00 11/08/2010 09:21
Se quando si discute di libertà ci si riferisse a quella legittima e onesta quale or ora la ragione e la parola hanno descritta, nessuno oserebbe perseguitare la Chiesa accusandola iniquamente di essere nemica della libertà dei singoli e dei liberi Stati. Ma già sono assai numerosi gli emuli di Lucifero – che lanciò quell’empio grido non servirò –, i quali in nome della libertà praticano un’assurda e schietta licenza. Sono siffatti i seguaci di quella dottrina così diffusa e potente che hanno voluto darsi il nome di Liberali traendolo dalla parola libertà.


Ovviamente, là dove mirano in filosofia i Naturalisti o i Razionalisti, ivi mirano, in tema di morale e di politica, i fautori del Liberalismo i quali applicano nei costumi e nella condotta di vita i principi affermati dai Naturalisti. Ora, il primato della ragione umana è il caposaldo di tutto il Razionalismo, il quale rifiuta l’obbedienza dovuta alla divina ed eterna ragione, si definisce artefice della propria legge, e perciò considera se stesso il sommo principio, la fonte e l’unico giudice della verità. Così i seguaci del Liberalismo, di cui si è detto, nella vita pratica pretendono che non vi sia alcun divino potere a cui si debba obbedienza e che ognuno debba essere legge per se stesso; perciò nasce quella filosofia morale che chiamano indipendente e che, dietro l’apparenza di libertà, tende a rimuovere la volontà dalla osservanza dei divini precetti e quindi suole concedere all’uomo infinita licenza. È facile comprendere quali conseguenze abbiano tali affermazioni sulla società umana. Infatti, accettato e stabilito il principio per cui nessuno è al di sopra dell’uomo, ne consegue che la causa che determina la concordia e la società civile è da ricercare non già in un principio esterno o superiore all’uomo ma nella libera volontà dei singoli; che il potere pubblico emana, come da fonte primaria, dal popolo. Inoltre, come la ragione di ciascuno è la sola guida e norma della condotta privata, così la ragione di tutti deve essere guida per tutti nella vita pubblica. Perciò la maggioranza ha poteri maggiori; la maggior parte del popolo è sorgente dei diritti e dei doveri universali.


Ma è evidente, da quanto si è detto, che queste affermazioni contrastano con la ragione. Non volere che tra l’uomo e la società civile interceda alcun vincolo con Dio creatore e supremo legislatore, ripugna assolutamente alla natura, e non solo alla natura dell’uomo ma di tutte le creature; poiché è necessario che tutti gli effetti abbiano qualche attinenza con la causa da cui sono scaturiti, riguarda tutte le creature; attiene alla perfezione di ciascuna rimanere nel posto e nel grado che l’ordine naturale ha stabilito, in modo che il mondo inferiore sia sottoposto e obbedisca a quello che lo sovrasta. Per di più, siffatta dottrina è gravemente perniciosa sia per i singoli che per la società. Una volta confinato nella sola e unica ragione umana il criterio del vero e del bene, la corretta distinzione tra il bene e il male sparisce; le infamie non differiscono dalla rettitudine in modo oggettivo ma secondo l’opinione e il giudizio dei singoli; il libito diventa lecito; stabilita una regola morale che non ha praticamente il potere d’infrenare e di placare le torbide passioni dell’animo, si spalancherà spontaneamente la porta ad ogni corruttela.

Nell’ordine pubblico, poi, il potere di comandare viene separato dal giusto e naturale principio da cui esso attinge ogni virtù generatrice del bene comune; la legge, nello stabilire i limiti del lecito e dell’illecito, è lasciata all’arbitrio della maggioranza, che è la via inclinata verso il regime tirannico. Ripudiato il dominio di Dio sull’uomo e sul consorzio civile, ne consegue l’abolizione di ogni culto pubblico e la massima incuria per tutto ciò che ha attinenza con la religione. Del pari, la moltitudine, armata della convinzione di essere sovrana, degenera in sedizioni e tumulti e, tolti i freni del dovere e della coscienza, non resta altro che la forza, la quale, tuttavia, non è così grande da potere da sola contenere la passioni popolari. Lo dimostra la lotta pressoché quotidiana contro i socialisti ed altre schiere di sediziosi che da tempo tentano di sovvertire radicalmente la società civile. Chi è in grado di giudicare rettamente, valuti dunque e stabilisca se tali dottrine giovino a una vera libertà degna dell’uomo, o piuttosto la pervertano e la corrompano del tutto.


