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DIFENDERE LA VERA FEDE

Il Libro Liturgico? una guida per camminare nel mistero, ma attenzione agli equivoci

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    Caterina63
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    00 16/03/2009 14:15

    Il libro liturgico dalla celebrazione alla vita quotidiana.

    Una guida per camminare nel mistero.




    di Manlio Sodi

    Il libro liturgico è visto, di solito, come uno strumento destinato a esaurire la sua funzione solo nell'ambito celebrativo. Sorge spontanea la domanda: al di là della celebrazione, il libro può essere considerato come uno strumento "educativo" tale da ricoprire un ruolo importante? A quali condizioni la conoscenza del libro liturgico determina l'approfondimento di quella "teologia liturgica" che dovrebbe orientare le molteplici applicazioni nella prassi ecclesiale? Su quali principi o punti di riferimento è possibile formulare una risposta adeguata?


    È dallo studio del libro liturgico che è possibile cogliere le modalità e i linguaggi con cui Cristo è presente nelle assemblee per mezzo delle celebrazioni che in ogni tempo e luogo sono state - e sono - espressione della vita di generazioni di fedeli che ci hanno preceduti nel segno della fede.
    La riforma liturgica annovera al suo attivo la serie completa dei libri liturgici - come ben evidenziato da "Rivista Liturgica" vol. 5, 2008. La messa in opera dei loro contenuti è il punto di passaggio obbligato per attuare il rinnovamento del culto nelle singole Chiese, e per illuminare e sorreggere la dimensione liturgica della vita dei fedeli.

    Per celebrare nella vita quanto è stato partecipato nel mistero è indispensabile "conoscere" il contenuto e i dinamismi della celebrazione stessa; a questo orientano "le premesse teologico-liturgiche" con cui si aprono tutti i libri liturgici.

    Ogni celebrazione è sempre un'esperienza di fede, una riconferma della speranza e un'apertura alla carità; ciò implica che l'insieme dell'azione liturgica valorizzi tutti quegli elementi e quelle possibilità di scelta che il libro liturgico contiene. La premessa per tale educazione richiede un'attenzione rinnovata nei confronti dell'assemblea la cui partecipazione alla pasqua di Cristo costituisce la ragione determinante di tutta la riforma liturgica.

    Dal momento che l'esperienza del mistero passa attraverso il rito, risulta ovvio che anche nella liturgia il dialogo tra Dio e il suo popolo non sfugge alle condizioni e alle leggi della comunicazione umana. Ciò richiama l'attenzione su tutti quegli elementi e accorgimenti che favoriscono tale complessa comunicazione, e fanno parte della competenza dei vari animatori della celebrazione, chiamati a svolgere un'intelligente opera di mediazione tra il mistero che si celebra e l'assemblea.

    Con l'invenzione della stampa, la comodità di avere il libro più maneggevole ha portato insensibilmente a eliminare i manoscritti liturgici che per loro natura erano differenti da Chiesa locale a Chiesa locale, e a pianificarne la così detta creatività. In questa linea l'opera del concilio Tridentino e dei Papi "è degna di altissima lode: ha salvato la liturgia dalla crisi del Cinquecento. È però anche opera limitata: mentre ha fissato la liturgia per superare la situazione caotica di quell'epoca, l'ha anche allontanata dalla vita reale, l'ha quasi "congelata", costringendo così la pietà dei fedeli ad allontanarsene per rivolgersi a forme di pietà popolare e devozionale, e dando origine, senza volerlo, alla cultura religiosa del Barocco" (Burkhard Neunheuser, Storia della liturgia attraverso le epoche culturali, 1983, pp. 118-119).

    Le fonti liturgiche costituiscono una testimonianza del modo con cui le diverse comunità hanno espressa la loro vitalità. La fonte non può essere accostata solo come "fissa espressione", bensì deve essere presa in considerazione come testimonianza del modo con cui l'Ecclesia si è autocompresa. Si può pertanto asserire che la fonte possiede un valore di testimonianza che supera il tempo in cui è stata redatta. In essa si rispecchia quanto le generazioni precedenti avevano trasmesso, e sfocia nei libri liturgici come punto di arrivo; a sua volta, l'uso di questi libri diventa punto di partenza per celebrare la fede e per alimentare la vita spirituale.

