00 30/07/2009 22:39

LVII. Dei dolori che colpiscono ogni matrimonio.

1. Ma se vuoi lasciamo stare tutto questo ed esaminiamo ora i mali che la natura assegna al matrimonio ed ai quali nessuno può sfuggire, lo voglia o no. Quali sono? I dolori del parto, la generazione ed i figli. Ma riprendiamo il discorso da un punto più alto, e cerchiamo di capire ciò che avviene prima del matrimonio, per quanto ci è possibile (queste cose le conosce infatti con esattezza soltanto chi le ha sperimentate). E’ giunto il tempo del fidanzamento, e subito preoccupazioni di vario tipo si affollano nella mente della donna: l'uomo che sta per sposare può avere dei bassi natali o una cattiva reputazione, o può essere arrogante, ingannatore, millantatore, insolente, geloso, meschino, sciocco, malvagio, duro, effeminato. Certo, non è detto che tutti questi mali debbano colpire tutte le donne che si sposano; ma è fatale che tutte se ne preoccupino molto. Quando non si conosce ancora l'uomo assegnato e le speranze sono incerte, l'anima della donna trema piena di timore di fronte a tutto e pensa a tutti i mali possibili. Chi poi dicesse che essa potrebbe rallegrarsi pensando ai beni contrari, sappia che la speranza dei beni non ci consola nella stessa misura in cui ci addolora il timore dei mali. I beni producono la gioia solo quando poggiano su speranze sicure, mentre i mali, anche quando vengono soltanto sospettati, subito scompigliano e sconvolgono l’anima.

2. Come nel caso degli schiavi l'incertezza sui futuri padroni non dà tregua alle loro anime, così l'anima delle vergini, per tutto il periodo del fidanzamento, assomiglia ad una nave sbattuta dalla tempesta. Ogni giorno i loro genitori accolgono o scacciano i pretendenti; il pretendente che ieri ha vinto può essere oggi vinto da un altro, il quale può a sua volta essere scacciato da un altro ancora. Accade anche che alla vigilia stessa del matrimonio quello che era ritenuto lo sposo se ne vada a mani vuote, mentre un altro a cui non si pensava affatto riceve in sposa la ragazza dai genitori. E non solo le donne, ma anche gli uomini hanno forti preoccupazioni: mentre sul conto degli uomini ci si può informare, come ci si può informare sul carattere o sull'aspetto di una donna che rimane sempre chiusa in casa? Questo accade all'epoca dell'innamoramento. Quando poi si giunge al matrimonio, l’angoscia cresce e le paure soverchiano le gioie; la sposa teme di sembrare già dalla prima sera poco attraente e di gran lunga inferiore alle aspettative del marito. Essa può sopportare un disprezzo successivo, che subentra all'ammirazione iniziale; ma se, per così dire, suscita repulsione fin dal punto di partenza, quando potrà mai essere ammirata?

3. E non dire: "Che cosa succede invece se è bella?". Neanche in questo caso si libera dalle sue preoccupazioni. Molte donne splendenti nella loro bellezza fisica non riescono a catturare i loro mariti, che abbandonano per darsi ad altre inferiori a loro. E anche quando questa preoccupazione svanisce, ne sopraggiunge un'altra: nuovi dispiaceri insorgono al pagamento della dote, quando il suocero non la dà volentieri perché sa di dare un deposito a fondo perduto, e quando lo sposo, pur essendo ansioso di prenderla, si vede costretto ad essere cauto nelle sue richieste di riscossione; la sposa si vergogna del ritardo ed arrossisce di fronte al marito, perché ha un padre che è il peggiore debitore. Ma ora tralascio tutto questo.

