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Antenati italiani del «Conte di Montecristo»

Quanto Dante in Dantès


di Claude Schopp

Il conte di Montecristo si nutre profondamente dell'opera di Dante.

Dalla Divina Commedia Dumas non attinge solo il nome di Cavalcanti (che "nel canto x dell'Inferno" ha avuto "Dante per genealogista"), taluni parallelismi (Ugolino, la lonza), o una perifrasi ("Paese dove 'l sì suona"); ne fa una rilettura romantica:  "Il XIX secolo francese si riappropriava di Dante attraverso il noir, in quanto poesia della crudeltà, gran repertorio dell'orrido e del patetico, origine del satanismo letterario, fulcro dell'indagine sul problema del male".

All'anticamera dell'inferno, ovvero al castello d'If, dove sono rinchiusi gli innocenti e dove Dantès incontra in Faria il suo Virgilio, fa seguito l'inferno dei castighi, istituito qui e ora dal conte che valuta le anime prima del Giudizio e si arroga il diritto di ricompensare e punire; davanti agli occhi dei lettori di Montecristo sfilano il corpo o l'ombra dei colpevoli, classificati da Dante e poi da Dantès:  gli spiriti vili (Caderousse) sono tormentati dagli insetti; i lussuriosi (madame Danglars) sono spazzati via da un uragano; i violenti contro il prossimo (Caderousse, Villefort, madame de Villefort) sono immersi in un fiume di sangue bollente; i violenti contro la Natura (Eugénie Danglars) corrono sotto la pioggia di fuoco; gli usurai (Danglars) siedono sotto una pioggia di fuoco; i ladri (Andrea) sono trasformati in serpenti; i traditori (Fernand) sono prigionieri nel ghiaccio.

L'inferno che appartiene a questo mondo, tuttavia, non può che essere ironico o parodico perché è solo una macchinazione umana, che Dio sembra avallare autorizzandone il successo. Ci vuole la morte di un bambino, innocente per definizione, perché Dantès perda la propria sicurezza. ""Ecco, Edmond Dantès!", esclamò [Villefort] mostrando al conte il cadavere della moglie e il corpo del figlio. "Ecco, guarda! Sei vendicato a dovere?". A tale spettacolo agghiacciante Montecristo impallidì; comprese che aveva appena valicato i confini della vendetta; comprese che non poteva più dire:  "Dio è con me e per me" (...). E, quasi avesse temuto che i muri della dimora maledetta gli rovinassero addosso, si precipitò in strada, dubitando per la prima volta di avere il diritto di fare ciò che aveva fatto".

Questa sciagura è un richiamo all'ordine; nessuno può fregiarsi di esprimere la volontà di Dio, nessuno può sostituirsi a Dio. L'uomo può solo intuirne i disegni:  "Iddio vuole che lo comprendiamo e ne mettiamo in discussione la potenza; è a tal fine che ci ha donato il libero arbitrio". Di nuovo si insinua il dubbio nella mente del conte, il cui scopo non era il compimento di una vendetta personale bensì la distruzione del male; ebbene, causando la morte di un innocente, egli non fa che rinnovare il male.

Libero, disperatamente libero, Montecristo deve scegliere, e per ritemprarsi decide di reimmergersi nella sofferenza iniziale, di ritornare nell'inferno del castello d'If:  "Orsù, suvvia, uomo rigenerato! Suvvia, ricco stravagante! Suvvia, dormiglione ridestato! Suvvia, visionario onnipotente! Suvvia, milionario invincibile! Riprendi per un istante la funesta prospettiva della vita miserabile e affamata; ripercorri i sentieri dove ti ha spinto la fatalità, dove ti ha condotto la sventura, dove ti ha accolto la disperazione".

Nella segreta che fu dell'abate Faria, si inginocchia accanto al letto su cui era morto il suo secondo padre, così come Dumas si era inginocchiato accanto al letto di morte della madre:  "Tu che mi hai donato la libertà, la sapienza, la ricchezza, tu che, alla stregua delle creature di un'essenza superiore alla nostra, possedevi la sapienza del bene e del male, se in fondo al sepolcro permane qualcosa di noi che sobbalza alla voce di quanti sono rimasti in terra, se nella trasfigurazione che subisce il cadavere aleggia qualcosa di animato nei luoghi dove tanto abbiamo amato o tanto patito, nobile cuore, mente superiore, anima profonda (...) in nome dell'amore paterno che tu mi accordavi e del rispetto filiale che io ti avevo votato, ti scongiuro:  tramite una parola, un segno, una qualsivoglia rivelazione, dissipami il residuo di dubbio che, se non si tramuta in convincimento, diventerà rimorso".

La madre aveva taciuto per l'eternità; rivincita dell'immaginario sul reale, Faria si manifesta a Dantès, il quale riceve dalle mani del carceriere il manoscritto dell'abate che reca in epigrafe:  "Strapperai i denti al drago e calpesterai i leoni, ha detto il Signore:  "Ah - esclamò - è questa la risposta! Grazie, padre mio, grazie!"". La parola di Dio, trasmessa dall'intercessore, giustifica l'azione passata, l'estirpazione della razza maledetta, e impone al vendicatore di portare a termine la missione che rispecchia i disegni di Dio o della Provvidenza.

Tuttavia tali sono lo stravolgimento per la morte del fanciullo e la consapevolezza di essere stato complice del Male (""Oh basta! Basta!", esclamò. "Salviamo l'ultimo!"") che Dantès abbandona l'Antico Testamento a favore del Nuovo:  cessa di essere il Padre terribile per ridivenire il Figlio misericordioso, il Redentore, di cui ha rivissuto la Passione. È colui che perdona le offese quando c'è pentimento:  ""Oh sì, mi pento! Mi pento!", esclamò Danglars. E si batté in petto con il pugno smagrito. "In tal caso vi perdono (...) io non sono il conte di Montecristo". "E chi siete, dunque?". "Sono colui che avete venduto, consegnato, disonorato; sono colui la cui fidanzata voi avete prostituito; sono colui sopra il quale avete camminato per ergervi sino alla fortuna; sono colui il cui padre avete fatto morire di fame, colui che vi aveva condannato a morire di fame, e che purtuttavia vi perdona, giacché egli stesso abbisogna di essere perdonato:  io sono Edmond Dantès"".

Il perdono è risurrezione:  Montecristo, lo spettro, svanisce, Edmond, il vivo, torna alla condizione puramente umana, all'intensa circolazione delle emozioni, si spoglia della sua durezza di pietra, rinasce all'amore:  "Il conte sentì allargarglisi il petto e il cuore dilatarsi; aprì le braccia, Haydée vi si precipitò lanciando un grido. "Oh sì, io ti amo!", esclamò costei. "Ti amo come si ama il proprio padre, il proprio fratello, il proprio marito! Ti amo come si ama la vita, come si ama il proprio Dio, giacché tu per me sei il più bello, il migliore e il più grande degli esseri creati!".
 
"Sia fatto come vuoi tu, dunque, angelo mio caro", esclamò il conte. "Iddio che mi ha innalzato contro i nemici e mi ha reso vincitore, ben lo vedo, Iddio non desidera porre il pentimento in fondo alla mia vittoria; volevo punirmi, Dio vuole perdonarmi". L'ultima parola di Dantès è rivolta a Dio:  è un giuramento di fedeltà alla volontà divina "il cui oggetto sono il fine e il bene"; è un umile ritorno alla vera preghiera, il Padre nostro.



(©L'Osservatore Romano - 21 novembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)