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Padre Cavalcoli: “Il papa ha in mano il bastone, lo usi”

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Al “quizzone” del professor Martinetti, quattro post più sotto, circa la presenza di dottrine nuove nel Concilio Vaticano II e circa il loro grado di impegnatività, ecco, da Bologna, la risposta del teologo domenicano Giovanni Cavalcoli.

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Caro Alessandro Martinetti,

trovo che lei ha riassunto molto bene i termini del dibattito e in particolare la mia posizione, nella cui descrizione mi riconosco perfettamente. Ho anzi l’impressione che lei propenda per la mia posizione e pertanto la ringrazio del suo appoggio, del quale ho molta stima.

Lei ha colto esattamente il nodo della questione, che in fondo non mi pare eccessivamente complicato: Paolo VI ha detto che nel Concilio ci sono “dottrine nuove”, per cui “il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici”.

Ora io mi chiedo: qual è la materia sulla quale si esercitano gli studi biblici e teologici, se non il dato rivelato e ciò che ad esso è connesso? Da qui viene la chiara conseguenza che le “dottrine nuove” del Concilio toccano sì materie di pastorale, ma anche materie di fede o connesse con la fede.

Ora, da ciò sorge un’altra conseguenza: se un Concilio ecumenico propone dottrine nuove nel campo della fede, c’è forse da dubitare che tali dottrine siano definitive ed infallibili, anche se il Concilio non le ha dichiarate tali o, con altre parole, non ha manifestato la volontà di definirle tali?

Da qui un’ulteriore considerazione: la Nota illustrativa della Congregazione della Dottrina della Fede alla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II “Ad tuendam fidem” del 1998 prevede con chiarezza che il Magistero insegni dottrine definitive o infallibili secondo queste due modalità: o dichiarando di farlo (I grado) o facendolo senza dichiararlo (II grado). Ma c’è anche una terza possibilità: che non

Infatti anche al III grado la Chiesa può trattare di materia di fede. Ma qui la Chiesa, pur trattando di questa materia, non chiarisce o non certifica se quanto dice è o non è definitivo. Ecco allora aprirsi il dibattito tra i teologi: ci sarà chi dice che qui la Chiesa definisce e chi dice che non definisce. Non che ci sia lecito pensare che quanto insegna sia sbagliato – nel campo della fede il Magistero non può sbagliare –; semplicemente la definitività non appare a tutti con chiarezza o con certezza.

Per alcuni è evidente, per altri, forse i più, resta oscura, da qui per questi ultimi il desiderio o l’esigenza di un chiarimento da parte della Chiesa. Solo così essi sarebbero disposti a riconoscere queste dottrine come certamente definitive.

Si deve dunque distinguere la questione di diritto dalla questione di fatto. In linea di principio per il cattolico, quando il Magistero definisce o insegna nel campo della fede, non sbaglia.

Ma c’è anche la questione di fatto, e cioè ci si può chiedere: qui, nella fattispecie (per esempio questa o queste date dottrine del Concilio), pur trattando di materia di fede, il Concilio sta definendo sì o no, o parla solo con ragioni di probabilità?

Qui può sorgere il problema col conseguente dibattito, come sta avvenendo da tempo in www.chiesa ed nel blog Settimo Cielo, generosamente messi a disposizione di noi teologi da Sandro Magister.

Qui si pone la differenza tra la mia opinione e quella di dom Basile Valuet, perchè egli pone le dottrine nuove nel III grado, mentre io le pongo al II. Ossia secondo me, ad un esame attento, le dottrine appaiono infallibili e definitive. Egli invece non sente questa certezza e ammette la semplice possibilità, e quindi per lui non è un dato di fatto, e non si può dimostrare.

Lei poi si chiede: “Esistono affermazioni del Magistero postconciliare che, pur non indicando quali siano le dottrine definitive nuove del Concilio Vaticano II, tuttavia almeno chiariscono che nel Vaticano II sono presenti dottrine definitive nuove?”

Non mi risulta. Ma, benchè io conosca il Magistero di questo periodo, riconosco che occorrerebbe fare un’indagine o una verifica più approfondite. I papi e i documenti della Santa Sede citano spesso le dottrine del Concilio, ma resta sempre per molti il dubbio se la loro autorevolezza sia di II o di III grado. Io ritengo che siano di II grado, però ovviamente la mia è l’opinione di un semplice teologo. Del tutto diversa sarebbe la cosa se fosse la Chiesa stessa a chiarire.

