00 08/09/2009 16:55

DIVORZIO NON DIRITTO MA DELITTO LEGALIZZATO
distrugge le famiglie, disorienta i figli, corrompe la società



NON E’ NECESSARIO ESSERE CATTOLICI per capirlo

Qualche mese fa, nella trasmissione di Porta a Porta di Bruno Vespa dedicata alla legge della procreazione assistita, ossia in provetta, l’on. Carla Castellani (An) esordiva così: “Io sono cattolica, quindi...”. Ed è stata bravissima nel confutare il permissivismo in tale problema. Tuttavia, non possiamo non chiederci: è necessario essere cattolici per difendere il diritto alla vita del figlio concepito, il diritto del figlio ad essere generato secondo natura e non fabbricato in provetta, il diritto del figlio a non essere soppresso mediante aborto legalizzato, il diritto del figlio ad avere due genitori indissolubilmente uniti in legittimo matrimonio da amare ed essere amato?
Assolutamente no, poiché non si tratta di principi di fede né di morale cattolica, bensì di morale naturale. L’appiccicare la qualifica di “cattolico” a tali principi e alle leggi che ad essi si ispirerebbero è un gioco massonico, anticlericale, libertario, ideologico da parte dei nemici di Dio e della Chiesa di Gesù Cristo per avere le mani libere al fine di scardinare le basi morali della società in nome del pluralismo e dello Stato laico, col pretesto (infondato e artefatto) di impedire l’imposizione della fede mediante le leggi dello Stato.

La laicità dello Stato, ossia la distinzione del potere religioso da quello civile e politico, è un dato evangelico. Lo afferma perciò la Chiesa cattolica, e solo la Chiesa cattolica. Le altre religioni identificano il potere religioso con quello civile come l’islam per esempio, per il quale il Corano non è solo codice di fede e di vita religiosa, ma anche codice civile e politico.
Purtroppo questa strategia disonesta e diabolica che si manifesta soprattutto, e non solo, attraverso il radicalismo pannelliano ha ingannato gran parte del popolo italiano, che ha diffidato e diffida stoltamente della Chiesa e del Papa, e ha portato lo sconquasso nelle famiglie italiane. E siccome le famiglie sono le cellule di una nazione; dalla loro disintegrazione ne è venuta una società amorale, che non sa più distinguere il bene dal male e perciò destinata a vivere in continue tragedie familiari e nazionali.
Siamo pessimisti? No. Come discepoli di Cristo non lo possiamo né lo vogliamo, poiché crediamo che Egli è risorto e sarà sempre Lui il vincitore.

UOMO E RAGIONE:
COORDINATE DELLA LAICITÀ


Anzitutto bisogna stabilire quel che significa essere laico almeno dal punto di vista politico, poiché anche il cattolico, appunto perché cattolico, è radicalmente laico sul piano politico; laicità che gli deriva, come già detto, proprio dalla sua fede.
Norberto Bobbio (1909-2003), filosofo tra i massimi esponenti della cultura laica, alla vigilia del referendum sull’aborto del 1981, concesse un’intervista al giornalista G. Nascibeni in cui si dichiarava contro l’aborto legalizzato. L’ultima domanda era questa: “Immagina, professor Bobbio, che ci sarà sorpresa nel mondo laico per queste sue dichiarazioni?”. Rispose: “Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere” (Corriere della Sera, 8.5.1981).
Insomma, laicità non significa negazione di qualsiasi valore di riferimento, né totale sfiducia nella ricerca della verità; bensì porre il valore dell’uomo al centro del viver civile, nonché dell’azione sociale e politica (come è detto in tutte le dichiarazioni dei diritti dell’uomo) e cercare di affermarlo e promuoverlo usando la ragione.
L’uomo e la ragione sono le coordinate della laicità; coordinate che possono consentire a tutti, credenti e non credenti, di cooperare alla promozione del bene comune indipendentemente dalle fedi religiose. La fede, soprattutto quella evangelica, illumina ancor più il valore dell’uomo; ma in politica il cattolico afferma e propone sempre leggi e ordinamenti secondo ragione, in conformità alla natura e al valore dell’uomo. Perciò è tempo che si smetta con l’ingiusta e ricattatoria contrapposizione tra cattolici e laici.

