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l Palio di Siena e Provenzan Salvani nel canto XI del Purgatorio

Lo stesso grido di sette secoli fa in piazza del Campo


di Carlo Pedretti

Scrivere storia per poterla leggere come cronaca. Questo sa fare Sergio Poletti nelle sue pubblicazioni e in particolare nel suo ultimo libro su Dante (Dante Alighieri tra poesia, politica, nobiltà e posterità, Mirandola, 2009) la sua vicenda umana e intellettuale, la sua visione poetica, i suoi sentimenti più riposti che solo la caparbia analisi dello psicanalista sa scovare, e infine la sua prolifica discendenza che - pochi lo sanno - continua ai giorni nostri.
 
Essa infatti emerge dalle pagine di questo libro attraverso la complessità di ramificazioni da rompicapo per imporsi subito con inevitabile suggestione come strumento di studio e consultazione, non più col tono di una elitaria e compassata genealogia come quella celebre del marchese Pompeo Litta, ma con l'accattivante periodare del racconto familiare, da veglie presso il focolare di altri tempi, e pur sempre col ritmo sostenuto, a volte mozzafiato, che non ha nulla da invidiare ai più scaltri programmi tv e alle migliori pagine della cultura (un genere in estinzione, peraltro, che va paurosamente scomparendo anche dai migliori quotidiani per lasciare spazio a banalità e scandali).

Un libro, dunque, all'antica anche se modernissimo.

E, come tale, esempio e ammonimento di come dovrebbe essere il migliore giornalismo che va pure scomparendo per scimmiottare i modelli della grande comunicazione d'oltr'Alpe e d'oltre Oceano, dove vige il limite insormontabile delle trenta righe o dell'immagine televisiva di trenta secondi. Un libro che è il frutto di un'immensa conoscenza mai fatta pesare e che risponde al tradizionale criterio postulato dai nostri padri di formazione manzoniana secondo i quali "un libro non val niente se non cambia la gente".

Questo libro è insieme un prezioso contributo allo studio e un affascinante quadro storico dominato dalla presenza di un eccezionale protagonista che non si può fare a meno di seguire perfino nella vicenda della poca polvere che i venerabili resti mortali, esumati dopo secoli, ha lasciato nel fondo di una cassetta per essere religiosamente raccolta in bustine finite nelle mani di collezionisti privati, che poi ne hanno fatto dono a istituzioni pubbliche.

Poletti è sempre attentissimo al particolare curioso e illuminante nel grande e articolato quadro della sua narrazione che procede a ritmo costantemente sostenuto. E chi legge si sente inevitabilmente trasportato a seguirlo, come quando, arrivati ai discendenti di Dante nel nostro tempo, ci si sofferma sulla storia del nobile casato dei Serego-Alighieri a Verona "che tutt'oggi fa continuare la dinastia, evidentemente la sola e vera che deriva direttamente dal sommo Dante".

Di qui la conclusione:  "Per saperne di più recatevi a Villa Serego, stupenda costruzione con porticato, affreschi, stemmi, mosaici, figure di imperatori romani e di divinità, incastonata tra le colline di Gargagnago, ai piedi del colle di San Giorgio, che fa da singolare sfondo scenografico, tra vigneti pregiati". In questo modo il lettore si ritrova protagonista, e vuol proprio saperne di più dopo aver letto che Pietro Alighieri, secondogenito di Dante, nel 1353 comprò terre e casa a Gargagnago, ora frazione di Sant'Ambrogio in Valpolicella dove ha appunto discendenti nei conti Serego-Alighieri". Ed è così che si arriva ai nostri giorni:  "Pier Alvise, figlio di Dante, classe 1954, è il re dei vini di quelle parti e il ventesimo pronipote del sommo Dante".

Il sommo Dante, come sempre, è presente in tutte le generazioni che si avvicendano nel corso dei secoli per farlo proprio, studiandolo e prendendolo come esempio al viver civile. Dai primi commentatori, via via fino a Roberto Benigni, Poletti li enumera tutti e sa che in ogni tempo c'è di che imparare per mettere a fuoco la figura del sommo poeta e integerrimo uomo politico partendo dalla sua umanità che lo rese esule fino alla morte. Di qui programmi di carattere divulgativo che cominciarono a imporsi dall'Ottocento in poi a vari livelli di cultura, dalla celebre lectura Dantis al lento ma sistematico espandersi dell'attività della benemerita "Società Dante Alighieri", che ha lo scopo di diffondere in ogni parte del mondo la conoscenza e la bellezza della lingua italiana.

Dante è ancora parte della nostra vita quotidiana e viene ancora portato sulle piazze quando la sua poesia viene costantemente proiettata sul nostro momento storico e come tale non ha nulla a che vedere con lo stereotipo della sua polvere mortale nelle bustine dei collezionisti.

Di questo ho avuto recentemente una prova eloquente di carattere personale. All'amico Poletti, rappresentante per eccellenza della benemerita categoria degli "storici di provincia", merita che ne faccia parte, a riprova della validità dell'assunto che Dante è ancora fra noi, nel senso che la nostra cultura e il nostro costume ci consentono di evocarlo e perfino di comprenderlo proprio come in una estemporanea lectura Dantis.

Poletti discorre a lungo del rapporto, anche di amicizia, di Dante con Giotto, e riporta i famosi versi:  "Credette Cimabue nella pintura / tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido". Il canto XI del Purgatorio dal quale proviene la citazione è sul tema dei superbi e, come altrove nella Commedia, mostra la malcelata antipatia del poeta per i senesi.

Il canto termina infatti con la splendida e tragica figura di Provenzan Salvani che forzando il proprio orgoglio si rassegna a implorare sul "campo", cioè sulla famosa piazza di Siena, il denaro per il riscatto di un amico:  proprio come un mendicante che chiede l'elemosina.

Lo scorso anno, il 15 luglio, si corse il celebre palio di Siena e l'evento fu preceduto dalla solenne presentazione dello stendardo rinnovabile ogni anno attraverso un severo concorso che porta all'ambita committenza. Nel 2009 la scelta cadde su Giuliano Ghelli, uno dei nostri pittori contemporanei che nel 1993 portai per la prima volta accanto a Leonardo - addirittura alla Dama con l'ermellino - in una grandiosa mostra leonardesca in Svezia. Al suo secondo trionfo, dopo quello svedese, Ghelli volle che partecipassi all'evento senese col discorso ufficiale per la presentazione del suo "cencio", il grande stendardo che gli avrebbe consentito di "tener lo campo" per quell'anno, accolto dal "grido" della stessa folla che il giorno dopo avrebbe accolto con lo stesso grido il vincitore della secolare corsa dei cavalli nel "campo" senese; corsa secolare, infatti, per essere documentata fin dal tempo di Dante.

E così il grido che Dante menziona come quello che accoglie Giotto vincitore dopo che Cimabue aveva tenuto "lo campo" nella pittura, l'ho sentito io stesso, sette secoli dopo, all'arrivo dello stendardo dipinto da Ghelli, solennemente presentato alla presenza delle autorità civili, militari e religiose, nel cortile del palazzo medievale aperto alla svettante Torre del Mangia, che tanto aveva affascinato Leonardo per l'ingegnoso sistema del batacchio snodato della sua campana. La storia che Poletti sa raccontare come cronaca è certamente meglio della squallida cronaca sfornata, senza alcun "grido", da certa nostra stampa quotidiana.



(©L'Osservatore Romano - 21 novembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)