    I testi liturgici antichi o contemporanei sono, simultaneamente, testimoni dei contenuti perenni della revelatio che diventa traditio in Ecclesia e ex Ecclesia, e della prassi della vita di fede della Chiesa. Nella fonte è infatti codificata l'esegesi vitale della Parola di Dio.

    La molteplice varietà di espressioni liturgiche è da considerarsi come la verifica della veridicità della tradizione viva. In questa linea, anche la compilazione dei libri liturgici post-tridentini obbedisce al principio della formulazione progressiva e organica della struttura celebrativa, in seno al rito romano, come attuazione del principio dell'adattamento liturgico: realizzazione della lex credendi ripensata, rivissuta, filtrata dalla riforma tridentina, in nome della lex vivendi autenticamente cristiana, con l'intento di vivificare la lex orandi. E a sua volta la lex orandi alimenta la lex vivendi, rettificandone - o impedendone - eventuali deviazioni.

    Dato che ogni libro liturgico rappresenta un compendio di "teologia in atto" e una fonte inesauribile di spiritualità cristiana, anche i contenuti del libro godono di caratteristiche e di prerogative speciali. Così, i formulari stessi diventano uno strumento che catalizza le energie vitali della Chiesa orante. I testi (verba), i gesti (verba-preces), le celebrazioni (ritus) occupano un posto particolare. Solo dallo studio attento di tutti i contenuti si può dedurre il vero significato di cui essi vogliono essere i trasmettitori.

    A nessuno sfugge, a esempio, l'importanza della riforma liturgica tridentina. Al di là delle coordinate del tempo, essa dev'essere vista come lo strumento concreto attraverso cui l'economia di salvezza è stata riproposta in celebrazioni una cum Ecclesia. I formulari liturgici, infatti, sono finalizzati a far sì che il semel pro semper si attui nell'hodie liturgico ogni volta che l'Ecclesia celebra il memoriale dell'historia salutis.

    Ora, se è vero che "i criteri usati (...) per la revisione dei libri liturgici post-tridentini possono oggi suscitare numerose critiche, soprattutto in ordine alla pastorale", è anche vero che nella liturgia romana era la prima volta che si operava da parte della Sede apostolica una redazione di tutti i libri (cfr. Enrico Cattaneo, Il culto cristiano in Occidente. Note storiche, 1984, p. 318). Si pensi anche alle modalità con cui nella Sessione xxii, cap. viii, del concilio di Trento fu risolto il problema circa l'uso della "lingua del popolo" nella liturgia. La valutazione della riforma in causa deve essere letta alla luce delle coordinate del tempo e studiata sui testi del tempo. Mediante un adeguato comparativismo tali documenti assumono un tono tale da invitare a sfumare giudizi talora proferiti quasi in superficie.

    Perché il rinnovamento sia attuato in profondità, è necessario il concorso di svariate componenti: dalla pastorale alla catechesi, alla spiritualità, e prima ancora dalla formazione biblica. Ma il vertice di questo molteplice impegno è costituito dall'educazione alla celebrazione che realizza ciò che esprime.

    Ora, il libro è lo strumento che permette l'attuazione della celebrazione in quanto ne traccia la struttura, ne indica il contenuto, ne manifesta il mistero. Visto in questa prospettiva il libro assume un'importanza tale da superare il ristretto ambito celebrativo per coinvolgere anche il "prima" e il "dopo" che, nella prassi, si sovrappongono in quanto la vita si snoda tra una celebrazione e l'altra, dalla pasqua quotidiana e settimanale a quella annuale, e così fino alla pasqua eterna.

    Ne consegue che il libro è chiamato a svolgere un ruolo sia nell'ambito della celebrazione, sia nell'ambito della formazione attraverso il confronto con quei sussidi che offrono prospettive ampie e serie di approfondimento.
    L'affermazione conserva la sua consistenza se rapportata con un concetto dinamico di celebrazione; con un modo di vedere e realizzare la celebrazione come "azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato" (Premessa al Messale, n. 16). Nel contesto, il libro assume il ruolo di strumento che "orienta, prepara, guida" l'interazione di questi molteplici dinamismi propri dell'umano e del divino, che nella celebrazione realizzano il loro punto di convergenza.