Certo, non tutti i seguaci del Liberalismo concordano con quelle opinioni, spaventose per la loro assurdità, che considerammo nemiche della verità e causa di mali assai funesti. Anzi, molti di essi, sospinti dalla forza della verità, non esitano ad ammettere o addirittura affermano spontaneamente che la libertà diventa viziata e degenera in licenza se osa varcare certi limiti e trascurare la verità e la giustizia. Perciò è necessario che la libertà sia guidata e governata con retto raziocinio e sia soggetta, di conseguenza, al diritto naturale e alla sempiterna legge divina. Ma i liberali qui si fermano; sono convinti che un uomo libero non debba sottostare alle leggi che Dio volle imporre; fanno eccezione per le leggi ispirate dalla ragione naturale.


Ma tale affermazione non è affatto coerente. Infatti se, come essi ammettono e come tutti devono ragionevolmente convenire, si deve obbedire alla volontà di Dio legislatore, poiché ogni uomo è in potere di Dio e tende a Dio, ne consegue che nessuno può stabilire norma e confini alla Sua autorità legislatrice, senza andar contro la dovuta obbedienza. Anzi, se la mente umana fosse così presuntuosa da voler stabilire quali e quanti diritti appartengano a Dio e quali doveri a se stessa, il rispetto delle leggi divine sarà più apparente che reale e il suo arbitrio prevarrà sull’autorità e la provvidenza di Dio. È pertanto necessario assumere, con devozione costante, una norma di vita sia dalla legge eterna, sia da tutte e da ogni singola legge che Dio, d’infinita sapienza e potenza, tramandò nel modo che a Lui piacque, e che noi possiamo conoscere con certezza attraverso segnali chiari e immuni da ogni dubbio. Tanto più che siffatte leggi, poiché hanno la stessa origine della legge eterna e lo stesso autore, del tutto armonizzano con la ragione e aggiungono perfezione al diritto naturale; inoltre contengono il magistero di Dio stesso che, per evitare che la mente o la volontà nostra cadano nell’errore, regge benignamente entrambe col suo cenno e con la sua guida. Sia dunque congiunto con salda pietà ciò che non può né deve essere disgiunto, e in ogni occasione, come prescrive la stessa ragione naturale, si presti a Dio umile obbedienza.


Alquanto più moderati, ma per nulla più coerenti, sono coloro che dicono che la vita e i costumi dei privati devono essere regolati dal dettato delle leggi divine, ma non quelli dello Stato; che è lecito sottrarsi ai comandamenti di Dio nei pubblici affari e non rifarsi ad essi in alcun modo nel formulare le leggi. Ne deriva quel funesto corollario per cui è necessario dissociare la Chiesa dallo Stato. Ma non è difficile comprendere l’assurdità di queste affermazioni. Infatti la stessa natura prescrive che ai cittadini siano dati mezzi e opportunità per condurre una vita onesta, cioè conforme alla legge di Dio, poiché Dio è il principio della rettitudine e della giustizia e quindi è inconcepibile che lo Stato ignori quelle stesse leggi o che possa fondare una convivenza ad esse ostile. Inoltre coloro che governano i popoli hanno il dovere verso la comunità di provvedere non solo al benessere e ai beni materiali, ma soprattutto ai beni spirituali con la sapienza delle leggi. E invero non si può immaginare nulla di più adatto ad accrescere questi beni che quelle leggi di cui Dio è autore; perciò, nel governo della società, coloro che rifiutano di applicare le leggi divine, fanno sì che il potere politico si svii dal suo scopo e dall’ordine di natura.

Ma ciò che più importa e che già da Noi stessi fu più volte ricordato, è il fatto che, sebbene il governo civile miri a fini diversi rispetto al potere sacrale, e non percorra lo stesso itinerario, tuttavia nell’esercizio del potere è inevitabile che talora l’uno e l’altro s’incontrino. Infatti entrambi hanno il dominio sulle stesse persone e accade spesso che entrambi affrontino le stesse questioni sia pure con diverso criterio. Ogni volta che un tal caso si presenta, poiché il conflitto è assurdo e profondamente ripugna alla sapientissima volontà di Dio, è necessario che vi sia un metodo e un ordine per cui possa sussistere un ragionevole accordo nell’operare, dopo aver rimosso le cause di dispute e di conflitti. Una siffatta concordia fu già paragonata, non senza ragione, all’unione che esiste tra l’anima e il corpo, con vantaggio di entrambe le parti; la loro disunione è soprattutto nociva al corpo, in quanto ne spegne la vita.


