00 03/01/2011 17:55
Condividiamo di cuore queste riflessioni di padre Giovanni Scalese dal suo blog senza peli sulla lingua:


Come non detto

Due giorni fa ho pubblicato l’articolo Il “cortile dei gentili” (che era stato scritto nel mese di ottobre per l’Eco dei Barnabiti), nel quale facevo riferimento anche al dialogo interreligioso e allo “spirito di Assisi”, sottolineando le differenze tra il pontificato di Benedetto XVI e quello di Giovanni Paolo II. Fra l’altro, affermavo: «Il 19 aprile 2005 Joseph Ratzinger è diventato Papa Benedetto XVI; e da allora non ci sono state, come era prevedibile, nuove giornate di Assisi». Era sottinteso: Non ci sono state — e non ci saranno piú! — nuove giornate di Assisi.

E invece ieri sono stato smentito: il Papa, durante l’Angelus di Capodanno, ha annunciato che a ottobre si recherà ad Assisi per una nuova Giornata mondiale di preghiera per la pace, in occasione del 25° anniversario della prima, nel 1986. Se devo essere sincero, ci sono rimasto male. Non perché consideri “eretiche” questo tipo di iniziative: è ovvio che i Pontefici, nell’intraprenderle, lo fanno con le migliori intenzioni e mettendo bene in chiaro lo spirito che le deve animare. Ma non è questo il punto.

Il problema è un altro (ed è ricorrente, purtroppo): che cosa “passa” al grande pubblico, di queste iniziative? che cosa rimane nell’immaginario collettivo? L’idea che una religione vale l’altra. Ovviamente il Papa non vuole che passi questo messaggio; ma di fatto è ciò che succede. L’uomo non comunica solo con le parole, ma anche con i gesti. E i gesti, il piú delle volte, sono ambigui. È per questo che vanno spiegati; ma molto spesso anche la spiegazione piú precisa non è sufficiente: talvolta sono necessari gesti di segno opposto per far passare il messaggio giusto.

Mi spiego. Quando la Chiesa, nel Concilio di Trento, si oppose all’uso della lingua volgare nella liturgia o alla comunione sotto le due specie, non lo fece perché tali cose, in sé stesse, fossero cattive (tanto è vero che attualmente noi le pratichiamo senza problemi); ma semplicemente perché esse avrebbero veicolato il messaggio sbagliato: la Messa vale solo se i fedeli capiscono ciò che si dice (agisce ex opere operantis); la comunione sotto una sola specie non è completa. E allora che fece la Chiesa? Spiegò, certo, la retta dottrina (i sacramenti sono efficaci di per sé, agiscono ex opere operato; Cristo è presente nella sua pienezza sotto ciascuna delle specie eucaristiche); ma a ciò aggiunse l’obbligo di celebrare la Messa in latino e di ricevere la comunione sotto la sola specie del pane. A quell’epoca non si parlava di pastorale, ma si aveva un senso pastorale che noi ci sogniamo. Oggi ci riempiamo la bocca di pastorale, ma poi non ci rendiamo conto di quanta confusione possono provocare certe iniziative.

Qualcosa del genere è accaduto anche con il libro-intervista Luce del mondo. Soprattutto dopo la precisazione della Congregazione per la dottrina della fede, si può difficilmente affermare che la risposta del Papa a proposito del preservativo fosse moralmente erronea. Il problema è ancora una volta: qual è il messaggio che è passato alla gente? Che l’uso del profilattico, almeno in certe situazioni, è giustificato. In barba alle reali parole pronunciate dal Papa, alle precisazioni di Padre Lombardi e alle note dottrinali del Sant’Uffizio!