L’INDISSOLUBILITA’ DEL MATRIMONIO
VALORE LAICO


Giuseppe Mazzini scrisse nel 1860 un’opera, dedicata agli operai italiani, intitolata: I doveri dell’uomo. Tra l’altro vi afferma lapidariamente: “Se non esiste una legge santa, inviolabile, non creata dagli uomini, quale criterio avremo per giudicare se un atto è giusto o non lo è?”. Noi non arriviamo a tanto per giudicare se una legge è giusta o non lo è. Noi cattolici non ci richiamiamo infatti, in politica, come credenti ad una legge “santa”, ma alla legge “naturale“, di cui parlano anche i filosofi pagani come, per esempio, Cicerone; il quale nell’orazione Pro Milone scrisse: “La legge naturale non è stata stesa per iscritto, ma è nata con noi; non l’abbiamo imparata, ricevuta o letta, ma presa, attinta e ricavata, dalla stessa natura; secondo tale legge non siamo stati ammaestrati, ma fatti; non educati, ma imbevuti”.
Ecco perché i partiti che si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa, ad incominciare dal Partito Popolare di don Luigi Sturzo, sono partiti laici e perciò aconfessionali, cui anche atei e agnostici possono appartenere: poiché non richiedono un atto di fede, ma solo l’adesione ad un programma ispirato a un ordinamento della società su basi di leggi ispirate al valore dell’uomo, alla ragione, al buon senso e al bene comune che tutti gli uomini di buona volontà possono accettare ed impegnarsi ad attuare.
La legge naturale, insomma, trae le norme, i criteri dell’agire umano direttamente dalla natura specifica dell’uomo. È la ragione che, comprendendo le esigenze naturali dell’uomo, stabilisce come gli conviene agire per realizzare pienamente se stesso. “Sicché - scrive san Tommaso, filosofo e teologo - ogni legge introdotta dall’uomo ha la natura di legge, in quanto deriva dalla legge naturale. Che se in qualche modo è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della legge” (Sum.theol.I/II,95,2).
Con la legge naturale concorda la Costituzione della Repubblica Italiana che, all’art.29, “ riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio... con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
La famiglia, dunque, è “società naturale“; ed in quanto tale esige “l’unità familiare“. Le leggi perciò, che la riguardano devono essere “a garanzia dell’unità familiare”, indispensabile (art.30) perché “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”.
È, senza dubbio, evidente che il divorzio mina disastrosamente la stabilità della famiglia, la sua unità, ed ostacola fortemente l’educazione del figli.

L’AFFETTO DEI GENITORI DIVORZIATI
NON E’ UN AFFETTO NORMALE:
PAROLA DI MIKE BONGIORNO


La legge deve essere la forza del debole; se al più forte concedesse dei diritti che lo danneggino, sarebbe una legge ingiusta. Ad affermarlo è nientedimeno John Locke, il padre dell’empirismo, quando scrive: “C’è una legge di natura che obbliga ognuno: e la ragione insegna a tutta l’umanità, appena questa la consulta, che essendo tutti eguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare l’altro nella sua vita, nella sua salute, nella sua libertà” (M.Latteri, Dizionario delle idee, v. diritto naturale).
Bisognerebbe ascoltare i figli dei divorziati per capire la loro tragedia e sentirsi ribollire il sangue per l’incoscienza di chi ha provocato tali irreparabili disastri.
Ma nessuno si rischia a scoprire e ad esaminare i traumi psicologici, affettivi, mentali, educativi causati dal fatale abbandono dei figli ad un sicuro difficile e, spesso, disastroso destino. Si teme che la triste verità che emergerebbe potrebbe sconfessare i divorzisti ad oltranza, ciechi ed ottusi. Eppure nell’Inghilterra degli anni sessanta dello scorso secolo ci fu chi questo coraggio lo ebbe. “In Inghilterra, una Commissione reale di diciannove membri, incaricata di studiare a fondo tale problema, concludeva i suoi lavori con queste parole di ammonimento: “Se tale tendenza al divorzio continuerà senza alcun freno, si arriverà al punto in cui sarà necessario chiedersi se non vale la pena abolirlo per il bene della comunità ed obbligare i coniugi ad accettare le durezze connesse con un tale provvedimento”. E ciò per risparmiare ai ventimila bambini che ogni anno sono coinvolti in azioni di divorzio uno choc che si ripercuoterà in ogni fase della loro esistenza” (A. Ferruzza, Oggi, 7.6.1962).