Ad ulteriore chiarimento, è opportuno considerare separatamente quelle varie conquiste di libertà che sono un’esigenza dell’epoca nostra. In primo luogo notiamo nelle singole persone un atteggiamento che è profondamente contrario alla virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa libertà si fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna. Eppure, fra tutti i doveri umani, senza dubbio il più nobile e il più santo consiste nell’obbligo di onorare Dio con profonda devozione.


Tale obbligo deriva dal fatto che noi siamo sempre in potere di Dio, siamo governati dalla volontà e dalla provvidenza di Dio e, da Lui partiti, a Lui dobbiamo ritornare. Si aggiunga che senza religione non può esservi virtù nel vero senso della parola; infatti è virtù morale quella che ha per dovere di condurre a Dio, ultimo e sommo bene per l’uomo; perciò la religione, che determina le azioni che direttamente e immediatamente hanno il fine di onorare Dio , è sovrana e moderatrice di tutte le virtù. E a chi si chiede quale unica religione sia doveroso seguire, tra le molte esistenti e tra loro discordi, la ragione e la natura rispondono: certamente quella che Dio ha prescritto e che gli uomini possono facilmente riconoscere da certi aspetti esteriori con cui la divina provvidenza volle distinguerla, poiché in una questione di tanta importanza ogni errore produrrebbe immense rovine. Perciò, una volta concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce all’uomo la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto dovere, e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù di un’anima avvilita nel peccato.


La stessa libertà, se considerata nell’ambito della società, pretende che lo Stato non faccia propria alcuna forma di culto divino e non voglia professarlo pubblicamente; pretende che nessun culto sia anteposto ad un altro, ma che tutti abbiano gli stessi diritti, senza tener conto della volontà popolare, se il popolo si dichiara cattolico. Ma perché fossero corretti tali principi, dovrebbe essere vero che gli obblighi della società civile verso Dio o sono nulli o possono essere impunemente disattesi: e ciò è falso in entrambi i casi. Infatti non si può dubitare che gli uomini siano uniti in società per volontà di Dio, sia che si consideri la società stessa nelle sue parti, sia nella forma che assume l’autorità, sia nello scopo, sia nell’abbondanza di quei cospicui vantaggi che ne provengono all’uomo.



È Dio che ha creato l’uomo socievole e lo ha posto nel consorzio dei suoi simili, affinché ciò che secondo natura desiderava e non poteva conseguire da solo, divenisse un facile acquisto vivendo in società. Perciò è necessario che la società civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua sovranità. Pertanto, la giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli stessi diritti ad ognuna indistintamente.


Dunque, dal momento che è necessaria la professione di un sola religione nello Stato, è necessario praticare quella che è unicamente vera e che non è difficile riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici, per le note di verità che in essa appaiono suggellate. Conseguentemente i governanti la conservino, la proteggano, se vogliono provvedere con prudenza e profitto, come devono, alla comunità dei cittadini. Il potere pubblico è stato costituito per il vantaggio dei sudditi, e sebbene il suo scopo immediato sia quello di condurre i cittadini alla felicità della vita che si trascorre in terra, tuttavia non deve ridurre ma accrescere nell’uomo la facoltà di conseguire quel supremo ed estremo bene in cui consiste l’eterna felicità degli uomini e a cui non si può pervenire se si trascura la religione.


Ma di ciò parlammo più diffusamente altra volta: in questo momento vogliamo soltanto che ci si renda conto che una siffatta libertà è assai nociva alla vera libertà, sia dei governanti che dei governati. Giova invece mirabilmente la religione, in quanto essa riconosce da Dio stesso l’origine del potere, e severamente ammonisce i sovrani perché siano memori dei loro doveri, perché non comandino nulla di ingiusto o di crudele, e governino i sudditi benevolmente e quasi con carità paterna. Essa impone ai cittadini di sottostare alla legittima potestà, come a ministri di Dio; essa li unisce ai reggitori dello Stato non solo con l’obbedienza, ma con il rispetto e l’amore, vietando le sedizioni e tutte quelle imprese che possono turbare l’ordine e la pubblica tranquillità, e che infine producono l’effetto di limitare con più stretti vincoli la libertà dei cittadini. Tralasciamo di dire quanto la religione conduca a buoni costumi, e quanto i buoni costumi conducano alla libertà. Infatti la ragione dimostra, e la storia conferma, che le nazioni, quanto più sono morigerate, tanto più prosperano per libertà, ricchezza e potenza.


