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Articoli e note firmate

PIETRO CANTONI, Cristianità n. 174 (1989)

Il Magistero contestato

Il "clima": le condizioni dell’ascolto e della comprensione


La comparsa, in un breve arco di tempo, di una serie di "manifesti" di protesta sottoscritti da teologi di tutto il mondo, ha richiamato l’attenzione su una componente importante della vita della Chiesa, il Magistero. Poiché di questo si tratta, come hanno rilevato i commentatori più attenti e profondi, un esame di tali manifesti, che non si voglia previamente condannare alla superficialità, deve cominciare dalla riflessione sul Magistero, realtà che si accompagna alla fede della Chiesa come elemento strutturale. È difficile parlarne, perché il discorso rischia di diventare troppo lungo per la complessità oggettiva del tema e soprattutto perché molti sono i pregiudizi da contrastare, ma è vano affrontare una discussione eludendone il nocciolo.


Capire una realtà dipende pure dal modo con cui la si guarda, dai sentimenti che suscita, quasi inavvertitamente, il solo fatto di occuparsene. L’uomo non è solo intelligenza, ma anche volontà e sensibilità: tutta una sfera dell’"io" è pesantemente influenzata dall’ambiente, dal "clima" culturale — assumo il termine "cultura" in un senso molto lato, che comprende non soltanto la sfera dell’intelletto, ma tutto l’umano, tutto quanto è, in qualche modo, frutto della coltivazione delle potenzialità umane — e, a sua volta, influenza l’esercizio dell’intelligenza. Indubbiamente un termine come "Magistero", che significa semplicemente "autorità dottrinale", produce in chi è immerso nell’attuale clima culturale un’eco emotiva sfavorevole. Il termine "autorità" evoca oggi l’idea di limite, di ostacolo alla libertà. Non che si voglia, per lo più, negare questa realtà, ma essa è accettata come realtà tollerata, come qualcosa di cui — di fatto — non si può fare a meno, ma della quale si farebbe volentieri a meno. Poiché la libertà è spesso concepita come un "poter fare quello che si vuole", come un’"assenza di limite", e poiché — ancora — la libertà è intesa come un valore assoluto, come il valore che conferisce valore a tutti gli altri, l’autorità diventa un valore negativo, qualcosa di necessario, ma di mal sopportato.

Evidentemente le cose cambiano se si cerca di criticare questa "filosofia circostante", di sottoporre questi valori al vaglio dei criteri che per i cristiani dovrebbero essere determinanti.

Il primo passo consiste nel mettere a nudo i presupposti dei "si dice", dei "si crede" e dei "si pensa" contemporanei, per quindi sottoporli al vaglio della fede, nel togliere i pregiudizi dall’ombra compiacente dell’ovvio massmediatico, per metterli in luce ed esaminarli con la ragione e con la fede. Qui appare la verità profonda di tre passi della Sacra Scrittura: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv. 8, 31-32); "E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna" (1 Gv. 2, 27); "L’uomo spirituale [...] giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno" (1 Cor. 2, 15).