    In quanto strumento per la celebrazione, il libro non è mai definitivo, ma sempre "perfettibile"; per questo ha bisogno di essere adattato secondo i diversi livelli di competenza e continuamente "mediato" perché la celebrazione sia ogni volta un segno del mistero di Cristo che si incarna nel vissuto di ogni persona.

    Nell'offrire gli elementi della celebrazione il libro liturgico parla con il linguaggio della tradizione: quella che viene celebrata è la fede della Chiesa di sempre, riespressa in modo sempre nuovo anche attraverso i testi eucologici. Ecco perché l'accostamento del libro liturgico implica un rinnovamento interiore, un aggiornamento culturale, teologico e pastorale.
    Il contenuto racchiuso nel libro riguarda tutto un cammino formativo che precede e accompagna la celebrazione, e che in questa trova il vertice, la sintesi e la fonte. È in tale prospettiva che bisogna evidenziare la dimensione pedagogica che il libro liturgico offre.

    Gli ambiti che vengono coinvolti sono molteplici e rinviano tanto ai contenuti che ai destinatari: a) i "contenuti" rimandano alla formazione biblica, teologica in genere e teologico-liturgico-sacramentale in particolare; inoltre alla pastorale, alla catechesi, alla spiritualità, e a tutte quelle componenti che interagiscono in ordine alla partecipazione; b) quanto ai "destinatari" c'è da ricordare l'assemblea, coloro che svolgono un ministero al suo interno, i catechisti e, in genere, gli operatori pastorali.

    Nel contesto della teologia e della pastorale liturgica i punti fermi da tenere presenti possono essere sintetizzati attorno a cinque considerazioni:
    Educatore primo del popolo di Dio è lo Spirito che orienta la Chiesa pellegrina nel tempo guidandola "alla verità tutta intera" (Giovanni, 16, 13). Il raggiungimento di questa meta è accompagnato da coloro che svolgono il ministero della presidenza; soprattutto a questi è affidato il libro liturgico.
    Destinatari privilegiati sono gli educatori del popolo di Dio e, parallelamente, l'assemblea che trova in tali mezzi ciò che le permette di partecipare in modo più intenso all'azione liturgica.

    La formazione impartita attraverso il libro liturgico ha lo scopo di rinnovare il culto per rinnovare la vita. Ciò comporta una riscoperta dei valori del sacerdozio comune, e l'acquisizione di una sintesi nel progetto di vita.

    Mezzi adeguati per sostenere un simile impegno educativo sono: la stessa azione liturgica; gli elementi propri della celebrazione (Parola, eucologia, struttura rituale e così via) che costituiscono il contenuto del libro; un uso rispettoso e creativo del libro stesso, valorizzando i contenuti delle "Premesse" e il dispositivo rubricale.

    Ritmi privilegiati di tale pedagogia sono: la celebrazione che postula un "prima" e rimanda a un "dopo"; l'insieme delle celebrazioni che strutturano l'anno liturgico; i vari interventi della pastorale e catechesi liturgica, per i quali il confronto con il libro costituisce un elemento imprescindibile; e, infine, il ritmo della deontologia invita l'operatore a un atteggiamento di formazione permanente.

    I principi su cui si basa questa capacità educativa del libro liturgico hanno un fondamento che di seguito sintetizziamo. Nel libro liturgico lex credendi e lex orandi raggiungono una sintesi tale che non trova uguali in nessun altro ambito della vita della Chiesa o del singolo fedele.

    Il libro educa a celebrare bene per vivere meglio ciò che si celebra; è dunque uno strumento destinato a mediare il mistero nella vita attraverso la celebrazione.

    "Sebbene l'azione liturgica non sia, per se stessa, una forma particolare di catechesi, essa ha però un suo criterio didattico, che affiora anche nel Lezionario (...) tanto che il Lezionario stesso si può considerare a buon diritto uno strumento pedagogico per incrementare la catechesi" (Premessa al Lezionario, n. 61). Quanto è detto esplicitamente del Lezionario, si può estendere a ogni altro libro liturgico dove è espresso il significato delle formule e dei riti.

    La capacità pedagogico-educativa del libro, infine, si presenta con le categorie di universalità, linearità e adattabilità. Il libro liturgico risulta uno strumento che s'impone all'attenzione dell'animazione pastorale come segno e fonte di unità, pur nella diversità che caratterizza tanto le singole Chiese locali come ogni assemblea liturgica.