4. Anche se questa preoccupazione svanisce, subito subentrano la paura della sterilità e, in aggiunta, quella di una prole molto numerosa; se nessuna di queste due eventualità è ancora chiara, le spose fin dall'inizio del matrimonio sono agitate da entrambi i pensieri. Se la sposa diventa subito incinta, la gioia si mescola alla paura, perché da quest'ultima nulla nel matrimonio è disgiunto; si teme che il feto concepito vada distrutto in un aborto, e che la donna incinta corra l’estremo pericolo. Se invece prima del concepimento intercorre un lungo periodo di tempo, la donna si perde d'animo, come se il generare dipendesse da lei. Quando poi giunge il momento del parto, il ventre, già messo a dura prova per tanto tempo, è colpito e tirato dai dolori, che da soli bastano ad oscurare tutte le gioie del matrimonio. Oltre a questo, altri pensieri la turbano. La povera e sfortunata ragazza, pur essendo torturata da così forti dolori, teme non meno di questi di dare alla luce un figlio mutilato e storpio in luogo di un figlio integro e sano, o di avere una femmina invece di un maschio. Quest’angoscia, in effetti, non tormenta in quel momento le partorienti meno dei dolori del parto: hanno paura dei mariti non solo nelle cose di cui sono responsabili, ma anche — e in misura non minore — in quelle in cui sono esenti da qualsiasi responsabilità. Trascurando la propria sicurezza in un momento di così grave pericolo, si preoccupano di non far succedere nulla che sia sgradito al marito. E dopo che il bambino è caduto a terra ed ha emesso il primo vagito, si affacciano altre preoccupazioni, quelle relative alla sua incolumità ed al suo allevamento.

5. Ed anche se il bambino generato ha una buona natura ed è portato alla virtù, i genitori temono che gli capiti qualcosa di male, che sia vittima di una morte prematura, che si lasci prendere da qualche vizio. Non è vero soltanto che da cattivi si può diventare buoni: anche da buoni si può diventare vili e cattivi. E se si verifica qualcuno di questi eventi esecrabili, il dolore che ne deriva è più insopportabile di quello che si sarebbe provato se la stessa cosa fosse avvenuta all’inizio. Se poi tutte le qualità buone restano salde, la paura di un cambiamento continua sempre a scuotere l’animo dei genitori e ad eliminare una buona parte del piacere. "Ma non a tutte le persone sposate capita di avere figli". Ammetti dunque un altro motivo di tristezza? Quando gli sposi sono presi da differenti dolori e preoccupazioni, ci siano o no i figli, o siano essi buoni o cattivi, come possiamo chiamare piacevole la vita matrimoniale?

6. Se poi gli sposi vivono d'amore e d'accordo, si affaccia il timore che la morte venga a recidere il piacere. E' più esatto dire che in tal caso non si ha a che fare con una semplice paura: il male non consiste soltanto nella sua attesa, ma fatalmente si realizza modo concreto. Nessuno è stato mai in grado d’indicare due persone sposate che siano morte entrambe nello stesso giorno: non essendo ciò possibile, resta solo l'obbligo di sopportare una vita molto più dolorosa della morte, si sia vissuti insieme per molto tempo o per poco. Chi ha infatti sperimentato una lunga convivenza, riceve un dolore in proporzione più grande, giacché la lunga dimestichezza rende insopportabile la separazione e chi, quando il suo desiderio è ancora veemente, si vede privato dell'amore che non ha potuto gustare e di cui non ha ancora potuto saziarsi, piange per questo ancora più dell'altro: per cause opposte, entrambi sono vittime di uguali dolori.

7. E perché ricordare le separazioni che nel frattempo si verificano, le lunghe assenze, le ansie che le accompagnano, e le malattie? "Ma che cosa ha a che fare questo con il matrimonio?" mi si obietta. Spesso, molte donne si ammalano soprattutto per colpa sua. Quando sono vittime di violenza e d’ira, si produce in loro una febbre dovuta ora alla rabbia, ora allo scoraggiamento. Se invece, quando il marito è presente, non solo non soffrono nulla di tutto questo, ma godono delle sue continue gentilezze, quando egli si allontana incappano negli stessi dolori. Ma anche se lasciassimo andare tutto questo e non muovessimo più accuse al matrimonio, non potremmo scagionarlo anche di un'altra colpa. Di quale? Il matrimonio non permette all'uomo sano di stare meglio del malato, ma lo fa piombare nello stesso scoraggiamento che prova l'uomo allettato.


