DIFENDERE LA VERA FEDE

Dossier Summorum Pontificum e i tre anni dal MP: nasce un nuovo Movimento?

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    Caterina63
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    00 02/02/2009 18:45
    Exclamation ATTENZIONE: importante DOSSIER sul MP [SM=g1740721]

    CLICCATE QUI

    si tratta di un word UFFICIALE perchè è di agenzia fides

    DOSSIER

    A cura di
    N. Bux e S. Vitiello

    IL MOTU PROPRIO di Benedetto XVI

    Summorum Pontificum cura



    1. Gli antefatti

    La Sacrosanctum Concilium
    V’è un paragrafo nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia che sembra riferirsi alla questione dello stato giuridico-canonico del Messale di S. Pio V (che chiameremo di qui in avanti anche “Messa antica” o “Rito antico”). Prima di specificare i modi in cui si dovrà rivedere il rito della Messa, Sacrosanctum Concilium stabilisce al paragrafo 49:

    Quapropter, ut Sacrificium Missae, etiam rituum forma, plenam pastoralem efficacitatem assequatur, Sacrosanctum Concilium, ratione habita Missarum, quae concurrente populo celebrantur, praesertim diebus dominicis et festis de praecepto, ea quae sequuntur decernit:

    Affinché poi il Sacrificio della Messa raggiunga la sua piena efficacia anche nella forma rituale, il sacro Concilio, in vista delle Messe celebrate con partecipazione di popolo, specialmente la domenica e i giorni di precetto, stabilisce quanto segue:





    (...........)

    e conclude:

    L’autorità della Chiesa ha il potere di definire e limitare l’uso di tali riti nelle differenti situazioni storiche, ma essa non può mai just puramente e semplicemente proibirli! Così il Concilio ha disposto la riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti” (Notiziario 126-127 di UNA VOCE).
    La rigidità e l’uniformità postulata anche da alcuni noti liturgisti, non è stata mai la prassi liturgica della Chiesa. L’Indulto voleva essere proprio un invito alla tolleranza, il Motu Proprio lo ha ampliato e, speriamo, più pienamente realizzato.


    __________________
    Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

    Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
    (Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 02/02/2009 18:47

    Agenzia FIDES – 1 agosto 2007

     DOSSIER FIDES

    DOSSIER

    A cura diN. Bux e S. Vitiello  

    IL MOTU PROPRIO di Benedetto XVI

    Summorum Pontificum cura

    1. Gli antefatti La Sacrosanctum Concilium


    V’è un paragrafo nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia che sembra riferirsi alla questione dello stato giuridico-canonico del Messale di S. Pio V (che chiameremo di qui in avanti anche “Messa antica” o “Rito antico”). Prima di specificare i modi in cui si dovrà rivedere il rito della Messa, Sacrosanctum Concilium stabilisce al paragrafo 49:


     
    Quapropter, ut Sacrificium Missae, etiam rituum forma, plenam pastoralem efficacitatem assequatur, Sacrosanctum Concilium, ratione habita Missarum, quae concurrente populo celebrantur, praesertim diebus dominicis et festis de praecepto, ea quae sequuntur decernit:

     
    Affinché poi il Sacrificio della Messa raggiunga la sua piena efficacia anche nella forma rituale, il sacro Concilio, in vista delle Messe celebrate con partecipazione di popolo, specialmente la domenica e i giorni di precetto, stabilisce quanto segue:
      

    Questo passaggio presuppone che vi siano due forme del rito della Messa, una con l’assistenza dei fedeli, specialmente la Domenica e le feste di precetto (cum populo), e una senza l’assistenza dei fedeli (sine populo). Sembra che fosse intenzione del Concilio che le revisioni, che sono introdotte nel  paragrafo seguente di Sacrosanctum Concilium, riguardi soltanto il rito della Messa cum populo. La Costituzione sulla Sacra Liturgia ovviamente immagina che la Messa antica continui ad esistere come forma sacerdotale di celebrazione del sacrificio Eucaristico sine populo; questo significherebbe anche che il sacerdote ha il diritto di celebrare il Rito antico come Messa privata.



     
    La Costituzione Missale Romanum di Papa Paolo VI (1969)

     

    La Constituzione Missale Romanum del 1969 emanata da Papa Paolo VI è, come chiarisce il sottotitolo, “una promulgazione del Messale Romano rivisto in base ai decreti del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo”. La Costituzione propone semplicemente una nuova forma della Messa, e non contiene alcuna clausola che indichi l’abrogazione, cioè l’abolizione mediante la completa sostituzione, del Messale del Papa S. Pio V.


    La Bolla Quo Primum, emanata da Pius V nel 1570, codificava e consolidava l’uso  immemorabile e universale che aveva regolato la  liturgia romana attraverso i secoli, dal tempo di Gregorio Magno alla fine del sesto secolo. Due punti sono qui degni di nota:

    Primo, alla Quo Primum possiamo, in ogni caso, applicare il can. 21 CIC: “In dubio revocatio legis praexistentis non praesumitur, sed leges posteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae”. Praticamente significa che , se la Messa antica ha perduto la sua posizione privilegiata, ciò nonostante continua ad esistere e il fedele ha diritto ad essa.
     

    Secondo, la Costituzione Missale Romanum non ha esplicitamente abolito (come la legge richiedeva) l’uso immemorabile e universale su cui si basava la Messa antica, prima della Quo Primum (e dopo insieme ad essa). Perciò essa continua ad esistere malgrado forse non più protetta da una legge scritta. Questo era stato notato dagli studiosi, ma anche allora non era stata approvata alcuna legge supplementare per abolire quell’uso.


    L’arcivescovo Annibale Bugnini, che Paolo VI aveva incaricato della riforma liturgica post-conciliare, cercò di ottenere una norma esplicita affinché il Novus Ordo Missae del 1970 abrogasse la Messa antica, in modo che in seguito fosse soppressa de jure            

    Per ottenere tale norma dalla Pontificia Commissione per l’Interpretazione dei  Documenti Conciliari, egli aveva bisogno del permesso del Cardinale Segretario di Stato. Il 10 Giugno 1974 il Segretario di Stato rifiutò di concedere il permesso richiesto fondamentalmente perchè ciò sarebbe stato  visto come “avversione ingiustificata verso la tradizione liturgica” (A. Bugnini, The Reform of the Liturgy 1948-1975, Collegeville, Minnesota: The Liturgical Press, 1990, p. 300-301).



     
    L’Indulto Quattuor Abhinc Annos di Papa Giovanni Paolo II (1984)

     

    Il 3 Ottobre 1984, Papa Giovanni Paolo II promulgava l’Indulto Quattuor abhinc annos in cui permetteva ai vescovi di concedere la celebrazione della Messa antica a quei fedeli che l’avrebbero richiesta. Un indulto è una misura che l’autorità della Chiesa può concedere, al fine di favorire la salvezza delle anime (che è il fine della legge canonica, dinanzi a cui tutte le norme  devono derogare), una eccezione alla legge (deroga); è simile alla dispensa, ma con un fine più ampio.

    Un indulto, perciò, presuppone l’esistenza di una legge che ha bisogno d’essere attenuata, nel nostro caso una legge che aveva proibito o abolito la Messa antica. Come abbiamo visto, tale legge non esisteva, e perciò in tal caso, strettamente parlando, è una denominazione impropria, dato che il fedele ancora oggi ha il diritto alla Messa antica sulla base dell’uso immemorabile mai abolito.
     

     La Commissione Cardinalizia del 1986


    Nel 1986 Papa Giovanni Paolo II istituì una commissione di nove cardinali per esaminare lo stato giuridico della Messa antica. La commissione era composta dai cardinali Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Paul Augustin Mayer, Antonio Innocenti, Silvio Oddi, Pietro Palazzini, Joseph Ratzinger, Alfons Stickler e Jozef Tomko e fu incaricata di esaminare se il Nuovo Rito della Messa promulgato da Papa Paolo VI avesse abrogato il Rito antico, e se un vescovo potesse proibire ai suoi sacerdoti di celebrare la Messa antica.


    La commissione si riunì nel Dicembre 1986. Otto dei nove cardinali risposero che la Nuova Messa non aveva abrogato l’Antica. Tutti e nove i cardinali unanimemente affermarono che il papa Paolo VI non aveva mai concesso ai vescovi l’autorità di proibire ai sacerdoti di celebrare la Messa secondo il Messale di S.Pio V. La commissione giudico troppo restrittive le condizioni dell’indulto del 1984 e ne propose l’allargamento. Tali conclusioni servirono come linee guida per la Commissione Ecclesia Dei, ma non furono rese pubbliche.


    In questo contesto, si deve notare che la Santa Sede riconosceva il diritto del sacerdote a celebrare la Messa tradizionale; ciò proveniva dal fatto che ogniqualvolta i sacerdoti  erano ingiustamente sospesi per aver celebrato la Messa antica contro il volere dei loro vescovi, la Curia Romana annullava sempre il provvedimento ogni volta che le si rivolgeva appello. Appartiene ancora all’attuale giurisprudenza della Chiesa che, dietro appello, qualsiasi sospensione che un Ordinario tenta di infliggere ad un sacerdote per la celebrazione della Messa antica contro il volere del vescovo è automaticamente annullata.


     
    Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta di Papa Giovanni Paolo II (1988)

     

    Il 2 Luglio 1988 Papa Giovanni Paolo II promulgava il Motu Proprio Ecclesia Dei in cui esprimeva la volontà di salvaguardare le giuste aspirazioni di quanti erano affezionati alla tradizione liturgica latina, e al fine di raggiungere l’obbiettivo istituiva la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.


    In una lettera alla Ecclesia Dei Society of Australia datata 11 Maggio 1990 il Cardinal Mayer forniva una interpretazione autorevole del Motu Proprio. Il Presidente della Commissione Ecclesia Dei criticava la Congregazione per il Culto divino per aver sabotato le intenzioni del papa, e quindi passava a spiegare le prerogative garantite dall’Ecclesia Dei mentr allo stesso tempo osservava che la Messa antica non era mai stata realmente abolita:


     
    Si deve notare che un certo linguaggio peggiorativo della Quattuor abhinc annos riguardo al  “problema dei sacerdoti e fedeli che assistono alla cosiddetta Messa tridentina” è del tutto evitato nella Lettera Apostolic Ecclesia Dei. Nel recente documento promulgato dal Sommo Pontefice ci si riferisce semplicemente a “quei fedeli cattolici che sentono l’attaccamento ad alcune antiche forme liturgiche e disciplinari della  tradizione Latina” (5, c) e a “quelli che sono attaccati alla  tradizione liturgica latina” (6, c).

    Appare quindi un inutile pregiudizio continuare a riferirsi con allusioni a precedenti documenti della Congregazione per il Culto Divino e i Sacramenti che sono stati superati da un Motu Proprio pontificio. 
      

     
    Il Cardinal Medina sulla Terza Editio Typica del Messale di Paolo VI (2002)


    Il Cardinal Medina Estévez, Prefetto Emerito della Congregazione per il Culto Divino scrive in una lettera del 21 Maggio 2004:


     
    Riaffermo la mia personale opinione che l’abrogazione del Messale di San Pio V non è provata  e posso aggiungere che il decreto che ho firmato per promulgare la terza editio typica del Messale Romano non contiene alcuna clausola che abroghi la forma antica del Rito romano(…). E posso anche aggiungere che l’assenza di qualsiasi clausola di abrogazione non è dovuta al caso, né causata da inavvertenza, ma è stata intenzionale. 

    Una versione inglese di questa lettera è pubblicata in Mass of Ages, Novembre 2005, p. 28.

    continua...........

    [Modificato da Caterina63 02/02/2009 18:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 02/02/2009 18:58

    Il Santo Padre Benedetto XVI, da cardinale esprimeva in merito il suo pensiero nel libro Dio e il mondo. Una conversazione con Peter Seewald, pubblicato in Germania nel 2000 ed in Italia nel 2001 dalle edizioni San Paolo, p 380:

    " Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l’atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all’indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è l’intero passato della Chiesa ad essere disprezzato. Come  si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all’interno della Chiesa."



    Bibliografia essenziale
    a cura di Uwe Michel Lang



    – Neri Capponi, “Bishops against the Pope: The Motu Proprio ‘Ecclesia Dei’ and the Extension of the Indult”, in The Latin Mass, Winter 1996
    (available on
    http://www.ewtn.com/library/LITURGY/BISHPOPE.TXT )

    – Georg May, Die alte und die neue Messe. Die Rechtslage hinsichtlich des Ordo Missae, 4. durchgesehene und durch ein Register ergänzte Auflage, Sankt Augustin: Richarz, 1991

     

     

    2. LA ‘RENOVATIO’ DEL MESSALE ROMANO


    1.     L’Ordo Missae e l’Institutio generalis Missalis Romani promulgati con la Costituzione Apostolica Missale Romanum di Paolo VI, costituiscono – come recita la medesima - una “renovatio” del Messale Romano promulgato da S.Pio V per decreto del concilio Tridentino nel 1570; infatti, di esso la Costituzione tesse le lodi per i frutti di evangelizzazione e di santità conseguiti per quattro secoli da sacerdoti e fedeli.


         
    In verità, già Pio XII – ricorda ancora la Costituzione – ne aveva auspicato una ricognizione e un arricchimento, dando inizio alla revisione dell’Ordo della Settimana Santa; pertanto “huiusmodi Missalis Romani renovatio nequaquam ex improvviso inducta putanda est”. Lo stesso Messale Romano del 1570 era il risultato del confronto e della revisione di antichi codici  e fonti liturgiche riportate in luce, ed anche orientali.


        
    Quanto ai riti dell’Ordo Missae la Costituzione dice: “probe servata eorum substantia, simpliciores facti sunt”. Inoltre, afferma che il Messale è stato rinnovato introducendo, accanto al patrimonio venerando della liturgia romana, nuove norme per la celebrazione.

     

    2.    Nonostante le perplessità suscitate da talune versioni in lingua corrente, la “renovatio” delle altre parti del Messale rientra nel processo fisiologico di formazione dei libri liturgici, a cominciare dagli antichi Sacramentari romani e dagli Eucologi orientali che, notoriamente, conoscono nel tempo diverse edizioni, senza che per questo l’una abroghi l’altra. Se il Sacramentario Gregoriano e il Messale di S.Pio V, ad esempio, fossero stati abrogati, come si sarebbe potuto attingere per la “renovatio”? Novus significa semplicemente ultimo, sviluppo ulteriore e non un’altra cosa. Proprio per questo progresso coerente, il Messale è lo strumento di una certa unità liturgica, in cui sussistono “legitimas varietates et aptationes”(cfr Sacrosanctum Concilium, n 38-40).


         
    Ora, è a tutti noto che  il nuovo Ordo contiene non poche varianti; queste sono anzi cresciute fino all’Editio Typica del 2000 e sono indicate, ad esempio, da termini come “vel” e “ pro opportunitate”. Accade così che, da un lato, taluni  se ne avvalgano  per stravolgere, sostituire, posporre e omettere persino alcune parti; dall’altro, vi sia chi preferisce usare sempre la medesima preghiera eucaristica e le medesime formule. Allora, perché stupirsi di coloro che chiedono di usare sempre il Canone Romano, determinati prefazi e la struttura rituale del Messale Romano nell’edizione del 1962 voluto da papa Giovanni XXIII, ed erroneamente chiamato “rito tridentino”?

       
    Dunque, il Concilio Vaticano II ha operato nel contesto della tradizione e in essa si colloca la legittimità dell’Ordo Missae di Paolo VI. Ma essa non può essere messa in opposizione con quello del suo antecessore, cosa mai avvenuta. [SM=g1740722] Pertanto, nessun libro liturgico o parte di esso è stato abrogato, a meno che non contenesse errori: cosa che accadde proprio per l’Institutio generalis  Missalis Romani nel 1969 appena pubblicata, che Paolo VI sospese per alcune ‘imprecisioni’ dottrinali e poi fece nuovamente pubblicare nel maggio del 1970 con gli emendamenti inseriti al n 7.
     3.     A tutti è chiesto di riconoscere nel Messale una eloquente espressione della Tradizione della Chiesa: non ha senso delegittimare alcuno e alcunché dell’antico rito -  sarebbe come tagliare le proprie radici - da cui proviene il nuovo che a sua volta manifesta la fecondità dell’antico.
    Giovanni Paolo II ebbe a ricordare che “nel Messale Romano, detto di san Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia”( 21 Settembre 2001).


        
    Per non dire che il criterio della generosità e della misericordia vicendevole debba prevalere nella Chiesa ad imitazione del Signore. E’ proprio questo il senso dell’Indulto di Giovanni Paolo II del 3 ottobre 1984 a celebrare la Messa secondo il Messale Romano del 1962 ed ora del Motu Proprio di Benedetto XVI; con esso non viene discreditato il rinnovamento liturgico in sé, ma prevale la preoccupazione per l’unità della Chiesa
    [1]. Del resto, contro ogni irrigidimento deve valere per la liturgia il principio della Ecclesia semper reformanda, nel sapiente dosaggio evangelico tra nova et vetera.


    Possiamo concludere con un importante testo dell’allora Cardinal Ratzinger, che
    il 24 Ottobre 1998 diede una conferenza ai pellegrini venuti per celebrare il decimo anniversario del Motu Proprio Ecclesia Dei di Giovanni Paolo II:

    “Il Concilio non ha, per se stesso,  riformato (nel senso di inventare) i libri liturgici, ma ha disposto la loro revisione, e a tal fine ha dato alcune norme fondamentali. Prima di ogni altra cosa, il Concilio ha dato una definizione di cosa sia la liturgia, e tale definizione costituisce il termine di paragone per ogni celebrazione liturgica. Dove si scansano tali norme e si mettono da parte le normae generales che si trovano ai numeri 34 - 36 della Constitutio De Sacra Liturgia (SC), in tal caso certamente ci si rende colpevoli di disobbedienza al Concilio! E’ alla luce di questi criteri che le celebrazioni liturgiche devono essere valutate, sia che avvengano secondo i libri antichi sia che avvengano secondo i nuovi. E’ bene ricordare qui che il Cardinal Newman osservava che la Chiesa, durante la sua storia, non ha mai abolito o proibito le forme liturgiche ortodosse, cosa che sarebbe del tutto aliena dallo spirito ecclesiale. Una liturgia ortodossa, cioè quella che manifesta la vera fede, non è mai una compilazione di differenti cerimonie, fatta secondo criteri pragmatici, costruita in modo positivistico e arbitrario, oggi in una maniera e domani in un’altra. Le forme ortodosse di un rito sono realtà vive, sgorgate dal dialogo d’amore tra la Chiesa e il suo Sposo. Esse sono l’espressione della vita della Chiesa, che hanno nutrito la fede, la preghiera e la vera vita di tutte le generazioni, e che incarnano in forme specifiche sia l’azione di Dio sia la risposta dell’uomo. Tali riti possono finire, se quelli che li hanno usati in una particolare epoca dovessero  scomparire, oppure se le condizioni di vita di quelle stesse persone dovesse cambiare. L’autorità della Chiesa ha il potere di definire e limitare l’uso di tali riti nelle differenti  situazioni storiche, ma essa non può mai just puramente e semplicemente proibirli! Così il Concilio ha disposto la riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti” (Notiziario 126-127 di UNA VOCE).  

     

    La rigidità e l’uniformità postulata anche da alcuni noti liturgisti, non è stata mai la  prassi liturgica della Chiesa. L’Indulto voleva essere proprio un invito alla tolleranza, il Motu Proprio lo ha ampliato e, speriamo, più pienamente realizzato.