Ma mi veniva da fare anche un’altra considerazione. C’è qualcuno che si chiede se Benedetto XVI e il Card. Ratzinger siano la stessa persona. Talvolta, confesso, me lo sono chiesto anch’io. Ma poi ho allargato la riflessione al passato (ormai comincio a non essere piú tanto giovane), e mi sono accorto che quanto sta accadendo al pontificato di Benedetto XVI è, piú o meno, lo stesso che accadde anche al pontificato di Giovanni Paolo II. Anche allora, quante attese, quante speranze all’inizio del pontificato! E poi, a poco a poco, quel pontificato si appiattí sull’ortodossia del “politicamente corretto”. Ho l’impressione che stia succedendo la stessa cosa anche oggi. Non nascondo di essere stato fra i “tifosi” del Card. Ratzinger durante il conclave (nonostante che molti escludessero in maniera categorica la sua elezione). Non potete immaginare la gioia di vederlo alla loggia di San Pietro quel 19 aprile 2005. Ancora una volta tante attese, tante speranze… E ancora una volta mi pare che si stia compiendo il progressivo adeguamento al “politicamente corretto”. Non vorrei essere frainteso: non sto muovendo accuse né a Giovanni Paolo II né a Benedetto XVI; sto semplicemente facendo una constatazione e cercando di comprendere il motivo che può spiegarla.

Una risposta abbastanza semplice potrebbe essere: beh, man mano che si sale in alto, si ha una visione sempre piú ampia della realtà; certe cose che non si possono capire da soldati semplici, si riescono a capire una volta divenuti ufficiali. Può darsi che sia cosí. 

Non escluderei però che ci possa essere anche una spiegazione d’altro genere, diciamo di carattere “cospirativo” (sono un inguaribile complottista). Nessuno mi toglierà di mente che il Potere cerchi di attuare, nei confronti di ciascun pontificato, una sorta di “normalizzazione”. Che cos’è stato, in fondo, l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981? Con Benedetto XVI non si è fatto ricorso alle armi da fuoco, ma ad armi non meno lesive (i processi mediatici): i primi cinque anni di pontificato sono stati un attacco continuo, che non può essere considerato casuale; è ovvio che dietro c’era una regia ben organizzata. 

A un certo punto, sia nel caso di Papa Wojtyla, sia nel caso di Papa Ratzinger, tutto è cambiato. Nel primo caso, la seconda parte del pontificato è stata una continua apoteosi, culminata nel “Santo subito!” dei funerali. Ora, non so se ve ne siate accorti, da qualche tempo le cose stanno cambiando anche per Benedetto XVI: gli attacchi sono improvvisamente cessati; il Corriere della sera sembra diventato un’edizione locale dell’Osservatore Romano e la BBC una sezione staccata della Radio Vaticana. Che cosa è successo? Il Papa sta semplicemente recitando lo stesso copione che era stato scritto per il suo predecessore (visita alle sinagoghe e alle moschee, visita ad Auschwitz e allo Yad Vashem, giornate di preghiera con le altre religioni, ecc.). Cosí va bene: questo è il Papa che piace a chi ha in mano le sorti dell’umanità. A questo punto Benedetto XVI può anche permettersi il lusso di fare il tradizionalista in campo liturgico: un po’ di folclore non guasta...

Che dire? Cosí va il mondo. E forse dobbiamo farci il callo. Dopo tutto, la Chiesa è sopravvissuta a due Giornate di Assisi; volete che non sopravviva alla terza?


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 condividiamo anche quanto riportato da unafides che  riporta un passo integrale dell'allora cardinale Ratzinger..... il quale non può certo contraddire se stesso.....


 leggiamo...

Preghiera multireligiosa e interreligiosa

Nell’epoca del dialogo e dell’incontro delle religioni è sorto inevitabilmente il problema se si possa pregare insieme gli uni con gli altri. A questo proposito oggi si distingue preghiera multireligiosa e interreligiosa. Il modello per la preghiera multireligiosa è offerto dalle due giornate mondiali di preghiera per la pace, nel 1986 e nel 2002, ad Assisi. Appartenenti a diverse religioni si radunano. […] Tuttavia le persone radunate sanno pure che il loro modo di intendere il “divino”, e quindi la loro maniera di rivolgersi a esso, sono così diversi che una preghiera comune sarebbe una finzione, non sarebbe nella verità. Esse si raccolgono per dare un segno del comune anelito [alla pace e alla giustizia, ndr], ma pregano – anche se in contemporanea – in sedi separate, ciascuno a modo proprio. […]