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Consiglia  Messaggio 12 di 15 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 01/06/2004 17.12
Da: <NOBR>Soprannome MSN°Gino¹</NOBR>Inviato: 25/01/2004 9.29

LVIII. Il matrimonio, anche se sfugge ad ogni dolore, non ha in sé nulla di grande

1. Vuoi che, prescindendo da tutto ciò, supponiamo nel nostro ragionamento l'impossibile ed ammettiamo l'esistenza di un matrimonio in cui sono presenti tutti i beni, vale a dire la prole numerosa e buona, la ricchezza, una moglie saggia, bella ed intelligente, la concordia ed una lunga vecchiaia? Aggiungiamo pure il lustro della stirpe e la grande potenza, e supponiamo che un matrimonio simile non venga disturbato dal timore di un cambiamento, la malattia che è propria della nostra natura; sia bandito ogni motivo di tristezza, ogni pretesto che possa dar adito a preoccupazioni ed angustie; nessuna ragione, nessuna morte prematura sciolga tale matrimonio; tutti e due i coniugi muoiano nello stesso giorno; oppure — e questa sembra la più grande felicità — i figli restino gli eredi, ed accompagnino alla tomba i genitori morti dopo una lunga vecchiaia. Ma qual è la conclusione? Quale guadagno traggono i coniugi da questo piacere, nel momento in cui partono per l'altra vita? Il lasciare molti figli, l'avere goduto di una bella moglie, delle ricchezze e di tutte le altre cose che ho appena enumerato, l'avere trascorso una lunga vecchiaia, di quale aiuto potranno mai essere di fronte a quel tribunale, nella sfera delle cose eterne e vere? Di nessun aiuto. Tutto questo non è forse un'ombra ed un sogno? Che cosa accade dunque, se mio marito è portato a cadere in basso ed io voglio essere continente? Devi seguirlo. La catena che il matrimonio ti ha messo intorno ti trascina e ti tira tuo malgrado verso colui che fin dall’inizio è legato assieme a te; se opponi resistenza e cerchi di romperla, non solo non ti liberi dai suoi legami, ma vai incontro alla più grave punizione.

LIX. La verginità è una cosa facile

La vergine non è costretta a prendere informazioni sul suo sposo, né teme d'essere vittima di un inganno. Lo sposo è infatti Dio, non un uomo; e il Signore, non un compagno di schiavitù: tanto grande è la differenza tra i due sposi. Esamina anche le condizioni dell'unione. I doni nuziali offerti a tale fidanzata non sono rappresentati dagli schiavi, dalle misure di terreno e da un certo numero di talenti d'oro, ma dai cieli e dai beni celesti. Per di più, la donna sposata teme la morte oltre che per altri motivi anche perché la separa dal consorte. La vergine, invece, desidera la morte e considera la vita come un peso, ansiosa com'è di vedere il suo sposo "faccia a faccia" e di godere della sua gloria.

LX. La verginità non ha bisogno di nessuna delle cose che non dipendono da noi

1. Neanche una vita da miseria può danneggiare la vergine, come accade invece nel matrimonio; anzi, essa rende ancora più gradita allo sposo colei che la sopporta di buon grado. Lo stesso vale per i bassi natali, per l'assenza di una bellezza fisica risplendente e per le altre cose dello stesso genere. Ma perché parlarne? Neanche il non essere libera nuoce al suo fidanzamento: le basta mostrare un'anima bella e raggiungere il primo posto. In tale stato, non c'è motivo di temere la gelosia o di provare una dolorosa invidia nei confronti di un'altra donna che si è unita ad un uomo più illustre. Nessun uomo è infatti simile o uguale al suo sposo, nessuno gli si avvicina neanche un po'; nel matrimonio, invece, la donna sposata, anche se ha un marito molto ricco e potente, può sempre trovarne un'altra con un marito di condizione molto più alta.

2. L'essere superati da persone più importanti non diminuisce in lieve misura il piacere che si prova quando si superano gl'inferiori. Ma il grande sfarzo negli ori, nelle vesti, nella tavola e nelle altre comodità basta da solo ad incantare l'anima e ad attrarla. Ma quante donne ne godono? La maggior parte uomini vive nella povertà, nelle ristrettezze e nelle fatiche. Se ci sono donne che possono godere di tali beni, sono molto poche, e si possono facilmente contare; esse agiscono però contro il volere di Dio. Come abbiamo mostrato in precedenza nel nostro discorso, a nessuno è consentito vivere in questi piaceri.

