00 13/04/2010 18:05

Un articolo sulla messa coram Deo su una rivista paolina

(interessante riflessione riportata da Messainlatino che condividiamo in totos)


Un nostro caro amico, e fedele lettore, Raffaele, ci segnala questo articolo, pubblicato su VITA PASTORALE del mese di aprile 2010, che trascriviamo più sotto.
Non ci piace per niente!

O meglio: ci piace moltissimo la lodevole proposta del sacerdote don Romano Nicolini, di Rimini, e ci rallegriamo per la sua "ri-visitazione del proprio ministero sacerdotale" a seguito dell'esperienza della messa celebrata coram Deo.
Quanto riportato dal buon don Romano, conferma che l'esperienza della buona liturgia, seria, composta, corretta, e vissuta con fede, può far meglio di mille parole e mille studi.
Essa infatti aiuta il Sacerdote e i fedeli a comprendere ciò che il Sacerdote stesso celebra, e chi il Sacerdote rappresenta.

Ci auguriamo che questo sacerdote, e con lui tanti altri, prenda coraggio a due mani e anch'egli dia inzio alla celebrazione fissa di una messa "guardando in faccia il Signore".

Gli ricordiamo che per fare questo, non deve chiedere il permesso a nessuno, nè al Vescovo tanto meno alla Redazione di nessuna rivista. Ai tempi della riforma, i preti non si fecero tanti scrupoli a girare gli altari e voltarli verso i fedeli, dando le spalle ai crocefissi, o peggio, al Santissimo nel tabernacolo.
Non se li faccia lui a ri-girarli verso Dio! Lo fa il Papa (come egli stesso implicitamente afferma) affinchè altri sacerdoti lo imitino!!
CORAGGIO DON ROMANO, imiti il Papa! Non renda vani gli sforsi di Benedetto XVI!
Lei ha promesso fedeltà al Romano Ponteficie, non alla Redazione di un mensile!
.
Non ci piace, invece, la risposta - che tanto ci dà da soffrire - di don Silvano Sirboni.
Non ci piace per niente.

Essa potrebbe rappresentare un fulgido esempio di disonestà intellettuale di una certa classe di sacerdoti, che sfoggiando citazioni, riempendo righe di frasi trite e ritrite (e di parte), non sanno però leggere nel cuore, nè tra le righe, di chi scrive loro per confindare belle e toccanti esperienze personali. Classe di sacerdoti che pur di difendere e diffondere le proprie convinzioni ideologiche, schiacciano e ignorano le attitudini e i convincimenti (spesso migliori) di chi la pensa diversamente.
.
Ci dispiace leggere, infatti, come l'avversione di fondo, il pregiudizio, lo spirito critico verso un'altra forma di celebrazione (che non sia quella della sopravvalutata riforma liturigica), siano, in certi ambienti e in certi preti, così radicati e accaniti non solo da incutere timore preventivo (l'ottimo don Romano deve mettere le mani avanti, per evitare una lapidazione verbale "preventiva") ma da rendere tanto ciechi e sordi anche di fronte all'evidenza!
Queste persone, accecate da suberbo pregiudizio e arrogante ideologismo, non riescono e non vogliono riconoscere (nè ammettere) toccanti ed espliciti apprezzamenti della bontà teologica della celebrazione rivolta al Signore (e non all'assemblea, a prescindere dalla compostezza o meno dei fedeli!!).
.
Don Silvano Sirboni non ha voluto capire il grande miracolo che gli era stato raccontanto.
Un sacerdote, mediante l'invio di una lettera, gli confidava che celebrando verso il crocefisso, aveva compreso meglio il proprio ministero sacerdotale! Aveva riscoperto la propria funzione conferitagli con l'ordinazione presbiteriale! Quale migliore gioia per un sacerdote!! Soprattutto nell'anno di santificazione dei sacerdoti!
E invece, don Sirobni, niente. Non una parola di compiacimento. Non un cenno sulla possibilità che la celebrazione verso Dio possa essere, per certi aspetti, migliore dell'altra, verso il popolo. No. Nulla.
Don Sirboni passa quel grande miracolo vissuto da don Romano sotto silenzio, ma, puntuale, non manca di rimarcare i soliti pretesi pregi della riforma: l'aspetto conviviale della Messa, il sacerdozio dei fedeli, l'opportunità della traduzione delle orazioni, ecc. ecc. ecc. ecc. (uff, che noiachebarba, chebarbachenoia! Sempre le solite cose! Quello ormani lo sanno anche i sassi!!).

Perchè non cita anche, per par condicio, autori che illustrano le motivazioni e i pregi della celebrazione verso Dio?

Ci sia consentito dire che don Silvano, nella sua risposta, sia uscito un po' fuori tema per eludere la questione posta da don Romano. E , assai più grave, che si sia permesso di "criticare" la prassi del Papa.
Invece metter da parte i soliti discorsi in difesa della "riforma", invece di seguire la scia del Pontefice di interrogarsi sul perchè dell'abitudin del Papa di celebrare il Divino Sacrificio in fronte a Gesù Crocefisso (su qualsiasi tipo di altare), invece di indagare sulle cause della riscoperta vissuta da don Romano, don Sirboni, con la sua "fumosa" risposta, sembra voler negare il tutto, tacendolo, e indurre la tendenza contraria, cercando di rimarcare i vantaggi (nuovi, perchè scoperti da pochi decenni) della celebrazione coram populo, a discapito del miglior uso millenario della celebrazione ad Deum.

Ma si sa, criticare il Papa, più o meno velatamente, è considerato oggi un peccato veniale. Un illecito "condonato".
Consigliamo a tal proposito a don Sirboni un'ottima lettura: Rivolti a Dio di U.M. Lang (con prefazione di J. Ratzinger). Così può apprendere qualcosina sulla bontà del giusto orientamento della preghiera e della celebrazione eucaristica.