    Links:

     


    VATICANO - Lettera Apostolica del Santo Padre Benedetto XVI, in forma di Motu proprio, “Summorum Pontificum” sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970

    (Fides del 9/07/2007)

    Il testo integrale del Motu Proprio, in latino

    http://www.evangelizatio.org/portale/adgentes/pontefici/pontefice.php?id=837

     

    VATICANO - Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il "Motu proprio" sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970


    Fides del 9/07/2007

    Il testo integrale della lettera del Santo Padre, in diverse lingue

    http://www.evangelizatio.org/portale/adgentes/pontefici/pontefice.php?id=836





    [1] Cfr O.Nuβbaum, Die bedingte Wiederzulassung einer Meβfeier nach dem Missale Romanum von 1962, in <Pastoralblatt> 37(1985), p 130-143.


    [SM=g1740733] [SM=g1740734] [SM=g1740721] [SM=g1740722]

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/03/2009 23:15

    mercoledì 18 marzo 2009

    La «Messa nel rito tradizionale»: un dono del Papa e una possibilità in più per tutti i fedeli

    Vi riportiamo la conferenza tenuta da don Rigon, intraprendente sacerdote vicentino, poco dopo l'entrata in vigore del Summorum Pontificum.


    di Pierangelo Rigon*

    Cari Amici, benvenuti (non vi aspettavo così numerosi …) nella piccola, ma come vedete “bella” chiesa di Ancignano, un edificio consacrato nel 1531 e che, con la grazia di Dio, speriamo di riportare al suo primitivo splendore. In questo momento, anzitutto, vorrei esternare la sensazione che sto provando.

    Vi confesso che, man mano che si avvicinava il giorno di questa conferenza, c’era in me una sorta di preoccupazione, sorgevano continuamente degli interrogativi: ma sto facendo bene o sto facendo male? Essendo fin qui l’unico sacerdote della Diocesi che si è espresso, favorevolmente, per non dire con entusiasmo, a proposito del motu proprio di papa Benedetto sull’uso dell’antica Liturgia., ed essendo addirittura deciso a celebrarla, non potevo non sentire attorno a me una sorta di curiosità, da un lato, e di diffidenza o sospetto dall’altro. Non sono mancati e non mancheranno tentativi di farmi ragionare, di bloccarmi in questa iniziativa.

    In qualche momento, davanti a certe prese di posizione di questi giorni (qualcuno mi ha scritto che la mia decisione è scandalosa e che sono un prete che arrecherà grande afflizione alla Santa Madre Chiesa), il turbamento che mi ha preso è stato forte e ieri sera pensavo di trovare una qualche scusa per rimandare tutto a data da destinarsi. Ormai, comunque, “il dado è tratto”. Tutto sommato, adesso, sono tranquillo e sereno perché non penso che quanto ho detto e ancora dirò abbia alcunché di contrario alla dottrina e che quanto intendo compiere possa risultare dannoso alla Chiesa Cerchiamo di spiegare, con tutta la semplicità possibile, che cosa è accaduto il 7 luglio scorso, quando il Papa ha firmato un documento che s’intitola “Summorum Pontificum”.

    Mi rivolgo non a degli specialisti in Liturgia o Diritto Canonico, ma a dei cristiani che desiderano capire meglio un problema di cui si è tanto sentito parlare, e di cui ancora si discute, spesso con troppa superficialità e incompetenza, sui mezzi di comunicazione in questi ultimi mesi. Spero di riuscire nell’intento che mi sono proposto. Il 7 luglio il Papa ha firmato una Lettera Apostolica “motu proprio data”: che cosa vuole dire “motu proprio”? Potremmo tradurre così: “di sua iniziativa, per sua decisione diretta, per un moto della sua propria volontà”. In altri casi il Papa firma, fa propri cioè, ne condivide il contenuto, documenti preparati per es. da vari Organismi della Curia Roma. Quando usa un “motu proprio”, invece, significa che è una dichiarazione che intende fare Lui direttamente, perché avverte la necessità di un chiarimento a proposito di un problema, di una questione che c’è all’interno della Chiesa. Ogni documento, come si sa, ha un titolo che si desume dalle prime due parole, generalmente, del testo.

    Poiché la lingua ufficiale della Chiesa è ancora il latino, ecco che – nel caso del motu proprio di cui stiamo parlando – il titolo è questo “Summorum Pontificum” (in italiano le prime parole suonano infatti così: “I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno ….”). Di che cosa si occupa il documento? Qual è la materia oggetto delle disposizioni del Papa? Anche questo è specificato nel titolo: si tratta dell’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Nel 1970, infatti, viene pubblicato il Messale che è frutto di una Riforma seguita al Concilio Ecumenico Vaticano II. Per questo si usa dire “Messale del Concilio Vaticano II”, perché è frutto della Riforma che è seguita a tale Concilio; oppure viene chiamato anche “Messale di Paolo VI”, perché è stato papa Montini a promulgarlo.

    Allora, dicevo, la materia del motu proprio è questa: se è quando possa essere celebrata la Liturgia nella forma precedente al 1970, servendosi del Messale anteriore. Vedete che ho collocato i due libri sull’altare. Non sono in opposizione! Sono entrambi guida e strumento per la preghiera della Chiesa, sia pure con accentuazioni diverse e con stile diverso. Il documento di Papa Benedetto è costituito da due parti, utili, insieme, a ricostruire il suo pensiero e la sua proposta. Ci sono delle disposizioni precise e c’è anche una lettera, indirizzata ai Vescovi, per precisare il senso e la portata di queste norme. Nella prima parte del testo papa Benedetto XVI ripercorre, a grandi linee, la storia della Liturgia cristiana (duemila anni!) Nel corso di tutti questi secoli ogni epoca ha lasciato traccia della sua sensibilità, ogni cultura ha apportato qualcosa e la Liturgia è quindi cresciuta – nel tempo - come un albero rigoglioso, con tante fronde, rami. Ogni tanto bisognava potare, sfrondare, ma senza mai tagliare alla radice.

    Benedetto XVI dice che “Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto”. Volgendo lo sguardo su questa lunga storia della Liturgia, il Papa si ferma quasi commosso e ammirato sulle figure di alcuni Pontefici che l’hanno preceduto: ecco San Gregorio Magno (tra il VI e il VII sec.), San Gregorio il Grande che riordinò le pratiche liturgiche del suo tempo e ne favorì la conoscenza e la diffusione nel mondo di allora. Il canto gregoriano che è il canto proprio della Liturgia romana, fu per l’appunto – non inventato – ma certamente riordinato e proposto a tutta la Chiesa da questo Papa.Con un volo di quasi mille anni, (seconda metà del 1500) da papa Gregorio si passa a papa San Pio V, di cui si dice che “sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e ‘rinnovati secondo la norma dei Padri’ e li diede in uso alla Chiesa latina. Tra i libri liturgici del rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti”. Per quest’opera compiuta dal papa Pio V, il Messale in uso fino al 1970 è stato allora chiamato anche “Messale di San Pio V” (oppure “Messale del Concilio di Trento” … perché fu redatto sulla base delle indicazioni di quel Concilio).

    Benedetto XVI, nella sua carrellata cita poi i Papi che succedettero a Pio V e che assicurarono aggiornamento e ritocchi al Messale (Clemente VIII, Urbano VIII). E poi si arriva più vicini ai tempi nostri con il nome e la figura di San Pio X (1903 – 1914), il quale si fa carico di una vasta opera di promozione liturgica. In un suo documento, ancora un motu proprio, pubblicato a pochi mesi dall’elezione, dice fra l’altro così: “Essendo nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo, e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa” . Dunque il problema della partecipazione dei fedeli alla Liturgia c’era già allora, non è una scoperta recente!

    A questo motu-proprio del 1903, papa Sarto fa seguire altri pronunciamenti importanti: un decreto stabilisce la comunione frequente, e anche quotidiana dei fedeli; nel 1910 troviamo un altro famosissimo decreto che riguarda l’ammissione dei bambini alla Santa Comunione. Il Papa stabilisce che quando si raggiunge la cosiddetta età della discrezione (individuata intorno ai 7 anni) e si è in grado di distinguere il pane comune dal pane eucaristico, già da quel momento è possibile dare ai bambini la S. Comunione. Infine, nel 1911, ecco un riordinamento dei salmi all’interno del breviario. Nel 1914, quindi poco prima della morte di questo Santo Pontefice, furono pubblicate le “Additiones et Variationes in Rubricis Missali” (cioè le Aggiunte e le Variazioni nelle rubriche, nelle norme del Messale). Le regole restavano così fissate per tutti i decenni successivi, almeno fino al tempo di papa Giovanni XXIII. Con Pio XII (1939 – 1958) l’interesse per la Liturgia (dopo la lunga pausa dovuta alle guerre e alla situazione sociale e politica del tempo) riprende slancio e, di conseguenza, si attuano ulteriori importanti riforme: nel 1951 viene ripristinata la Veglia Pasquale e nel 1955 riformata tutta la Settimana Santa. Papa Pacelli, inoltre, pubblica un’importantissima enciclica sulla Liturgia, la Mediator Dei (1947) e pensa anche ad una riforma più ampia facendo approntare degli schemi. E così arriviamo negli anni dell’antivigilia del Concilio Ecumenico Vaticano, quando papa Roncalli, il beato Giovanni XXIII apporta alcuni piccoli ma significativi mutamenti nella Liturgia: sappiamo che fa togliere il “pro perfidis iudaeis” dalle preghiere del Venerdì Santo e aggiunge il nome di San Giuseppe alla lista dei Santi nel Canone Romano. Con lui si ha l’ultima edizione del Messale di San Pio V. Per questo si parla anche del “Messale di papa Giovanni” o “Messale del 1962”, cioè dell’anno dell’ultima pubblicazione. Alla conclusione di questa carrellata storica, vorrei far osservare che nella celebrazione della Liturgia cattolica (latino-romana, naturalmente - giacché di essa ci stiamo occupando) vi è stato come un naturale sviluppo: dalle forme più semplici si è passati a riti sempre più complessi e rifiniti.

    Certo, ad osservare questo sviluppo con fredda razionalità, si può anche dire che in qualche momento vi sono stati degli eccessi, in altri delle deficienze. Se volessimo fare un paragone, io direi di usare quello dell’edificio, della casa, o anche di un palazzo. Permettete che citi ancora il mio “maestro di liturgia e di vita spirituale”, il beato Ildefonso. Egli fa questa osservazione: “Immaginiamoci un gran palazzo del rinascimento, il quale nel corso dei secoli, per essere stato continuamente abitato, ha dovuto più volte subire delle modificazioni, dei restauri, degli adattamenti agli usi ed ai gusti dei suoi inquilini. Ognuno ha voluto accomodarselo a proprio modo, sicché l’edificio, pur serbando intatte le linee essenziali dell’architettura primitiva, rivelerà una quantità di elementi posteriori, che faranno fede delle varie modificazioni da quello subite. Tale mi sembra la storia dell’Ordinario della Messa dal tempo degli Apostoli al presente ….”

    E siamo dunque all’epoca dell’ultimo Concilio: la Liturgia viene trattata come prima materia, al Vaticano II. Tant’é che la costituzione SC (quella appunto dedicata alla Liturgia) viene promulgata il 4 dicembre 1963. Papa Giovanni è morto il 3 giugno dello stesso anno, dopo aver iniziato il Concilio. La costituzione sulla Sacra Liturgia viene dunque promulgata dal successore, Paolo VI. Gli storici fanno notare le date: il 4 dicembre 1563 si chiude il Concilio di Trento, il 4 dic. 1963 il Concilio Vaticano II presenta alla Chiesa il suo primo documento, che riguarda proprio il culto, la lit. Sono passati esattamente 4 secoli. La SC è il momento culminante di un lungo cammino, quello che si chiama il ML, che ha cercato di ridare importanza alla vita spirituale dei credenti, proprio partendo da una miglior conoscenza e partecipazione alla Liturgia. Il documento richiama il senso teologica della lit., ne descrive la natura. E anche traccia alcune linee fondamentali per una sua riforma generale.

    Fin qui, tutto sommato, nulla di nuovo … di riforma e di riforme si era parlato spesso nei decenni addietro. La SC fu approvata praticamente all’unanimità (ci furono 2.147 placet, cioè sì, siamo d’accordo, ci sta bene e 4 non placet, cioè la respingiamo). Fra i quattro vescovi che rifiutarono la SC non c’è il nome – si badi bene – di un certo mons. M. Lefebvre. I problemi sorgono all’indomani della promulgazione della SC, allorchè si decide di cominciare subito ad applicarne i principi con delle parziali riforme, i primi cambiamenti. Una data importante è la domenica 7 marzo 1965, quando i sacerdoti cominciano a celebrare rivolti verso il popolo e si introduce anche la lingua italiana, limitatamente, però, alle parti riservate ai fedeli (quelle del sacerdote, invece, rimanevano rigorosamente in latino).

    Negli anni successivi al 1965 si lavora molto alla riforma della Liturgia, proprio cominciando dal rito della Messa (“Ordo Missae” si dice in latino). C’è una Commissione centrale, delle sottocomissioni ecc. ecc. Lo studio coinvolge biblisti, liturgisti, pastoralisti, letterati, artisti. Ci si mette a tavolino per affrontare le varie questioni, si fanno anche prove “tecniche”, potremmo chiamarle così, della nuova Messa. Anche davanti al Papa, Paolo VI, in Vaticano La sensazione era che si stesse preparando davvero qualcosa di nuovo, di diverso, di assolutamente originale. Io stesso ricordo un fatterello accaduto nel 1969 (la prima domenica d’Avvento di quell’anno entrò in vigore il nuovo rito): ero appena entrato in seminario e sentivo nell’aria l’eco di tutti questi problemi e cambiamenti che si stavano preparando. In maggio la mia sorellina faceva la Prima Comunione e io raccontai al prefetto (il chierico che, in seminario, assiste i ragazzi più piccoli) che non le avevano regalato il consueto libretto delle preghiere perché, proprio così gli dissi “dovevano cambiare la Messa”. Il prefetto, allora, mi spiegò che la Messa sarebbe rimasta sempre la stessa… sarebbero solo stati modificati alcuni riti. Comunque il clima era quello!

    Il papa Paolo VI seguiva tutto con molta attenzione, intervenendo, suggerendo, anche decidendo di sua iniziative, alle volte. Per farla in breve, nel 1969 (il 30 nov.) si comincia a celebrare con il nuovo rito e l’anno successivo (1970) esce il Messale completo (quindi non solo il rito, ma anche le varie preghiere, i testi ecc. ecc…). Il Messale del 1970 (anche qui si faccia caso alle date… perché il Messale promulgato da San Pio V è del 1570!) si presenta davvero come qualcosa di nuovo e di diverso rispetto a prima. Non è solo la lingua a fare la differenza, ma anche le novità introdotte ad es. nel cuore della Messa (la preghiera eucaristica era una sola, il Canone Romano, nel vecchio Messale… adesso le preghiere euc. sono quattro e negli anni successivi ne sarebbero state introdotte altre …). Molti riti sono stati ritoccati, semplificati, alcuni aboliti. Certamente i meriti di quella riforma vanno riconosciuti: ci fu un arricchimento dei testi biblici usati nella Messa (ecco il lezionario), il recupero di alcune preghiere antiche e arricchenti per la vita spirituale dei cristiani, il riconoscimento più esplicito dei ministeri laicali Non starò qui a dire il valore e i meriti della riforma che, a mio avviso, sono innegabili e indiscutibili. Se però è concessa qualche osservazione, ne farei almeno una: la riforma del Concilio Vaticano II ha il sapore di una cosa “fatta a tavolino”. Fatta benissimo, ma un po’ fredda. Un riordino della casa, o del palazzo della Lit. (per usare l’immagine già ricordata del card. Schuster …) troppo rigido, in cui ogni cosa doveva essere esattamente al suo posto, tutto ben collocato nei cassetti, nella libreria ecc… Per alcuni una Riforma troppo pesante, esagerata. Si poteva andare più gradualmente. Comunque sia, questo stato di cose ha creato dei problemi che si sono trascinati nel tempo… fino ai nostri giorni! Certo la maggioranza dei cattolici l’ha accolta favorevolmente, o al massimo dolendosi di dover rinunciare a riti, a preghiere, ad abitudini che erano entrati ormai nell’animo di molti. Ma nulla di più C’è stato anche chi, invece, si è spinto fino a dichiarare “eretica” la riforma… un allontanamento impressionante dall’autentica dottrina cattolica. E insieme con la riforma si respingeva poi tutto il Concilio e addirittura si ritenevano illegittimi i papi succeduti a Pio XII (sono i cosiddetti “sedevacantisti” che mi pare esistano ancora … coloro cioè che ritengono la sede di Pietro ancora vacante perché i successori di papa Pacelli avrebbero rinnegato la fede autentica).

    Arriviamo quindi a parlare del vescovo Lefebvre e del movimento legato al suo nome, che ha fatto del vecchio Messale un po’ l’emblema delle idee portate avanti. Quando, nel 1988, la ribellione giunge all’estremo con l’ordinazione di quattro nuovo vescovi senza il consenso del Papa, scatta di fatto la scomunica. Quei vescovi (ordinanti … perché oltre a Lefebvre c’era anche un Vescono brasiliano) e ordinati, si erano posti fuori dalla comunione ecclesiale. E’ uno strappo doloroso e papa Giovanni Paolo II non può tentare di far qualcosa. Già nel 1984, per venire incontro alle richieste dei lefebvr. aveva dato disposizione affinchè i Vescovi concedessero un indulto per la celebrazione della vecchia messa a quanti lo domandassero. Poi, avvenuto lo scisma nel 1988, nel tentativo di recuperare i sacerdoti e i fedeli cosiddetti “tradizionalisti” e legati al mov. di mons. Lefebvre, sempre papa Giovanni Paolo II istituisce una commissione che si chiama “Ecclesia Dei adflicta” e che si occupa del problema. E in questo nuovo documento egli invita i Vescovi ad usare “largamente e generosamente” delle possibilità offerte dall’indulto, ossia di concedere la celebrazione in rito antico ai richiedenti. Questa è dunque la disciplina che ha regolato la materia fino al 7 luglio 2007, data appunto di pubblicazione del mp Summorum Pontificum d Benedetto XVI.

    Per poter celebrare la Messa con il vecchio Messale c’era bisogno di un permesso speciale del Vescovo. Alcuni Ordinari lo hanno concesso con relativa facilità, altri hanno detto chiaramente: “no”. Per cui in alcune diocesi si potevano celebrare Messe nel rito antico e in altre (per es. Vicenza) ciò non era consentito. Questa, per sommi capi, la storia più recente. Ovviamente ho dovuto sintetizzare molto ma spero di essere stato chiaro. Adesso cerchiamo di capire meglio che cosa stabilisce questo mp di papa Benedetto, di cui sentiamo parlare assai e che forse tanti non hanno mai letto (del resto … consentitemi la malignità … è un po’ difficile reperirlo anche nelle librerie cattoliche).

    Si sa che già prima di essere eletto Benedetto XVI, allora card. Ratzinger, non aveva mai nascosto rispettose osservazioni anche critiche al modo con cui era stata condotta la riforma liturgica e nei suoi scritti aveva sempre espresso ammirazione e qualche volta rimpianto per certi aspetti dell’antica liturgia (cito solo il problema della posizione del sac.. durante la Messa e quindi la collocaz. dell’altare …). Una volta eletto ha evidentemente pensato di rivedere tutta la questione e di certo l’ha fatto con molta ponderazione, perché di questo documento si parlava da parecchio tempo. Intanto il papa ha chiarito una cosa: il vecchio Messale non è stato mai abrogato da nessuno. Forse qualcuno, al tempo della Riforma del Vaticano II, pensava che si dovesse procedere ad un tale atto formale o, almeno sperava che il Messale di Pio V cadesse in disuso e basta. Paolo VI si è semplicemente limitato a dire che il messale da lui promulgato era pienamente legittimo e quindi da accettare come tale.