LXI. I1 portare addosso gli ori produce più paura che piacere

Ma supponiamo pure nel nostro ragionamento che questo lusso sia permesso, e che né il profeta né Paolo si dichiarino contrari alle donne che amano troppo lo sfarzo. Ma di quale utilità sono i molti ori? Non producono altro che invidie, preoccupazioni e timori non indifferenti. Le donne che li possiedono si agitano non solo quando li ripongono nello scrigno al sopraggiungere della notte, ma anche quando li indossano: quando è giorno, provano la stessa ansia, o piuttosto un'ansia ancora più forte, giacché i bagni e le chiese sono frequentate da donne che li rubano. Ma anche non tenendo conto di queste ultime, accade spesso che le donne che portano gli ori, spinte e premute dalla folla, non si accorgono che qualche oggetto d'oro è caduto. Così pure, molte perdono non solo questi ori, ma collane di valore ancora maggiore, fatte di pietre preziose che, strappate, finiscono con il cadere. Ma ammettiamo pure che non sussista neanche questa paura, e che tale preoccupazione venga bandita.

LXII. I1 portare addosso gli ori nuoce alla bellezza e mette in risalto la bruttezza

1. Si dice: "Altri vedono ed ammirano". Ammirano però non la donna che indossa gli ori, ma gli oggetti indossati, e spesso la disprezzano per colpa loro, come se se ne fosse adornata senza esserne degna. Se infatti la donna è bella, gli ori danneggiano la bellezza naturale, perché i molti ornamenti non le permettono di mostrarsi così com'è, e ne eliminano la maggior parte; se invece è brutta e di aspetto sgradevole, essi la fanno apparire ancora più repellente: la bruttezza, quando appare da sola, si rivela unicamente per quello che è; ma quando si riveste di pietre risplendenti e di altri materiali belli, il suo aspetto sgradevole risalta ancora di più.

2. I1 colore nero di un corpo è fatto risaltare maggiormente dalla luce di una perla posta su di esso, che risplende come nell'oscurità; allo stesso modo, gli ornamenti delle vesti, non permettendo all'impressione visiva di affrontare da sola il giudizio degli spettatori, peggiorano la deformità dell'aspetto: di fronte a quella bellezza artificiale e straordinaria, la sconfitta diviene ancora più netta. L'oro disseminato sulle vesti, la varietà dei lavori eseguiti in questo campo, e tutti gli altri ornamenti - al pari di un atleta valente, in buone condizioni e vigoroso, che respinge un avversario coperto di scabbia, brutto ed affamato - annullano lo splendore del viso di colei che l'indossa ed attirano su di sé l'attenzione degli spettatori: di conseguenza, mentre la donna viene derisa, essi vengono ammirati oltre misura.

LXIII. Quali sono gli ornamenti e qual è la bellezza della verginità

1. Gli ornamenti della verginità non sono però di tale natura. Non danneggiano colei che l'indossa, giacché non sono corporei, ma appartengono interamente all'anima. Per questo, anche se la vergine è brutta, subito ne trasformano la bruttezza, rivestendola di una bellezza straordinaria; se invece essa è bella e risplendente, ne accrescono lo splendore. Le anime delle vergini non sono infatti adornate dalle pietre, dagli ori, dalle vesti sfarzose, dai vari e ricchi ricami colorati, o da qualcun'altra di queste cose caduche, ma, in loro vece, dai digiuni, dalle veglie sacre, dalla mitezza, dalla bontà, dalla povertà, dal coraggio, dall'umiltà, dalla perseveranza - in una parola, dal disprezzo di tutte le cose della vita presente.