.
Un ultima annotazione: don Sirboni ha fatto un passo falso. Ha espressamente detto che nel Messale di S. Pio V l'oggetto in questione non è il latino (ovvio!) ma l'immagine di Chiesa che quell'ordo esprime ed alimenta. Che dire? O non ha capito nulla della Messa tradizionale, e in tal caso si documenti, o ha capito tutto ed è chiara quindi il perchè della sua avversione a quel rito tanto venerabile, santo e santificante. E al Papa. In tal caso provi a "convertirsi" dopo un esame di coscienza.
..
Per concludere: chiediamo alla Redazione di Vita Pastorale qualche delucidazione in proposito, o meglio, una rettifica della risposta, di don Sirboni, vista la diffusione del del prestigioso mensile.
.
Ecco il testo dell'articolo, il sottolineato è nostro.
Più sotto, la foto dell'articolo del mensile paolino.

*********************************
.
"E se tornassimo a celebrare la messa (in italiano) con la faccia rivolta al Crocifisso e non alla gente? Cosa dite? Prima di lapidarmi attendete un poco. Tempo fa ho sostituito il sacerdote (assente per motivi di salute) che celebra la santa messa in latino a una comunità di Rimini. La celebrazione è perfettamente in regola con le direttive della diocesi, è approvata e riconosciuta. Vi assicuro, celebrare la santa messa guardando in faccia il Signore e non il bambino che strilla, la signora che arriva in ritardo, il sacrestano che… è stato per me una ri-visitazione del mio principale ministero.

Non neghiamocelo: quando celebriamo con la faccia rivolta ai fedeli diamo certamente la sensazione della comunità che si raccoglie attorno alla mensa, ma è anche vero che attorno alla mensa non sempre la principale attenzione è per il Signore che viene tra noi. Non è poi detto che la nostra faccia (esclusi i presenti) sia più bella di quella di Cristo. Se, durante la celebrazione eucaristica, si fa in modo che tutti, compreso il celebrante, guardino più intensamente a Dio, forse aumenterà il senso di percezione della sacralità dell’evento e anche – speriamo – dell’importanza di aderire a un Mistero che ci trascende. Credo che ci sia qualcuno a Roma che la pensa così.

Quando celebrare in tal modo? Basterebbe una domenica al mese, avvisando prima e facendo in modo che la cosa sia adeguatamente preparata, dopo gli opportuni permessi. Vos videatis.
don Romano Nicolini – Rimini

Risponde don Silvano Sirboni.

Tenendo conto delle attuali diatribe, la risposta esigerebbe quasi un trattato di teologia sacramentaria e di storia della liturgia. Considerati gli spazi di questa rubrica, è gioco forza limitarsi a due considerazioni.

1. La messa riformata dal Vaticano II, con la stessa autorità del Concilio tridentino, è in latino. Le diverse Conferenze episcopali, per promuovere quella “piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano… ha diritto e dovere in forza del battesimo” (SC 14) hanno la facoltà di tradurre l’edizione tipica latina nelle lingue comprese dai diversi popoli (cf SC 36 e 54). La liturgia cristiana non è un insieme di misteriose formule magiche ma il dialogo fra lo Sposo e la Sposa (cf SC 7, 84-85, 102).
Assai diverso è il discorso sull’uso della messa secondo il messale di S. Pio V, dove l’oggetto in questione non è il latino (sovente usato nelle messe internazionali con il Messale di Paolo VI), ma l’immagine di Chiesa che quell’ordo esprime e alimenta. La sua liceità, a precise condizioni, per andare incontro a particolari esigenze, non ne annulla la “straordinarietà” e non esime affatto da un esame storico, teologico e pastorale sull’opportunità o meno del suo uso (cf motu proprio Summorum Pontificum, 7 luglio 2007).

2. La liturgia non è un ordo confezionato e inviato dal cielo, ma il frutto storico per comunicare il mistero della salvezza secondo la dinamica dell’incarnazione, cioè con segni visibili che, eccetto ciò che è di istituzione divina, sono legati ad una precisa epoca e contesto culturale (cf SC 21).
Se a un certo momento è attestata la prassi (ma non ovunque) che il sacerdote si rivolga a Oriente insieme all’assemblea soprattutto per le orazioni (cf A. Jungmann, Missarum sollemnia I, 212-213), è soprattutto con la prassi di collocare sull’altare l’urna con il corpo dei santi (X sec.) che il sacerdote è costretto a collocarsi dalla parte dell’altare che guarda il popolo voltandogli di conseguenza le spalle, non certo con l’intenzione di guardare “in faccia il Signore” (cf M. Righetti, Storia liturgica I, 502, 506-512; per una più ampia informazione sul dibattito cf AA.VV., Spazio liturgico e orientamento, Qiqaion 2007, 151-239).

La riforma scaturita dal Vaticano II, tra le altre cose, ha voluto recuperare la dimensione conviviale dell’eucaristia per rendere più visibile ciò che ha fatto Gesù (= un convito pasquale; cf OGMR 72) e rendere più chiara la finalità del sacrificio eucaristico che consiste nel “diventare tutti un solo corpo in Cristo” (Agostino, De civitate Dei, X, 6).
Inoltre la presidenza non è sostitutiva del sacerdozio dei fedeli (cf CCC 1140-1141). Il servizio ministeriale passa attraverso il servizio reso all’assemblea che, pertanto, non è, e non deve essere, un ostacolo alla devozione del presidente. Se lo è, perché distraente e rumorosa, l’anomalia è nell’assemblea, non nella posizione del presidente."
.
.
Fonte:
Vita pastorale (Aprile 2010).


ATTENZIONE....SEGUE...........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)