    A questo punto, piaccia o non piaccia, il Papa Benedetto XVI si è pronunciato definitivamente: il vecchio Messale non è mai stato abrogato e quindi, di per sé, si può ancora usare. Ma come, e in quali condizioni? Non c’è il pericolo che si creino, cosa impensabile, due “riti romani”? Sarebbe antistorico, antilitugico… Papa Ratzinger, da uomo di grande intelligenza qual è, ha risolto così la questione: nel Messale di Paolo VI c’è la forma normale, ordinaria, di celebrare l’Eucaristia; nel Messale di Giovanni XXIII (pubblicato nel 1962) c’è la forma straordinaria, ma comunque lecita, di celebrazione. Quando si può dunque usare tale forma? A quali condizioni? I casi più comuni che possono verificarsi sono questi:

    - ogni sacerdote, quando celebra in forma privata (non significa che debba chiudersi in chiesa e non farlo sapere a nessuno … ma semplicemente che quella non è una Messa d’orario) può scegliere o l’uno o l’altro messale. Ed inoltre, precisa il papa, “Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario (nel mio caso l’Ord. è il Vescovo, che comunque io a suo tempo ho informato)

    - A queste messe in latino celebrate in forma privata, dice ancora il papa, possono essere ammessi anche i fedeli che lo desiderassero;

    - nelle parrocchie in cui c’è un gruppo stabile di fedeli che desiderano tale celebrazione, il parroco deve “accogliere volentieri la richiesta”.

    Se si fa un’interpretazione restrittiva del mp e, soprattutto, se non si vuole assolutamente saperne della vecchia messa, ci sono sicuramente degli appigli possibili: basta dire che non c’è il gruppo stabile, che nessuno ha fatto domanda, che il prete non è comunque capace di dire quella messa perché non ha studiato il latino, non conosce il rito, non gli piace e insomma non lo vuole e basta! Il gioco è fatto e il problema risolto. Io parto invece da un altro presupposto. Se il papa sostiene che “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”, se dunque il papa riconosce la bontà e la validità del vecchio rito, non vedo perché si debba essere avversi quasi per partito preso. E non capisco perché sia quasi sconveniente farlo conoscere.

    A questo punto io vorrei andare molto sul piano soggettivo, aprirmi alla confidenza con voi. Tanti mi hanno infatti domandato perché tanto interesse, da parte mia, per il recupero della Messa antica. Se avessi fatto come fan tutti o quasi, certo avrei dormito sonni più tranquilli. Allora vorrei insomma spiegarvi con molta semplicità perché mi sono deciso a fare questa battaglia (e il termine non vi paia eccessivo, perché effettivamente c’è da lottare contro l’ostilità, generalmente fatta di silenzio, per questo tipo di scelte). Non è stato facile, sapete, e so che ci sarà ancora molto da soffrire. Però bisogna avere un po’ di coraggio quando si è convinti della bontà di una cosa. Una volta ho letto questa frase: “Se non sei disposto a soffrire per le tue idee, o queste non valgono niente … non vali niente tu!”.

    Ecco, io ho, personalmente, un legame molto forte con l’antico rito, perché lo sfondo in cui è nata la mia vocazione sacerdotale è proprio il servizio all’altare, come chierichetto, nel periodo in cui quel rito stava per essere riformato secondo le indicazioni conciliari del Vaticano II (siamo, ahimé, nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso). Anzi, volendo risalire ancora più indietro nel tempo, vorrei rivelarvi un particolare curioso della mia primissima infanzia: la mamma mi racconta spesso che, talvolta, mi cantava il “Dies irae”, la sequenza della “Missa Defunctorum” come filastrocca per farmi addormentare. L’ incontro con l’antica liturgia, quindi, è stato veramente precoce, direi un naturale assorbimento con il latte materno. E’, quindi, un legame affettivo che ritengo meritevole di rispetto, anche se so benissimo che i “nostalgici” sono guardati con molto sospetto, oggi. Gli studi teologico-liturgici, naturalmente, sono stati condotti sul Messale di Paolo VI, che è veramente una miniera ancora inesplorata e che, senza ombra di dubbio, è e resterà la forma normale della celebrazione eucaristica. Di questo Messale ben conosco la genesi e la ricchezza biblica ed eucologica (cioè delle preghiere e delle formule liturgiche). Sia chiaro che non ho alcuna preclusione contro questo libro della preghiera cristiana e cattolica che è legato al nome di un grande pontefice, Paolo VI, appunto!

    Mi fa tristezza, invece, che alcuni, i quali si ergono a paladini del Concilio Vaticano II, coloro che non accettano il mp di Bn XVI o che sperano cada presto nel dimenticatoio, costoro spesso non conoscono bene neanche il Messale del 1970 e tanto meno lo utilizzano e qualche volta lo stravolgono …. Ma ritorniamo alla mia scelta di utilizzare, insieme al Messale riformato, anche quello precedente. Essa si fonda anche sul fatto che la mia tesi di dottorato, e mi domando se non possa essere stato un segno del destino, anzi meglio un segno della Provvidenza, la mia tesi di dottorato – dicevo - in Sacra Liturgia ha riguardato proprio il commento del beato Schuster all'antico messale romano (l’opera più nota del benedettino è infatti il Liber Sacramentorum).

    Per questo dunque ho deciso di celebrare, qualche volta e senza stravolgere la prassi consueta, anche nell’antico rito. Ci ho riflettuto, mi sono studiati i documenti, ho sottoposto il mio desiderio al Vescovo e, dato che non mi sono giunte proibizioni di sorta, mi sono avvalso di questa facoltà che il Papa concede. Certo le critiche non mi mancano, sia da parte di qualche confratello che di qualche laico. Però mi sono accorto che (ma non sto naturalmente parlando di chi mi critica… parlo in generale) spesso si parla senza cognizione di causa. E succede che i più ostili alla Messa in latino siano quelli che, magari, della Messa non gliene importa proprio niente! Ora vediamo le più comuni obiezioni al ripristino del vecchio rito. Quando si parla della Messa in latino, da parte di chi vi si oppone si fa spesso notare che essa impedisce la partecipazione dei fedeli proprio per alcuni ostacoli che frappone tra il sacerdote celebrante e i presenti al Rito. Allora cerchiamo di riflettere un po’su questo tipo di problemi. Ne elenco tre (il latino, la posizione del sacerdote durante la Messa, il silenzio che avvolge gran parte della celebrazione)

    1) La difficoltà della lingua, anzitutto!

    Ormai il latino è sempre meno conosciuto e studiato e non sono pochi gli stessi ecclesiastici che non lo conoscono affatto. Che senso ha rimetterlo in auge in chiesa, con il rischio che appaia qualcosa di lontano, di riservato a pochi eletti, che faccia pensare al culto cristiano come a un insieme di formule magiche ?

    Per rispondere a queste domande ci vorrebbe una Conferenza apposita. Allora, anche qui, solo qualche rapida osservazione. Che il latino sia stato abbandonato nel normale curriculum dei nostri studenti è un dato di fatto: a parte i giovani che frequentano i licei, per gli altri non esiste più l’opportunità di un accostamento, sia pure elementare alla lingua che ancora considerata quella ufficiale della Chiesa. C’è stato, almeno nel più recente passato, un’opposizione che potremmo dire di tipo ideologico allo studio del latino: è la lingua dei ricchi, di chi ha potuto permettersene lo studio, serve solo per creare separazione, distanza tra il popolo e pochi privilegiati. Meglio abbandonarla. Forse alcune posizioni di questo tipo sono state e sono presenti nella anche nella Chiesa.

    Perché allora il Papa propone, al di là della stessa questione dell’antico rito, che si riprendano, anche nella Lit. riformata, alcune formule in latino? (Nella esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis, egli invita alla conoscenza della fondamentali preghiere anche in latino). Certamente vi è una motivazione teologica: far percepire la continuità della preghiera cristiana, comprendere che siamo immersi nell’unico e costante flusso di una umanità che si apre con le sue suppliche a Dio Onnipotente. In ogni tempo e in ogni luogo. Quindi l’idea della tradizione, del trasmettere. Il Papa, inoltre, indica anche un’utilità pratica nell’esortazione a riprendere il latino: sempre più ci sono incontri internazionali di credenti e sempre più vi è la necessità di pregare insieme. Ma con quale lingua, se non quella che per secoli e secoli ha espresso l’identità dell’orazione cristiana, appunto.

    E se vogliamo assecondare queste indicazioni del Papa, dobbiamo pur tornare a insegnare ai nostri fedeli un po’ di latino. Non è mica la fine del mondo, caspita! Nel mio piccolo ho già fatto un po’ d’esperienza e ho visto che la cosa è possibile: ho fatto imparare ai bambini della Prima Comunione il Pater Noster. Sono stati felici e contenti, e con loro le catechiste e le mamme. Nulla di così traumatico. Anzi: c’è uno di questi ragazzini che, ogni qualvolta m’incontra, vuole cantarmi il Pater Noster in gregoriano. E io l’ascolto con molta soddisfazione! Si aggiunga che il latino della Liturgia è un latino tutto sommato abbastanza semplice , abbordabile: non è quello classico di Cicerone, certo non alla portata di tutti. E’ quel latino della Messa che, quasi alla fine del romanzo, davanti a don Abbondio, Renzo riconosce come “latino buono”; al contrario del latino canonico all’inizio della storia, quando don Abbondio gli aveva indicato tutti gli impedimenti al suo matrimonio. Con qualche buon sussidio si può arrivare persino al dialogo tra i fedeli e il sacerdote. In passato ci erano riusciti. E perché non dovrebbe essere possibile ancora? Un’altra osservazione: sì, certo, un po’ di fatica e d’impegno, quanto alla lingua della Messa nell’antico rito è richiesto. Perché non siamo disposti a farlo se crediamo nella bellezza e nella grandezza della Liturgia? Ed infine anche questa: non sempre partecipare significa capire tutto. Forse che comprendiamo tutto della Messa anche in italiano? Certe preghiere, certe formule, certi concetti sono veramente elevati. Si tratta, in fondo, del Mistero di Dio che ci supera sempre! E nessuno dei nostri linguaggi può racchiuderlo!

    2) La posizione del sacerdote durante la Messa nel vecchio rito. Si dice che “il prete volta le spalle ai fedeli”. Ed è vero, perché è proprio così. Ma perché lo fa? Non certo per mancanza di galateo o perché vuol rimanere più raccolto, meno disturbato dai fedeli. In passato le Chiese erano sempre fatte in modo che il sacerdote, durante la preghiera, fosse rivolto ad est ed è per questo che, anche la Chiesa di Ancignano, ad es. è costruita così, con l’abside ad est. Diverso è il caso, mettiamo, della Basilica di San Pietro, dove l’est è dato dal portone d’ingresso: però anche in quella condizione il Celebrante, il Papa, guardava ad Oriente. Per questo il Papa, anche prima della rif. Lit. celebrava rivolto al popolo, avendo il sole nascente di fronte a sé. C’è stato quindi questo simbolismo del sole nascente, che è Cristo Signore per i fedeli cristiani, ad influenzare la collocazione degli altari e la posizione del sacerdote. Noi abbiamo smarrito questo simbolismo che è importantissimi: la fede ci invita non tanto a dialogare tra di noi (cosa importante, si capisce!), ma a guardare agli altri attraverso Cristo Morto e Risorto. Per questo, oggi, si cerca di recuperare il concetto di “versus Deum” (stare rivolti a Dio) della preghiera e non solo il “versus populum” (essere rivolti al popolo). E’ molto significativocce il nuovo cerimoniere del Papa abbia voluto ricollocare la Croce al centro dell’altare sul quale celebra il Vescovo di Roma, mentre prima era di lato. E non importa se così il volto del papa è meno inquadrabile dalle telecamere! La Croce non può essere un disturbo, anzi! Dovrebbe costituire per tutti il punto di riferimento dello sguardo, dell’interesse, del cuore, dei sentimenti. Sennò la Lit. è un parlarci addosso! Mi colpisce sempre quella preghiera (è nuova, si trova nel Messale di Paolo VI che, quindi, non disdegno certo) e dice che “nessuno ha niente da dare ai fratelli se prima non comunica con te, Signore ….”. Allora va benissimo la fratellanza, il dialogo, la comunicazione fra di noi, però – per favore – prima comunichiamo con Nostro Signore Gesù Cristo. Ecco allora il senso di una posizione che non comprendiamo più e che ci appare assurda. E che invece ha ancora una sua ragion d’essere, almeno quando si celebra con il vecchio rito: tutti rivolti al Signore, anche il prete, alla testa dei suoi fedeli!

    3) Altra grande difficoltà che si fa notare, a proposito del vecchio rito, è il fatto che il sacerdote fa quasi tutto lui e, oltretutto, recita la gran parte delle preghiere non solo in latino, ma anche sussurrandole (subissa voce, secrete …), praticamente in silenzio. Beh, questo è vero! E’ una caratteristica dell’antico rito che comunque ci aiuta forse a riscoprire il valore di una partecipazione fatta anche e soprattutto interiormente. Ciò che conta non è il continuo agitarsi, durante la Messa, ma lo stare davanti a Dio che garantisce la sua presenza nel Mistero celebrato. Partecipazione fatta soprattutto di fede … e non è poco se riscopriamo questo valore

    4) Un quarto aspetto della messa antica che potrebbe far difficoltà e quello legato alla rigidità delle norme (ogni gesto, anche il più piccolo, dev’essere fatto in un modo piuttosto che in un altro … le dita si tengono così e non colà, le braccia si sollevano o si allargano secondo la rubrica). Si usa sempre dire, infatti, a proposito della vecchia Liturgia, che era mummificata, ingessata. E invece adesso tutto è più libero, spontaneo. Eppure anche questo ha un suo significato: nella Liturgia io non posso inventare nulla, non posso mettere niente di mio (fantasia, capacità di conduzione, trovate particolari per attirare l’attenzione). La Liturgia, e questo lo diceva l’allora card. Ratzinger, non vive di sorprese accattivanti, ma di lente e solenni ripetizioni . Per tanti sacerdoti (e qualche volta è capitato anche a me …) il problema è: cosa faccio oggi per “svegliare un po’ la gente … perché non si stanchi venendo a messa ...” Le preoccupazioni di questo tipo hanno portato ad atteggiamenti sempre più disinvolti, come se una buona Liturgia dipendesse dalle capacità del prete a condurre uno spettacolo, uno show …. No, la Lit è un patrimonio che ti viene affidato. Non hai alcun diritto su di essa: né quanto alle parole, né quanto ai gesti. Tutto ti è consegnato. Io dico sempre che, se qualcosa di mio devo metterci, questa è la mia poca o tanta fede. La testimonianza che io ci credo veramente in quel che celebro, in quello che sta accadendo quando sono all’altare. Sia ben chiaro che questo vale per tutti e due i Messali, quello di Pio V e quello di Paolo VI! Dunque una certa fissità è indispensabile. Noi ci lasciamo condurre dal rito maturato nella sapienza plurisecolare della Chiesa e, attraverso il rito ci apriamo al mistero insondabile del Dio Uno e Trino. * La possibilità che ha dato il Papa di celebrare secondo l’antico rito è un “dono” (nel senso che tanti lo desideravano ma ormai non ci contavano più..) ed è una possibilità, non un obbligo. A me sembra dunque che Benedetto XVI con questo mp che si cerca di occultare o di disattendere ci abbia dato prova di grande saggezza, amore, accoglienza per tutte le sensibilità belle e buone – nessuna esclusa - che ci sono all’interno del variegato mondo cattolico. Solo il tempo ci dirà la lungimiranza di questo Pontefice che molti dichiarano un affossatore del Concilio. Proprio lui che, al Vaticano II, è stato uno dei periti più apprezzati e profondi. Sto per concludere, ma prima vorrei tentare di rispondere ad un’ultima domanda. Quali sono le categorie di persone, di fedeli, alle quali ha pensato il Santo Padre pubblicando il m.p.? Si sente dire spesso che la concessione è stata fatta per recuperare i lefebvriani scismatici (ma non è ancora stato dimostrato che ciò sia stato sufficiente) o per accontentare persone anziane e nostalgiche (ed questo possiamo anche concederlo, e comunque sia chiaro che il massimo rispetto si deve a questi fedeli). Ci può essere qualche altra categoria interessata? Per es. i giovani? Il Santo Padre scrive: “Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del M del 1962, si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata, per loro, d’incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia” Io non avrei mai creduto a queste parole del Papa, cioè che dei giovani che non hanno mai conosciuto il rito direttamente quand’era in voga, si interessassero ad esso, prima di incontrare questo giovanissimo amico. Si chiama Davide Saron, è di Vicenza, e da qualche tempo mi fa da “istruttore”. Proprio con la sua testimonianza vorrei concludere il mio intervento che, spero, sia stato un po’ utile alla comprensione dei problemi legati al mp di papa Benedetto. Grazie … caro Davide… se vuoi dire qualcosa ci faresti un dono immenso …


    *Parroco di Ancignano, dottore in Liturgia


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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/09/2009 11:27
    C'è un ulteriore antefatto....nel 2003 l'allora card. Ratzinger risponde ad un appello accorato circa il ritorno della Messa di sempre nella Chiesa....interessante di come nella risposta di Ratzinger ci fosse già l'orma del suo programma pontificale circa la Sacra Liturgia...




    Lettera del 2003, dell'allora Card. Joseph Ratzinger, in cui sostiene, come teologo privato, che in futuro preferirebbe un solo Rito romano, più o meno come l'attuale Rito Extraordinario. Le decisioni del recente Motu proprio, intese a liberalizzare l'uso del Messale antico, potrebbero pertanto implicare che tale rito non deve essere solo eccezione.



    Al dott. Heinz-Lothar Barth, 23 giugno 2003


    Caro dottor Barth,

    la ringrazio cordialmente per la sua lettera del 6 aprile cui trovo il tempo di rispondere solo ora. Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico. In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto.


    Al quesito se la Santa Sede «riammetterà l’antico rito ovunque e senza restrizioni», come lei desidera e ha udito mormorare, non si può rispondere semplicemente o fornire conferma senza qualche fatica. È ancora troppo grande l’avversione di molti cattolici, insinuata in essi per molti anni, contro la liturgia tradizionale che con sdegno chiamano «preconciliare». E si dovrebbe fare i conti con la considerevole resistenza da parte di molti vescovi contro una riammissione generale. 

    Diverso è tuttavia pensare a una riammissione limitata. La stessa domanda verso l’antica liturgia è limitata.

    So che il suo valore, naturalmente, non dipende dalla domanda nei suoi confronti, ma la questione del numero di sacerdoti e laici interessati, ciononostante, gioca un certo ruolo. Oltre a ciò, una tale misura, a soli 30 anni dalla riforma liturgica di Paolo VI, può essere attuata solo per gradi. Qualunque ulteriore fretta non sarebbe di sicuro buona cosa

    Credo tuttavia, che a lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano. L’esistenza di due riti ufficiali per I vescovi e per i preti è difficile da «gestire» in pratica. Il rito romano del futuro dovrebbe essere uno solo, celebrato in latino o in vernacolo, ma completamente nella tradizione del rito che è stato tramandato.

    Esso potrebbe assumere qualche elemento nuovo che si è sperimentato valido
    ,
    come le nuove feste, alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso – più scelta di prima, ma non troppa –, una «oratio fidelium», cioè una litania fissa di intercessioni che segue gli Oremus prima dell’offertorio dove aveva prima la sua collocazione.

    Caro dott. Barth, se lei si impegnerà a lavorare per la causa della liturgia in questa maniera», sicuramente non si troverà solo, e preparerà «l’opinione pubblica ecclesiale» a eventuali misure in favore di un uso esteso dei libri liturgici di prima. Tuttavia bisogna essere attenti a non risvegliare aspettative troppo alte o massimali tra i fedeli tradizionali.