2. L'occhio della vergine è così bello ed incantevole che fa innamorare, in luogo degli uomini, le potenze incorporee ed il loro padrone; è così puro e limpido, che è in grado di vedere in luogo delle bellezze corporee quelle incorporee, e così mite e tranquillo che non si adira mai e non si rivolta neppure contro chi le fa del male e le procura continuamente dei dolori; al contrario, guarda costoro in modo dolce e soave. Tale modestia la riveste, che anche gl'intemperanti, guardandola bene, si vergognano, arrossiscono e mitigano la propria follia. Come l'ancella che serve una padrona modesta deve assumere anch'essa questo carattere anche se non lo vuole, così anche la carne della persona che pratica tale filosofia deve uniformarsi ai suoi movimenti ed impulsi. Lo sguardo, la lingua, l'aspetto, l'andatura ed in una parola tutto ricevono un'impronta dall'ordine interiore. Come un profumo prezioso, anche se è racchiuso in un vaso, impregna l'aria della propria fragranza ed inebria non solo quelli che si trovano in casa o che sono vicini, ma anche quelli che sono fuori; allo stesso modo la fragranza dell'anima della vergine, diffondendosi nei sensi, rivela la virtù interiore, mette a tutti i cavalli le auree redini dell'ordine ed assicura il perfetto ritmo di ciascuno di loro; non permette alla lingua di pronunziare nessuna parola stonata e disarmonica, né all'occhio di guardare senza pudore e con sospetto, né all'orecchio di ascoltare qualche canto sconveniente. La vergine bada anche ai piedi, in modo da avere non un'andatura disordinata e molle, ma un passo privo di affettazione e di ricercatezza. Eliminato ogni ornamento dalle vesti, raccomanda continuamente al volto di non distendersi nelle risa, di non sorridere neanche di nascosto, di mostrare al contrario sempre una fronte vereconda e seria, e di essere sempre pronto al pianto e mai al riso.

LXIV. Ciò che soffriamo per Cristo, anche se è fastidioso, è fonte di piacere

Quando senti parlare di pianto, non nutrire dei cupi sospetti: queste lacrime procurano un piacere che neanche il riso di questo mondo riesce a procurare. Se non ci credi, ascolta le parole di Luca: "Frustati, gli apostoli si ritirarono dal cospetto del sinedrio pieni di gioia". Eppure, non è questa la natura della frusta: di solito, essa non procura né piacere né gioia, ma dolore e sofferenza. Ma se la natura della frusta non riesce a procurare gioia, la fede in Cristo è invece così forte, che domina la natura delle cose. Se è vero che le fruste producono piacere a causa di Cristo, perché ti meravigli, quando le lacrime producono lo stesso effetto, sempre a causa di Cristo? Per questo Egli chiama "giogo soave e carico leggero" quella che prima aveva chiamato "strada stretta e piena di tormenti". Per sua natura, la cosa è dolorosa ma diventa leggera grazie alla scelta compiuta da chi realizza la virtù ed alla buona speranza. Per questo è possibile vedere che chi ha scelto la strada stretta e piena di tormenti in luogo di quella larga e pianeggiante vi cammina con maggiore impegno, non perché non venga tormentato, ma perché è superiore ai tormenti e non ne risente, com'è invece naturale che risentano gli altri. Anche la vita verginale ha i suoi tormenti; ma quando li paragoniamo a quelli del matrimonio, non possiamo più dare loro questo appellativo.

LXV. Tutte le fatiche richieste dalla verginità non equivalgono ai soli dolori del parto, conseguenza del matrimonio

Dimmi: la vergine, in tutta la sua vita, sopporta forse quello che si può dire ogni anno deve sopportare la donna sposata, vittima dei dolori e dei gemiti causati dal parto? Così forte è la tirannia di questo dolore, che anche la Scrittura divina, quando vuole alludere alla prigionia, alla fame, alla pestilenza ed ai mali più insopportabili, chiama tutto questo "dolori del parto". Anche Dio li ha imposti alla donna come un castigo ed una maledizione: non parlo della generazione pura e semplice, ma della generazione in queste condizioni, di quella cioè accompagnata da fatiche e da dolori. "Nei dolori - è detto infatti - genererai i tuoi figli". La vergine, invece, si trova al di sopra di questi dolori e di questa maledizione. Chi ha abolito la maledizione della legge, assieme ad essa ha abolito anche quest'altra maledizione.

