00 11/08/2012 15:11

Dal "Discorso sui pastori" di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 3-4; CCL 41, 530-531)


I pastori che pascono se stessi
 

Vediamo che cosa dice la parola di Dio, che non adula nessuno, ai pastori attenti a pascere piuttosto se stessi che non le pecore:
"Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di bestie selvatiche: sono sbandate" (Ez 34, 3-5).

Ai pastori, che pascono se stessi invece del gregge, si muove rimprovero per ciò che pretendono e per ciò che trascurano. Che cosa pretendono dunque? "Voi vi nutrite di latte e vi coprite di lana". L'Apostolo si domanda: "Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge?" (1 Cor 9, 7).

Vediamo dunque che per latte del gregge si intende tutto ciò che il popolo di Dio offre ai suoi capi per procurare loro il vitto temporale..

Infatti di questo intendeva parlare l'Apostolo con le parole che ho citato. In verità l'Apostolo, quantunque avesse preferito mantenersi con il lavoro delle proprie mani e non cercasse il latte delle pecore, tuttavia rivendicò il diritto di prendere il latte, perché il Signore aveva disposto che coloro che annunziano il Vangelo vivessero del Vangelo (cfr. 1 Cor 9, 14).
Ed in proposito affermò che gli altri apostoli, suoi colleghi, avevano fatto valere questo diritto, certo legittimo, non abusivo. Egli andò oltre, rinunziando anche a quello che gli era dovuto.


Con ciò non è detto che gli altri abbiano preteso una cosa indebita, ma semplicemente che egli volle fare più di quanto era strettamente richiesto. Forse colui che condusse all'albergo il ferito e disse: "Ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno" (Lc 10, 35), voleva indicare proprio questo comportamento dell'Apostolo.
Che diremo dei pastori che non esigono latte dal gregge? Che sono più generosi degli altri o meglio che esercitano più largamente degli altri la generosità pastorale. Lo possono fare, e lo fanno. Si lodino pure costoro, tuttavia non si condannino gli altri. Infatti lo stesso Apostolo non andava in cerca di donativi, e tuttavia voleva che i fedeli fossero operosi e produttivi e ricchi di frutti.

 

......nessuno vive per se stesso.

            Lettera agli Efesini, Cap. V, versetti 15-16,  Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti ma da uomini saggi, profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.”






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.... una, santa, cattolica e apostolica

 

Chiesa santa e uomini peccatori. La casta donna di tutti
Da "L'Osservatore Romano" del 18 giugno 2010

di Inos Biffi


Nel Credo professiamo e definiamo la Chiesa come "una, santa, cattolica e apostolica", dotata quindi di prerogative che le appartengono essenzialmente: non potrebbe esserci una Chiesa "non-una", "non-santa", "non-cattolica", "non-apostolica". Se così fosse, avremmo il dissolvimento della stessa Chiesa, della quale si parla molto, ma spesso senza preoccuparsi di sapere che cosa dica di essa anzitutto la Parola di Dio.

Si sente proclamare da ogni parte: "Finalmente si legge la Bibbia! La Scrittura è tornata a essere la fonte della teologia e della spiritualità cristiana!". Questo è certamente un bene. Senonché avviene non raramente di constatare che ci sono testi biblici stranamente dimenticati e quasi oscurati, e tra questi proprio dei testi ecclesiologici.

Si pensi a quelli della lettera agli Efesini, dove appare chiaramente che "la Chiesa ha la sua origine nel mistero della provvidenza e predestinazione divine", dal momento che "da sempre Dio (...la) vede davanti a sé e la vuole" (Schlier). Vediamo questi testi. In uno si afferma che Cristo "è il capo del corpo, della Chiesa" (Colossesi, 1, 18. 24). In un altro la Chiesa è, ugualmente, chiamata "il corpo di lui (Cristo), la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose" (Efesini, 1, 23).