    A motivo del contenuto e dell'obiettivo cui è destinato, il libro liturgico costituisce un punto di convergenza per l'attenzione dei responsabili della celebrazione, e insieme il punto di verifica per continuare a realizzare nella vita, mediante la pastorale e la catechesi, ciò che è stato celebrato nel mistero.

    Tutto questo comporta una conoscenza approfondita dei contenuti racchiusi in tale strumento: solo così la riforma potrà raggiungere gli scopi per cui è stata realizzata: la partecipazione vera e piena del fedele al mistero del Cristo. Solo una conoscenza adeguata del libro può permettere a chiunque svolge un ruolo nella celebrazione di essere un vero mediatore tra il libro e l'assemblea, tra la norma universalmente valida e le esigenze proprie della singola comunità.


    ©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2009. Photo TemplariOggi.it - L'Evangeliario del Duomo di Modena “Missale Vetus ad Usum Templariorum”.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 24/03/2010 21:33
    A quarant'anni dall'edizione del "Missale Romanum" di Paolo VI e a 440 anni da quello di Pio V

    Lo stile rituale del banchetto eucaristico


    Il 25 e il 26 marzo, organizzato dalla Pontificia Accademia di Teologia e altre realtà e riviste liturgiche, si svolge un simposio presso l'Istituto salesiano Sacro Cuore di Gesù di Roma a quarant'anni dall'edizione del Missale Romanum di Paolo VI e a 440 anni da quello di Pio V tra teologia ed ermeneutica della continuità. Anticipiamo le conclusioni di una delle relazioni.
     

    di Matías Augé

    Non bisogna dimenticare gli arricchimenti che il Missale Romanum di Paolo VI e di Giovanni Paolo ii (1970-2002) offre alla stessa riflessione teologica e alla spiritualità eucaristica. Il Papa nel motu proprio Ecclesia Dei adflicta (1988) incita i teologi e gli altri esperti nelle scienze ecclesiastiche a fare il possibile per mettere in luce la sostanziale continuità del Vaticano ii con la Tradizione, "specialmente nei punti di dottrina che, forse per la loro novità, non sono stati ancora ben compresi da alcuni settori della Chiesa" (n. 5). Si tratta, infatti, di una novità non arbitraria, ma fedele alla tradizione che ci viene dai Padri, dalle fonti liturgiche del primo millennio e dalla teologia sottostante ai documenti del concilio Vaticano II.

    Credo che sul versante dei testi eucologici emerge la continuità nonché un certo progresso del Messale 1970-2002 in rapporto alle edizioni anteriori. Sul versante della forma e della gestualità, bisogna aver presente che "la forma liturgica non può essere semplicemente giustapposta al contenuto, anzi essa è per sua stessa natura manifestazione del contenuto" (Claudio Crescimanno, La riforma della riforma liturgica, Verona, Fede & Cultura, 2009, p. 38).

    Per quanto concerne questo mio intervento, mi limito a dire che la deriva conviviale che, secondo alcuni critici, caratterizzarebbe il Messale è più nel modo con cui talvolta si celebra che nella normativa. D'altra parte, però, occorre ricordare che la celebrazione eucaristica nel suo insieme, così come è stata istituita, nella sua forma di banchetto, è memoriale del sacrificio di Cristo. "La convivialità ha una storia biblica nella sua forma particolarmente di cena pasquale, ma la precisa relazione con il sacrificio di Cristo è "creata" da lui stesso" (Inos Biffi, in "La Scuola Cattolica" 117, 1989, p. 347).
     
    La forma conviviale offre la possibilità di esprimere la realtà del sacrificio come dono di sé. Ciò non significa che si intenda la celebrazione come un "incontro amichevole intorno a un tavolo" dove i presenti sono interessati anzitutto ai rapporti vicendevoli. Il banchetto eucaristico è sempre un banchetto simbolico, cultuale che esige uno stile rituale. Ciò che Dio ci offre in Cristo, noi lo riceviamo nella lode, e in questa lode noi restituiamo la benedizione ottenuta a Colui che ci ha benedetti. Non di rado, però, ancora oggi in alcuni autori il concetto religioso e naturale di sacrificio emerge e si sovrappone all'atto centrale della persona di Cristo. In ogni modo, non è da sottovalutare il fatto che il dettato della Sacrosanctum concilium, n. 34, secondo cui i riti devono splendere per nobile semplicità, può essere attuato in modi diversi secondo le sensibilità culturali del momento.