    Colgo l’occasione per ringraziarla del suo apprezzabile impegno per la liturgia della Chiesa romana nei suoi libri e nelle sue lezioni, anche se qua e là desidererei ancora più carità e comprensione verso il magistero del papa e dei vescovi.

    Possa il seme da lei seminato
    germinare e portare molto frutto per la rinnovata vita della Chiesa la cui «sorgente e culmine», davvero il suo vero cuore, è e deve rimanere la liturgia.
    Con piacere le impartisco la benedizione che lei ha domandato.
    Saluti sinceri.

    + Joseph Cardinal Ratzinger


    ___________________________________________

    Testo originale tedesco

    Sehr geehrter Herr Dr. Barth!

    Haben Sie herzlichen Dank für Ihren Brief vom 6. April, zu dessen Beantwortung ich erst jetzt die Zeit finde. Sie bitten darum, daß ich mich für die erweiterte Zulassung des alten römischen Ritus einsetze. Eigentlich wissen Sie selbst, daß eine solche Bitte bei mir nicht auf taube Ohren stößt, ist doch mein Einsatz für dieses Anliegen inzwischen allgemein bekannt.

    Ob der Hl. Stuhl aber den alten Ritus „wieder weltweit und ohne Beschränkung zulassen wird", - wie Sie es wünschen und gerüchteweise gehört haben, - kann nicht ohne weiteres gesagt oder gar bestätigt werden. Zu groß ist doch immer noch bei vielen Katholiken die ihnen jahrelang eingeimpfte Abneigung gegen die traditionelle Liturgie, die sie verächtlich „vorkonziliar" nennen, und auch von Seiten vieler Bischöfe wäre mit erheblichem Widerstand gegen eine allgemeine Wiederzulassung zu rechnen.

    Anders sieht es aus, wenn man an eine begrenzte Wiederzulassung denkt: begrenzt ist ja auch die Nachfrage nach der alten Liturgie. Ich weiß, daß ihr Wert natürlich nicht von der Nachfrage abhängt, aber die Frage nach der Zahl der interessierten Priester und Laien spielt dabei doch eine gewisse Rolle. Zudem kann eine solche Maßnahme auch heute noch, erst gut 30 Jahre nach der Einführung der Liturgiereform Papst Paul's VI. nur schrittweise in die Tat umgesetzt werden, jede neue Überstürzung wäre sicher nicht vom Guten.

    Ich glaube aber, daß auf Dauer die römische Kirche doch wieder einen einzigen römischen Ritus haben muß; die Existenz von zwei offiziellen Riten ist in der Praxis für die Bischöfe und Priester nur schwer zu „verwalten". Der Römische Ritus der Zukunft sollte ein einziger Ritus sein, auf Latein oder in der Landessprache gefeiert, aber vollständig in der Tradition des überlieferten Ritus stehend; er könnte einige neue Elemente aufnehmen, die sich bewährt haben, wie neue Feste, einige neue Präfationen in der Messe, eine erweiterte Leseordnung - mehr Auswahl als früher, aber nicht zu viel - eine „Oratio fidelium", d.h. eine festgelegte Fürbitt-Litanei nach dem Oremus vor der Opferung, wo sie früher ihren Platz hatte.

    Geehrter Herr Dr. Barth, wenn Sie sich in dieser Weise für das Anliegen der Liturgie einsetzen, werden Sie sicher nicht allein stehen, und bereiten die „öffentliche Meinung in der Kirche" auf eventuelle Maßnahmen zugunsten eines erweiterten Gebrauchs der früheren liturgischen Bücher vor. Man sollte aber vorsichtig sein im Wecken von allzu hohen, maximalen Erwartungen bei den traditionsverbundenen Gläubigen.

    Ich benutze die Gelegenheit, um Ihnen zu danken für Ihren geschätzten Einsatz zugunsten der Liturgie der römischen Kirche, in Ihren Büchern und Vorträgen, auch wenn ich mir da und dort noch mehr Liebe und Verstehen für das Lehramt von Papst und Bischöfen wünschen würde. Möge der Same, den Sie säen, aufgehen, und viele Frucht tragen für das erneuerte Leben der Kirche, dessen „Quelle und Höhepunkt", ja dessen wahres Herz eben die Liturgie ist und bleiben muß.

    Gerne gebe ich Ihnen den erbetenen Segen und bleibe mit herzlichen Grüßen

    Ihr
    Josef Cardinal Ratzinger




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 17/10/2009 12:18

    sabato 17 ottobre 2009

    Relazione al convegno sul motu proprio di mons. Athanasius Schneider

    Mons. Schneider - nella foto, durante la Messa prelatizia di questa mattina - è un giovane (48 anni) vescovo ausiliario di Karaganda, Kazakistan, dove i suoi genitori, tedeschi, furono deportati durante gli anni sovietici

    La sua relazione ha per titolo La sacralità e la bellezza della Liturgia nei santi Padri.

    Il libro dell'Apocalisse dipinge la liturgia celeste come modello di quella terrestre: quello è il modello liturgico dai tempi apostolici e fino al Concilio Vaticano II. Lo confermano gli scritti di
    Clemente I (primo secolo), la Passio Perpetuae Felicitatis, l'Anafora di Gerusalemme, le Catechesi Mistagogiche (III-IV sec.), S. Giovanni Crisostomo. Occorre dunque tornare alla pristina sanctorum patruum norma. San Clemente Papa ricorda come nel rito ci si debba conformare agli angeli che rendono il culto celeste e all'inno angelico dell'Apocalisse, il Trisaghion, Santo Santo Santo.

    Coprirsi la faccia, inchinarsi, dare a Dio uno e trino il primo ed unico posto: questi i gesti degli Angeli dell'apocalisse nel culto all'Onnipotente.

    Il culto dev'essere un Ordo (in greco tàxis), un ordine, dice Clemente nel primo secolo. Esso, cioè, dev'essere precisamente predeterminato e non lasciato all'improvvisazione.

    La seconda testimonianza (il rapporto del martirio di Pepetua e Felicita) del II secolo, di ambiente africano, ci dice che le martiri entrate in Paradiso sentono cantare il Trisaghion dagli Angeli.

    La Anafora di S. Giacomo rappresenta la tradizione liturgica di Gerusalemme, del IV secolo. Anche qui si rimanda per speculum la liturgia terrena a quella angelica. Si ricordano anche i serafini, che circondavano il trono dell'Altissimo e con le loro sei ali, con due si coprivano la faccia, con due i piedi, e con due volavano, secondo Isaia. L'Anafora ci dice che i serafini cantano incessantemente la teologia, ossia, nel senso di quel testo, cantano la lode e adorazione di Dio. La dossologia deve essere teologia: ossia, il culto esterno deve svolgersi in modo da esprimere la Fede in Dio uno e trino. Rendere gloria (doxa) significa esprimere la fede. Per cui la liturgia dev'essere assolutamente teocentrica; un antropocentrismo nella liturgia è completamente estraneo alle idee dei Padri.

    Da queste reminiscenze serafiche, nell'antico rito romano, deriva il coprirsi le mani nella benedizione eucaristica, o le chiroteche dei vescovi, o il gesto del suddiacono che copre le mani, o la velatura degli oggetti liturgici. Nella liturgia orientale tale ruolo è svolto dall'iconostasi.


    Il fatto di porre oggi il seggio del sacerdote al centro, è quanto di più opposto e contrario al pensiero dei Santi Padri e al senso mistagogico che ci viene dalla divina rivelazione, in primo luogo dall'Apocalisse. Anche il fatto di toccare le specie da parte dei laici, e specie senza velature né gesti di adorazione, è in contrasto con questo senso della liturgia.

    S. Giovanni Crisostomo nella sua omelia su Isaia esalta che ai sacerdoti sia concesso il potere di toccare con le loro mani consacrate ciò che ai serafini non è possibile toccare. Infatti Isaia il serafino con le molle prese il carbone, che Isaia passò poi sulle labbra per purificarsi, toccando quanto il serafino solo con molle aveva osato prendere. E quanto più prezioso, alto e bruciante è il Corpo del Signore, il Sancta Sanctorum.

    Per questo adorazione, riverenza, gesti di latrìa nella liturgia non possono essere omessi nella liturgia, perché l'esempio di essi ci viene dagli Angeli. La proskynesis, la prostrazione adorante, è negli scritti dei padri associato alla velatura e al culto.

    Le riforme liturgiche, tanto dopo il Concilio di Trento quanto nella Sacrosanctum Concilium, si richiama alla "antica norma dei Santi Padri". Occorre quindi esprimere più chiaramente il sacro (SC 21). Un ritorno ai Padri non può quindi portare ad una riduzione dei gesti di reverenza e di adorazione, ma semmai un loro aumento, in modo da esprimere in modo ancor più evidente e comprensibile il terribile mysterium.



    In diretta dal convegno di Roma: presentazione del P. Nuara

    Dai vostri inviati al convegno romano sul motu proprio:

    Dopo la Messa prelatizia di mons. Schneider, ha inizio il convegno col canto del Veni creator, in una sala strapiena, con gente in piedi, mentre molti si sono dovuti sedere in stanze laterali.

    Il Padre Nuara apre i lavori ricordando come il motu proprio, specie sulle prime, fu in molti ambienti ecclesiali snobbato e considerato provvedimento caduco e di applicazione pressoché nulla. Con conseguenti gravi opposizioni, che sono poi un'ulteriore spia di quella crisi della Chiesa che l'allora card. Ratzinger considerava essere conseguenza principalmente del crollo della liturgia.

    Una nuova liturgia troppo incentrata sull'uomo, su un vago filantropismo, su una dimensione puramente comunitaria ha comportato, come dice mons. Gherardini, una Chiesa che ha ridotto in buona parte la Messa ad una tavola fraterna, l'ecclesiologia ad una dimensione sociologica.

    Gli oppositori del motu proprio sono i fautori di una pretesa nuova Chiesa che sarebbe nata dal cantiere conciliare. Come diceva il card. Ratzinger: la liturgia postconciliare è un grande cantiere, ma un cantiere di cui s'è perso il progetto, e ognuno va avanti anarchicamente per la sua strada. Ma dividere la Chiesa tra pre e post Concilio è stato un sacrilegio. La Chiesa è una, anche diacronicamente.

    Per molti il motu proprio è uno spauracchio mortale, perché li fa temere che la Chiesa possa 'tornare indietro'. Ma anche se fosse così, la Chiesa, in realtà, va sempre avanti. Recuperando elementi e tesori perduti.

    Oggi la vera novità della Chiesa è la Tradizione e operare per il suo recupero è cogliere il segno più chiaro dei tempi. Pena l'aggravarsi e lo sprofondare della crisi della Chiesa.

    Quale la situazione dell'applicazione del motu proprio? Dopo due anni, molto è cambiato. Aumentati gli altari dove si celebra l'antico rito, aumentate le Messe, i sacerdoti, i fedeli e, cosa rimarchevole, moltissimi giovani. Anche i vescovi si avvicinano a questo rito come, questa mattina, mons. Schneider. Ma certo la strada è ancora lunga, e per molti aspetti ancora dura.

    Attendiamo ancora una Messa alla Rai, alla Radio Vaticana, Sat 2000, Tele Pace, ecc. Però (notizia in anteprima dataci da P. Nuara) Radio Maria trasmetterà la prima domenica di avvento (domenica 29 novembre, ore 1o,30) la prima Messa tridentina.

    Ci sono ancora sacerdoti derisi, impauriti, minacciati; laici esasperati e rimandati a mani vuote. E' nota l'intolleranza degl'intolleranti. E proprio da chi più si sciacqua la bocca di accoglienza e tolleranza.

    Ma di queste sofferenze spirituali e battaglie, Nostro Signore si serve per santificarci, purificarci e farci avvicinare al Suo Sacrificio. Questo è il tempo dell'offerta: le persecuzioni sono il nostro offertorio. Perché la Chiesa deve rimeritare davanti a Dio quello che ha abbandonato o perfino rigettato con tanta superficialità.

    In tutte le diocesi in cui v'è stata maggiore opposizione, i frutti sono stati ancora maggiori, dando maggiore volontà e determinazione a sacerdoti e fedeli.

    E comunque: alle Messe va poca gente, nei seminari ancor meno; vogliamo forse rigettare questa gente? Bisogna essere rispettosi alla Gerarchia, ma anche farsi valere quando il loro diritto è la volontà del Santo Padre. Un lungo appplauso spontaneo ha accompagnato il ringraziamento a Benedetto XVI nel corso della relazione.


    [Modificato da Caterina63 17/10/2009 12:19]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 17/10/2009 23:31

    Seconda Relazione "Cattolicità e Romanità della Chiesa nell'ora presente" del Prof. Roberto De Mattei

    Il prof. Roberto De Mattei, professore di Storia della Chiesa e del Cristianesimo all'Università Europea in Roma ha trattato ora della provvidenziale cooperazione dei valori e degli strumenti della cultura romana che nei primi secoli dopo Cristo furono al servizio della diffusione del Cristianesimo.

    Sin dall'inizio della storia del Cristianesimo Roma ebbe un ruolo predominante rispetto ad altre città cristiane. Al Vescovo di Roma venne riconoscito sembre maggiore influenza e supremazia anche, a volte, grazie alle note difese dottrinali in numerosi Concilii.
    Così come sulle grandi strade consolari avevano, prima, marciato le legioni romane per la conquista delle terre allora conosciute, saranno poi percorse dagli evangelizzatori per "conquistare" nuovamente, con l'annuncio della lieta novella, le province dell'Impero Romano.
    Fu provvidenziale inoltre la coincidenza della centralità dell'Impero con quello del Cristianesimo: Roma, da cui ereditò il latino.

    La lingua dei romani divienne così quella della Chiesa: lingua conosciuta dalla popolazione si fece veicolo della nuova religione e rese di immediato apprendimento la dottrina, in maniera facile e velocissimo.
    Però Dio non si accontentò dei limiti di Roma, e andò oltre.

    A San Leone Magno, mentre crollava la cultura e la società romana, bisogna riconoscere il merito della romanizzazzione del Cristianesimo: esso innestò nelle rovine dell'Impero Romano i semi per la crescita del Cristianesimo. Il frutto che ne derivò fu lo splendore e l'autorità morale e religiosa del Papato in un periodo di anarchia in cui esso solo rappresentava la luce e l'ordine per i popoli dell'Europa del V secolo e succesivi (fino al Sacro Romano Impero).
    L'importanza per il Cristianesimo della centralità di Roma, luogo in cui si costudiscono i valori necessari per la vitalità della vita occidentale, era ben chiara anche a Lutero, che fece della "s-romanizzazione" della Chiesa Cattolica il centro focale della sua eresia, per cercare di far crollare il magistero papale e la dottrina che esso difendeva.

    Le edicole della Madonna, che a mille e mille abbelliscono le vie, i viali, i vicoli della città Santa, piansero quando a Roma venne alzato l'alberto della Repubblica, in ossequio alle vane ed effimere idee giacobine e che privarono al Papa della sua città.
    Allo stesso modo cercò Mazzini, nella sua visione laicista del Regno d'Italia, di togliere Roma al Papa, per privare il Successore di Roma della città che non solo ospitava la cattedra di Pietro ma che era idealmente e istituzionalmente il fondamento della dottrina Cattolica.
    In oggi quindi, noi tutti dobbiamo difendere la Romanità, e quindi la Cattolicità, che rappresenza non solo una forma mentis, anch'esse importantissime per la nostra causa, ma soprattutto l'armatura canonica della dottrina cattolica, che in essa si identifica.
    Il nostro movimento per la difesa dell'antica liturgia, non è solo un movimento liturgico, ma anche morale, dottrinale, poichè se è romana la liturgia (ars orandi) è romana anche la fede (ars credendi).

    Allora ognuno di noi quindi, deve assumere su di sè la responsabilità di difendere Roma: città del primato di Pietro, su cui Nostro Signore edificò la Sua Chiesa; città del Papa, successore di Pietro e capo della Chiesa. Città da cui trae forza morale ogni cattolico e a cui guarda con fiduciosa speranza e da cui trae ineffabile sostegno.




    Dal Convegno di Roma: foto S. Messa di Mons. Schneider

    Orazioni alla vestizione dei paramenti






























    Dal convegno: Comunicazione dell'Abate Zielinski su "L'arte sacra al servizio della Liturgia cattolica"

    Se pur Nostro Signore non prese posizioni sull'arte, è certo che durante la Sua vita egli ebbe una certa attenzione e molta cura per quanto riguardava il decoro e il gusto per certe cose: tempio, olii di maria, tappeto all'ingresso di Gerusalemme, ultima cena al primo piano e riccamente decorata.

    Durante la vita della Chiesa, quindi è parso normale abbellire e rendere ancora più degne le suppellettili per le celebrazioni dei riti, in considerazione del loro uso. Se ne realizzarono di nuove, e si modificarono quelle antiche.

    L'arte cristiana nacque come spontaneo frutto dello spirito e come necessità liturgica, sia in oriente sia in occidente. Essa si sviluppò ugualmente spontaneamente sia grazie alla pietas dei ministri di Dio sia grazie all'iniziativa degli artisti.

    Quella cristiana è l'arte per eccellenza perchè è l'unica che sa tradurre il bello trascendentale, che esprime la lode verso Dio, e che diventa, per tanto, un sacramentale. Per lo scopo sacro e divino che essa vuole rappresentare e per cui vuole servire, l'arte sacra riesce a comunicare bellezza e sentimento di grazia. Essa è fondata sulle caratteristiche ontologiche e comunica il fondamento della bellezza per antonomasia: quella divina.

    In riferimento al cubo di Fuksas a Foligno, il relatore ci ha detto essere non tanto un cubo, quanto piuttosto un incubo.



    Relazione del Superiore dei Francescani dell'Immacolata

    Padre Manelli ha portato un'ampia relazione di alto carattere spirituale cui faremmo torto tentando una sintesi, inutile specie considerando ch'essa verrà riportata nell'interezza dal sito dei Francescani dell'Immacolata.

    Ma almeno una cosa vogliamo riportare: lo "sgomento" (testuale) trasmesso per il crollo dei dati numerici dei religiosi negli ultimi 40 anni, come innegabile conseguenza degli smarrimenti postconciliari. Solo per i francescani: sono diminuiti di 12.000 persone in 40 anni. "Ma ci vogliono 3 secoli per fare 12.000 religiosi". E non parliamo dei 6.000 domenicani, dei 15.000 gesuiti, e così via. E pensare che negli anni '60 v'era una straordinaria fecondità di vocazioni religiose. All'epoca la frequenza religiosa era oltre il 60% dell'intera popolazione.

    Perché questa influenza negativa, anzi disastrosa del novus ordo? Perché senza la liturgia la fede crolla; e specie la vita religiosa, che è simbiosi e sinergia con la liturgia. Liturgia e vita religiosa simul stabunt et simul cadent. Una liturgia ben fondata, salda e compatta, è dimostrata da una vita religiosa in crescita e feconda. E viceversa...

    Lutero iniziò con la vernacolarizzazione della liturgia. Sapeva bene che colpendo la lingua latina della liturgia, avrebbe colpito al cuore il baluardo del cattolicesimo.

    P. Manelli ha ben distinto tra le speranze nate dalla Sacrosanctum Concilium e, invece, la sua distruttiva attuazione postconciliare.

    Su una nota positiva, P. Manelli ha ricordato che il Santo Padre, per l'anno sacerdotale, ha associato al Curato d'Ars il Santo Pio da Pietralcina quale modello dei religiosi.