Altrove si afferma che "Cristo è Capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo"; egli l'"ha amata e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificata con il lavacro dell'acqua mediante la parola. E così egli vuole che la Chiesa compaia davanti a lui tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Efesini, 5, 22, 25-26).

A questo punto ci domandiamo: esiste veramente, oppure è solo un'ipostasi astratta, una Chiesa che è adesso il "Corpo di Cristo", la sua "pienezza" e il "luogo" in cui si rende "gloria a Dio"? Una Chiesa "santa e purificata", per la quale Gesù ha dato se stesso e che è lo strumento della manifestazione della "multiforme sapienza di Dio" "ai Principati e alle Potenze dei cieli", così che la loro comprensione del mistero avviene contemplando la Chiesa?

Se una tale Chiesa non esistesse nella realtà, o fosse solo un abbozzo precario e una realtà futura, verrebbe smentita la Parola di Dio; anzi, lo stesso Gesù Cristo risulterebbe compromesso. Scalfire la Chiesa, equivale a "intaccare" Cristo e alla fine ridurlo a una condizione anomala e di non esistenza. Ovviamente, non perché questa gli sia conferita dalla Chiesa, ma perché egli non esiste distaccato dalla Chiesa, senza Corpo e senza Sposa. E questo significherebbe che egli non nutre e non cura nessuna Chiesa (cfr. Efesini, 5, 29), e che la sua opera, in particolare il suo sacrificio è risultato vano.

Ma, se questa Chiesa esiste realmente, non può che essere una Chiesa "santa", cioè una Chiesa che non può assolutamente e mai essere definita "peccatrice". Il peccato, infatti, comporta il distacco da Cristo, per cui una Chiesa peccatrice sarebbe distaccata da lui, non sarebbe né suo Corpo né sua Sposa, ma semplicemente una non-Chiesa, come lo sarebbe una Chiesa non-una, non-cattolica, non-apostolica.

In realtà questa Chiesa "santa", Corpo e Sposa del Signore, c'è, adesso, ed è l'unica che può dirsi genuinamente Chiesa, formata dai giusti già in cielo e dai santi pellegrini sulla terra. Nella Chiesa "nunc", come direbbe Agostino, ossia nel suo momento terreno, sono visibili senza dubbio dei membri ancora compromessi col peccato, ma questo non ci fa dire che allora la Chiesa è peccatrice.

È vero invece che, nella misura in cui siamo peccatori, non siamo compiutamente Chiesa, e abbiamo la possibilità e la speranza di diventarlo, proprio in virtù dell'esistenza della Chiesa santa. "La Chiesa — insegnava sant'Ambrogio con la sua abituale limpidità e acutezza — non è ferita in sé, ma è ferita in noi" (De virginitate, 8, 48).

Forse è il caso di ascoltare qui alcune voci autorevoli. Intendo dire non qualche teologo d'avanguardia, per esempio di quelli che amano scrivere puntigliosamente "chiesa" minuscolo (però Stato e Partito maiuscolo), ma per esempio Tommaso d'Aquino. Questi — a commento della lettera agli Efesini, 5, 25-26 — scrive: "Sarebbe stato sconveniente che uno sposo immacolato si prendesse una sposa macchiata. Per questo la mostra senza macchia: quaggiù in virtù della grazia e nel futuro in virtù della gloria".

Ma sentiamo ancora il vescovo di Milano, che tra tutti i Padri è quello che con più viva e prolungata compiacenza si è soffermato ad ammirare estasiato la Chiesa, che certo egli non riduceva a un "immaginario".

In particolare, "la percezione della bellezza della Chiesa — osserva il cardinale Giacomo Biffi — è un dato costante della teologia ambrosiana". Ambrogio non si stanca di riproporlo secondo gli accenti e le suggestioni che specialmente gli offre il Cantico dei Cantici, ecclesialmente interpretato: "Cristo desiderò la bellezza della sua Chiesa e dispose di unirserla in matrimonio" (Apologia David altera, 9, 48).