    Vorrei chiudere questo discorso con alcune parole del colloquio che Joseph Ratzinger, appena creato cardinale, ebbe nel 1977 con la redazione della rivista internazionale "Communio":  "Per quanto riguarda il contenuto (a prescindere da singole critiche), sono molto grato per il nuovo Messale, per l'allargamento del tesoro delle orazioni, dei prefazi, per le nuove preghiere eucaristiche, per l'aumento dei formulari di Messa dei giorni feriali, eccetera, senza dimenticare la possibilità dell'uso della lingua materna. Considero però infelice che sia presentato come un nuovo libro, anziché in continuità con la storia della liturgia (...) La consapevolezza della ininterrotta unità interna della storia della fede, unità che si esprime nella sempre presente unità della preghiera derivante da tale storia, è essenziale per la Chiesa. Questa consapevolezza è ridotta in frantumi sia dove si opta per un libro che sarebbe stato fatto quattrocento anni fa, sia dove si vorrebbe avere la liturgia il più fresca possibile fatta da sé" (Theologie der Liturgie, Freiburg im Breisgau, Herder, 2008, pp. 619-620).


    (©L'Osservatore Romano - 25 marzo 2010)

    [Modificato da Caterina63 24/03/2010 21:35]
    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 24/08/2012 15:27

    Il Messaggero di San Antonio per la diffusione delle Messe in latino

     
     

    Una novità editoriale, un "unicum" nel suo genere, è il sussidio da poco uscito per i tipi delle Edizioni Messaggero Padova - passato quasi inosservato anche nei blog specializzati -. Si tratta del libretto dal titolo Eucharisticum Mysterium, che contiene (per la prima volta insieme), uno vicino all'altro, l'ordo missae del 1970 e del 1962, ovvero il testo (in latino con italiano a fronte) della Messa di Paolo VI e della Messa del Beato Giovanni XXIII, con tutte le rubriche tradotte e belle introduzioni.

    Il tutto ha compilatori di assoluto primo piano: il prof. Manlio Sodi, direttore di Rivista Liturgica (edita anche questa dal Messaggero di Padova) e per anni preside della Facoltà di Teologia dei Salesiani di Roma, curatore dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini, uno dei massimi esperti dei testi della liturgia romana lungo la storia. Le traduzioni e revisioni sono affidate nientemeno che al Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, la scuola per latinisti alle dirette dipendenze del Papa.

    Infine, la presentazione dell'opera è affidata addirittura a Mons. Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.

    osa viene a dire una pubblicazione di questo genere, a cui collaborano tanti esperti, e che viene diffusa da una delle case editrici cattoliche più popolari? Il significato è abbastanza ovvio: bisogna superare steccati e barriere ideologiche contro il latino nella Messa. Sia la messa "nuova" che la messa "antica" sono da conoscere nella loro lingua originale, e - con l'aiuto di sussidi come questo - si possono anche celebrare. Non in concorrenza, ma nello spirito di mutua valorizzazione, accettazione e complementarietà che esse esprimono, mettendo in luce, in modi diversi ma non avversi, le ricchezze della Parola di Dio e dei tesori dell'eucologia della Chiesa Romana.
    Esortandovi a sostenere queste interessanti e lodevoli iniziative editoriali, diffondendole e facendole conoscere, vi posto come bonus le parole prefatorie di Mons. Marini.
    Il 2010 è stato l’anno di due importanti anniversari: il 40° della promulgazione del Messale di Paolo VI (1970) e 1440° di quella del Messale di san Pio V(1570). Come è noto, con il «motu proprio» Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, Benedetto XVI ha stabilito che nel Rito Romano sussistono, a particolari condizioni, due modalità celebrative dell’Eucaristia: la «forma ordinaria» (Paolo VI) e la «forma straordinaria» (san Pio V, nell’edizione del suo Messale promulgata nel 1962 dal beato Giovanni XXIII).