Ora si consideri un poco la libertà di parola e ciò che piace esprimere per mezzo della stampa. È appena il caso di dire che questa libertà non può essere un diritto se non è temperata dalla moderazione ed esorbita oltre la misura. Infatti il diritto è una facoltà morale: come dicemmo e come dovremo più spesso ridire, è assurdo pensare che essa sia concessa dalla natura in modo promiscuo e accomunata alla verità e alla menzogna, alla onestà e alla turpitudine. La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate nello Stato con saggezza e libertà, in modo che diventino retaggio comune; le false opinioni, di cui non esiste peggior peste per la mente, nonché i vizi che corrompono l’animo e i costumi, devono essere giustamente e severamente repressi dall’autorità pubblica, perché non si diffondano a danno della società. Gli abusi dell’ingegno sregolato, che si risolvono in oppressione delle moltitudini ignoranti, devono essere repressi dall’autorità delle leggi non meno che le offese recate con la forza ai più deboli. Tanto più che una gran parte di cittadini non può affatto – o talvolta lo può con estrema difficoltà – guardarsi dai sofismi e dagli artifici dialettici, soprattutto se blandiscono le passioni.

Concessa a chiunque illimitata libertà di parola e di stampa, nulla rimarrà d’intatto e d’inviolato; non saranno neppure risparmiati quei supremi e veritieri principi di natura che sono da considerare come un comune e nobilissimo patrimonio del genere umano. Così oscurata a poco a poco la verità dalla tenebre, come spesso accade, facilmente prenderà il sopravvento il regno dell’errore dannoso e proteiforme. Perciò quanto più la licenza avrà spazio, tanto maggiore danno avrà la libertà; tanto più sarà ampia e sicura la libertà, quanto più efficaci i freni alla licenza. Invero, ove natura non si opponga, è concesso, su questioni opinabili permesse da Dio alla discussione degli uomini, esprimere liberamente ciò che piace e ciò che si sente; infatti una tale libertà non conduce mai gli uomini a conculcare la verità, ma semmai ad indagarla e a rivelarla.


Su quella che è chiamata libertà d’insegnamento occorre esprimere un giudizio non diversamente motivato. È fuor di dubbio che solo la verità deve informare le menti, poiché in essa sono posti il bene, il fine e la perfezione degli esseri intelligenti; quindi la dottrina non deve insegnare altro che la verità, tanto a chi la ignora quanto a chi la conosce, in modo che al primo rechi la conoscenza del vero, nell’altro la conservi. Per questo motivo è stretto dovere degli insegnanti svellere l’errore dalle menti e con validi argomenti sbarrare la via alle opinioni fallaci. Pertanto appare del tutto contraria alla ragione e predisposta a pervertire totalmente le menti quella libertà, cui si riferisce il nostro discorso, in quanto essa pretende per sé il diritto d’insegnare secondo il proprio arbitrio; licenza che il pubblico potere non può accordare alla società senza venir meno al proprio dovere. Tanto più che l’autorità dei maestri ha molta influenza sui discepoli, e raramente l’alunno può giudicare in modo autonomo se sia vero ciò che il maestro insegna.


Perciò occorre che anche questa libertà, per essere giusta, sia circoscritta da precisi confini, affinché non accada impunemente che l’arte di insegnare si trasformi in veicolo di corruzione. Inoltre la verità, a cui deve unicamente mirare la dottrina degli insegnanti, è di due specie: naturale o soprannaturale. Le verità naturali, quali sono i principi di natura e quelli che da essi la ragione deduce, sono come il patrimonio comune del genere umano. Su di esso, come su solidissime fondamenta, poggiano la morale, la giustizia, la religione e la stessa coesione della società umana, e perciò nulla vi è di tanto empio e di tanto stolidamente inumano, quanto permettere che quel patrimonio sia violato e dilapidato impunemente. Né va conservato meno devotamente il prezioso e santissimo tesoro di quelle realtà che conosciamo per rivelazione divina. Con numerosi e limpidi argomenti che gli Apologeti usarono spesso, si possono stabilire certi punti essenziali che sono quelli divinamente rivelati da Dio: l’Unigenito Figlio di Dio si è incarnato per rendere testimonianza alla verità; da Lui è stata fondata una società perfetta, quale è la Chiesa, di cui Egli stesso è il capo e con la quale promise di rimanere fino alla consumazione dei secoli. Tutte le verità che Egli ha insegnato volle affidate a questa società perché le custodisse, le difendesse, le divulgasse con legittima autorità; ad un tempo prescrisse a tutti i popoli di ascoltare la parola della sua Chiesa come fosse la propria: chi agirà diversamente, si perderà nell’eterna dannazione.

