00 11/02/2010 18:45

Mettiamo alla porta la Fata Turchina


di Marcello Filotei

"Smettila di guardare Pinocchio e vai a fare i compiti, non verrà nessuna Fata Turchina a salvarti quando ne avrai bisogno".

Il nonno iperrealista esagerava, perché un bambino di sette anni ha bisogno di credere alla Fata Turchina e pure a Babbo Natale, ma l'idea che sia sempre qualcun altro a toglierti le castagne dal fuoco prima o poi va smontata.

Non tutti, per fortuna, hanno avuto un nonno poco incline alla metafora, ma troppi continuano a sperare senza fare e continuano ad aspettare la Fata Turchina che a una certa età occorrerebbe mettere alla porta.
L'esempio più evidente di questa delega delle proprie aspirazioni sembra essere la crescente propensione al gioco, che in Italia trova il suo apice popolare nel Superenalotto. Poco male affidare qualche euro al caso per poter almeno sognare di risolvere tutti i problemi con il nobile distacco di un assegno sostanzioso.

Il problema sorge quando si affida esclusivamente a quel biglietto ogni speranza di riscatto sociale. Ancora peggio quando si moltiplica questa ricerca affannosa della vincita anche su concorsi - primi tra tutti gli onnipresenti "gratta e vinci" - che non regalano nemmeno l'illusione di una vita migliore, promettendo pochi spiccioli che quasi sempre vengono reinvestiti in un'ulteriore giocata. Per non parlare del poker elettronico e di quello televisivo, il primo macchina che inghiotte piccoli patrimoni, il secondo chimera che dipinge dei biscazzieri come geni della psicologia.

 Studiata la tendenza, gli esperti di società che non trascurano alcuna possibilità di metterci le mani in tasca, hanno inventato il gioco "WinforLife" che - oltre a proporre un'impostazione atta a far credere erroneamente nella possibilità di una vittoria facile - sembra particolarmente malinconico:  non promette infatti vacanze senza fine in mari esotici, ma un buono stipendio per un lungo periodo di tempo. Non che sia poco, soprattutto in tempi di crisi, ma è esattamente quello a cui si dovrebbe aspirare puntando sulla propria formazione piuttosto che puntando su numeri improbabili.

Perché altamente improbabile è la vincita e basterebbe possedere i fondamentali della matematica - che troppo spesso gli intellettuali si vantano di ignorare - per comprendere che giocare un euro, o due, o anche cento, statisticamente non è molto diverso:  le probabilità di vincere rimangono trascurabili. Basterebbe sfogliare distrattamente qualsiasi manuale per convincersi che lo studio dei ritardi dei numeri sulle varie ruote e la lettura della sfera di cristallo hanno più o meno la stessa validità scientifica. E a volte sono operati dalle stesse persone.

L'unico che vince, a ogni estrazione, è lo Stato, che si mette in tasca buona parte delle speranze popolari. Sarà banale e scontato, ma quanto sarebbe bello se una parte dei soldi puntati fossero investiti in libri, cinema, concerti o teatri, magari evitando le rappresentazioni su Babbo Natale che - spiace doverlo ricordare - non esiste (ma non ditelo ai bambini).

E il sogno? Certo sognare è utilissimo, ma allora a che servono il cinema, la musica, le commedie, i quadri, le statue, le architetture? Oppure, ma non in alternativa, invece di aspettare che escano i nostri numeri spegniamo la televisione e usciamo noi. Andiamo allo stesso bar dove di solito giochiamo decine di euro, limitiamoci a una puntata minima e investiamo quel che rimane per offrire un caffè a un amico. Questo sì che migliora la vita e le probabilità di riuscita sono più elevate.


(©L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)