    Brunero Gherardini: il motu proprio e l'ermeneutica della continuità


    Ecco la relazione al convegno sul motu proprio di mons. Brunero Gherardini, colonna della scuola teologica romana. Il quale, nonostante lo spessore della relazione, si è rivelato ricco di verve e sense of humour. Si può ben dire che il monsignore non le manda a dire.

    Il motu proprio riafferma la continuità della Tradizione ecclesiastica in campo liturgico. Il relatore ha riferito però del "morso edace della polemica" (bell'espressione: edace da edere, mangiare) che ha accompagnato questa decisione papale. Polemica proveniente perfino da vescovi e cardinali: cardinali che dovrebbero essere cardini del pontificato, e non suoi "picconatori" (citiamo). Ecco la rottura, lo scandalo e la contraddizione.

    Anche la revoca delle scomuniche ai vescovi lefebvriani ha visto equivoci e polemiche strumentali. Specie da parte dei "cosiddetti fratelli maggiori".

    Che cosa si intende per ermeneutica? Secondo Gherardini, il Papa non aveva in animo, con quella parola, di tornare a concetti idealistici e soggettivistici, bensì voleva dare un nome a criteri interpretativi.

    Per il gruppo della Scuola di Bologna, il Vaticano II chiude un'epoca e ne apre un'altra. Il linguaggio stesso del postconcilio, suggerito dall'entusiasmo (quindi non dalla riflessione, o dalla razionalità) parlava di 'nuova autocoscienza ecclesiale', nuova ecclesiologia, prima e dopo, chiesa nuova, profetica e futura, e vecchia morta e seppellita.

    Essendo la fede per sempre, la sua continuità è una necessità logica: fedeltà assoluta alla immutabilità del proprio statuto, la Tradizione. Tradere significa trasmettere, consegnare, comunicare in latino. E di questa trasmissione, dicono Matteo e Paolo, nemmeno un angelo venuto dal cielo avrebbe potuto scambiare un apice o uno iota. I Padri della Chiesa, e tra questi S. Agostino, parlano di traditio dominica o traditio apostolica.

    In Giovanni si dice: lo Spirito Santo che vi manderò vi ricorderà quanto vi ho insegnato. Si noti: non aggiungerà nuove cose, ma semplicemente ricorderà un corpus di verità già rivelato da Gesù Cristo nella Sua missione terrena.

    S. Paolo a Timoteo affermò che la grazia ricevuta con l'imposizione delle mani lo abilitava a trasmettere la verità ricevuta a uomini 'sicuri'. Ecco già in atto la catena della successione apostolica. Tertulliano parla di trasmissione della 'semente apostolica'. Gli Apostoli trasmisero solamente quanto avevano da Cristo ricevuto ratione Ecclesiae. Non i carismi personali, ma le sole verità riguardanti la Fede e la Chiesa. Al successor viene trasmesso un deposito di cui diventa custos et traditor, ossia custode e trasmissore. Ossia di quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est.

    Tradizione non è comunque fissità, poiché acquisizioni sempre nuove possono aversi approfondendo la conoscenza della verità, che è di sempre e per sempre. Nova et vetera. Significati prima nascosti o non pienamente recepiti verranno, sotto l'azione dello Spirito Santo, alla superficie della conoscenza cristiana. La Tradizione è vivente, ma non nel senso con cui i novatori usano quel participio. Per i novatori è vivente la tradizione che assorbe le dinamiche del momento contemporaneo. Per tradizione vivente si intende da taluni 'maturazione culturale' della Chiesa. Ma una tradizione del genere, più che vivente, è morta. Oggi è convinzione dei novatori che il Concilio Vaticano II è, allo stato, la risposta ai problemi del momento e quindi, più 'vero' (per quel criterio) di quanto l'ha preceduto.

    Ma la verità è una, di Cristo, ed è stabilita fino alla fine dei secoli.



    Fraternamente CaterinaLD

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    00 19/10/2009 21:03

    Liturgia: «Summorum Pontificum, un grande dono per tutta la Chiesa».

    .


    di Gianni Cardinale

    Roma - «Un grande dono per tutta la Chiesa». Con questo titolo, che è un programma, si è svolta ieri a Roma, nella Casa Bonus Pastor, la giornata centrale del 2° Convegno sul motu proprio Summorum Pontificum con cui nel 2007 Benedetto XVI ha dato piena cittadinanza nella Chiesa, come «forma straordinaria» del rito romano, al Messale latino in uso fino all’entrata in vigore della riforma liturgica di Paolo VI.

    L’incontro, organizzato da «Giovani e Tradizione» e dall’Amicizia sacerdotale Summorum Pontificum , è stato moderato dal domenicano Vincenzo Nuara, che non ha nascosto le non poche difficoltà che incontrano coloro che voglio applicare il motu proprio.

    La prima riflessione è stata quella del vescovo Athanasius Schneider, ausiliare di Karaganda in Kazakhstan, su «La sacralità e la bellezza della liturgia secondo i Santi Padri della Chiesa».

    Il presule è autore di un fortunato libriccino (titolato Dominus est) edito dalla Libreria editrice vaticana agli inizi del 2008, e pluritradotto in varie lingue, in cui si auspica, per motivi spirituali e pastorali, il ritorno alla ricezione della comunione in bocca e in ginocchio.

    Prassi che il cerimoniale pontificio ha introdotto in modo esclusivo – per chi prende l’Eucaristia dal Papa –, a partire dal giugno dello stesso anno.

    «Considero – spiega Schneider – questo fatto rilevante perché lo fa il Pastore Universale della Chiesa e lo fa dovunque vada. Credo lo abbia fatto dopo aver riflettuto bene e a lungo.

    Si tratta di una specie di magistero liturgico pratico. Immagino si tratti di un invito, silenzioso e delicato, ad essere imitato». Altre relazioni della mattinata sono state quelle del professor Roberto De Mattei, dell’abate Michael John Zielinski, vicepresidente della Pontificia Commissione dei Beni culturali della Chiesa, e di monsignor Valentino Miserachs-Grau, preside del pontificio Istituto di Musica sacra.

    Nel pomeriggio padre Stefano M. Manelli, fondatore e ministro generale dei Francescani dell’Immacolata, ha parlato del ruolo del motu proprio Summorum pontificum per la crescita della vita religiosa.

    Infine la molto attesa relazione di monsignor Brunero Gherardini, decano emerito della facoltà di teologia della Lateranense, sul tema, di grande attualità, dell’ermeneutica della continuità.

    Ad ascoltare la riflessione era presente anche monsignor Guido Pozzo, il segretario della Commissione Ecclesia Dei che coordinerà l’imminente 'dialogo teologico' tra Santa Sede e lefebvriani.

    Nel corso della giornata è stato presentato anche una indagine demoscopica, commissionata alla Doxa, in base alla quale tra gli italiani interpellati che si professano cattolici il 71% considera normale che nella propria parrocchia possano essere celebrate entrambe le forme liturgiche, l’ordinaria e la straordinaria. Mentre il 21% dichiara che ci andrebbe tutte le settimane e il 12% ogni mese.


    © Copyright Avvenire, 18 ottobre 2009. Foto J.P.Sonnen per Orbis Catholicus.


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    00 22/10/2009 19:18

    FOTO DAL CONVEGNO - Canto del Te Deum con Mons. C. Perl

    A termine del Convengo, i Sacerdoti e i fedeli che hanno partecipato, si riuniscono nella cappella della Casa Pastor Bonus per intonare l'Inno del Te Deum di ringraziamento e per ricevere la Benedizione Eucaristica impartita da Mons. Perl.

    Sacerdoti e Seminaristi dello
    Istituto di Cristo Re


    Preparazione dell'altare



    Esposizione del SS.mo Sacramento





    Infusione dell'incenso



    SS.mo Sacramento esposto solennemente



    Canto del TE DEUM



    Mons. Perl impartisce solenne
    Benedizione Eucaristica

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/10/2009 21:33

    Domenica scorsa: I partecipanti convegno all'Angelus del Papa

    La domenica 18 ottobre, terminato il solenne pontificale in San Pietro, il Gruppo dei partecipanti al Convegno, si è recato in Piazza San Pietro per recitare la preghiera dell'Angelus col Papa.
    Al termine, il Pontefice ha salutato, tra gli altri, i partecipanti al Convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum:


    Saluto inoltre i partecipanti al convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum, svoltosi in questi giorni a Roma






    ***

    A guidare il gruppo e a dare il proprio sostegno con la preziosa presenza e l'esemplare testimonianza, erano le Loro Eccellenze Mons. Burke e Mons. Schneider (a cui nuovamente rivolgiamo i nostri più sinceri sensi di riconescenza e gratitudine) .




    ***

    Ore 12:00 - Il Santo Padre si affaccia alla finestra del suo studio per la recita dell'Angelus

    Per il video del saluto del Papa ai giovani partecipanti al Convegno, si veda il Link
    ***
    I giovani e i fedeli tradizionalisti si segnano, in ginocchio, quando il Papa imparte la benedizione apostolica.



    ***

    Un applauso per salutare il Papa.


    ***
    Terminato l'Angelus, e al suono delle campane della Basilica, è il momento dei saluti.







    Un grazie al Blog Messainlatino


    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 29/10/2009 01:17

    Angolo destro: che cosa intende B-XVI quando pensa a una rivoluzione della liturgia.

    Una lettura di segno opposto, si riferisce all’estetica dell’Eucarestia di un vecchio libro del Papa per leggere la riforma liturgica benedettiana.


    Il Centro.


    di Roberto De Mattei


    L’impulso dato alla liturgia romana dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI non si esprime solo nel numero crescente di messe tradizionali celebrate in ogni parte del mondo, ma anche nella inaspettata fioritura di scritti e articoli che di quel rito motivano e diffondono le ragioni.

    Tra i testi apparsi nelle ultime settimane, il primo da ricordare è il volume di Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI,
    “Davanti al protagonista. Alle radici della liturgia”, pubblicato da Davide Cantagalli, una raccolta di contributi apparsi tra il 1977 e il 2005, che ci permette di avere un quadro unitario del pensiero del Papa in tema di liturgia.

    Alcuni testi sono tratti da opere note, come
    l’Introduzione allo spirito della liturgia (2001), ma altri preziosi perché di difficile reperimento, come la prefazione all’edizione francese del libro di mons. Klaus Gamber, “La Réforme liturgique en question (1992)”, e la conferenza presso l’abbazia di Fontgombault nel corso del convegno sulla liturgia che si tenne dal 22 al 24 luglio 2001.

    Quest’ultimo convegno internazionale, a cui il cardinale Ratzinger partecipò per tre giorni, aprendo e chiudendo i lavori, costituisce un passaggio chiave della “svolta liturgica” degli ultimi anni. Un attivo e colto parroco romano, don Roberto de Odorico, ha annunciato come imminente la pubblicazione integrale degli atti dell’incontro, già apparsi in lingua inglese e francese, con il titolo “La Questione liturgica”.

    Altre iniziative vanno segnalate.
    La prima è la stampa degli atti del convegno, tenutosi a Roma, dal 16 al 18 settembre 2008, su il Motu Proprio Summorum Pontificum, “Una ricchezza spirituale per tutta la chiesa” a cura del padre domenicano Vincenzo M. Nuara. Il volume, che vede la partecipazione di relatori come Nicola Bux, Manfred Hauke, Michael Lang, Camille Perl, Massimiliano Zangheratti, è aperto da una lettera di mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia commissione “Ecclesia Dei” e da una presentazione di padre Giovanni Cavalcoli, anch’egli teologo domenicano. Alla casa editrice che lo stampa, Fede e Cultura, si deve, in questi stessi giorni, la pubblicazione del volume “Liturgia fonte di vita” di don Mauro Gagliardi, con prefazione dell’arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il clero. In occasione del primo anniversario del Motu proprio pontificio, le suore francescane dell’Immacolata, di Città di Castello, ristamparono da parte loro il volumetto “La Santa messa” di dom Prosper Guéranger, l’abate di Solesmes che restaurò il Rito romano nel XIX secolo. Oggi, le stesse benemerite claustrali francescane propongono un altro libricino sullo stesso tema: “
    Questa è la Messa”, di Henri Daniel Rops il celebre storico e accademico di Francia. Il testo è stato tradotto, e in alcuni punti rimaneggiato, dall’edizione in lingua inglese, che apparve negli Stati Uniti, nel 1958, con una ampia prefazione dell’arcivescovo Fulton Sheen.

    L’opera appare tanto più significativa in quanto Daniel Rops – il cui nome è stato recentemente ricordato anche da Benedetto XVI nel suo
    Gesù di Nazaret – non può essere ascritto al movimento tradizionalista o “ultramontano” francese. Scrittore cattolico di largo successo, di posizioni politiche e religiose “moderate”, egli dà voce in questa operetta fatta di riflessioni teologiche e di elevazioni spirituali, a quello che, fino alla riforma liturgica del 1969 era l’“unum sentire” della chiesa cattolica. Questo antico “unum sentire” sembra riaffiorare e prender corpo in un movimento che non è solo liturgico, ma anche teologico, per la stretta relazione che unisce fede e liturgia, secondo l’antica massima lex orandi, lex credendi. A Fontgombault il cardinale Ratzinger toccò questo tema, sottolineando come l’idea teologica del sacrificio stesse divenendo estranea alla moderna liturgia, omologandola al Credo luterano. Per Lutero, infatti, parlare di sacrificio era “il più grande e più spaventoso abominio” nonché una “maledetta empietà”. Ma oggi, secondo il cardinale, una parte non trascurabile di liturgisti sembra praticamente giunta al risultato di dare sostanzialmente ragione a Lutero contro il Concilio di Trento.

    “Il nuovo illuminismo oltrepassa però di gran lunga Lutero (…). Ritorniamo al nostro quesito fondamentale: è giusto qualificare l’eucarestia come divin sacrificio o è questa una maledetta empietà? (…) La scrittura e la tradizione formano un tutto inseparabile, ed è questo che Lutero (…) non ha potuto vedere”. Tutti i volumi che abbiamo citato ripropongono la medesima verità: il sacrificio della Messa non è un memoriale, o una semplice oblazione, come volevano i protestanti, ma un vero sacrificio, offerto da Cristo, sacerdote e vittima. Oggi si sente spesso parlare dell’eucaristia come “banchetto” o “cena”. Il rito romano antico non permette equivoci di sorta. Nulla meglio di esso esprime ciò che la messa è nella sua essenza: santo sacrificio. Il sacerdote che celebra la messa secondo il rito tradizionale non può ingannarsi a questo proposito. Nella liturgia romana si esprime, senza errori, la fede della chiesa cattolica sul sacramento dell’eucaristia.

    Il nuovo movimento liturgico di cui Benedetto XVI ha più volte auspicato la nascita non è solo il ritrovamento della dimensione estetica della liturgia, sfigurata da chitarre e battimani nelle cerimonie ecclesiastiche.

    Se la liturgia esprime la fede come il linguaggio esprime il pensiero, la rinascita liturgica non può che accompagnarsi a una rinascita dottrinale. Il rito antico si ripropone oggi in tutta la sua forza che deriva dal suo impianto teologico, dalla sua sacralità e dalla sua sobria bellezza. In questo senso la ricchezza della liturgia latino-gregoriana è realmente la vera speranza della chiesa.

    Il secondo
    convegno promosso da padre Vincenzo Nuara per celebrare il Motu Proprio Summorum Pontificum si aprirà a Roma il 17 ottobre presso l’Istituto del Buon Pastore e si preannuncia come un’importante tappa di questo movimento di rinascita ecclesiale.

    Fonte © Copyright Il Foglio, 27 ottobre 2009.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 05/11/2009 13:05

    Convegno sul SP: le riflessioni di un partecipante.

    A distanza di alcuni giorni dal Convegno sul Summorum Pontificum dello scorso ottobre riportiamo l'entusiasmo di uno dei partecipanti che ha voluto condividere con noi queste righe.



    Il 17 e il 18 ottobre ho avuto la possibilità di essere presente forse ad uno dei convegni più belli a cui abbia mai partecipato. Si tratta del II Convegno Motu Proprio Summorum Pontificum organizzato da “Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum” e “Giovani e Tradizione”.

    Il convegno, al quale hanno preso parte moltissime persone tra sacerdoti, religiosi, religiose e laici, ha visto la partecipazione di relatori molto importanti per dignità ecclesiastica, alta competenza sugli argomenti trattati e grande esperienza per analizzare con obiettività tutti i nodi fondamentali relativi al Post-concilio. Li elenco qui di seguito secondo l’ordine cronologico degli interventi: P. Vincenzo M. Nuara O.P., Moderatore del Convegno; S.E.R. Mons. Athanasius Schneider C.R.S.C., Vescovo Ausiliare di Karaganda in Kazakhstan; Prof. Roberto De Mattei, Docente di Storia della Chiesa e del Cristianesimo presso l’Università Europea di Roma; M.R.D. Michael John Zielinski O.S.B. Oliv., Vice-presidente della Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra; M.R. Mons. M° Valentino Miserachs Grau, Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra; P. Stefano M. Manelli F.I., Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell’Immacolata; M.R. Mons. Prof. Brunero Gherardini, Ordinario Emerito di Ecclesiologia e Decano Emerito della Facoltà di Teologia nella Pontificia Università Lateranense, Canonico Vaticano.

    P. Vincenzo Nuara nella sua prolusione ha sottolineato come negli ultimi quarant’anni sia avvenuto un vero e proprio crollo della liturgia causato dal forte antropocentrismo che ha caratterizzato l’interpretazione più diffusa del Concilio Vaticano II. A questo proposito egli ha ricordato il discorso di S.S. Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 ed ha affermato che l’aver diviso la Chiesa in Pre-conciliare e Post-conciliare è stato un sacrilegio. Il P. Nuara ha poi sottolineato espressamente che “oggi la vera novità è la Tradizione, pena l’estinzione della Chiesa stessa” ed ha esortato a non aver paura del Concilio Vaticano II perché non si può aver paura della Chiesa e della sua storia.


    Mons. Athanasius Schneider nella sua relazione ha sottolineato che “fare riferimento alle fonti patristiche non deve essere archeologismo liturgico” e si è soffermato in particolare sugli scritti di Clemente I (I. sec.), sulla Passio Perpetuae et Felicitatis (II-III sec., Africa Settentrionale) e sull’Anafora di S. Giacomo (III-IV sec., antica tradizione liturgica di Gerusalemme, madre di tutte le comunità cristiane): queste tre fonti rappresentano quella omogeneità liturgica che si esprime fin dai tempi apostolici e sub-apostolici. Negli scritti di Clemente I si trova già il termine ordo da cui deriva l’espressione ordo missae. Nell’Anafora di S. Giacomo si afferma che al momento del Sanctus tutta l’assemblea liturgica canta insieme agli angeli; la bocca dei Serafini canta incessantemente la teologia (nel senso di parlare di Dio e cantare la Sua gloria). Anche la dossologia (culto esterno) deve essere fortemente teocentrica: infatti è necessario anzitutto “essere orientati a Dio e alla Sua gloria, adorare la maestà di Dio in una dimensione di verticalità, trascendenza, adorazione, prostrazione (in greco proskýnesis)”; così “la liturgia è simultaneamente umana e divina, dove l’umano è orientato e subordinato al divino”. I Serafini, ai quali si unisce l’assemblea liturgica, cantano, dunque, incessantemente la teologia: ciò si ritrova anche nella Costituzione Sacrosanctum Concilium (n. 83), che recita: “Il culto cattolico è un culto razionale(in greco logiké latréia)”.