    Il 2012 è l’anno di due grandi eventi ecclesiali: il Sinodo dei Vescovi, sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana», e l’inizio dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e a vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
     
    È dunque con gratitudine che, in questo contesto della vita della Chiesa, il presente volume è da accogliere. Non è compito di questa presentazione entrare nel dettaglio di quanto vi si afferma in generale e per questioni più particolari. Vi si troverà, comunque, uno strumento molto utile perché ogni «Anno della fede» - l’anno liturgico - possa essere «un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia» («motu proprio» Porta fidei, n. 9).
     
    Leggere con attenzione il sussidio potrà significare per molti una riscoperta o un approfondimento della bellezza della Celebrazione eucaristica nel suo svilupparsi armonico attraverso la storia. Infatti, come afferma Benedetto XVI in Sacramentum caritatis: «Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell’evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese d’Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza» (n. 3).

    Allo stesso tempo, questa pubblicazione sarà di aiuto a procedere nella direzione tanto auspicata di una cordiale accoglienza della liturgia della Chiesa, nel suo Rito ordinario, da promuovere con rinnovata fedeltà al Concilio Vaticano II, e nel suo Rito straordinario, che tanti tesori ha ancora oggi da donare a tutti noi. «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum — afferma Benedetto XVI nella lettera inviata ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il citato «motu proprio» —. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto» (7 luglio 2007).
     
    Oggi più che mai la liturgia della Chiesa ha bisogno di essere avvicinata, approfondita e vissuta in cordiale sintonia con le indicazioni del magistero pontificio e in un clima di serenità e saggezza.
     
    La presente pubblicazione, curata dal Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, va in questa direzione. È auspicabile che essa continui a essere percorsa e condivisa da molti, da tutti.

    Mons. Guido Marini
    Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
    Città del Vaticano, 19 marzo 2012 Solennità di san Giuseppe
    ...Passo passo verso la riconciliazione liturgica e l'uso delle due forme dell'unico rito romano....
    _______________________________
    Testo preso da: Il Messaggero di Sant'Antonio per la diffusione delle Messe in Latino

    [SM=g1740722]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 26/08/2012 14:58

    In paradiso senza giudizio?


    Nei testi liturgici preconciliari il riferimento al giudizio particolare, dopo la morte, è sempre chiaro: solo nelle orazioni per i bambini battezzati, morti senza possibilità di aver commesso alcun peccato, si parla di un passaggio immediato in paradiso. Nel Messale riformato, invece, si trova un’espressione che sembra introdurre un elemento di non chiarezza. Dei quattro novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) sono taciuti il giudizio e la possibilità dell’inferno...


    di Lorenzo Bianchi  30giorni gennaio 2003


    Lastra sepolcrale del IV secolo con l’iscrizione “Alexandra in pace”  e la raffigurazione della defunta, con le braccia alzate nell’atteggiamento dell’orante, con una colomba che le porge una corona,  Museo Pio Cristiano, Vaticano

    Lastra sepolcrale del IV secolo con l’iscrizione “Alexandra in pace” e la raffigurazione della defunta, con le braccia alzate nell’atteggiamento dell’orante, con una colomba che le porge una corona, Museo Pio Cristiano, Vaticano

    Come molte altre parti della liturgia della Chiesa, anche quella relativa alle esequie (ufficio dei defunti, messe per i defunti) è stata riformata dopo il Concilio Vaticano II, ad opera del “Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia”, con numerose modifiche nel rito, in particolare nella scelta dei testi di salmi, cantici e orazioni.

    Vogliamo molto brevemente soffermarci qui su alcune orazioni presenti sia nella liturgia preconciliare che in quella riformata, per sottolinearne alcune varianti nei testi, dalle quali in qualche maniera sembra emergere una mutata prospettiva con cui si considera la morte e il passaggio dell’uomo all’aldilà.