La fede dispone a un continuo atteggiamento critico e autenticarnente anticonformista nei confronti del "mondo", e la visione delle cose che scaturisce dalla fede presenta un quadro completamente diverso: l’uomo è uscito dalle mani di Dio; non si è fatto da sé; Dio lo ha pensato e lo ha voluto; la "verità" dell’uomo consiste dunque nella conformità al progetto che ha presieduto alla sua creazione. Il peccato è scaturito proprio dalla pretesa di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male: "Sarete come dei, conoscitori del bene e del male" (Gn. 3, 5); cioè il bene e il male non saranno più desunti dalle cose e dalla parola di Dio, ma verranno decisi dall’uomo in piena autonomia, "come dei" appunto. È nella natura dell’uomo — e costituisce la sua "dignità" — essere intelligente e quindi libero, cioè capace di scelte che scaturiscono non da imposizioni esteriori, ma dal profondo del suo "io", da quel santuario nascosto che è la sua coscienza. Ma se l’uomo compie scelte non in ubbidienza alla verità delle cose e, quindi, di sé stesso — verità che non dipende da lui, perché non è lui che ha fatto le cose e neppure sé stesso — allora fatalmente si snatura, si allontana dalla sua verità, cioè dal suo essere intelligente e libero e cade nelle tenebre dell’ignoranza e della schiavitù: "Chi fa il peccato è schiavo del peccato" (Gv. 8, 34). Se invece l’uomo compie scelte conformi alla verità delle cose e alla parola di Dio che ne è lo specchio e la sorgente, realizza ciò che deve essere e compie e perfeziona il suo essere libero: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi"! Il fatto di agire in conformità a dati, di adeguare la coscienza a una legge, non è contro la libertà, ma il cammino del suo inveramento e del suo perfezionamento. La coscienza non è legislatrice autonoma, ma piuttosto araldo della legge di Dio, e la libertà non è innanzitutto "libertà da" ma "libertà per", per il vero e per il bene oggettivi, che non sono frutto del capriccio dell’uomo, ma opera dell’intelligenza creatrice di Dio e, in definitiva, sono Dio stesso.

Cosa significa credere


Dunque, la fede è il fondamento ultimo del pensare e dell’agire del cristiano: "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab. 2, 4; Rm. 1, 17; Gal. 3, 11; Eb. 10, 38) (1) e perciò la fede è il fondamento della Chiesa. Secondo san Tommaso "Ecclesia instituta per fidem et fidei sacramenta", "La Chiesa [è] istituita mediante la fede e i sacramenti della fede" (2).

Ma cos’è la fede? Il Concilio Ecumenico Vaticano II ne dà questa definizione: "A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando "il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela" e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui" (3). Se ne evince immediatamente che la fede è un’ubbidienza, e un’ubbidienza a Dio, non all’uomo. Qual è dunque il significato di un magistero di uomini? Per rispondere adeguatamente a questa domanda si deve anzitutto meditare un passo di san Paolo, secondo cui non si può essere "giustificati", cioè "resi giusti", senza credere: credere è fondamentale, ma "come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno senza essere prima inviati?" (Rm. 10, 14-15). Importa fare attenzione alla sequenza: com’è evidente, la fede dipende dall’annuncio, dal momento che nessuno può credere a qualcosa o a qualcuno che non ha mai visto né conosciuto. Si deve pure notare che l’annunciatore delle cose della fede non può essere una persona qualsiasi, ma solo qualcuno che sia inviato, cioè autorizzato, abilitato: la necessità del mediatore non è soltanto di ordine pratico, ma di ordine più profondo, "ontologico".

Tuttavia ci si può chiedere se Dio non avrebbe potuto scegliere un’altra modalità per portare gli uomini alla fede, per esempio rivelandosi a ciascuno di loro direttamente, o abilitando di volta in volta colui che occasionalmente parla a un altro delle cose di fede. Sarebbe stato certamente possibile ma, di fatto, non è accaduto così: la tradizione cristiana ha sempre ripetuto, basandosi su questo passo della Sacra Scrittura, che la fede viene dall’ascolto e questo significa che vi deve sempre essere un annuncio esterno, visibile e sensibile, anche se, naturalmente, non può mancare un’ispirazione interiore. Inoltre vi deve essere una missio: per parlare con autorità delle cose di Dio bisogna essere autorizzati; e scrutando il modo che Dio ha scelto per salvare gli uomini, si deve dire che tutto è straordinariamente coerente, profondamente sapiente e corrisponde a un bellissimo disegno unitario.

La mediazione della Chiesa e la funzione del Magistero


Dio ha scelto di trasmettere una dottrina e una vita nella storia degli uomini humano modo, "in modo urnano" (4), cioè facendo sì che avvenisse nel contesto di una particolare comunità di uomini da lui creata ad hoc, da lui animata e da lui assistita: la Chiesa, la "convocazione". Ovviamente la Chiesa, anche se ha una struttura sociale, non è una società come le altre e non è neppure solo società: san Paolo la descrive come il corpo di Cristo e questa è certamente la formula più comprensiva e più significativa per designarla. Poiché si tratta di un corpo non è un coacervo informe, ma ha una struttura che non è democratica, almeno nel significato modemo, "ideologico", del termine. A questo proposito la fede insegna, ancora una volta, a non essere succubi degli idoli del tempo, dal momento che una forma di governo — ma la democrazia moderna non è soltanto questo —, per quanto possa essere ritenuta dagli uomini di un certo tempo come la migliore in assoluto, non è un assoluto: comunque, non è la struttura della Chiesa.