    Il Prof. Roberto De Mattei nel suo intervento ha spiegato in modo mirabile come “nella romanità si riassume in modo visibile il Corpo Mistico di Cristo”: per questo motivo è necessario continuare ad usare la denominazione “Santa Chiesa Cattolica Romana”. A sostegno di ciò il professore ha citato S. Prospero di Aquitania e S. Leone Magno, per i quali è stata la Provvidenza a scegliere Roma quale sede della Cattedra di S. Pietro: da Roma il Cristianesimo poteva così irradiarsi in modo più facile e ampio seguendo le antiche strade dell’Impero. S. Tommaso d’Aquino condivide tutto ciò e aggiunge che Gesù non è nato a Roma ma a Betlemme perché doveva esprimere la Sua potenza nascendo in un luogo umile. Anche S. Caterina da Siena, richiamando Gregorio XI a Roma da Avignone, ribadì che “la Sede di Roma è il Principio e il Fondamento della nostra Fede”. Nella Pastor Aeternus si riafferma ciò che fu stabilito nel 1439 al Concilio di Firenze e cioè che il “Romano Pontefice è superiore a tutto il creato” e quindi agli stessi Concilii. Da qualche tempo purtroppo sono in atto due processi concentrici: la “de-romanizzazione” della Chiesa e la “de-cristianizzazione” di Roma, i quali confluirono nel Risorgimento italiano per poi riemergere nel Post-concilio: in verità, conclude il Prof. De Mattei, soltanto lo “spirito romano” è in grado di trasmettere il sensus Ecclesiae.

    Ecco ora le due interessanti comunicazioni di argomento artistico-musicale. L’abate Michael John Zielinski nel suo intervento ha sottolineato come l’arte sacra debba essere sempre a servizio della liturgia. Sono pertanto deprecabili tutti gli orientamenti antropocentrici e antropomorfi che hanno influenzato negli ultimi tempi l’arte sacra, anche a causa dello sganciamento di quest’ultima dalla liturgia cattolica.

    Mons. Miserachs Grau nella sua relazione ha evidenziato che l’antiromanità, di cui era a suo parere pervasa la commissione che redasse il documento post-conciliare Musicam sacram, ha determinato la rottura con il patrimonio musicale della Tradizione. S. Pio X scrisse nel motu proprio Inter sollicitudines del 22 novembre 1903, che “il canto gregoriano è vincolo formidabile di unità cattolica”. Il 22 novembre 2003 Giovanni Paolo II emanò il chirografo “Mosso da viva gratitudine” a ricordare l’attuale validità del documento scritto cent’anni prima dal Suo venerato predecessore S. Pio X: purtroppo quel chirografo di Giovanni Paolo II non sembra aver avuto quella risposta che il Pontefice stesso auspicava.

    La relazione di P. Stefano M. Manelli F.I. è stata di una edificazione spirituale straordinaria. Egli in qualità di Ministro generale dei Francescani dell’Immacolata – congregazione che ha accolto ed applicato in modo esemplare il motu proprio Summorum Pontificum – ha illustrato quanti frutti di grazia si possano sviluppare nella vita religiosa a partire dallo stesso motu proprio. Purtroppo si constata che la maggior parte degli Ordini e Congragazioni religiose non hanno dato finora segnali di accoglienza del testo del Papa, il quale sicuramente sperava e spera in una più ampia e decisa risposta. Nella S. Messa secondo la forma straordinaria l’umano è subordinato al divino: Cristo è al centro, nel Crocifisso, sull’altare e nel tabernacolo. L’uomo, dando gloria a Dio nel S. Sacrificio della Messa, riceve da Lui la grazia per camminare in santità, verità e carità. Tale grazia si manifesta in modo più pieno attraverso un rito, quello antico, in cui ogni azione liturgica esprime razionalmente il Mistero di Dio che accetta il Sacrificio incruento di Suo Figlio Gesù Cristo dalle mani del sacerdote, accompagnato dalla preghiera di tutto il popolo.

    Nella sua magistrale relazione Mons. Brunero Gherardini ha riaffermato “la ininterrotta ed inalterabile fedeltà della Chiesa al suo atto di nascita” ed ha aggiunto che “la successione apostolica è la garanzia di tale fedeltà”: i punti fermi sono quello dogmatico e quello etico. Poi ha fatto un riferimento alla scomunica comminata ai quattro vescovi ordinati validamente ma illecitamente da Mons. Lefebvre per affermare che prevalse purtroppo quello che egli ha icasticamente definito “il morso edace dell’emozione e della polemica”. In verità, secondo il pensiero di S.S. Benedetto XVI, l’unica maniera di rendere credibile il Concilio Vaticano II è il rendere visibile la sua continuità con la Tradizione (in greco: parádosis, dal verbo paradídomi-paradidònai). È necessario inoltre il permanere della interazione tra Successio e Traditio, considerando bene che la custodia della Tradizione è affidata al Successor. Bisogna stare attenti al falso concetto di “tradizione vivente” per cui la Tradizione vale “nella misura in cui risponde e soddisfa le esigenze del momento, altrimenti è messa da parte: in realtà questo sarebbe soltanto un modo per neutralizzare la Tradizione”. L’ermeneutica teologica definita della “continuità evolutiva”, al contrario, esclude tutti quei criteri immanentistici che si sono imposti, dall’Illuminismo ad oggi, sia alla filosofia che alla teologia.

    Curatissime nel servizio dei chierici e sublimi nel canto gregoriano e polifonico sono state, inoltre, le Sacre Liturgie celebrate durante il convegno: esse sono iniziate con la S. Messa prelatizia in forma straordinaria celebrata da Mons. Athanasius Schneider, e proseguite con il canto del Veni Creator, la preghiera del S. Rosario, il Canto del Te Deum e Benedizione Eucaristica e culminate con il Solenne Pontificale secondo la forma straordinaria celebrato da S.E.R. Mons. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, nella Cappella del Ss.mo Sacramento della Basilica Patriarcale di S. Pietro (il primo dopo quarant’anni!). Il servizio musicale durante tutte le Sacre Liturgie è stato magistralmente svolto da un coro di Francescani e Francescane dell’Immacolata. (L.L.)


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    00 06/11/2009 19:31

    Il RAPPORTO UNA VOCE


    Lo scorso 28 ottobre la Federazione Internazionale Una Voce ha consegnato al Papa un rapporto confidenziale di un centinaio di pagine sul secondo anno di applicazione del motu proprio. Il grosso del documento è rappresentato dall'analitica raccolta, paese per paese, di testimonianze, fatti e documenti. Data la natura di tale materiale, esso non è stato reso pubblico ma posto a disposizione del Papa e dei dicasteri competenti. Tuttavia una parte della relazione, quella più generale ed introduttiva, è apparsa sul sito della benemerita associazione e, per l'importanza delle considerazioni svolte, abbiamo sostenuto la fatica di tradurne un ampio stralcio che offre un quadro generale e sovranazionale, anzi mondiale, dello stato della questione. Trovate l'originale in PDF a questo link.





    Summorum Pontificum: secondo anno - Analisi e Sintesi.

    Introduzione.

    I membri della Federazione Internazionale Una Voce in tutto il mondo hanno fornito, una volta ancora, le loro osservazioni su come il motu proprio Summorum Pontificum è in corso di attuazione nei loro paesi nel corso del secondo anno successivo alla promulgazione. Le informazioni, come nel primo anno, sono state fornite con le stesse dieci domande al fine di garantire un certo grado di analisi coerente.

    Le relazioni da singoli membri sono contenute nella parte 3 della presente relazione, ma l'analisi e sintesi delle risposte è presentata in questa parte.

    Quello che è chiaro da queste nuove relazioni è che vi è stato un grado misto di accoglienza del Summorum Pontificum, che include un grave livello di disapprovazione episcopale in molti paesi. La buona volontà mostrata da molti vescovi è stata compensata dai continui e concertati tentativi di molti altri vescovi di contrastare la volontà del Santo Padre. Le relazioni individuali dei membri della Federazione Internazionale Una Voce indicano chiaramente che il motu proprio, un documento legale emanato con tutta l’autorità del legislatore supremo, Successore di Pietro, nel suo sforzo di sanare divisioni e "arrivare a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa", viene ignorato, e, ancor peggio, viene pubblicamente disobbedito su una scala che può essere descritta solo come scandalosa.

    Il quadro generale, nonostante i numerosi ambiti di preoccupazione, rivela comunque molti aspetti positivi. Deve essere detto chiaramente che il malessere, concernente l'attuazione riluttante del Summorum Pontificum, esiste principalmente nei ranghi dell'episcopato. Molti vescovi sembrano avere paura che la loro autorità sia inficiata e reagiscono oltre misura in modo difensivo per esercitare un controllo assoluto e rigido. Ma questo atteggiamento autoritario (in chiara contraddizione con il diritto canonico: can. 16.1) sta creando un profondo e ribollente risentimento tra i loro sacerdoti e fedeli. Il pastore ha lo scopo di promuovere e proteggere il suo gregge e la cura d'anime è di primaria importanza, non di infliggere dolore e sofferenza alle anime. In contrasto con questo approccio sterile e negativo, ci sono molti in seno alla Chiesa, clero e laici, che hanno accolto il motu proprio e
    stanno lavorando energicamente per il suo successo, nonostante le sanzioni adottate contro di loro.

    Particolarmente eroici sono quei sacerdoti che soffrono il disprezzo dei loro confratelli per la loro determinazione a fornire la messa nella forma straordinaria in obbedienza al Santo Padre, e per la loro ricerca instancabile della salvezza delle anime. E questo numero è in crescita, man mano che sempre più persone, sia del clero sia laici, sono esposti alla bellezza, alla riverenza, e alla spiritualità della forma straordinaria della Santa Messa. La celebrazione dei sacri misteri, il sacrificio della Croce, non dovrebbe essere un motivo di controversia e di amarezza, ma, purtroppo, questa è la realtà e la conseguenza inevitabile della linea dura che viene adottata da molti alti prelati.

    Nonostante questa diffusa disapprovazione non vi è dubbio che vi sia stata una crescente consapevolezza tra i laici e alcuni sacerdoti. La mancanza di informazioni dalle conferenze episcopali crea una comprensibile frustrazione, ma non ha alcuna conseguenza concreta perché è internet che è la strada con la quale molti cattolici stanno diventando consapevoli del Motu Proprio. Internet sta diventando il predominante mezzo di informare i laici sull’iniziativa di Papa Benedetto XVI per mettere nuovamente la messa tradizionale a disposizione di sacerdoti e fedeli laici. I fedeli che ricordano l'antica forma di massa, e le persone più giovani che stanno scoprendo la bellezza e la spiritualità dell’antica liturgia, si uniscono a formare gruppi e presentare una petizione ai loro sacerdoti e vescovi per la Messa nella forma straordinaria. Nella maggior parte, in generale, sono i più giovani, laici e sacerdoti, che mostrano il maggiore interesse. E per converso, in linea generale, è il clero anziano che è più contrario al ripristino della liturgia antica. La domanda per la liturgia tradizionale è un movimento che sta crescendo e che non può essere arrestato, nonostante i migliori sforzi di vescovi e clero per farlo. La forma della Messa descritta da Sua Santità Papa Benedetto XVI come straordinaria ha un pedigree di più di 1.500 anni e un imprimatur, non solo del Papa attuale, ma anche, si può dire con piena giustificazione, dello Spirito Santo. Con un tale grado di appoggio la resistenza di alcuni vescovi è destinata inevitabilmente a fallire.

    Ubi caritas et amor, Deus ibi est

    1. La situazione è migliorata dal 14 settembre 2008?
    Considerando che in alcuni luoghi la situazione ha dimostrato un graduale miglioramento, non si può negare che in molti luoghi non vi è stato alcun progresso e vi è addirittura stato un deterioramento. In alcuni paesi, in particolare la Polonia, Sud Africa, e gli Stati Uniti, vi è stato un notevole miglioramento con più messe celebrate e in luoghi diversi. In alcuni luoghi, come la Nigeria, la situazione è peggiorata, e nella maggior parte degli altri la situazione è relativamente invariata. Vi è la prova evidente che molti nell'episcopato sono stati colti alla sprovvista dalla promulgazione del Summorum Pontificum e presi di sorpresa dall'interesse per la forma straordinaria, in particolare tra i loro sacerdoti e per il numero delle Messe che si celebra. Purtroppo, questa sorpresa è ora stata sostituita da una volontà di esercitare un controllo che non sarebbe in loro potere di fare. Non è esagerato dire che molti sacerdoti sono minacciati dai loro Ordinari e dai colleghi per non celebrare la forma straordinaria della Messa. In quei luoghi in cui i vescovi hanno accolto il motu proprio e in cui entrambe le forme coesistono c'è armonia e crescita nelle loro diocesi. Questa è stata la chiara intenzione del Santo Padre ed i risultati sono stati una rinascita della fede e la rigenerazione della vita parrocchiale.

    2. Avete più messe - e in luoghi diversi?
    Negli Stati Uniti, le messe tradizionali sono ora celebrate in 151 diocesi su 178 e vi è stato un aumento della località e il numero delle Messe. In Polonia si è registrato un notevole aumento delle celebrazioni. In Italia, Germania, Austria, Svizzera, Francia, Inghilterra e Galles c'è stato un certo aumento nelle Messe e nei luoghi interessati, ma questo è spesso dovuto alla persistenza dei laici e al coraggio dei singoli sacerdoti, piuttosto che alla preoccupazione pastorale dei loro vescovi.

    3. Quali vescovi hanno risposto positivamente al motu proprio di Papa Benedetto XVI?
    Ci sono molti vescovi in tutto il mondo che hanno risposto positivamente e, forse, troppi per nominarli. Comunque, , in Australia gli Arcivescovi Hart e Hickey, e il vescovo Jarrett hanno abbracciato il motu proprio. In Canada ci sono gli Arcivescovi Miller, Collins, e Currie, e i vescovi Legatt e Daniels. In Francia ci sono i vescovi Rey e Centene. In Nuova Zelanda, il vescovo Jones. In Sud Africa, Thlagale Arcivescovo di Johannesburg ha dato piena attuazione alla motu proprio. Negli Stati Uniti numerosi vescovi hanno mostrato il loro sostegno, con il cardinale George e Vescovi Bruskewitz e Finn i sostenitori più importanti.

    4. Avete informazioni circa la mancanza di cooperazione e le risposte negative?
    I membri della Federazione Internazionale Una Voce hanno fornito una grande quantità di informazioni concrete circa la mancanza di cooperazione e queste informazioni saranno fornite alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

    5. Ci potete fornire informazioni, sia positive che negative, da vescovi e sacerdoti sul Summorum Pontificum?
    Ci sono novità molto positive da riportare da parte del clero, ma questo è meglio documentato al punto 10 con testimonianze di corsi di formazione per i sacerdoti.
    In Sud Africa, il settimanale cattolico nazionale 'The Southern Cross' ha pubblicato un articolo e un editoriale positivi.
    D'altra parte, ci sono molte prove di fatto ora disponibili sull’atteggiamento negativo e ostile di molti vescovi nei confronti dei loro sacerdoti e fedeli. Molti vescovi e sacerdoti semplicemente respingono le richieste dei fedeli o semplicemente le ignorano e non rispondono. Vescovi hanno rimosso sacerdoti dalle loro parrocchie per il fatto di celebrare, o aver palesato il loro desiderio di celebrare la forma straordinaria, ma di solito è sufficiente per l'ordinario far conoscere la sua ostilità alla Messa tradizionale per scoraggiare i sacerdoti. Ci sono anche prove circa l'atteggiamento ostile dei sacerdoti, in particolare del clero più anziano, nei confronti dei loro confratelli, ossia il dissuadere i sacerdoti più giovani a celebrare o a imparare la forma straordinaria. Per questo motivo, molti sacerdoti stanno ora imparando e celebrando la messa tradizionale in segreto.

    6. Potete fornire i nomi dei sacerdoti che sono stati particolarmente utili per celebrare la Messa in forma straordinaria per i membri di Una Voce e per i parrocchiani?
    Ci sono molti preti che hanno risposto caritatevolmente alle richieste del loro laicato, o hanno abbracciato l'opportunità offerta da papa Benedetto XVI per celebrare la messa tradizionale, ma molti di questi hanno chiesto che i loro nomi non siano resi pubblici. E' veramente un triste stato di cose nella Chiesa cattolica, quando un sacerdote ha paura di essere nominato per il fatto di celebrare la Messa di sempre, la forma di messa che ha sostenuto la Chiesa attraverso i secoli e ha formato innumerevoli santi. E’ una reminiscenza dei tempi delle persecuzioni.

    7. Avete avuto più richieste dai laici per informazioni sul motu proprio e sulla vostra associazione?
    Il problema con il Summorum Pontificum, come con molti documenti provenienti da Roma in questi ultimi anni, è che non è stato portato all'attenzione della grande massa dei fedeli. Mentre ha prodotto un ampio dibattito tra il clero e all'interno del movimento tradizionale, è un fatto che, a livello parrocchiale di tutto il mondo, la maggior parte dei fedeli non è consapevole del Motu Proprio. In molti paesi vi è stata una politica deliberata di silenzio e di contenimento che si è dimostrata un’efficace strategia. Sono le fraternità sacerdotali tradizionali e la Federazione Internazionale Una Voce che stanno rispondendo con obbedienza alla volontà del Santo Padre. Oltre a fornire cura pastorale per coloro che bramano la liturgia tradizionale, il motu proprio fornisce anche mezzi per attrarre la gente nuovamente in chiesa. Nei paesi più grandi come gli Stati Uniti e Canada vi è una crescita costante di interesse e nuovi capitoli Una Voce locali e regionali vanno costituendosi nell’alveo delle loro strutture nazionali. In Inghilterra e Galles la Latin Mass Society è in grado di sostenere pubblicità e continua a ricevere un numero significativo di richieste. In alcuni nuovi paesi si formano associazioni nazionali che chiedono di essere ammesse alla Federazione Internazionale.

    8. Quali risposte sono state ricevute da persone che hanno partecipato ad una messa nella forma straordinaria ?
    Per molti anni è stata la generazione più anziana che desiderava la liberazione della Messa tradizionale della loro gioventù. Non era nostalgia, era dottrinale e spirituale. Coloro che ricordano la Messa della loro giovinezza sono spesso emozionati quando partecipano nuovamente. Mentre le generazioni più anziane
    esprimono un appagamento interiore dopo aver frequentato la messa tradizionale, è la reazione dei più giovani che è davvero sconvolgente. Sono stupiti che una tale bella liturgia sia stata sostituita e emarginata. Sono i giovani che stanno formando nuove associazioni, sono i giovani che stanno entrando negli istituti sacerdotali tradizionali, sono i giovani che entrano in monasteri e conventi tradizionali.
    Questa forma di liturgia guadagna anche un parere favorevole da parte di persone che non sono cattolici, ma ne fanno esperienza in occasione di matrimoni e funerali. Non capiscono la lingua, o la cerimonia, ma sentono qualcosa che li muove, qualcosa di 'straordinario'.

    9. Avete avuto richieste da parte di sacerdoti che desiderano informazioni o assistenza per celebrare la forma straordinaria della Messa?
    La maggior parte delle nostre associazioni membri hanno ricevuto richieste; il maggior numero sono state in USA, Inghilterra e Galles, Germania e Canada, dove i sacerdoti non hanno così paura a chiedere aiuto e formazione. Il quadro in altre parti del mondo è più complesso. Molti sacerdoti che hanno espresso interesse per la liturgia tradizionale ai membri del FIUV hanno chiesto assoluta riservatezza. La maggior parte sono coraggiosi giovani preti, che hanno paura di ritorsioni da parte dei loro vescovi, dei colleghi sacerdoti, e anche dei loro parrocchiani, se il loro interesse diventasse pubblico. Alcuni stanno celebrando la forma straordinaria in privato fino a quando non saranno in grado di farlo pubblicamente. Video / DVD didattici sono distribuiti ma in base a termini di rigorosa riservatezza. Altri sacerdoti stanno avvicinando gli ordini sacerdotali tradizionali in cerca di aiuto e di formazione. Nonostante gli ostacoli frapposti è un fatto innegabile che il numero dei sacerdoti (e seminaristi) che esprimono un interesse per la liturgia tradizionale stia crescendo inesorabilmente.