    Una orazione in particolare può essere esemplificativa. Si tratta dell’orazione colletta della messa dei defunti nel giorno della morte o della deposizione del defunto.
    Così compare nel Messale di san Pio V: «Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, te supplices exoramus pro anima famuli tui quam hodie de hoc saeculo migrare iussisti: ut non tradas eam in manus inimici, neque obliviscaris in finem, sed iubeas eam a sanctis Angelis suscipi et ad patriam paradisi perduci; ut, quia in te speravit et credidit, non poenas inferni sustineat, sed gaudia aeterna possideat»
    («O Dio, che sei la misericordia e il perdono, ti supplichiamo per l’anima del tuo servo, che oggi per tuo volere ha lasciato questo mondo: non consegnarla nelle mani del nemico, non dimenticarla per sempre: ma comanda agli angeli santi di accoglierla e di condurla nella patria del paradiso; poiché in te ha sperato e creduto, non soffra le pene dell’inferno ma possieda la gioia eterna»).


    Così invece è stata ripresa, come seconda colletta a scelta nella messa nelle esequie fuori del tempo pasquale, nel nuovo Messale riformato (senza varianti nelle varie edizioni, sia latine, tre, che italiane, due): «Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, te supplices exoramus pro famulo tuo quem hodie ad te migrare iussisti: ut, quia in te speravit et credidit, concedas eum ad veram patriam perduci, et gaudiis perfrui sempiternis»
    («O Dio, tu sei l’amore che perdona: accogli nella tua casa il nostro fratello che oggi è passato a te da questo mondo; e poiché in te ha sperato e creduto, donagli la felicità senza fine»).


    Vogliamo commentare in particolare le parti evidenziate in grassetto.
    Nei testi liturgici preconciliari il riferimento al giudizio particolare, dopo la morte, è sempre chiarissimo: solo nelle orazioni per i bambini battezzati morti senza possibilità di aver commesso alcun peccato si parla di un passaggio diretto al paradiso («qui animam huius parvuli ad caelorum regnum hodie misericorditer vocare dignatus es»).
    La nuova formulazione del Messale riformato, che cambia il «de hoc saeculo» in «ad te», inserisce un’espressione che sembra introdurre un elemento di non chiarezza dogmatica. Dei quattro novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) sono taciuti il giudizio e la possibilità dell’inferno, come se la morte fosse per tutti immediato passaggio al paradiso. Questa espressione è la medesima che è stata adottata dai riformatori anche nel Canone stesso della messa.


    Con le riforme seguite al Concilio Vaticano II fu data la possibilità di celebrare la messa anche utilizzando nuove preghiere eucaristiche. Della loro composizione si occupò, nell’ambito del “Consilium”, il gruppo 10, e in particolare Cipriano Vagaggini, che vi lavorò nell’estate del 1966 presso l’Abbazia di Mont César (Lovanio).
    La commemorazione dei defunti nel Canone romano recita: «Memento etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum qui nos praecesserunt cum signo fidei, et dormiunt in somno pacis» («Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace»).
    Nelle nuove preghiere eucaristiche il ricordo del defunto per cui si celebra la messa viene così espresso: nella seconda preghiera: «Memento famuli tui quem hodie ad te ex hoc mundo vocasti. Concede, ut, qui complantatus fuit similitudini mortis Filii tui, simul fiat et resurrectionis ipsius» («Ricordati del nostro fratello che oggi hai chiamato a te da questa vita: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione»);

    nella terza: «Memento famuli tui quem hodie ad te ex hoc mundo vocasti. Concede, ut, qui complantatus fuit similitudini mortis Filii tui, simul fiat et resurrectionis ipsius, quando mortuos suscitabit in carne de terra et corpus humilitatis nostrae configurabit corpori claritatis suae». («Ricordati del nostro fratello che oggi hai chiamato a te da questa vita: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione, quando farà sorgere i morti dalla terra e trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso»).