LXVI. E' più piacevole camminare che lasciarsi portare in giro dai muli

1. "Ma è piacevole farsi portare in giro dai muli per la piazza". Si tratta soltanto di un lusso inutile, privo di qualsiasi piacere. Come la tenebra non è migliore della luce, come l'essere rinchiusi non è preferibile all'essere liberi, come l'aver bisogno di molte cose non si può anteporre al non aver bisogno di niente, così non si trova meglio neanche colei che non usa i propri piedi. Tralascio tutti i fastidi che quest'abitudine costringe a sopportare. Questa donna non può uscire da casa quando vuole, ma spesso è costretta a rimanervi, anche se una ragione seria la spinge ad andar fuori: si trova nello stesso stato dei mendicanti che, avendo i piedi mutilati, non hanno modo di spostarsi. Se per caso il marito tiene impegnati i muli, ecco affacciarsi i meschini egoismi, le liti, i lunghi silenzi; se invece è lei ad agire così senza pensare alle conseguenze, finisce con il rivolgere la propria rabbia contro se stessa per aver trascurato il marito, e con l'essere continuamente rosa dal rimorso prodotto dalla sua insolenza. Come sarebbe stato meglio per lei se avesse usato i piedi - per questo Dio ce li ha fatti - evitando tutti questi fastidi, piuttosto che esporsi agl'inevitabili effetti di così forti crucci ed egoismi per amore della comodità! Non sono però solo questi i motivi che la trattengono in casa: accade la stessa cosa se i muli hanno male ai piedi - si tratti di uno solo di essi o di tutti e due. Anche quando vengono condotti al pascolo - e questo capita ogni anno e per più giorni - è costretta a rimanere a casa come una prigioniera: non può uscire neanche se la chiama fuori un bisogno impellente.

2. Chi poi dicesse che in tal modo essa evita gl'incontri con la folla e non è costretta a subire gli sguardi di ogni suo conoscente e ad arrossire, mostra d'ignorare totalmente ciò che difende la natura femminile e ciò che invece la ricopre di vergogna. A queste due cose sono estranee sia il mostrarsi che il nascondersi, giacché il secondo effetto è prodotto dalla sfacciataggine interiore che non è in grado di tenere a freno l'anima, mentre il primo è prodotto dalla saggezza e dal pudore. Per questo molte donne che pure non conoscono la prigionia di cui si è parlato e che camminano in piazza in mezzo alla folla non solo non si attirano il biasimo dei detrattori, ma grazie alla loro saggezza finiscono con l'avere molti ammiratori: attraverso il loro aspetto, il loro incedere, le loro vesti poco ricercate, fanno trapelare il raggio risplendente della loro compostezza interiore. Al contrario, non poche di quelle che se ne stanno sedute in casa si fanno una cattiva fama. La donna che rimane chiusa, più di quella che appare in pubblico, può infatti mostrarsi a chi vuole vederla in tutta la sua sfacciataggine e sfrontatezza.



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Consiglia  Messaggio 13 di 15 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 01/06/2004 17.14
Da: <NOBR>Soprannome MSN°Gino¹</NOBR>Inviato: 25/01/2004 9.30

LXVII. E' fastidioso avere molte serve

"Ma forse il gran numero di ancelle fa piacere". Questo è il piacere peggiore, giacché comporta un numero di preoccupazioni uguale a quello delle serve: quando una di loro si ammala e muore, l'agitazione e lo scoraggiamento sono inevitabili. Ma forse sono sopportabili questi inconvenienti ed altri ancora, come ad esempio il darsi ogni giorno da fare per reprimere la pigrizia, eliminare le frodi, far cessare ogni forma d'inciviltà, correggere tutti gli altri vizi. Ma la cosa più brutta - suole capitare specialmente nel caso in cui le serve sono molte - si verifica quando nella loro schiera se ne trova una bella. E' inevitabile che questo si verifichi quando se ne ha un gran numero, giacché i ricchi vogliono che le ancelle di loro proprietà siano non solo numerose, ma anche belle. Quando una di loro risplende tra le altre, sia che catturi il padrone con un incantesimo, sia che non riesca a produrre nulla in più di un’ammirazione nei propri riguardi, la padrona si addolora ugualmente, vedendosi superata, se non sul piano dell'amore, per lo meno su quello della bellezza fisica e dell'ammirazione. Quando le cose che nel matrimonio sembrano splendide ed invidiabili comportano tanti tormenti, che cosa si può dire a proposito di quelle dolorose?