    10. Avete organizzato corsi di formazione per sacerdoti / chierichetti / cori per imparare la forma straordinaria della Messa?
    Corsi di formazione su larga scala sono stati condotti da Una Voce America (in collaborazione con la FSSP), dalla Latin Mass Society in Inghilterra e Galles, e da Pro Missa Tridentina in Germania.
    La Fraternità Sacerdotale San Pietro, in collaborazione con Una Voce America e la William C. Meier Foundation, ha istituito un programma di formazione sacerdotale nel giugno 2007. Da allora, essa ha fornito personale di formazione per oltre 130 sacerdoti in 72 diocesi diverse in Nord America. Oltre l'80% dei partecipanti a questo programma sta ora dicendo la forma straordinaria su base regolare.
    Nel 2009 la Latin Mass Society ha organizzato due corsi di formazione importante per oltre 40 sacerdoti. Questi corsi sono stati condotti all’Ushaw College, un seminario nel nord dell'Inghilterra, e all’All Saints Pastoral Centre (il centro pastorale per la Arcidiocesi di Westminster). La Latin Mass Society paga per questi corsi con fondi propri. Se altre associazioni aderenti FIUV non hanno le risorse per organizzare la formazione inoltrano le richieste a sacerdoti simpatizzanti che sono in grado di fornire aiuto.

    Rispondere alle richieste da parte dei laici nei vari paesi.

    In aggiunta alle informazioni fornite dai membri della Federazione, la relazione contiene anche materiale raccolto da vari individui e gruppi in varie parti del mondo. È stato incluso per presentare un quadro più ampio del desiderio di molti fedeli di diversi paesi a sperimentare una liturgia più tradizionale, più spirituale e più rispettosa di quella che si sta celebrando in molte chiese parrocchiali. Ciò che è evidente è che molte di queste richieste di aiuto provengono da giovani che non hanno esperienza della Messa tradizionale prima che fosse accantonata nel 1970.
    Alcuni hanno partecipato ad una Messa nella forma tradizionale, o la hanno vista in televisione o in video, e non riescono a capire perché la Chiesa abbia sostituito una così bella liturgia con il rito moderno in vernacolo. Poiché molti di questi fedeli cattolici non ricevono alcuna assistenza o incoraggiamento da parte dei loro sacerdoti o vescovi, essi si rivolgono alla Federazione Internazionale Una Voce per l'aiuto.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 19/11/2009 15:02

    Mons. Pozzo (Ecclesia Dei) sull'applicazione del motu proprio, sul suo decreto interpretativo e sulla riforma della riforma




    Intervista concessa da Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pont. Commissione Ecclesia Dei, a L'Homme Nouveau 18.11.2009. Traduzione nostra.


    - Come valuta l'applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, nel mondo, in Europa e in particolare in Francia?

    Nel complesso mi sembra che a due anni dalla pubblicazione del Summorum Pontificum la situazione è piuttosto diversificata. Generalizzare o semplificare sarebbe ingiusto. Forse in Francia e nel centro-nord Europa, i problemi sono più acuti, ma in un periodo transitorio delle reazioni psicologiche e degli interrogativi sono comprensibili. Le difficoltà di soddisfare le esigenze dei fedeli che facciano richiesta della celebrazione della Santa Messa nella forma straordinaria sono a volte dovute ad atteggiamenti ostili e a pregiudizi, altre volte a degli ostacoli pratici, come l’insufficienza del clero, la difficoltà di trovare sacerdoti in grado di celebrare degnamente secondo il rito antico. Inoltre, è difficile vedere come armonizzare la catechesi e la pastorale della celebrazione dei sacramenti nel rito antico con la cura pastorale e la catechesi ordinarie nelle parrocchie. E’ chiaro che i vescovi e i sacerdoti sono esortati ad accogliere le legittime richieste dei fedeli, secondo le norme stabilite dal motu proprio, dal momento che non si tratta di una concessione fatta ai fedeli, di ma un diritto dei fedeli ad avere accesso alla liturgia gregoriana.

    D'altra parte, è chiaro che dobbiamo essere realistici e operare con il tatto necessario, perché si tratta anche di fare opera di formazione e educazione nella prospettiva introdotta da l Papa Benedetto XVI con il Summorum Pontificum. Siamo invitati a considerare le due forme (della liturgia), come due usi dell’unico rito liturgico, e quindi a non vederli in opposizione, ma al contrario come espressioni della sostanziale unità della liturgia. Siamo tutti chiamati ad accogliere la forma mentis su cui si basa il motu proprio: la priorità è sempre la continuità della storia della fede della Chiesa (lex orandi e lex credendi). Il rinnovamento del Concilio Vaticano II deve essere inteso in continuità con la grande tradizione dottrinale della Chiesa. Nella storia della Liturgia c'è crescita e sviluppo interno, ma si deve respingere ogni rottura o discontinuità con il passato. Il patrimonio e il tesoro spirituale della ricchezza liturgica inclusi nella forma antica del Messale Romano, resi visibili in modo particolare nell'uso antico del rito, non devono rimanere ai margini della vita della Chiesa, ma devono essere giustamente promossi e apprezzati nelle diocesi e nelle varie realtà ecclesiali.

    - Molte richieste per le Messe celebrate in forma straordinaria, non sembrano andare in porto a causa di un rifiuto di parroci o Ordinari. E’ possibile un ricorso alla vostra Commissione?

    La procedura stabilita dal motu proprio deve essere rispettata. I fedeli devono prima contattare il parroco e, se ci sono difficoltà, il vescovo. Solo nel caso in cui sorgessero obiezioni o impedimenti da parte del vescovo per l'applicazione del motu proprio, i fedeli potrebbero rivolgersi alla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei"; d’altronde il vescovo stesso può indirizzarsi alla Commissione per le difficoltà che sorgessero per diversi motivi, in modo che la Commissione possa offrire assistenza e suggerimenti. Occorre tuttavia precisare bene che il modo di procedere della Commissione è istituzionale, come con qualsiasi altro organismo della Curia romana. Gli interlocutori della Commissione sono gli Ordinari, vescovi e superiori religiosi [concetto che mons. Pozzo già aveva espresso in questa intervista a noi, un mese fa: clicca qui]. I fedeli che lo ritengono opportuno possono inviare informazioni e segnalare eventuali problemi e difficoltà alla Pontificia Commissione, che si riserva dal canto suo di il compito di esaminare e di decidere se e come si deve procedere, in contatto con l’Ordinario del luogo.

    - Un documento di interpretazione del motu proprio era stato annunciato diversi mesi fa. Apparirà prossimamente?

    All'articolo 11 del motu proprio si dice tra l'altro che "questa Commissione ha la forma, i compiti e le norme che il Romano Pontefice desidera assegnarle”. Un’istruzione dovrebbe seguire opportunamente per precisare alcuni aspetti riguardanti la competenza della Pontificia Commissione e l'attuazione di alcune disposizioni legislative. Il progetto è in fase di esame.

    - Più in generale, il vostro lavoro si inserisce nel quadro eventuale di una "riforma della riforma"?

    L'idea di una "riforma della riforma liturgica" è stata proposta in diverse occasioni dall’allora cardinale Ratzinger. Se non ricordo male, ha aggiunto che questa riforma non sarebbe stata il risultato di un lavoro d'ufficio di una commissione di esperti, ma avrebbe richiesto una maturazione nella vita e nella realtà ecclesiale tutta quanta.
    Penso che al punto cui siamo arrivati, è indispensabile agire nella linea che indicava il Santo Padre nella lettera di presentazione del motu proprio sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 , vale a dire che "le due forme dell'uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda" e che "ciò che è sacro per le generazioni precedenti resta sacro e grande per noi, e non può d’improvviso ritrovarsi assolutamente proibito o addirittura, essere considerato come nefasto. Fa bene a tutti noi conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto".
    Così si è espresso il Santo Padre. Promuovere questa linea significa quindi contribuire effettivamente a tale maturazione nella vita e nella coscienza liturgica che potrebbe portare, in un futuro non troppo lontano, ad una "riforma della riforma". Ciò che è essenziale oggi per recuperare il significato più profondo della liturgia cattolica, nei due usi del Messale Romano, è il carattere sacro dell’azione liturgica, il carattere centrale del sacerdote come mediatore tra Dio e il popolo cristiano, il carattere sacrificale della Santa Messa, come dimensione primordiale dalla quale deriva la dimensione della comunione.

    - Stranamente, la Commissione per l'attuazione del motu proprio Summorum Pontificum ha mantenuto il suo nome dovuto al precedente motu proprio. C’è una ragione per questa conservazione?

    Io sono del parere che la ragione stia nella sostanziale continuità di questa istituzione, pur tenendo conto dell'opportunità di un suo ammodernamento e delle necessarie integrazioni dovute alle contingenze del momento storico ecclesiale.

     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 08/12/2009 22:40



    Intervento di Mons. Guido Pozo al 2o Convegno sul Motu Proprio …


    [SM=g1740733] [SM=g1740722]


    Fraternamente CaterinaLD

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    00 13/12/2009 11:40
    Riporto dal Blog di Messainlatino.it il file in formato AudioWave la registrazione dal vivo del pubblico intervento di mons. Camille Perl (Vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei) tenuto il 16 settembre 2008 nel corso del convegno tenuto a Roma sull’applicazione del motu proprio a un anno della sua entrata in vigore.

    Per scaricare il file cliccate qui:
    blog.messainlatino.it/2008/12/registrazione-del-discorso-di-mons-p...

    [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740722]






    www.gloria.tv/?media=42109


    [SM=g1740733]

    [Modificato da Caterina63 13/12/2009 12:19]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 13/01/2010 15:59

    Appuntamenti a Bergamo

    Alleanza Cattolica
    Circolo culturale “Tradizione e Nuova Evangelizzazione”
    con la collaborazione di Fede & Cultura
    Centro culturale “Alle radici della Comunità”
    Il Timone


    Nell'ambito del Ciclo di conferenze dal tema:

    Il Motu proprio “Summorum Pontificum” di S.S. Benedetto XVI
    la liturgia tradizionale e la nuova evangelizzazione


    Invita alle Conferenze :

    LE PROSPETTIVE DI UNA "RIFORMA "DELLA RIFORMA LITURGICA.



    Sabato 16 Gennaio 2010 alle ore 18,00
    presso la Casa del Giovane sala degli Angeli in via Gavazzeni n° 13 Bergamo
    Alessandro Gnocchi intervisterà Don Nicola Bux,
    DAL DISCORSO ALLA CURIA ROMANA AL MOTU PROPRIO SUMMORUM......
    CONTINUITÀ E RIFORMA.


    ***

    Sabato 6 marzo 2010 alle ore 18,00
    presso la Casa del Giovane sala degli Angeli in via Gavazzeni n° 13 Bergamo
    Tratterà il tema Don Piero Cantoni

    Prima della conferenza, alle ore 16,00, presso il Santuario della Madonna della Neve, via Madonna della Neve, 1 (angolo via Camozzi)
    verrà celebrata la Santa Messa In rito Romano Antico celebrata dagli oratori.

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 25/02/2010 10:52
    DUE RISPOSTE IMPORTANTI DALL'ED


    Importanti chiarimenti della PCED

    Pubblichiamo - grazie a New Liturgical Movement una importante lettera della PCED nella quale si risponde ad alcuni quesiti relativi alle celebrazioni nella forma extraordinaria.

    In sintesi le 5 domande formulate nella richiesta originale sono :

    1) è possibile celebrare comunque il Triduo Pasquale in una Parrocchia dove questo è già celebrato in forma ordinaria?

    2) è possibile "inserire" una Messa in forma extraordinaria nel calendario delle celebrazioni ordinarie di una Parrocchia?

    3) Tale decisione può essere presa dal solo Parroco?

    4) E' possibile in una Messa in forma extraordinaria sostituire i testi del Missale Romanum del 1962 con le corrispondenti letture e prefazi del Missale del 1970 ?

    5) I ministranti (laici) possono ripetere le letture in vernacolo ?









    Una risposta dell'Ecclesia Dei sui riti propri degli Ordini religiosi


    di Daniele Di Sorco


    Il blog The Barque of Peter ha pubblicato un'importante risposta della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, datata 15 ottobre 2009 ma resa nota soltanto ora, sulla possibilità di celebrare secondo i riti propri di alcuni Ordini religiosi. Eccone il testo:



    Per capire la portata di questo provvedimento non sarà inutile fare un riassunto dello status quaestionis e fornire qualche informazione in più sui riti che fino alla riforma liturgica venivano usati da alcuni Ordini religiosi al posto del rito romano.


    Due interpretazioni circa l'estensione del motu proprio.

    Dopo la promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum, si diffusero, circa l'estensione del documento, due diverse interpretazioni. La prima, che potremmo definire larga, sosteneva che le norme contenute nella lettera pontificia riguardavano tutti i riti latini: non soltanto il romano, quindi, ma anche il mozarabico, il lionese, il bracarense, l'ambrosiano e i riti degli Ordini religiosi. Il Papa avrebbe fatto esplicito riferimento solo al rito romano per ragioni di opportunità nei confronti degli altri capo-rito e per non affrontare quelle difficoltà di ordine pratico che sarebbero scaturite da una menzione degli altri riti: non bisogna dimenticare, infatti, che alcuni di essi furono completamente abbandonati dopo la riforma liturgica. La seconda interpretazione, più stretta, era a favore di un'esegesi letterale del documento: poiché esso parla unicamente del rito romano, non è lecito, in mancanza di ulteriori provvedimenti, estenderne l'effetto agli altri riti latini.

    Sembra che ora l'Ecclesia Dei abbia voluto chiarire, almeno parzialmente, il problema, esprimendosi a favore della seconda ipotesi. La risposta sopra riportata, infatti, subordina la possibilità di celebrare la forma antica dei riti religiosi all'autorizzazione dei Superiori dell'Ordine. Di ciò, a dire il vero, non dobbiamo stupirci più di tanto. I riti diversi dal romano sono sempre stati retti da un diritto particolare, sul quale la Santa Sede esercitava un'autorità più di controllo che di comando. In ogni caso, le decisioni venivano sempre prese di comune accordo col capo del rito, cioè con l'Ordinario del luogo per quanto riguarda i riti delle sedi primaziali (ambrosiano, lionese, bracarense e mozarabico) e col Superiore religioso per quanto riguarda i riti propri degli Ordini. Sarebbe quindi impensabile che il Papa procedesse di propria sola iniziativa. D'altra parte, considerata la situazione odierna, che vede ancora una grande ostilità nei confronti dell'antica liturgica, è lecito auspicare che la Santa Sede trovi, prima o poi, il modo di liberalizzare anche questi antichi e venerandi riti, che costituiscono, insieme al rito romano, il grande patrimonio della liturgia latina.


    I riti propri degli Ordini religiosi.

    Ma che cosa sono i riti degli Ordini religiosi? E soprattutto, quali Ordini avevano un rito proprio?

    Non tutti i riti usati dai membri degli Istituti regolari possono essere definiti religiosi, e non tutti i religiosi hanno un rito proprio. Per "rito religioso" si intende propriamente un rito latino, in uso presso un particolare Ordine, che ha cerimonie e testi dell'Ordinario propri, diversi, cioè, dal rito romano. Se le variazioni riguardano solo il calendario e il Proprio non si può parlare di rito religioso. Com'è noto, infatti, le rubriche del rito romano prevedono esplicitamente l'integrazione delle feste universali con le feste locali delle diocesi, dei luoghi, degli Istituti. Perché un rito possa essere definito proprio, è indispensabile, dunque, che abbia un Ordinario (della Messa o dell'Ufficio) diverso da tutti gli altri riti.

    Fatte queste debite precisazioni, vediamo ora quali Ordini seguivano, prima della riforma liturgica, un rito diverso dal romano.

    I Domenicani, i Carmelitani dell'Antica Osservanza (calzati), i Certosini e i Premostratensi avevano un rito proprio sia nella Messa che nell'Ufficio. Della Messa carmelitana ci siamo occupati qualche tempo fa in
    questo intervento.

    I Benedettini, i Cistercensi e i Trappisti, nonché le Monache di Santa Brigida, avevano un rito proprio solo nell'Ufficio, mentre nella Messa si attenevano al rito romano (dopo le riforme del XVII secolo, le differenze tra il Messale cistercense e il Messale romano non sono più significative).

    Tutti gli altri Ordini, compresi i Carmelitani riformati o scalzi, seguivano il rito romano, salvo l'aggiunta, nel Confiteor, del nome del proprio Santo fondatore.

    Alcuni siti internet hanno parlato di rito proprio anche per i Francescani e i Serviti. In realtà entrambi gli Istituti, fin dalla loro fondazione, si sono attenuti alla liturgia della Chiesa romana. L'equivoco può essere stato ingenerato dalla consuetudine dei Francescani (seguita, in passato, da molti altri Ordini) di stampare un'edizione particolare dei libri liturgici romani, che comprendeva il loro abbondante santorale. Tali libri sono definiti romano-serafici. Ma, come abbiamo visto, l'aggiunta delle feste proprie dell'Istituto non implica l'utilizzo di un rito diverso.


    Qualche indicazione pratica.

    Da queste considerazioni, si possono trarre alcune importanti conseguenze per quanto riguarda l'uso della forma antica da parte dei membri degli Ordini religiosi.

    1) Tutti i religiosi possono, a norma del motu proprio Summorum Pontificum, recitare il Breviario e celebrare la Messa secondo il rito romano antico, seguendo, come le rubriche prescrivono, il calendario e le feste proprie del relativo Istituto.

    2) I Domenicani, i Carmelitani calzati, i Certosini e i Premostratensi che intendono recitare l'Ufficio o celebrare la Messa secondo il rito proprio dell'Ordine, devono chiederne l'autorizzazione al proprio Superiore maggiore, che, in genere, è il Superiore generale per tutto l'Ordine e il Superiore provinciale per la singola provincia. Per quanto riguarda il rito domenicano, si consulti il dettagliato
    contributo di P. Agostino Thompson O.P., che pubblicammo qualche tempo fa.

    3) La stessa cosa devono fare i Benedettini, i Cistercensi e i Trappisti che intendono recitare l'Ufficio secondo il Breviario monastico. Per quanto riguarda la Messa, invece, non necessitano di alcuna autorizzazione, perché si tratta, come abbiamo visto, di rito romano.

    4) Le edizioni speciali dei libri liturgici romani, come il Breviario o il Messale romano-serafico, possono essere utilizzate dai membri del relativo Ordine (e dai sacerdoti secolari che, in alcune circostanze, ne hanno il privilegio, come i terziari) senza bisogno di alcuna autorizzazione.







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 24/06/2010 00:59

    Un 'movimento' tradizionale?

    Riceviamo da un lettore e pubblichiamo:

    Fra qualche mese sarà il 3° anno dall'applicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum”. In questi pochi anni si è messa in moto una “controrivoluzione” all'interno della Chiesa fino a poco tempo fa inimmaginabile.

    In tutta Italia, nonostante le fisiologiche difficoltà, sono fiorite decine e decine di Messe, di gruppi stabili, associazioni culturali, siti internet, pubblicazioni.

    Grazie all'apostolato di alcuni sacerdoti, che girano costantemente l'Italia, si è creato una rete capillare di contatti, per sostenere e applicare il Motu Proprio.

