lingua ebraica, è un codice di leggi in sei volumi, redatti dal 200 dell'era volgare in poi; l'altra, molto più voluminosa della prima e scritta per lo più in lingua aramaica, "è un'esegesi della Mishnah e dei libri biblici" con una parte babilonese (tra il 200 e il 500) ed una palestinese (tra il 200 e prima del 500).

15 J BONSIRVEN, Talmúd, cit., c. 26: "...expliquant comment le fondateur du Christianisme fut mis à mort en punition de ses crimes d'hérésie et de magie". Le accuse infamanti contro Gesù e sua madre Maria vennero poi riprese nel IX sec., dall'autore del satanico pamphlet Toledot Jesu.

16 D. KLINGHOFFER, in "Los Angeles Time" 1 gennaio 2004. Cf. La Passione, cit. p. 22.

17 È interessante quanto al riguardo scrive un Autore che pur indulge all'interpretazione storicizzata delle Scritture, J. MCKENZIE, Il Vangelo secondo Matteo, in E. R. BROWN - J. A. FITZMEYER - R. E. MURPHY, Grande commentario biblico, Brescia 1973, p. 965: "Togliere i capi giudaici dalla scena del racconto della Passione equivale in pratica a negare qualsiasi carattere storico del racconto ...Ma il racconto è indubbiamente storico, anche se a carattere popolare". Se dunque è storico, lo è non per i soli capi, ma anche per tutto il popolo, che gridò ad una sola voce: sia crocefisso e il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!

18 Dei Verbum 12: "...Scripturae libri veritatem, quam Deus nostrae salutis causa Litteris Sacris consignari voluit, firmiter, fideliter et sine errore profitendi sunt". Il testo, quarto e definitivo lungo l'iter della sua formulazione, s'appoggia all'autorità di Sant'Agostino, di San Tommaso, del Tridentino, di Leone XIII e di Pio XII. Sarebbe certo interessante una verifica a tale riguardo, ma difficilmente contenibile in poco spazio. È significativo ricordare che la quarta stesura della Dei Verbum soppresse ogni riferimento all'inerranza biblica, per poter sostenere che esente da errore nella Bibbia, e specificamente nel Nuovo Testamento, è tutto ciò che riguarda il messaggio della salvezza. Cf. DACQUINO P., L'ispirazione dei libri sacri e la loro interpretazione, in AA.VV. La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, 3. vol collana "Magistero Conciliare", Torino-Leuman 19673, p. 297-304.

19 CONC. OECUM. VATIC. I, Constit. Dogm. "Dei Filius", 3: De Fide, can. 4, DS 3029; Cf. NICOLAU V. M., Sacrae Theologiae Summa, Madrid 1962, p. 1064ss.; J. RENIÈ, Manuel d'Exégèse Biblique, 1.Lione-Parigi 19496, p. 58-61; G. PERRELLA - L. VAGAGGINI, Introduzione generale, 1.Torino 19603, p. 10-72; A. ROMEO, Ispirazione biblica, in AA.W., Il Libro Sacro; Padova 1958, p. 55-189; H. HOEPFL, Introductio generalis in Sacram Scripturam, Roma-Napoli 19586, p. 19-118.

20 LEONE XIII, Ep. Encicl, Providentissimus Deus, 18 nov. 1893, in ASS 26 (1893/94) 278ss., e DS spec. 3291-3294; Pio XII, Ep. Encicl. Divino afflante Spiritu, 30 settem. 1943, in ASS 35 (1943) 309ss. e DS spec. 3826-3831.

21 Decr. "Optatam totius" 16/a; "Dei Verbum" 24; "Lumen gentium" 25; Pio XII, Ep. Encici. Humani generis, 12 ag. 1959, in AAS 42 (1950) 567-569; Alloc. Si diligis, 31 mag. 1954, in AAS 46 (1954) 314; PAOLO VI, Alloc. 12 mar. 1964, in AAS 56 (1964) 364.

22 Cf. J. V. BAINVEL, Les contresens bibliques, Parigi 19062; G. Riccioni, Bibbia e non Bibbia, Brescia 19474.

23 Cf. Bible de Jérusalem, Parigi 19742, p. 1559, nota f: Les chefs juifs et spécialement Caiphe, 11,51s; 18,14, mais aussi Judas qui l'a livré à ceux-ci, 6,71; 13,2.11.21; 18,2.5.

24 R. LAURENTIN, Conferenza tenuta a Roma, in Nostra Signora di Sion, nel nov. del 1965, in Bilan du Concile, Parigi 1966, p. 133-135.

