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...e si è fatto uomo...”

 

 

 

Ecco la novità che il cristianesimo annuncia al mondo: Dio si è fatto uomo. Si è fatto carne, si è fatto storia, si è fatto esperienza visibile per noi, tanto che gli apostoli possono dire: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato...”. E’ un avvenimento, un incontro. L’umanità passa dal “Dio su noi” al “Dio con noi” (l’Emmanuele). E’ un evento unico e del tutto singolare. E “non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo”, dice il Catechismo, ma che “Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo” (CCC 464). La Chiesa ha sempre difeso strenuamente, nel corso dei secoli, questa verità di fede che emerge dal Vangelo. Il dogma della duplice natura di Cristo è a fondamento della fede cristiana, e non solo cattolica. Cristo possiede sia la natura umana sia la natura divina. E attenzione: non solo le possedeva, ma le possiede tuttora. E’ anche adesso vero Dio e vero uomo. In una sola Persona. Tutto ciò che la natura umana di Cristo compiva, era compiuto anche dalla natura divina. “Tutto, quindi, nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla persona divina come al suo soggetto proprio” (Concilio di Efeso, DS 255). Non vi è stata unione o confusione di nature, ma le nature, umana e divina, sussistono entrambe in una sola persona. Gli antichi concili sono molto chiari su questo: “Si indica la diversità delle nature, nella quale si è realizzata l’ineffabile unità senza confusioni, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del verbo” (II°Concilio di Costantinopoli, c.VII). E aggiunge: “Due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l’altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai cieli, s’è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa” (ibid, c.II). Due nascite e due nature quindi, ma in una sola Persona, quella del Cristo. E la natura divina di Gesù non impediva alla sua natura umana né di soffrire né di morire. Anzi, pur essendo vero che Dio è sempre nella gloria e quindi nella beatitudine, sia la morte in Croce sia le sofferenze appartengono alla seconda Persona della Trinità che ne rimane pienamente il soggetto (ibid, c.III; CCC 468). Il Verbo di Dio che opera miracoli è lo stesso Cristo che ha sofferto. Né la natura divina impediva l’esistenza, in Cristo, di un’anima umana. La caratteristica della natura umana è, infatti, quella di possedere sia il corpo sia l’anima; e dunque Gesù, veramente uomo, possedeva un’anima umana, così come possedeva una volontà ed un’intelligenza umana (CCC 470). Il Concilio di Calcedonia (anno 451) afferma: “Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo con anima razionale e corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, ‹‹simile in tutto a noi fuorché nel peccato›› (Eb 4,15)” (Concilio di Calcedonia, DS 301). La differenza delle due nature non è per nulla negata dalla loro unione, né avviene alcun mutamento in ciascuna delle due nature: “Rimase quel che era e quel che non era assunse” canta la Liturgia Romana. Occorre inoltre respingere l’affermazione che Gesù sia “diventato” il Cristo: “Il Figlio Unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è ‹‹Cristo››, cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall’inizio della sua esistenza umana” (CCC 486); pertanto tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre, e la sua umanità “appare come ‹‹il sacramento›, cioè il segno e lo strumento della sua divinità” (CCC 515-516). Né sarebbe corretto dire che il Verbo abbia trascorso “un lunghissimo periodo di tempo senza la natura umana”, perché il Verbo è, appunto come dissero i Padri, fuori dal tempo. Le due nascite sono in qualche modo “contemporanee”, nella stessa misura in cui Dio è “contemporaneo” a tutte le epoche della nostra storia, così come il centro immobile di una ruota è alla stessa distanza da tutti i suoi punti. E’ proprio per questa sua divina partecipazione al mistero del tempo che Cristo è Ricapitolazione di tutte le cose: ha ricapitolato in se stesso tutta la storia umana, ed ha ristabilito l’uomo decaduto; ha vissuto la sua vita non per sé ma per noi. Si è fatto nostro modello, permettendo che tutto ciò che Egli ha vissuto, noi potessimo viverlo in lui. Di più: fa sì che Egli lo viva in noi. In tal modo ci rende compartecipi della sua divina natura: “L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei” (San Tommaso d’Aquino).