    La seconda preghiera si ispira all’anafora di Ippolito, nella quale però l’intercessione per i defunti manca. La terza invece è una nuova creazione.
    Ma qual è l’origine della nuova formula? Si è detto che la nuova espressione non appare mai nella liturgia preconciliare. Qualche formula simile si trova invece in alcune preghiere contenute negli antichi sacramentari, poi non introdotte nel Messale di san Pio V.
    Ad esempio (trascriviamo i testi nella loro grafia originale): «Suscipe, domine, animam servi tui ad te revertentem. [...] Libera eam, Domine, de principibus tenebrarum et de locis poenarum [...]» (Sacramentario Gelasiano, prima metà dell’VIII secolo: cfr. L.C. Mohlberg, L. Eizenhöfer, P. Siffrin, Liber Sacramentorum Romanae Aeclesiae ordinis anni circuli, Roma 1960, nn. 1610, 1611, 1621; Sacramentario Gelasiano Gellonense, VIII secolo: cfr. A. Dumas, Liber Sacramentorum Gellonensis, Turnholti 1981, nn. 2898, 2903, 2904, 2906).
    Oppure: «cari nostri animam ad te datorem proprium revertentem blande leniterquae suscipias» (Gelasiano, n. 1608). O ancora:«Obsecramus misericordiam tuam aeternae omnipotens Deus qui hominem ad imaginem tuam creare dignatus es, ut spiritum et animam famuli tui, quem hodierna die rebus humanis eximi, et ad te accersire (= arcessere, “far venire”, ma anche “presentarsi in giudizio”) iussisti» (Sacramentario Gregoriano, supplemento Anianense, IX secolo: cfr. J. Deshusses, Le Sacramentaire Grégorien, I, Fribourg 1971, n. 1409).
    E infine: «Honorandi patris benedicti gloriosum caelebrantes diem in quo hoc triste saeculum deserans, ad caelestis patriae gaudia migravit aeterna» (Sacramentario Gelasiano Gellonense, n. 1239, riferita però alla messa per un santo, Benedetto abate).


    Il cubicolo del Buon Pastore nelle Catacombe di Domitilla a Roma

    Il cubicolo del Buon Pastore nelle Catacombe di Domitilla a Roma

    La nuova formulazione dell’orazione, così come appare nel Messale riformato, sembra dunque prendere spunto da questi testi; testi nei quali, peraltro, non è possibile equivocare sul significato di «ad te»: non un passaggio automatico al paradiso, ma il presentarsi al giudizio di Dio. Mentre la nuova espressione della liturgia riformata (anche per la cancellazione di qualsiasi accenno al giudizio divino e all’inferno) rischia di suggerire in qualche maniera una definizione della morte come passaggio, indistintamente per tutti, da questo mondo al Padre (chi muore sarebbe ipso facto salvo).

    Che questo rischio non sia stato compreso (o non sia stato adeguatamente considerato) dai riformatori lo dimostra il fatto che il fenomeno di variazione terminologica prosegue e si estende nel passaggio dal latino all’italiano, dove spesso l’originaria espressione «de hoc saeculo» (invece che «ad te»), pur mantenuta in latino, tende ad essere “riformulata” dai traduttori.
    Così ad esempio dove il latino porta «Praesta, quaesumus, omnipotens Deus, ut famulus tuus, qui hodie de hoc saeculo migravit, his sacrificiis purgatus et a peccatis expeditus, resurrectionis suscipiat gaudia sempiterna» (messa nelle esequie fuori del tempo pasquale, orazione dopo la comunione), l’italiano traduce «Accogli, Dio onnipotente, il nostro fratello, nel suo passaggio da questo mondo a te, e per la potenza redentrice del sacrificio del Cristo purificalo da ogni colpa, perché possa partecipare alla gloria del Signore risorto, che vive e regna nei secoli dei secoli».
    Oppure, dove il latino ha «Quaesumus, Domine, ut famulo tuo, cuius depositionis diem commemoramus, rorem misericordiae tuae perennem infundas, et Sanctorum tuorum largiri digneris consortium» (messa nell’anniversario fuori del tempo pasquale, orazione colletta), l’italiano reca «Ti supplichiamo, Signore, per il nostro fratello, nel ricordo annuale del suo transito da questo mondo a te; la tua misericordia sia per lui come rugiada celeste, e il tuo amore lo introduca nella compagnia dei santi».
    O anche, dal latino «Deus, veniae largitor et humanae salutis amator, quaesumus clementiam tuam, ut nostrae congregationis fratres, propinquos et benefactores, qui ex hoc saeculo transierunt, beata Maria semper Virgine intercedente cum omnibus Sanctis tuis, ad perpetuae beatitudinis consortium pervenire concedas» (messa per i fratelli, parenti, benefattori, orazione colletta) si passa all’italiano «O Dio, fonte di perdono e di salvezza, per l’intercessione della Vergine Maria e di tutti i santi, concedi ai nostri fratelli, parenti e benefattori, che sono passati da questo mondo a te, di godere la gioia perfetta nella patria celeste».


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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)