25 Su questa frase non si deve insistere troppo, perché era una frase corrente, più volte ripetuta dalla Sacra Scrittura (Lv 20,9; Gios. 2,19; 1Sam 1,16; 1Re 2,33), sembra anzi che lo sia tuttora in Oriente, ed abbia solo il senso d'indicare un reo meritevole di morte.

26 Cf. G. BAUM, Les Juifs et l'Evangile, Parigi 1965, p. 165ss.; ID., Declaration of Vatican II on the relation of the Church to the non-Christian Religions, in Center for Biblical and Jewish Studies, 8 (1966) sp. p. 4; A. BEA, La Chiesa e il popolo ebraico, Brescia 1966, p. 141-162. Sarà opportuno notare che il c.d. senso tipico può riscontrarsi, propriamente parlando, tra Vecchio e Nuovo Testamento, e precisamente là dove l'uno prelude in alcuni episodi e personaggi ad episodi e personaggi dell'altro, oppure là dove, da come Dio si comportò in alcune situazioni descritte dalla Scrittura, s'arguisce pure il suo comportamento in situazioni analoghe (cf. 1Cr 10,1-11). Un ricorso al senso tipico che, al di là di tali limiti, può risolversi in un puro e semplice soggettivismo, già venne escluso dall'Ep. Encicl. Humani generis (AAS 42/1950/568-570). Il senso tipico deve infatti risultare dalla stessa rivelazione e solo allora può addursi a prova d'una verità cristiana, la quale, peraltro, s'affida ordinariamente ed insuperabilmente al senso letterale ed ai passi espliciti del testo rivelato, Cf. SAN TOMMASO, STh I, 1, 10 ad 1; Quodl 7, 14 ad 4.

27 F. LovsKI, Antisémitisme et mystère d'Israél, Parigi 1955, p. 226. Va notato che le comunità ebraiche, fiorenti al tempo di Gesù in Mesopotamia, in Egitto, in Asia minore, a Roma e in tutto il bacino mediterraneo, nulla detraggono a danno della realtà e condizione di popolo, proprie degli Israeliti rimasti in patria; anzi, opponendosi quasi ovunque al messaggio di Cristo, ne seguon l'esempio e ne partecipano le responsabilità.

28 PONT. CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Città del Vaticano 20043, n. 386, p. 211.

29 Cf. E. TOAFF, Essere ebreo, Milano 1994, p. 13: "Ebreo è un popolo che ha una religione. I due concetti sono inscindibili. L'identità ebraica è costituita soprattutto dall'appartenenza al popolo ebraico".

30 Anzi, con Cristo ed in Cristo le stirpi stesse vengono meno: Gal 3,27-29: "Quicumque enim in Christo baptizati estis, Christum induistis. Non est Judaeus neque Graecus, non est servus neque liber, non est masculus neque femina. Omnes enim vos unum (eU maschile) estis in Christo"; Rm 10,12: "Non enim est distinctio Judaei et Graeci".

31 P. es., A. RAVENNA, L'ebraismo postbiblico, Brescia 1958; D. JUDANT, Jalons pour une théologie chrétienne d'Israél, Parigi 1975; G. Ricciotti, Storia d'Israele, 1.Torino 1932, p. 139-338; P. HEINISH, Geschichte des Alten Testaments, Bonn 1950, p. 39-153. Non mi pare però che la distinzione sia da questi ed altri Autori scavata in tutta la sua intelligibilità.

32 Di tutt'altro parere è B. HUSSAR, La religione giudaica, in AA.VV., Le religioni non cristiane nel Vaticano Il, Torino-Leumann 19672, p. 252-261 secondo il quale gli Ebrei non sono dei riprovati per la semplice ragione che la riprovazione non ebbe mai luogo. A mio modesto avviso, questo è un grave errore, dovuto alla mancata distinzione tra il giudaismo talmudico e il giudaismo del "resto d'Israele", l'uno indubbiamente ripudiato da Dio che non poteva approvarne il rifiuto di Cristo, l'altro da Dio costituito in continuità con le antiche promesse per la sua fede in Cristo.