    Al fianco del lavoro fatto dai sacerdoti si muove un piccolo esercito di “laici” che scrive, sollecita, organizza, diffonde, cioè si occupa del lavoro collaterale nel mondo della Tradizione, penso a “Giovani e Tradizione di Acireale” che affianca Padre Nuara nell'organizzare l'annuale convegno romano sul MP, al coordinamento toscano che cura il pellegrinaggio che si svolge appunto in toscana, ai laici che gestiscono i siti internet:
    http://www.rinascimentosacro.org/, blog.messainlatino.it, e http://www.unavox.it/; alle decine e decine di associazioni diffuse sul territorio, alle confraternite rivitalizzate dalla liturgia tradizionale, ai cori di canto gregoriano e polifonico che sono nate all'interno delle celebrazioni, alle case editrici (Fede & Cultura, Marietti, Cantagalli etc etc) che pubblicano opere e supporti liturgici.

    Questo lavoro egregio, dopo questi pochi anni di rodaggio, ha bisogno oggi di essere “organizzato”, “razionalizzato”, “sinergizzato”. All'interno della Chiesa esistono da sempre le cosiddette “associazioni laicali” che lavorando all'interno di Essa, curano e portano avanti la loro specifica vocazione.

    Sono fermamente convinto che una minoranza organizzata abbia maggiore forza di una maggioranza disorganizzata.

    Un gruppo diffuso sul tutto il territorio nazionale, riconosciuto sotto una sola sigla sarebbe il punto di riferimento di preti, gruppi, singoli fedeli, che sembra strano, ma ancora non riescono a mettersi in contatto con realtà già esistenti sul territorio. Un gruppo unico, a differenza delle pur lodevolissime iniziative dei gruppi singoli, sarebbe più difficile da snobbare da parte di Vescovi ostili, un prete “trattato male”, sol perchè vuol dire la “Santa Messa”, troverebbe maggiore forza di difesa in una voce nazionale che si muove in sua favore.

    Inoltre una associazione nazionale acquisirebbe un “diritto” ad entrare nel gruppo delle “associazioni laicali” presenti all'interno delle Curie. Le case editrice e le librerie cattoliche, avendo percezione di una presenza reale di fedeli legati alla tradizione, sarebbe stimolati alla produzione e diffusione di pubblicistica che esca dal piccolo canale di vendita per corrispondenza o militante.

    Le nostre antiche città sono piene di chiese, oratori, conventi ed ogni giorno che passa soccombono al destino della chiusura, che si potrebbe arrestare davanti alla richiesta di un gruppo stabile e pieno di zelo.

    Un ultimo aspetto fondamentale resta la questione riguardante la pubblicazione di una rivista, un quotidiano, un settimanale oppure un mensile, questo tipo di pubblicazioni esistono già, “Radici Cristiane”, “Il Timone”, “Il Settimanale di Padre Pio”, si tratterebbe solo di ufficializzarli o renderli ancora di più collaterali al “Movimento Summorum Pontificum”, aumentando le rubriche sull'argomento liturgico, ne gioverebbero sia le riviste (con aumento delle vendite), sia i fedeli (informazione cattolica), che si troverebbero a disposizioni delle ottime riviste di “Lotta” e di “Fede”.

    Come chiamarlo??? Io propongo “Movimento Summorum Pontificum”. A voi la parola.
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 17/08/2010 08:44
    ECCO I NEMICI DELLA CHIESA!! [SM=g1740730]


    La controffensiva in Rai di mons. Sodi contro il motu proprio

    Le parole benemerite di mons. Burke (il cui nucleo centrale si riassume nel ricordare che il motu proprio non è una interinale concessione a gruppuscoli di tradizionalisti chiusi nelle loro cappelle, ma la riproposizione a tutto il popolo cristiano, affinché se ne riappropri, del tesoro della liturgia immemoriale) hanno avuto una grande eco e suscitato piccate reazioni. Vien da domandarsi perché, visto che si tratta di osservazioni ovvie ed evidenti (già il card. Castrillòn diceva che il Papa vorrebbe una Messa tridentina in ogni parrocchia; e del resto basta leggere le affermazioni inequivocabili e molto forti dell'allora cardinal Ratzinger per rendersene conto: qui ne trovate una buona selezione). Ogni persona con un minimo di cognizione di causa sa perfettamente qual è l'intenzione del Papa; ma vi è chi, in mala fede, cerca di convincere i semplici e gli ignari del contrario, ossia che il motu proprio va circondato da un cordone sanitario e deve riguardare solo quei nostalgici che, dal 1970, non sono riusciti a capire la ricchezza della liturgia riformata.

    Uno di coloro che più si applicano in questo senso è don Manlio Sodi, salesiano, che gode di grande entratura mediatica visto che è riuscito a diffondere il suo verbo alla radio di Stato per ben due volte in tre giorni. Vediamo che cosa ha detto

    ***

    GR3 di giovedì 12 agosto, edizione delle ore 8,45

    Speaker del TG3 : A tre anni dalla pubblicazione del decreto con il quale ha autorizzato la celebrazione della Messa in latino Papa Benedetto XVI ha sollecitato una valutazione da parte dei Vescovi. I pareri anche in Vaticano sono molto diversi,

    Riccardo Cristiano: “Secondo il Prefetto della Segnatura Apostolica Mons. Burck la decisione con cui Benedetto XVI ha liberalizzato la Messa in rito latino non è stato un favore a gruppi o a individui affezionati a quella liturgia ma una legge finalizzata alla salvaguardia e la promozione di tutto il corpo mistico di Cristo".

    Mons. Sodi direttore di Rivista Liturgica: “Il Motu Proprio del Papa pubblicato tre anni fa è stato finalizzato a far sì che alcuni gruppi di persone che erano legate al precedente rito potessero celebrare con la dovuta tranquillità e serenità secondo il Messale pubblicato nel 1962. Quello che è stato posto in evidenza nell’ambito del Motu Proprio è stato il fatto di venire incontro a comunità stabili, comunità cioè che sono rimaste fedeli e sempre legate a questa forma di celebrazione”.

    ***

    Radio Uno, 15 agosto 2010 (dal 10° minuto in avanti)

    Un conduttore della trasmissione dal timbro di voce sfigato torna con gusto sullo spettacolo delle chierichette, che sono ormai 'universalmente accettate', dice, tanto che presto un documento della Congregazione per il Culto Divino sancirà questa evoluzione e darà piena cittadinanza alle damigelle all'altare (ah sì?); aggiunge che il settimanale Time ha salutato questa evoluzione che rappresenta, sempre per il compiaciuto conduttore (evidentemente ignaro del fatto che sul punto c'è un divieto pronunciato infallibilmente ex cathedra da Giovanni Paolo II), un passo avanti verso il riconoscimento del ministero femminile.

    Accenna al fuoco di contraerea partito da mons. Burke, nonché allo spauracchio del motu proprio Summorum Pontificum che si sarebbe posto di traverso a questa benemerita prassi (curioso: quel motu proprio non si occupa affatto di chierichesse) e passa ad intervistare il solito Sodi.

    Per quest'ultimo, il motu proprio concerne soltanto alcune comunità stabili, dove stabile significherebbe: esistenti da sempre (quindi anteriori al motu proprio; anzi, rimaste ancorate ai vecchi riti fin da quando furon soppiantati). Si tratta di poche persone, aggiunge, che non debbono e non possono condizionare il futuro del 99,9% dei cattolici, che sono invece proiettati verso magnifiche sorti e progressive. "Non può essere un problema dell'intera Chiesa universale", dice Sodi, e già la scelta del termine 'problema' è rivelatrice. C'è anche un simpatico passaggio sulla necessità di valorizzare la 'responsabilità episcopale' sulla questione; leggi: dar briglia sciolta all'arbitrio dei vescovi per impedire lo scandalo delle celebrazioni tridentine.

    Onirico il passaggio in cui il Sodi afferma con sicumera che il Messale di Paolo VI è il messale più tradizionale che la Chiesa abbia mai avuto... A volte vien da domandarsi se certi monsignori vadano mai a messa, non diciamo se la celebrino...

    Conclude il conduttore: mentre c'è ancora chi pensa a pizzi e merletti, la Chiesa si regge grazie all'apporto femminile; è quindi tempo di dar spazio alle donne. Come gli anglicani, no? Da quelli le cose funzionano a meraviglia...

    Enrico









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    riflessione:




    C'è del diabolico in tutto ciò....  
    all'analisi fatta dalla Redazione che naturalmente è condensata e relegata alle citazioni della trasmissione TV segnalata, va aggiunto a mio parere l'errore, ennesimo, che questi signori, nemici veri della Chiesa e della sana Tradizione, continuano a commettere.... qualcosa l'abbiamo approfondita qui, nel thread di Redazione:  
    Il latino, la liturgia e i soliti attacchi   
     
    ossia: l'errore di vedere il latino come un nemico e in questo tema vedere le donne come nemiche o peggio, come obbligate a rivalersi sugli uomini (pretesa di fare le chierichette ) e, viceversa, vedere il servizio degli uomini presso l'Altare come una sorta di misogenia contro appunto le donne....insomma, c'è del diabolico in tutto ciò!  
    Ciò che mons. Sodi, con tutta la cricca progressista-regressista dimenticano è che nella Chiesa esistono i RUOLI attraverso i quali le donne NON sono mai state esonerate ne penalizzate, al contrario, è sempre stata tale distinzione che efficacemente ha prodotto nella Chiesa un fiume in piena di SANTE E MARTIRI.... un esempio ci è dato dalla canonizzazione di santa Gianna Molla, donna medico e madre di Famiglia che vivendo pienamente il suo ruolo di donna e madre (e poi di medico) da la sua vita per i figli....  
    NESSUNA PROFESSIONE deve interferire con il ruolo principale che Dio ci ha dato da svolgere nella Chiesa a vantaggio degli Uomini....  
    Gli Uomini hanno dei RUOLI, le Donne hanno altri RUOLI....  
     
    Vorrei vedere come reagirebbe mons. Sodi se domani nascesse un gruppo che pretendesse di ufficializzare LA SOSTITUZIONE dei loro ruoli in base esclusivamente alla rivendicazione dell'uguglianza.... ossia, un movimento che pretendesse di autonominarsi "monsignori" e magari pretendendo la poltrona che occupa il Sodi....  
    parlerebbero di follia! eppure è ciò che pretendono loro quando USANO IL GENIO FEMMINILE per relegarlo ad una imposizione di ruoli che a tale genio non si confà..... Wink  
    la follia culturale del nostro tempo è caduta talmente in basso che assistiamo a dei grandi paradossi proprio da chi pretenderebbe innalzare il GENIO FEMMINILE attraverso delle rivendicazioni che invece lo annullano, lo schiacciano e lo NASCONDONO cammuffandolo con IL SCIMMIOTTARE  il ruolo prettamente maschile...  
     
    Se il RUOLO del chierichetto nasce e si sviluppa all'interno di un contesto culturale che aiuta il giovane a trovare la sua propria vocazione nel Ministero del Sacerdozio, è ovvio che pretendendo di metterci dentro la donna, ne offusca di lei il suo proprio ruolo femminile che NON è portato verso quel ministero... Undecided  
    Le BAMBINE E I BAMBINI a quell'età vivono per loro propria natura una conflittualità NATURALE E NECESSARIA proprio perchè è a quella età che si determinano poi i ruoli nella società.... infatti è tipico di quell'età infantile che i maschietti giocano a fare le guardie, i soldati, gli eroi, tutti ruoli altamente maschili, mentre le bambine giocano con le bambole...e si divertono a vestire i panni della mamma...  
    E' una età in cui tali differenze spingono i bambini stessi a crearsi gruppi di amicizie separate per poi ritrovarsi insieme magari a qualche festa di compleanno o a mangiarsi un gelato....  
     
    Ora, la nostra epoca, spinta dalla diabolica cultura omosessualista che pretende di annientare LE DIFFERENZE DEI RUOLI fra maschi e femmine, e grazie anche alla complicità di una esagerata EMANCIPAZIONE FEMMINILE che per rivendicare la propria femminilità ha finito per usarla COME UN ARMA CONTRO L'UOMO.... anche all'interno della Chiesa si è finito per abbracciare LE MODE DEI TEMPI e per sposare una concezione di uguaglianza che è FALSA....  
     
    Questo modo errato di concepire l'autentico ruolo femminile e maschile, produce DISUGUAGLIANZA, produce divisione, produce l'anichilimento del vero genio femminile che se viene impegnato dalle bambine per fare le chierichette, fa perdere loro del tempo prezioso per vivere invece la loro propria dimensione all'interno della Chiesa che è quello soprattutto di dedicarsi alla PREGHIERA, ALL'AIUTO AL PARROCO NEL MANTENIMENTO DEI PARAMENTI SACRI MAGARI IMPARANDO A RICAMARLI E A FARLI con le proprie manine.... Wink  aiutare al DECORO DELLA CHIESA, tenere in ordine i registri, aiutare il parroco a tenere in ordine negli appuntamenti, ecc... insomma, ci sono cose che gli Uomini NON sanno fare con quella meticolosità ed ingegno tipicamente femminile....  
    Perchè non RISVEGLIARE queste capacità nelle nuove leve femminili?  
    Mons. Sodi non rincorra strategie diaboliche e perverse, aiuti piuttosto a far comprendere che il ruolo femminile è bello per come Dio lo ha creato, donando alle donne L'INGEGNO DEL RICAMARE NON LE TRAME ma bellissime stoffe....come Maria che con i suoi lunghi capelli asciugava i piedi di Nostro Signore...."un ruolo che non le sarà mai tolto - Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via "


    [Modificato da Caterina63 17/08/2010 09:41]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 31/08/2011 11:22
     
    Ambasciatori della Santa Sede nel mondo e rappresentanti del Papa presso le chiese locali, i nunzi apostolici sono di solito talmente presi dai loro obblighi diplomatici da far dimenticare che anche loro sono prima di tutto dei pastori. La recente nomina, da parte di Benedetto XVI, dell'arcivescovo americano Thomas E. Gullickson come nunzio apostolico in Ucraina – un luogo particolarmente importante per le relazioni con il mondo ortodosso – ci offre l'occasione di dedicare un po' di spazio ad uno di questi uomini di Chiesa spesso sconosciuti.

    Nunzio apostolico nelle Antille a partire dal 2004 (Bahamas, Jamaica, Trinidad e Tobago, ecc.), Monsignor Gullickson, durante il suo soggiorno nei Caraibi, ha creato un blog molto interessante con contenuti che spaziavano dalle sue omelie domenicali a letture di riferimento fino alle sue riflessioni spirituali e liturgiche. In questo blog, intitolato “Island Envoy
     
    ”, Monsignor Gullickson si è soffermato varie volte sul motu proprio Summorum Pontificum.

    Nel testo che segue, pubblicato l'estate scorsa
     
    in occasione della fine del primo triennio di applicazione del motu proprio, si commentano i tre obbiettivi perseguiti dal Papa con la sua pubblicazione. Questi ultimi sono stati così riassunti dal canonista tedesco Gero Weishaupt:
    a) una risposta ai segni dei tempi e un ritorno alla normalità;
    b) l'arricchimento mutuo dei messali del 1962 e del 1970;
    c) la riconciliazione nella Chiesa.


    IL TESTO DI MONSIGNOR GULLICKSON

    A tre anni dalla pubblicazione del Summorum Pontificum, è migliorata la situazione liturgica della Chiesa? Che tipo di esposizione alla liturgia antica potrà trascinarci verso questo risultato? I tre obbiettivi formulati da Weishaupt rendono giustizia a quelli fissati dal Santo Padre nella sua lettera ai vescovi del 7 luglio del 2007? In realtà, ad una lettura attenta della lettera del Santo Padre, la difesa della verità e della promozione della giustizia, così come il rispetto della continuità che è essenziale in materia di tradizione liturgica della Chiesa, mi sembrano imporsi come le priorità più evidenti.

    (...) Ciò che mette in evidenza Weishaupt con il suo primo obbiettivo è certamente in accordo con le parole del Papa, ma rende meno rispetto all'espressione del Santo Padre: più che parlare genericamente di “segni dei tempi” si dovrebbe fare un chiaro riferimento agli abusi liturgici. Parlare poi di un ritorno alla normalità sembra solo sfiorare la questione, perché tutto dipende da quale sia la normalità che si va cercando. Ne consegue che la riconciliazione (punto c degli obbiettivi) è certamente fondata su un rispetto mutuo, ma è molto più complicata di questo.

    Più che l'espressione laconica “arricchimento mutuo”, io penso che avremmo bisogno di ricordare tutte le parole usate dal Santo Padre per quanto concerne gli abusi e il malessere generale che, di fatto, nella celebrazione della forma ordinaria nel corso degli ultimi quarant'anni, hanno troppo spesso intralciato l'adorazione in spirito e in verità e sono stati una fonte di confusione e di scoraggiamento per i cattolici. Io vorrei sottolineare in particolare la speranza per la liturgia nuova così come espressa dal Papa: “La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.”

    Papa Benedetto XVI vuole chiaramente sciogliere le catene che hanno limitato l'uso del Messale del 1962 nel corso degli ultimi quattro decenni e, al contempo, salvare il Messale del 1970 dall'opera di coloro che hanno preso in ostaggio la liturgia contemporanea nello stesso periodo. Questo significa, in definitiva, che è tempo di applicare correttamente la Costituzione sulla Santa Liturgia del Concilio Vaticano II.

    Il Summorum Pontificum rappresenta certamente un punto di riferimento nella lotta per l'espressione liturgica completa e corretta nella Chiesa. Potrebbe essere definito un mezzo di persuasione dolce, un avvicinamento, un'introduzione. Non può però essere il solo mezzo utilizzato per la riforma, perché la verità ha anche bisogno che si denuncino in modo continuativo e persistente gli abusi liturgici che continuano a contrastare il culto in lingua volgare nella sua espressione completa e adeguata. Solo un ritorno all'uso antico come forma ordinaria del culto potrà eliminare tutti gli abusi in un colpo solo, ma non è questa l'intenzione del Santo Padre. Benedetto XVI non ha dispensato i suoi fratelli vescovi dal mostrarsi vigilanti nei loro sforzi di riforma; non ha neanche dispensato i sacerdoti dal mostrare ai loro fedeli la maniera giusta di celebrare; lui esorta invece i musicisti e gli artisti ad effettuare degli sforzi coscienziosi per ripristinare i legami con la tradizione alla quale ci dobbiamo attenere.

    Il culto divino è più che una riunione di preghiera, ed è ben più che un esercizio spirituale. I principi del culto celeste e la tradizione che ci viene dagli apostoli condizionano il carattere sublime e la gravità che è propria del sacrificio eucaristico e tutto ciò che ne consegue. (...)

    Ieri, riflettendo sui misteri luminosi del rosario, mi è venuto in mente che si tratta in un certo modo di misteri molto eucaristici ai quali ci si potrebbe accostare con finalità di meditazione. Le Nozze di Cana, in particolare, mi hanno parlato dell'applicazione del Summorum Pontificum e di tutta la questione della riforma della liturgia in lingua volgare: solo i servitori che avevano preso l'acqua sapevano cosa stesse succedendo, il che non impedisce al Vangelo di fare della trasformazione dell'acqua in vino da parte di Nostro Signore, su richiesta della Sua Santa Madre, il Suo primo segno pubblico.

    Io sono risoluto nella volontà di proseguire l'umile lavoro di riempire gli otri, e lo voglio fare dando il buon esempio nella celebrazione, in particolar modo, attraverso l'adorazione ad orientem. Che il Signore accordi a tutti coloro che lavorano perché il culto sia ben ordinato e sia pio, la possibilità di cambiare i cuori e le anime. La liturgia tradizionale continua a guadagnare i cuori e le anime dei giovani mentre le celebrazioni a volte banali e pretenziose della forma ordinaria ne portano altri all'abbandono della fede. Noi dobbiamo il meglio al Signore e così ai suoi giovani nel seno della Chiesa, per amore della salvezza del mondo.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)