Se la Chiesa è un corpo, non tutti i suoi membri hanno le stesse funzioni: vi è chi guida e chi è guidato, senza con questo configurare un rapporto meccanico, per cui vi è chi è solo attivo e chi è solo passivo. Infatti "corpo" dice organicità, cioè struttura, differenziazione e vita, per cui in esso tutto deve essere attivo, ma in modo differenziato.

Fra le varie funzioni vi è quella magisteriale, che comporta il compito di trasmettere la dottrina, di discernere quanto è conforme a essa e quanto a essa non è conforme, di giudicare di volta in volta come tale dottrina deve essere tradotta nella vita. Ma chi sono i depositari concreti del Magistero, cioè di questa vitale funzione di insegnamento? Per esempio, san Clemente, vescovo di Roma, verso il 95-98 — quindi certamente prima del Vangelo di san Giovanni, scritto all’inizio del secolo II —, indirizza una lettera, di tono omiletico, ai cristiani di Corinto, in cui afferma che "gli apostoli predicavano il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volontà di Dio. [...] Predicavano per le campagne e le città e costituivano le loro primizie, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo" (5). "I nostri apostoli — aggiunge — conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente l’avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati" (6).


Dunque, poiché il mandato di Cristo non poteva spegnersi con la morte degli Apostoli, ecco allora la promessa: "[...] io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo" (Mt. 28, 20); ecco allora gli Apostoli imporre le mani a successori, i vescovi, ed è bene che fossero molti i successori degli Apostoli, perché la Chiesa doveva diffondersi in tutto il mondo. Inoltre, poiché la dottrina doveva rimanere rigorosamente una, era necessario un principio di unità: nel collegio degli Apostoli Gesù aveva scelto Pietro, e il suo ministero doveva continuare nei Papi di Roma, nei quali doveva risiedere il fondamento visibile della Chiesa, un fondamento che, partecipando della solidità della pietra che è Cristo, doveva garantire fino alla fine dei secoli stabilità e unità. Infatti, poiché fra molti possono sorgere divergenze e conflitti, il criterio visibile per sapere da che parte è la ragione e a chi fare riferimento, se sorgono differenze di dottrina o scismi, è alla portata di tutti: il vescovo di Roma, il Papa.

Anche il Magistero dei vescovi è vincolante quando è "in comunione con il Papa", e solo a questa condizione.


Questo insegnamento è impartito humano modo. Nell’opera del domenicano spagnolo Melchor Cano, uno dei teologi più importanti della Controriforma, si trova questo "assioma": "Come Dio non manca nelle cose necessarie, così non abbonda in quelle superflue" (7). Certamente l’insegnamento autentico è garantito da Dio, ma ciò non significa che lo sia sempre nello stesso modo e che qua o là i limiti dell’uomo non possano segnarne l’esercizio.

A questo proposito bisogna però distinguere accuratamente due problemi:


a.
l’assistenza dello Spirito Santo, che garantisce la conformità fra quanto insegna oggi la Chiesa e quanto ha insegnato Gesù: "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc. 10, 16);

b. la certezza che ogni e singolo insegnamento della Chiesa sia conforrne a quanto ha insegnato Gesù.

Si tratta di due problemi distinti: non era assolutamente necessario che ogni e singolo insegnamento dei vescovi, e anche del Papa, avesse la garanzia dell’infallibilità. Vi è spazio per la debolezza dell’uomo, e quindi per l’errore, ma è uno spazio tale da non impedire che la "carne" sia portatrice della presenza di Dio: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo". Non vi è spazio neppure per eclissi temporanee: "tutti i giorni".

continua..................


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)