Per questo motivo risulta evidente che Dio è il migliore e più sicuro maestro per l’uomo, fonte e principio di ogni verità; che l’Unigenito, in unione col Padre, è la via, la verità, la vita, la vera luce che illumina ogni uomo; al suo insegnamento devono essere docili tutti gli uomini: "E saranno tutti discepoli di Dio" (Gv 5,45). Ma Dio stesso volle la Chiesa partecipe del divino magistero in materia di fede e di morale, rendendola infallibile per sua divina grazia; perciò la Chiesa è la più alta e sicura maestra dei mortali e in essa è presente l’inviolabile diritto alla libertà d’insegnamento. In realtà, vivendo della sapienza di origine divina, la chiesa nulla ritenne più importante che l’adempiere santamente la missione a lei affidata da Dio: più forte delle difficoltà che l’assediavano da ogni lato in nessun momento cessò di combattere per il libero esercizio del proprio magistero. In questo modo la terra, respinta la miserabile superstizione, fu rinnovata alla luce della sapienza cristiana. La stessa ragione insegna chiaramente che le verità rivelate da Dio e le verità naturali non possono ovviamente essere tra loro contrarie; per questo motivo deve essere falso tutto ciò che con esse non concorda; perciò il divino magistero della Chiesa è tanto lontano dall’ostacolare l’impegno di apprenderei progressi delle scienze o dal ritardare in alcun modo l’avanzamento di una più civile umanità, ma piuttosto è portatrice d’intensa luce e di sicura tutela.

La stessa Chiesa giova non poco alla perfezione della libertà umana, avendo presente quella sentenza di Gesù Cristo Salvatore per cui l’uomo è reso libero dalla verità: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,32). Pertanto non vi è motivo per cui la vera libertà debba indignarsi o la scienza degna di questo nome debba dolersi delle leggi giuste e necessarie che secondo i concordi dettami della Chiesa e della ragione debbono regolare l’apprendimento umano. Anzi la Chiesa, mentre agisce soprattutto a tutela della fede cristiana, si adopera altresì per favorire e far progredire ogni forma di umano sapere, come la realtà stessa dimostra diffusamente. Infatti è onesto di per sé e lodevole e desiderabile il decoro della cultura; inoltre l’erudizione che derivi da un sano raziocinio e che corrisponda alla verità oggettiva, serve non poco ad illuminare quegli articoli di fede in cui crediamo perché dettati da Dio. Davvero sono dovuti alla Chiesa questi grandi benefici: l’aver nobilmente conservato i monumenti dell’antica sapienza; l’aver aperto ovunque istituti scientifici; l’aver sempre incoraggiato il progresso intellettuale, alimentando con grande zelo quelle stesse arti medesime per le quali soprattutto si distingue la civiltà contemporanea.


Infine non si può tacere che un campo immenso si spalanca in cui l’iniziativa e l’intelligenza degli uomini possono liberamente spaziare ed esercitarsi: cioè sui temi che non hanno alcun necessario rapporto con i principi di fede e di morale cristiana o sui quali la Chiesa, senza far uso della sua autorità, lascia libero e integro il giudizio dei dotti. Da quanto si è detto si comprende quale sia nella fattispecie quella libertà che con pari ardore rivendicano e predicano i seguaci del Liberalismo. Per un verso pretendono per sé e per lo Stato una licenza così eccessiva che non esitano ad aprire un varco anche alle opinioni più perverse; d’altra parte intralciano in tanti modi la Chiesa e restringono la sua libertà entro i più angusti limiti, per quanto è loro possibile, quantunque dalla dottrina della Chiesa non solo non si deve temere alcun danno ma ci si deve aspettare ogni sorta di benefici.