In riferimento ad Assisi – tanto nel 1986 quanto nel 2002 – ci si è chiesti ripetutamente e in termini molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penserà che si finge una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l’opinione che in fondo siano solo differenze secondarie quelle che si frappongono tra le “religioni”? Non si indebolisce così la serietà della fede, non si allontana ulteriormente Dio da noi, non si consolida la nostra condizione di abbandono? Non si possono accantonare con leggerezza tali interrogativi.

I pericoli sono innegabili, e non si può negare che Assisi, particolarmente nel 1986, da molti sia stato interpretato in modo errato. Sarebbe però altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa così come l’abbiamo descritta. A me sembra giusto legarla a condizioni che corrispondano alle esigenze intrinseche della verità della responsabilità di fronte ad una cosa così grande come è l’implorazione rivolta a Dio davanti a tutto il mondo.

Ne individuo due:

1. Tale preghiera multireligiosa non può essere la norma della vita religiosa, ma deve restare solo come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio.

2. Un tale avvenimento porta quasi necessariamente ad interpretazioni sbagliate, all’indifferenza rispetto al contenuto da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento della fede reale. Perciò avvenimenti del genere devono restare eccezionali, e dunque è della massima importanza chiarire accuratamente in che cosa consistano. Questo chiarimento, in cui deve risultare nettamente che non esistono le “religioni” in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l’ambito delle immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime – questo chiarimento è importante, non solo per i partecipanti all’avvenimento, ma per tutti quelli che ne sono testimoni o comunque ne sono informati.
 
L’avvenimento deve presentarsi in sé stesso e davanti al mondo in modo talmente chiaro da non diventare dimostrazione di relativismo, perché si priverebbe da solo del suo senso.

Mentre nella preghiera multireligiosa si prega nello stesso contesto, ma separatamente, la preghiera interreligiosa significa un pregare insieme di persone o gruppi di diversa appartenenza religiosa. È possibile fare questo in tutta verità e onestà? Ne dubito.

Comunque devono essere garantite tre condizioni elementari, senza le quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:

1. Si può pregare insieme solo se sussiste unanimità su chi o che cosa sia Dio e perciò se c’è unanimità di principio su cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io parlo a un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche l’atto interiore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, dev’essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di sopra degli dèi, col Creatore del cielo e della terra, col mio Creatore. Dev’essere chiaro dunque che Dio è “persona”, vale a dire che può conoscere ed amare; che può ascoltarmi e rispondermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. […]

2. Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una concezione fondamentalmente identica su ciò che è degno di preghiera e può diventare contenuto di preghiera. Io considero le richieste del Padre nostro il criterio di ciò che ci è consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno di Lui. In esse si vede chi e come è Dio e chi siamo noi. Esse purificano la nostra volontà e fanno vedere con che tipo di volontà stiamo camminando verso Dio, e che genere di desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe contro di Lui. Richieste che fossero in direzione opposta alle richieste del Padre nostro, per un cristiano non possono essere oggetto di preghiera interreligiosa, e di nessun tipo di preghiera.

3. L’avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo tale che la falsa interpretazione relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio non riguarda solo chi è cristiano, che non dovrebbe essere indotto in errore, ma alla stessa stregua anche chi non è cristiano, il quale non deve avere l’impressione dell’interscambiabilità delle “religioni” e che la professione fondamentale della fede cristiana sia di importanza secondaria e dunque surrogabile. Per evitare tale errore bisogna pure che la fede dei cristiani nell’unicità di Dio e in quella di Gesù Cristo, il Redentore di tutti gli uomini, non sia offuscata davanti a chi non è cristiano.

(tratto da J.Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena, 2003, pagg.110-114)



[Modificato da Caterina63 04/01/2011 00:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)