Mike Bongiorno, il popolare personaggio televisivo, in una pagina di “confessioni” pubblicata sul Messaggero (26 marzo 1972), affermava di sentire molto la mancanza di una famiglia essendo egli figlio di divorziati (in U.S.A. da dove proveniva). “Non è che i miei genitori - diceva Mike - non mi volessero bene, ma il loro amore me lo davano al 50% e a turno; e per un figlio l’affetto, quando non viene contemporaneamente dal padre e dalla madre, non è un affetto normale”.
Qualcosa di simile, anzi di più drammatico, mi diceva una bambina di appena otto anni della Casa della Fanciulla di cui sono cappellano. Si chiama Mariuccia e i suoi genitori avevano in corso il processo di divorzio. Un giorno, si fece trovare all’ingresso dell’istituto e, col visino triste e la voce stizzita, mi disse: “Senti. Il giudice deve dire se io devo stare con mia madre o con mio padre. Ma io dico: lei è mia madre, e lui è mio padre; io voglio stare con tutti e due. E tu cosa ne dici?”. Io non dissi niente. L’accarezzai, la presi per la manina, la condussi in chiesa e la feci pregare dicendole che Gesù e la sua Mamma l’avrebbero tenuta sempre vicina, mentre cercavo di frenare la commozione. Crudeltà non è negare il divorzio, ma negare a tante inermi e indifese Mariucce di avere un papà e una mamma che stiano insieme e la amino insieme.

Un giovane, condannato a fare la spola tra la casa della madre risposata e del padre risposato, mi diceva: “Come mai non si trova nessun partito, nessun deputato, nessun senatore che proponga una legge che condanni i genitori che abbandonano i figli col divorzio, anziché premiarli risposandoli in municipio con un sindaco in pompa magna?”.
Ho dovuto dargli ragione, poiché porre i figli in una tale situazione è contro natura; tanto è vero che anche le bestie più feroci non lo fanno. Ma l’uomo, diceva mio padre, è la bestia più feroce che ci sia quando, cedendo alla passione, riesce a mettere la ragione a servizio dell’istinto e arriva così ad una crudeltà senza limiti.

IN NOME E NELL’INTERESSE
DEL LIBERALISMO ITALIANO:
PAROLA DI ANTONIO SALANDRA


In un manifesto di propaganda contro il divorzio, ai tempi del referendum, si vedevano due coniugi darsi le spalle e andare per la loro strada, mentre il figlio restava fermo nel mezzo esclamando: “Ma io non posso dividermi!”.
Proprio così: il figlio è come l’incarnazione dell’amore e delle stesse persone fisiche e spirituali dei genitori; ed è un dato scientifico. Non solo, la natura stabilisce tra i genitori e i figli (a differenza del mondo animale) delle relazioni e dei vincoli che neppure la morte riesce a spezzare. Per cui, se il figlio... non si può dividere; se sono indissolubili i vincoli tra i coniugi e il figlio, deve essere indissolubile anche il matrimonio che produce tali effetti, perché gli effetti non possono essere maggiori della causa.

La discussione sul matrimonio e il divorzio è iniziata in Italia, non appena conseguita la sua unità. Eppure ad opporsi all’introduzione a tale istituto (per il matrimonio civile, evidentemente) non furono i cattolici, che non erano rappresentati in Parlamento, bensì politici liberali e anticlericali tutt’altro che teneri con la Chiesa.
L’on. Giuseppe Pisanelli liberale, ministro di Grazia e Giustizia dal 1862 al 1874, in un suo discorso alla Camera dei Deputati sul matrimonio, tra l’altro, diceva: “Si è detto che il matrimonio è un contratto; ma si cade in errore quando con quella posizione si voglia intendere che il matrimonio non sia altro che un contratto... Il matrimonio, una volta celebrato, non è più un contratto ma uno stato” (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, 14.2.1865).
Il matrimonio è un fatto privato ma solo all’inizio: due persone, di sesso diverso, decidono liberamente di sposarsi, essendo pienamente libere di non farlo. Però, non appena contraggono il matrimonio, si pongono in “uno stato di vita”, danno vita ad una istituzione - la famiglia - che non riguarda più solo essi stessi, ma tutta la società, di cui la famiglia à la cellula essenziale.
Il 26 novembre 1902 Giuseppe Zanardelli presentò un disegno di legge sul divorzio, annunziato addirittura nel discorso della Corona di re Vittorio Emanuele III del 20 febbraio dello stesso anno. Ebbene, nonostante l’impegno e il forte influsso della massoneria, venne respinto soprattutto ad opera di Antonio Salandra, statista di spicco che si ispirava al liberalismo classico di Cavour.