Inoltre si predica assiduamente quella che viene chiamata libertà di coscienza; la quale, se interpretata nel senso che a ciascuno è giustamente lecito, a piacer suo, di venerare o di non onorare Dio, trova la sua smentita negli argomenti svolti in precedenza. Ma può avere anche questo significato: all’uomo è lecito, nel civile consorzio, seguire la volontà e i comandamenti di Dio secondo coscienza e senza impedimento alcuno. Questa vera libertà, degna dei figli di Dio, che assai giustamente tutela la dignità della persona umana, è più forte di qualunque violenza e offesa, ed è sempre desiderata e soprattutto amata dalla Chiesa. Con costanza, gli Apostoli rivendicarono per sé una siffatta libertà; gli Apologisti la sancirono con gli scritti; i Martiri la consacrarono in gran numero col loro sangue. E meritatamente, in quanto questa libertà cristiana attesta ad un tempo il supremo e giustissimo potere di Dio sugli uomini e l’assoluto e primario dovere degli uomini verso Dio. Essa non ha nulla in comune con uno spirito sedizioso e ribelle, né la si può in alcun modo incolpare di voler sottrarsi all’ossequio verso il pubblico potere, poiché comandare e pretendere obbedienza, nella misura che tale diritto appartiene al potere umano, per nulla contrasta col potere divino e si mantiene nell’ordine voluto da Dio. Ma quando si danno ordini che palesemente contrastano con la divina volontà, allora si esce da quella misura e nello stesso tempo si entra in conflitto con la divina autorità: perciò è giusto non obbedire.


Al contrario i seguaci del Liberalismo che considerano lo Stato padrone assoluto e onnipotente, e affermano che la vita deve essere vissuta senza rispetto alcuno verso Dio, non riconoscono affatto la libertà di cui parliamo, congiunta a onestà e religione; se si fa qualcosa per conservarla, accusano di aver agito a danno dello Stato. Se dicessero il vero, esisterebbe una tirannide così crudele, alla quale non si dovrebbe né sottostare né ubbidire.


La Chiesa vorrebbe ardentemente che in tutti gli ordini statali penetrassero e fossero praticati quegli insegnamenti cristiani di cui abbiamo parlato sommariamente. Infatti essi sono molto efficaci come rimedio dei mali dell’età nostra, non pochi né lievi e in gran parte generati da quelle stesse libertà che con tanta enfasi sono esaltate e nelle quali sembrava di scorgere semi di salute e di gloria. L’esito ingannò la speranza. Invece di frutti dolci e salutari ne provennero altri acerbi e avvelenati. Se si cerca un rimedio, lo si trovi nel ripristino di sane dottrine, dalle quali soltanto ci si può aspettare con fiducia la conservazione dell’ordine e infine la tutela della vera libertà. Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene.

Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e potente, consentì tuttavia che nel mondo esistesse il male, in parte perché non siano esclusi beni più rilevanti, in parte perché non si conseguano mali maggiori. Nel governo delle nazioni è giusto imitare il Reggitore del mondo: anzi, non potendo l’umana autorità impedire ogni male, deve "concedere e lasciare impunite molte cose che invece sono punite giustamente dalla divina Provvidenza" . Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale: infatti il male, essendo di per sé privazione di bene, ripugna al bene comune che il legislatore, per quanto gli è possibile, deve volere e tutelare. E anche in questo caso è necessario che la legge umana si proponga di imitare Dio il quale, nel consentire che il male esista nel mondo "non vuole che il male si faccia, né vuole che il male non si faccia, ma vuole permettere che il male si faccia, e questo è bene" . Questa affermazione del dottore Angelico contiene in sintesi tutta la dottrina sulla tolleranza del male.