LXVIII. Della tranquillità offerta dalla verginità

1. La vergine, al contrario, non sopporta nulla di tutto ciò. La sua modesta casa non conosce agitazione, ogni grido è bandito da essa: come in un porto calmo il silenzio domina su tutto ciò che vi si trova dentro. Un'altra tranquillità, superiore allo stesso silenzio, permea poi la sua anima, giacché essa non ha a che fare con nessuna cosa umana, ma discorre continuamente con Dio e tiene sempre fisso il suo sguardo su di Lui. Chi potrebbe misurare questo piacere? Quale discorso sarebbe mai in grado di esprimere la gioia dell'anima che si trova in questo stato? Nessuno. Coloro che gioiscono del Signore sono i soli a conoscere la grandezza di tale gioia e a rendersi conto di come essa superi di gran lunga ogni possibile raffronto.

2. "Ma la vista di una gran quantità d'argento procura sempre un gran piacere agli occhi". Quant'è meglio invece guardare il cielo e raccogliere da esso un piacere molto più grande! Come l'oro è molto più risplendente e luccicante dello stagno e del piombo, così lo è il cielo rispetto all'oro, all'argento e ad ogni altra materia. E mentre la contemplazione del cielo non causa preoccupazioni, l'altra contemplazione è legata a molte ansie, che guastano sempre i nostri desideri. Non vuoi guardare il cielo? Almeno, potresti guardare l'argento esposto in piazza. Come dice il beato Paolo, "vi parlo per farvi vergognare", giacché vi mostrate così sensibili all'amore per le ricchezze. Non so che cosa dire. A tal proposito, mi prende un grande imbarazzo: non riesco a capire come mai quasi tutto il genere umano non consideri fonte di piacere la possibilità di un godimento facile e rilassato, e provi al contrario piacere soprattutto nelle preoccupazioni, nelle tensioni e nelle inquietudini.

3. Come mai l'argento esposto in piazza non li rallegra come quello che si trova in casa? Eppure il primo è più risplendente e lascia l'anima libera da ogni inquietudine. "Perché - si risponde - il primo non è mio, mentre il secondo lo è". Ciò che produce il piacere è dunque la cupidigia, non la natura dell'argento: se così fosse, anche l'argento esposto in piazza dovrebbe procurare un piacere simile. Se poi tu volessi richiamarti all'uso, allora ti farei notare che il vetro è molto migliore: potrebbero dirtelo gli stessi ricchi, che fanno fabbricare per lo più i loro bicchieri con quest'altro materiale. Se poi il loro orgoglio li costringe a far fare anche dei bicchieri d'argento, fanno prima mettere dentro il vetro, e poi fanno rivestire d'argento la parte esterna, mostrando in tal modo che, quando si beve, il vetro è più gradevole e più adatto, mentre l'argento serve solo all'orgoglio ed alla millanteria. E che cosa significa la frase "Mio e non mio"? Se l'esamino bene, vedo che si tratta solo di semplici parole.

4. Molti durante la loro vita non riescono ad impedire che l'argento sfugga loro di mano. Chi riesce a conservarlo fino alla fine, al momento della morte non ne è più padrone, lo voglia o no. Si può constatare che non solo nel caso dell'argento e dell'oro, ma anche nel caso dei bagni, dei giardini e di tutto ciò che riguarda la casa l'idea del "mio e non mio" non è che una semplice parola. Mentre tutti possono usare gli oggetti preziosi, i loro presenti proprietari hanno in più di chi non li possiede soltanto le preoccupazioni che essi producono. Gli uni si limitano a goderseli; gli altri, pur preoccupandosi tanto, raccolgono gli stessi frutti che i primi raccolgono senza darsi alcuna pena.

LXIX. Le mense sontuose sono fonti di molti disturbi

1. Chi poi ammira il gran lusso della tavola, di cui sono prova la moltitudine delle carni tagliate, i vini troppo dispendiosi, i manicaretti ricercati, le arti dei camerieri, dei pasticcieri e dei cuochi, e la folla dei parassiti e dei convitati, sappia che i ricchi, in tali circostanze, non stanno meglio dei loro cuochi. Come infatti questi ultimi hanno paura dei loro padroni, così essi hanno paura degl'invitati, nel timore che qualcuno di essi critichi le cose che sono state preparate per loro con tanta fatica e tante spese. In questo i padroni sono uguali ai servi; sotto un altro punto di vista, però, i servi si trovano avvantaggiati rispetto a loro: i padroni devono infatti temere non solo i critici, ma anche gl'invidiosi. Da tali banchetti nascono spesso delle invidie che cessano solo dopo aver fatto correre i pericoli più gravi. "Ma il potersi cibare spesso di molte cose è piacevole". Per carità!