Certamente, ragione della bellezza è Gesù Cristo, l'unico che riesca ad affascinarla: "Molti tentano la Chiesa, ma nessun incantesimo di arte magica le può nuocere. Ella ha il suo incantatore: è il Signore Gesù" (Exameron, IV, VI, 8, 33), il suo Sposo: "Il marito è Cristo, la moglie è la Chiesa, sposa per l'amore, vergine per l'intatta purezza".

Certamente la Chiesa non si trova sullo stesso piano di Cristo, dal momento che essa "rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo, e prende il suo splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: 'Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me'" (Exameron, IV, VI, 8, 32)

Sarà il metodo ambrosiano di considerare la Chiesa: quello di considerarla sempre con lo sguardo rivolto a Gesù Cristo, in contemplazione di lui, e quindi nel riflesso della bellezza, del "decoro", "ravvivato dal sangue di Cristo" (Expositio Psalmi cxviii, 17, 22) e della grazia del suo Signore: la Chiesa, che è il fiore  "che annunzia il frutto, cioè il Signore Gesù Cristo" (ibidem, 5, 12.), il quale, volgendosi a lei, esclama: "Tu sei il  mio  sigillo, creata  a  mia  immagine e somiglianza" (ibidem, 22, 34). "Il costato di Cristo è la vita della Chiesa" (Expositio evangelii secundum Lucam, II, 86).

Ma non è sant'Ambrogio a parlare della Chiesa come "casta meretrix" (ibidem, III, 23)? Certo che è lui, e lui solo, ma non per dire quello che intendono e vanno affermando alcuni "blasonati" teologi. "L'espressione 'casta meretrix' — osserva ancora Giacomo Biffi, al quale dobbiamo finalmente l'esegesi esatta del testo di sant'Ambrogio — lungi dall'alludere a qualche cosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare — non solo nell'aggettivo ma anche nel sostantivo — la santità della Chiesa; santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (casta) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza (meretrix)".

Della meretrice la Chiesa imita, quindi, non il peccato, ma la disponibilità, solo che è una "casta" disponibilità, cioè una larghezza di grazia.

Ma riportiamo per intero l'audace testo ambrosiano, tutto costruito secondo l'esegesi allegorica: "Rahab nel tipo (ossia nel simbolo e nella profezia) era prostituta, ma nel mistero (in quello che significava) è la Chiesa, vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda: meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato; vedova sterile, perché non è suo uso partorire quando il marito è assente; vergine feconda, perché ha partorito questa moltitudine, vendendo i frutti del suo amore e senza esperienza di libidine" (ibidem, III, 23).   D'altra parte, la Chiesa vive di Spirito Santo. E, infatti, è dopo lo Spirito Santo che nel Credo professiamo la Chiesa, mentre in una formula battesimale ricorre la domanda: "Credi nello Spirito santo, buono e vivificante, che tutto purifica nella santa Chiesa?".

Il grande Ireneo scriveva: "Dove c'è la Chiesa, là c'è lo Spirito di Dio, e dove c'è lo Spirito di Dio, là c'è la Chiesa, là c'è ogni grazia. Alla Chiesa è stato affidato il Dono di Dio, così come Dio ha affidato il respiro alla carne plasmàta (il primo Adamo), affinché tutti i membri ne ricevano la vita" (Adversus haereses, 3, 24, 1).

Abbiamo sentito la voce di Ireneo, di Ambrogio, di Tommaso d'Aquino. Possiamo ascoltare anche un laico, Alessandro Manzoni, che nell'inno sacro La Pentecoste, con raro senso teologico, canta il mistero della Chiesa come nessun ecclesiologo dei suoi tempi avrebbe saputo fare. È lui a definire la Chiesa come "Madre dei Santi": ma una "Madre dei Santi" come può essere definita "peccatrice"?

In ogni caso, come non convenire con il cardinale Biffi che "dir male della Chiesa non è mai stato ritenuto nell'ascesi un atto particolarmente meritorio"?

 





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[Modificato da Caterina63 17/08/2012 22:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)