33 Alludo specialmente ai relatori del Simposio storico-teologico del 30 ottobre-1 novembre 1997, i cui Atti figurano in Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio internazionale, Città del Vaticano 2000, con particolare attenzione per M. Dubois, P. Beauchamp, I.-M. Garrigues. Rimando poi a A. BEA, Il popolo ebraico nel piano divino della salvezza, in Civiltà Cattolica, 6.11.1965, p. 209-229; P. BEAUCHAMP, L'Église et le peuple juif, in Etudes, 321 (1964) 249-268; Gr. BAUM, Les Juifs et l'Évangile, Parigi 1965; BR. HUSSAR, Destinée d'lsraél et destinée du Chrétien, in La vie spirituelle, 100 (1959) 595-622; ID., Réflexions sur le Mystère d'lsraél, in Bible et Terre Sainte, gennaio 1966; W. D. MARSCH-K. THIEME, Christen und Juden. lhr Gegenúber vom Apostelkonzil bis heute, Magonza-Gottinga 1961; J. DE MENASCE, Quand lsraél alme Dieu, Parigi 1931; N. LOHFINK, L'Alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei, Brescia 1991.

34 Un grande, forse il più grande commentatore dell'"Ep. agli Ebrei", C. Spico, L'Epítre aux Hébreux, Parigi 19532, p. 244, scrive al riguardo: "Le mot important de l'oracle prophétique est KaLVtj; sa portée est plus grande qu'il ne paraît. On aurait pu concevoir que Dieu allait rajeunir, modifier, améliorer une alliance qui semblait faite pour durer toujours. Non point. Dès là qu'il annonce une SLae1K11 KcLV, il rend irrémédiablement vieille (cf. le parfait) la précédente; celle-ci n'est plus seulement ancienne, mais périmée et caduque. ‘Nouvelle' doit donc s'entendre au sens d'innovation qui remplace purement et simplement un ancien ordre de choses".

35 Cf. LOHFINK N., L'Alleanza mai revocata, cit. p. 17-18.

36 SACK, Occhio per occhio. Polonia 1945: la storia della vendetta ebraica contro i nazisti, Milano 1995.

37 Si veda G. LEVI DELLA VIDA, Les Sémites, Parigi 1938; S. MOSCATI, Storia e civiltà dei Semiti, Bari 1949 (10552); W. VON SODEN, Semiten, in RGG3 V. Tubinga 1961, c. 1690-1693; E. HAMMERSHAIMB, Semitiche Sprachen, ivi c. 1694-1696.

38 Se ne ha una documentazione storica, forse un po' troppo "gridata", in Autori come FR. LOVSKI, Antisémitisme, cit. p. 146-148.196-198.305-308; L. POLIAKOV, Du Christ aux Juifs de cour, Parigi 1955, p. 64-65. 72-80

39 L. POLIAKOV, Du Christ, cit. p. 72-80.

40 Ivi p. 115.

41 FR. LOVSKI, Antisémitisme, cit. p. 197.

42 P. DEMANN, Les Juifs sont-ils-maudits? in Cahiers Sioniens, luglio,1948, p.277.

43 Cf. al riguardo P. BEAUCHAMP, L'Église et le peuple juif, in Etudes, sett. 1964, p. 265ss.

44 C'è un bel testo in SANT'AGOSTINO, Enarr. in Ps. LXV,5 PL 36,5 dove l'accusa di deicidio vien allontanata dagli Ebrei crocefissori di Cristo, perché, "se l'avessero saputo, non avrebbero crocefisso il Signore della Gloria" (1Cor 2,8).

45 CCC (Libr. Editr. Vatic. 1992) 598; Cat. Rom., I, 5, 11 (Ed. BAC Madrid 1956, p. 124).

46 Cf. E. TOAFF, Essere ebreo, cit. p. 13.

47 Cf. J. MARITAIN, Le mystère d'Israèl et autres essais, Parigi 1965, p. 34-37 che insinua una colpa nazionale e parla di "castigo-avvenimento"; la parola di Maritain è tanto più probante in quanto egli appartiene al folto gruppo dei favorevoli ad Israele e condanna con essi l'antisemitismo.

48 Interessantissimo a tale riguardo Rm 11,30-32 che costituisce un po' l'interpretazione dei due precedenti versetti. L'Apostolo parla sempre ai cristiani dell'Urbe, convertiti dal paganesimo, e dice: Anche voi, un tempo, foste a Dio ribelli (ribellarsi-ribellione, cf. Rm 11,10.21); oggi però che la mancata obbedienza degli Ebrei fu l'occasione della vostra conversione, siete voi ad aver ottenuto la misericordia di Dio. Ma la misericordia da voi conseguita è ora all'origine della ribellione ebraica. La relazione s'è invertita: la misericordia che Dio ha rivolto a voi è un dativo che i grandi esegeti considerano causale) è ordinata alla (ίνα, finale) conversione degli Ebrei. Dio, in effetti, tutti chiuse nella disobbedienza, per aprir a tutti, pagani ed Ebrei, la sua misericordia.


Rivista Fides Catholica, N 1/2008



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)