Ci può essere anche qualcuno al quale questo quesito sembri troppo sottile. Il cattolico comune potrebbe dire: cari teologi, invece di fare tante disquisizioni, obbediamo e basta, senza chiederci a quale grado di autorità appartenga questa o quest’altra dottrina! Ma il fatto è che non tutti sono disposti ad obbedire ed altri fraintendono le dottrine del Concilio. Inolttre la distinzione tra il II e il III non è da poco, perché, pur trattando l’uno e l’altro grado di materia di fede, mentre nel II grado è richiesta la fede, sia pur nella Chiesa e non direttamente nella Parola di Dio (I grado), vale a dire è richiesta la “fides tenenda” e non la “fides credenda” (fede divina e teologale del I grado), nel III basta l’“ossequio religioso della volontà”, che è un atto prudenziale di fiducia nell’autorevolezza umana della Chiesa, benchè anche qui, trattandosi di materia di fede, non è lecito pensare che la Chiesa possa sbagliare: semplicemente non è chiaro se voglia definire o no.

Lei si chiede: “Stante che Paolo VI concede che nel Vaticano II non esistono dottrine nuove definite (cioè, di I grado, ‘de fide credenda’), sta egli sostenendo che le ‘dottrine nuove’ conciliari sono definitive (cioè infallibili, ‘de fide tenenda’, e quindi appartenenti al II grado di costrizione magisteriale) o non definitive (e perciò fallibili, non irreformabili, ossia collocate al III grado di costrizione magisteriale, che non richiede assenso di fede ma ’solo’ religioso ossequio dell’intelletto e della volontà)?” L’interrogativo di questo dibattito è proprio questo.

Ora però, considerando che: 1) a queste dottrine nuove il Magistero tiene molto, tanto che le sta continuamente ripetendo da quarant’anni; 2) che esse sono strumentalizzate dai modernisti a loro vantaggio; 3) che i lefebvriani le vedono in contrasto con la Tradizione, sta crescendo il numero di teologi, pastori o anche semplici fedeli di ogni categoria – l’esistenza stessa di questo dibattito lo dimostra –, i quali, al fine di risolvere i malintesi, le deviazioni e i contrasti esistenti all’interno della Chiesa, guardano al papa come a colui che soltanto, come sommo maestro della Fede (per vent’anni prefetto della CDF) può far definitivamente chiarezza, non necessariamente con affermazioni dogmatiche di I grado, ma con insegnamenti di II grado, onde far cessare una buona volta strumentalizzazioni, malintesi e ribellioni che stanno lacerando la Chiesa e fanno decadere il costume cattolico, e mostrarci quindi effettivamente quella “continuità nel progresso” della quale egli parla, in relazione ai punti dottrinali discussi, che non sono molti, e sono emersi soprattutto nel corso della discussione con i lefebvriani: libertà religiosa, ecumenismo, dialogo con le religioni, natura della liturgia, essenza della Rivelazione e della Tradizione, natura della collegialità episcopale e della Chiesa e pochi altri.

Secondo me, l’impressione che molti hanno che le dottrine nuove appartengano al III grado non dà ad esse la forza necessaria per imporsi nella Chiesa e vincere resistenze, dubbi, fraintendimenti, falsificazioni, disattenzioni, disobbedienze, inadempienze. Io penso che il papa dovrebbe mettere in gioco la fede, sia pur semplice fede “ecclesiastica”, e non un semplice “ossequio della volontà”, che prestiamo anche a semplici disposizioni umane o pastorali della Chiesa, per quanto degne e rispettabili. Basterebbe che usasse la parola “fede”.

Recentemente il papa ha ricordato che il pastore ha in mano il “bastone”. Non si tratta di dar le botte a nessuno, ma forse di alzare un po’ la voce in nome della verità, della carità e del fatto che non c’è in gioco solo “l’ossequio religioso”, ma la vera e propria “fede nella Chiesa – come dice la Nota illustrativa – in quanto infallibilmente assistita dallo Spirito Santo” nella guida degli uomini alla Verità.

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Bologna, 4 luglio 2011

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La risposta di padre Cavalcoli al professor Martinetti è l’ultima battuta, finora, di una disputa ad alto livello che si sta svolgendo da alcuni mesi in www.chiesa e in Settimo Cielo.

Nella penultima puntata della disputa trovi i link a tutte le precedenti:

> Bologna parla: la tradizione è fatta anche di “rotture”

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Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al più importante sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)