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“…Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli…

 

 

 

 

 

 

Dio è amore. Ma l’amore richiede un “tu” a cui donarsi, perché l’amore è relazione con un “tu”.

Allora Dio, Dio Padre, genera un “tu”, e questo “tu” è il Figlio. Ma non lo genera nel tempo, perché Dio è al di fuori del tempo. Non vi è un “periodo” nel quale Dio Padre era senza il Figlio. Il Padre genera il Figlio nell’eternità. Da sempre il Figlio è generato dal Padre. E il Padre lo ama. Padre perché questo “tu” lo ha generato lui. Amandolo gli dona se stesso. In che misura si dona al Figlio? In misura totale, perché Dio è amore perfetto, e dunque si dona totalmente al Figlio. Gli dona tutto il suo essere. Per cui “il Figlio è tutto ciò che è il Padre” (cfr CCC 253). Ma se il Figlio è tutto ciò che è il Padre, anch’egli ama come il Padre, ed ama il Padre, suo “tu”, in modo totale. Quindi anch’egli dona tutto se stesso al Padre. Il Figlio è l’Unigenito del Padre, ha in comune col Padre l’Essere, ma non la Persona, l’io divino. Ha in comune col Padre tutto il contenuto di quest’io, cioè l’essere, perché se lo sono reciprocamente donato, e quindi Lui ed il Padre sono “una cosa sola” (Gv 10,30), ma è persona divina distinta dal Padre, il Figlio non è il Padre, ed il Padre non è il Figlio (cfr CCC 254). Sono distinti tra loro per le loro relazioni d’origine: “E’ il Padre che genera, il Figlio che è generato” (Conc. Lat. IV, Denz 804).

Come l’umanità è venuta a conoscere questo mistero? Tramite la Rivelazione. E’ Dio che l’ha rivelato. Il Vangelo è il deposito di questa rivelazione. La prima volta che nel Vangelo Gesù è annunciato come Figlio di Dio è ancor prima del suo concepimento: è durante l’Annunciazione; è l’arcangelo Gabriele che annunzia la lieta notizia che Gesù sarà “chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).

In occasione del battesimo di Gesù, il Padre confermerà pubblicamente a tutti quanto annunciato nel segreto del cuore di Maria: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3,22). E questa verità, già anticamente ispirata ad Isaia (Is 42,1ss) la rivelerà in modo particolare a Pietro, sospingendolo a dire: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Quello stesso Pietro che sul monte Tabor fu folgorato dalla trasfigurazione del Cristo, ed avvolto dalla nuvola di luce sentì ancora dal Padre quello che aveva professato, e che già al Giordano era stato udito: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5).

Gesù nei suoi insegnamenti aveva spesso accennato alla sua particolare filiazione divina (Mt 11,27; 21,37, …), ma è all’inizio della passione che affronta direttamente, una volta per tutte, la questione: “Tu dunque sei il Figlio di Dio? Ed egli rispose loro: lo dite voi stessi, io lo sono” (Lc 22,70). E’ un’affermazione inequivocabile, che chiude definitivamente la bocca a tutti quanti ritengono che Gesù non sia o non possa essere chiamato Figlio di Dio. Se gli anziani d’Israele, ben esperti nella legge, avessero inteso l’espressione “figlio di Dio” con la comune figliolanza di cui tutte le creature godono nei riguardi del loro Creatore, non avrebbero nemmeno posto quella domanda. E’ evidente che in essa s’intende IL Figlio, l’Unigenito che nel rivolgersi al Padre non ha mai usato l’espressione “padre nostro”, pur avendola insegnata; bensì “padre mio”, e questa distinzione l’ha sottolineata anche da risorto: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17). Il Simbolo del Credo non poteva che ereditare queste verità, perché, come dice Giovanni, occorre credere “nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio” per salvarsi (Gv 3,18). Dio ci voleva salvi: “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito” (Gv 3,16). E grazie al nostro antico Credo possiamo come gli apostoli proclamare: “Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).