In un suo magistrale discorso al Senato, da grande studioso di problemi economici e giuridici, tra l’altro disse: “I divorzisti rappresentano la campagna antidivorzista come un’agitazione clericale, vaticanista, temporalista... Ma noi protestiamo, in nome e nell’interesse del liberalismo italiano, contro questo tentativo di annoverare tra la schiera dei nemici dello Stato tutti coloro i quali vogliono che la famiglia rimanga costituita qual è dalle vigenti leggi; vogliamo escludere affatto l’idea del divorzio non per motivi religiosi, ma per motivi dettati dall’interesse della società civile; bolliamo di santa ragione quelli che propugnano il divorzio per far dispetto ai cattolici”.

SOCIETÀ DIVORZISTA
OSSIA CIVILTÀ DELL’EGOISMO


“Le società ove esiste il divorzio (e purtroppo sono la maggior parte) esprimono una civiltà dell’egoismo, in cui i singoli sono incoraggiati a servirsi di tutti gli altri - compreso il coniuge - per il proprio maggiore (presunto) godimento e benessere; mentre le società (ormai poche) ove il matrimonio è indissolubile esprimono una civiltà della serietà e del rispetto dei valori, per cui i singoli sono incoraggiati a vivere con senso di responsabilità nei confronti di tutti: in particolare del coniuge e dei figli.
Non bisogna confondere la civiltà dei valori con la civiltà della tecnica. Non c’è coincidenza tra civiltà e divorzio, come provano i fatti...
La “libertà di fare quel che si vuole” non è riconosciuta in alcuna legislazione, perché farebbe cadere nel caos la vita sociale e individuale. Altro è affermare i diritti fondamentali dell’uomo, altro è voler dare riconoscimento giuridico a qualsiasi “libertà” individuale. Ciò non avviene, per esempio, nei rapporti di carattere economico-sociale: al datore di lavoro, infatti, vengono imposte, per legge, dei comportamenti a difesa del più debole: il lavoratore.
È un controsenso, pertanto, affermare che il divorzio è un diritto di libertà, cioè un valore illimitato, e sostenerlo poi come rimedio per alcuni casi, concedendone l’esercizio persino al disonesto contro la persona onesta, al colpevole a danno dell’innocente.
Non essendo quindi il divorzio un fondamentale diritto di libertà, può legittimamente essere escluso, se l’escluderlo significa tutelare altri diritti fondamentali, soprattutto quello dei figli e il bene comune” (Un popolo al bivio, ed. C.N.R.D., Roma 1972, pp. 36; 32).

ADA ALESSANDRINI COMUNISTA:
SONO ANTIDIVORZISTA PERCHÉ DONNA!


Poiché siamo in Italia, la cui cultura dominante è ancora sinistroide, comunistoide, materialista di estrazione marxista, vogliamo ricordare che le radici di una tale cultura furono per la legge naturale dell’indissolubilità del matrimonio.
Carlo Marx (proprio lui, anche se da giovane) scriveva: “Se il matrimonio non fosse a base della famiglia, non sarebbe oggetto della legislazione come non lo è, per esempio, l’amicizia. I divorzisti prendono quindi in considerazione soltanto la volontà o più esattamente l’arbitrio, non la sostanza morale di tale legame.
Il legislatore invece deve considerarsi come un naturalista. Egli non fa le leggi, non le scopre: le formula soltanto; esprime in leggi consce e positive le intime leggi dei rapporti sociali.
Come si potrebbe accusare il legislatore di sfrenato arbitrio se al posto della natura della cosa facesse subentrare i propri capricci, così egli ha non di meno il diritto di considerare arbitrio sfrenato il fatto che dei privati vogliano far prevalere i loro capricci a danno della natura della cosa” (Scritti politici giovanili, ed. Einaudi 1950, p. 245).

Il deputato socialista Loris Fortuna fu colui che propose il disegno di legge del divorzio. Sul quotidiano socialista Avanti (30.11.1969) definiva il divorzio “una vittoria... sulla condizione servile della donna” e precisava che “il divorzio accresce e potenzia la lotta per la libertà e l’emancipazione della donna da condizioni di millenario servaggio, di soggezione conscia o inconscia”.
Ben diversa però era (allora) la posizione dell’UDI (l’organizzazione delle donne comuniste) che nel suo 7° Congresso Nazionale affermava:
“L’unione matrimoniale non sarebbe perfetta se non fosse univoca, duratura e irrevocabile. L’indissolubilità è storicamente una conquista della donna, sottoposta precedentemente alle condizioni umilianti vuoi della poligamia vuoi del ripudio” (Unità, 3.6.1964).
Il 1° dicembre 1970 il divorzio diventava legge dello Stato, col voto determinante del Partito Comunista. Ciononostante Ada Alessandrini comunista, che aveva fatto parte della Direzione Nazionale dell’UDI, in una Conferenza Stampa del 20.10.1971 dichiarava:
“Sono antidivorzista perché sono donna, perché mi sono sempre interessata dei movimenti femminili, del problema delicato della emancipazione della donna italiana in questo momento storico; sono antidivorzista perché sono consapevole dell’importanza che ha la famiglia nella società italiana.