Ma bisogna riconoscere, se si vuole giudicare rettamente, che quanto più in uno Stato è necessario tollerare il male, tanto più questo tipo di Stato è lontano da una condizione ottimale; così pure, quando si opera secondo i precetti della prudenza politica, è necessario circoscrivere la tolleranza dei mali entro i limiti che il motivo – cioè la salute pubblica – richiede. Perciò, se la tolleranza reca danno alla salute pubblica e procura mali maggiori allo Stato, ne consegue che non è lecito praticarla, poiché in tali circostanze viene a mancare il movente del bene. Se poi accade che, per particolari condizioni dello Stato, la Chiesa si adegui a certe moderne libertà, non perché le prediliga in quanto tali, ma perché giudica opportuno permetterle, nel caso che i tempi volgessero al meglio, adotterebbe certamente la propria libertà e persuadendo, esortando, pregando si dedicherebbe, come deve, all’adempimento della missione a lei assegnata da Dio, che consiste nel provvedere all’eterna salute degli uomini. Tuttavia è pur sempre eternamente vero che codesta libertà di tutti e per tutti non è desiderabile di per se stessa, come più volte abbiamo detto, poiché ripugna alla ragione che la menzogna abbia gli stessi diritti della verità. E per quanto riguarda la tolleranza, sorprende quanto siano distanti dalla equità e dalla prudenza della Chiesa coloro che professano il Liberalismo. Infatti, con l’assoluta licenza di concedere tutto ai cittadini, come dicemmo, varcano completamente la misura e giungono al punto di non attribuire alla onestà e alla verità maggior valore che alla falsità e alla malvagità.

Essi poi accusano di essere priva di pazienza e di mitezza la Chiesa, colonna e firmamento di verità, incorrotta maestra di moralità, perché ripudia costantemente, come deve, una tale dissoluta e perniciosa specie di tolleranza e nega che sia lecito praticarla; comportandosi in questo modo non si accorgono di trasformare in colpa ciò che è motivo di encomio. Ma in tanta ostentazione di tolleranza, di fatto accade spesso che i liberali siano tenacemente restrittivi verso il cattolicesimo e che prodighi di libertà verso il volgo, rifiutino in molti casi di lasciar libera la Chiesa.


Ma ricapitoliamo brevemente tutto il discorso con i suoi corollari, per motivi di chiarezza: è per necessità suprema che l’uomo si trovi completamente sotto il vero e perpetuo potere di Dio: perciò non si può affatto concepire la libertà dell’uomo se non dipendente da Dio e soggetta alla Sua volontà. Negare in Dio tale sovranità o non assoggettarsi ad essa non è comportamento di uomo libero, ma di chi abusa della libertà per tradirla; in verità da tale disposizione d’animo si forma e si realizza il vizio capitale del Liberalismo. Il quale tuttavia si distingue in molteplici forme: infatti la volontà, in modo e in grado diversi, può rifiutare l’obbedienza che è dovuta a Dio o a coloro che sono partecipi del potere divino.


Certamente, ricusare radicalmente la sovranità del sommo Dio e rifiutargli ogni obbedienza, sia nella vita pubblica, sia nella vita privata e domestica, è la massima perversione della libertà come anche la peggiore specie di Liberalismo: in tale senso deve essere inteso quanto finora abbiamo detto contro tale dottrina.


Affine è la concezione di coloro che sono d’accordo sulla necessità di sottomettersi a Dio, creatore e signore del mondo, in quanto dal suo potere riceve armonia la natura, però temerariamente ripudiano le leggi della fede e della morale in quanto non rientrano nella natura ma provengono dall’autorità di Dio, o almeno – dicono – non vi è alcun motivo di tenerle in considerazione, soprattutto nella società civile. Abbiamo visto più sopra quanto costoro siano involti nell’errore e quanto poco siano coerenti con se stessi. Da questa dottrina, come da una sorgente, deriva la funesta opinione che la Chiesa deve essere separata dallo Stato; è invece evidente che entrambi i poteri, dissimili nei doveri e diversi di grado, devono tuttavia essere tra loro consenzienti nell’agire concorde e nello scambio dei compiti.


Tale opinione è soggetta a una duplice interpretazione. Molte persone infatti vogliono lo Stato totalmente separato dalla Chiesa, in modo che in ogni norma che regola la convivenza umana, nelle istituzioni, nei costumi, nelle leggi, negli impieghi statali, nella educazione della gioventù, si debba considerare la Chiesa come se non esistesse, pur concedendo infine ai singoli cittadini la facoltà di dedicarsi alla religione in forma privata, se così piace. Contro costoro vale la forza di tutti gli argomenti coi quali confutammo l’opinione relativa alla separazione della Chiesa e della società civile, ma con questa postilla: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la disprezzi.