2. Quale piacere possiamo mai provare, quando da questi lussi spuntano il mal di testa, le dilatazioni del ventre, le depressioni psichiche, i capogiri, le vertigini, gli annebbiamenti della vista ed altri disturbi ancora più strani? Sarebbe augurabile che i danni prodotti da queste sregolatezze si fermassero ai disturbi di un solo giorno. Invece, proprio da tali mense si originano per lo più le malattie più incurabili: la gotta, la tisi, l'epilessia, la paralisi, le convulsioni, assediano il corpo fino all'ultimo respiro. Potremmo indicare un piacere capace di controbilanciare questi mali? E quale regime austero non saremmo disposti a seguire, pur di liberarci da essi?

LXX. La semplicità è più utile e più piacevole del lusso

1. La semplicità, invece, è ben diversa: estranea a tutti questi inconvenienti, produce solo salute e benessere. Che essa è preferibile al lusso, lo puoi constatare tu stesso: innanzitutto, resti sano e non sei disturbato da quelle malattie, ciascuna delle quali basta da sola a spegnere e a distruggere le fondamenta di ogni piacere; in secondo luogo, puoi gustare meglio gli stessi cibi. Come mai? Perché il piacere è prodotto dal desiderio, e a sua volta il desiderio è prodotto non dalla sazietà e dalla pienezza, ma dal bisogno e dall'indigenza. Queste due cose non si trovano mai nei banchetti dei ricchi, mentre compaiono sempre nei pasti dei poveri: meglio di qualsiasi cameriere e cuoco, fanno gocciolare in abbondanza il miele sui cibi messi sulla tavola. I ricchi mangiano senza aver fame, bevono senza aver sete, e si mettono a dormire prima che sopravvenga un forte bisogno di sonno. I poveri, invece, prima devono aver bisogno di tutte le varie cose, e solo successivamente le possono gustare: è proprio questo, più di ogni altra cosa, ad accrescere il piacere.

2. Perché mai, dimmi, Salomone chiama dolce il sonno del servo, dicendo: "Dolce è il sonno per il servo, sia che mangi molto sia che mangi poco"? Forse perché il suo letto è molle? Ma per lo più dormono su di un pavimento o su di un pagliericcio. Forse per la libertà di cui godono? Ma non possono disporre neanche di un istante. Forse per la loro vita facile? Non c'è un momento in cui non siano battuti dalle pene e dalle miserie. Che cosa rende allora dolce il loro sonno? Le fatiche, ed il poter prendere sonno solo dopo averne sentito il bisogno. I ricchi invece, se la notte non li sorprende immersi nell'ubriachezza, sono condannati a rimanere sempre svegli, e a rivoltarsi e ad agitarsi sui loro molli letti.

LXXI. I1 lusso guasta anche l'anima

Si potrebbe fare anche un'altra descrizione dei fastidi, dei danni e dell'indecenza del lusso, enumerando le malattie che imprime sull'anima, di gran lunga più numerose e pericolose di quelle corporee. Esso, in effetti, rende molli, deboli, insolenti, millantatori, lascivi, violenti, intemperanti, irascibili, crudeli, ignobili, cupidi, servili, inetti in quasi tutte le cose utili e necessarie; tutti gli effetti opposti sono invece prodotti dalla frugalità. Ma ora dobbiamo passare ad un altro argomento: fatta questa semplice aggiunta, ritorniamo alle parole dell'apostolo. Se le cose che sembrano invidiabili sono così piene di mali e fanno cadere sull'anima e sul corpo una così fitta pioggia di malattie, come possiamo parlare delle cose dolorose? Mi riferisco alla paura dei magistrati, ai movimenti popolari, alle insidie dei delatori e degl'invidiosi, mali tutti che assediano soprattutto i ricchi e che anche le donne sono destinate a sperimentare in maggior misura, data la loro incapacità di sopportare virilmente le relative vicissitudini.