Di famiglia ce ne può essere una sola: non due o tre, un pezzo qua e un pezzo là. O si crede nella famiglia o non ci si crede.
Non è obbligatorio fondare una famiglia... Però quando uno crea una famiglia, ne crea una sola, e ha il dovere di rispettare le creature che nascono in quella famiglia, le quali sono state generate da due esseri insieme, che restano sempre gli stessi; e non è possibile tagliare a metà i bambini che si sono messi al mondo”.
Pietro Nenni, figura storica del socialismo italiano, durante la dittatura fascista era emigrato in Francia. Ritornato in Italia, pubblicò una specie di diario: Taccuino 1942. Sotto la data del 31 maggio, dopo avere assistito a Saint Flour alla “giornata delle madri”, scriveva: “Che cosa di più patetico, in piena guerra, della celebrazione dei valori morali della famiglia e della madre? Nessuno ha nuociuto al socialismo quanto gli pseudo socialisti in salsa borghese, che hanno fatto del cinismo sulla famiglia e sui rapporti sessuali. Non ricordo chi abbia detto che una società socialista ha da essere una società di più casti costumi. Ed è sacrosantamente vero” (cit. di M.Missiroli in Epoca 7.1.1968).
“Il matrimonio - scriveva San Tommaso da filosofo, e non da teologo - è ordinato, secondo l’intenzione della natura, all’educazione della prole, non solo per qualche tempo, ma per l’intera vita della prole. Pertanto, essendo la prole un bene comune del marito e della moglie, è necessario che la società coniugale permanga sempre indivisa secondo il dettame della legge di natura. Perciò, l’indissolubilità del matrimonio è secondo la legge naturale” (Sum. theol. suppl., q.67).

IL RIMEDIO: FARE MARCIA INDIETRO
ABOLENDO IL DIVORZIO


Si dice che l’onestà non si può imporre per legge. È vero: le leggi non rendono automaticamente onesti i cittadini; però tendono a dissuaderli dal commettere azioni disoneste, dannose al vivere civile. L’indissolubilità non crea l’amore; tuttavia ne favorisce le premesse, aiuta gli sposi a superare i momenti difficili. Il divorzio favorisce, protegge e premia l’egoismo, che è il contrario dell’amore. Insomma, se la legislazione non può prescrivere la moralità, tanto meno può rendere legale l’immoralità.
La situazione dei figli dei divorziati è drammatica. Contesi dai genitori o abbandonati a se stessi, non hanno punti di riferimento.
“Sto con mio madre - mi dice un ragazzo di seconda media - e c’è un maschio che non posso sopportare: lo ucciderei. Passo qualche giorno con mio padre, e trovo una femmina che mi è tanto antipatica: mi viene di sputarle in faccia”.
Condottomi dai genitori, mi trovo davanti a un ragazzo che, mi si dice, è sempre triste e preoccupato. Quando riesco a farlo parlare, mi confessa: “Ho paura che papà e mamma si dividano”.
Di questi casi ormai ne conosco parecchi. E la conclusione è questa ed è tremenda: i figli dei divorziati subiscono il trauma del divorzio. I figli che non hanno la sfortuna di trovarsi in questa situazione, vivono nell’incubo di una probabile divisione dei genitori.

Che c’è da fare?

Fare marcia indietro: poiché il divorzio, per i guasti che ha prodotto e di cui tutti siamo testimoni, è un male tremendo, è un delitto. Ed è da insensati averlo trasformato in un diritto. Nessun cittadino onesto può ricorrervi, tanto più se cristiano: lo si può subire, ma non promuoverlo; non solo, ma è anche da cancellare dal Codice civile dello Stato perché, oltre quanto detto, il divorzio, corrompendo la famiglia corrode la società nelle sue cellule vitali.

don GERLANDO LENTINI


Matteo 5,37
Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.


Colossesi 4,6
Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno






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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)