Altri non contestano che la Chiesa esista, né potrebbero affermare diversamente; essi tuttavia le negano il carattere e i diritti propri di una società perfetta e la facoltà di fare le leggi, di giudicare, di punire, ma soltanto di esortare, persuadere, governare coloro che spontaneamente le si sottomettono. Pertanto con tale opinione snaturano il carattere di questa divina società; debilitano e restringono l’autorità, il magistero e tutta la sua influenza, amplificando al contempo la forza e il potere del principato civile fino al punto di sottoporre la Chiesa di Dio al dominio e all’arbitrio dello Stato, come fosse un qualsivoglia associazione volontaria di cittadini. Per respingere questi argomenti valgono quelli usati dagli Apologisti e da Noi ricordati particolarmente nell’Enciclica Immortale Dei, dai quali si evince che, per istituzione divina, alla Chiesa compete tutto quanto appartiene alla natura e ai diritti di una legittima, suprema e perfetta società.


Vi sono molti, infine, che non approvano la separazione della Chiesa dallo Stato, ma ritengono che la Chiesa debba adeguarsi ai tempi e si pieghi e si adatti a quelle misure che nella amministrazione degli Stati sono suggerite dalla moderna avvedutezza. È onesto il parere di costoro, se lo si intende come ragionevole equità che possa coesistere con la verità e la giustizia: cioè in modo che la Chiesa, accolta la speranza di qualche gran bene, si mostri indulgente e conceda ai tempi quanto più le è possibile, fatta salva la sacralità della sua missione. Ma non è così quando si tratta di fatti e dottrine che siano introdotte dalla mutazione dei costumi e da fallaci opinioni. Nessuna epoca può fare a meno della religione, della verità, della giustizia; Dio ordinò che questi sommi e santissimi beni fossero posti a tutela della Chiesa e perciò nulla è tanto assurdo quanto pretendere che la Chiesa ipocritamente accetti sia la falsità che l’ingiustizia, o sia connivente con ciò che nuoce alla religione.


Da quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà possono essere tollerate se vi sia un giusto motivo, ma entro certi limiti di moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e nell’arroganza. Dove infatti vige la consuetudine di queste libertà, i cittadini le trasformino in facoltà di agire correttamente e di esse abbiano il concetto medesimo che ne ha la Chiesa. Pertanto ogni libertà è da ritenere legittima finché procura più frequenti occasioni di onesta condotta, altrimenti no.


Dove la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza con iniqua violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà, è lecito chiedere una diversa organizzazione dello Stato, in cui sia concesso agire liberamente; in questo caso non si rivendica quella smodata e colpevole libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così solamente perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si concede licenza al malaffare.


Inoltre, non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa.


È onesto partecipare alla pubblica amministrazione, a meno che in qualche luogo, per eccezionali circostanze di tempo e di cose, non venga disposto diversamente; anzi la Chiesa approva che ognuno dedichi l’opera sua al comune vantaggio e che con ogni sua iniziativa – nei limiti del possibile – difenda, consolidi, renda prospero lo Stato. La Chiesa non condanna una nazione che voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché sia salva la giustizia. Infine non rimprovera neppure coloro che propugnano uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza dotata della più ampia facoltà di accrescere il proprio benessere.


La Chiesa fu sempre coerente fautrice delle libertà civili, purché non intemperanti: ne sono validi testimoni le città d’Italia che, attraverso i Comuni, raggiunsero la prosperità, la ricchezza, la gloria esercitando i propri diritti, nel tempo in cui la virtù salutare della Chiesa si era diffusa in ogni parte dello Stato, senza alcun contrasto.


Venerabili Fratelli, confidiamo che questi concetti, che abbiamo espresso guidati ad un tempo dalla fede e dalla ragione nell’adempimento del Nostro dovere apostolico, riescano fruttuosi per molti, soprattutto se coopererete con Noi. E Noi, nell’umiltà del Nostro cuore, alziamo supplici gli occhi a Dio e con ardore Lo preghiamo perché voglia benevolmente infondere negli uomini il lume della sua sapienza e del suo consiglio, in modo che, confortati da queste virtù, possano distinguere la verità in situazioni così difficili, e di conseguenza possano vivere in privato, in pubblico, in ogni tempo, con inalterabile costanza fedeli alla verità. Come auspicio di celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo a Voi affidato, impartiamo con grande affetto nel Signore l’Apostolica Benedizione


Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 giugno 1888, nell’anno undecimo del Nostro Pontificato.


LEONE PP. XIII
[Modificato da Caterina63 11/08/2010 09:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)