00 31/08/2009 13:27
La Chiesa è depositaria del messaggio salvifico, e sola è voluta da Cristo stesso per dispensarlo agli uomini. In ciò si comprende il significato dell’articolo di fede “Nulla salus extra ecclesia”.
 
L’uomo trova il suo fine solo in Dio, e grazie alla Rivelazione, comprende il proprio mistero (e dunque si da un senso) solo nel mistero di Dio che si rivela (Gaudium et Spes, n°22). Negare tale articolo, significa sostenere che l’uomo possa avere un fine diverso da quello rivelato, e ciò è impossibile, poiché Dio non inganna né si contraddice.

Sebbene comunque la conoscenza salvifica sia unica, ed operata da Dio mediante il Cristo, sebbene essa sia il fine dell’uomo, e solo la chiesa ne sia depositaria, avendo essa soltanto la pienezza della rivelazione, è possibile che alcuni uomini, non per loro colpa, di fatto seguano materialmente il piano divino, essendo però inconsapevoli della sua reale portata. Questi uomini perseguono nei fatti il disegno divino, osservando la legge naturale, per quello che, incolpevolmente, è in loro potere, e dunque, sebbene in modo improprio ed inconsapevole, attuano e mettono in pratica la redenzione di Cristo.

 
Non può dunque il Dio giusto, non tenere conto di questo, e non dispensare ai meritevoli, la salvezza. Lo stesso insegna il Concilio Vaticano II, in Lumen Gentium n°8, la Chiesa di Cristo (corpo mistico, formato da Cristo e da tutti i beati, oltre che da chi, con la grazia santificante e in comunione con Cristo sulla terra) sussiste nella Chiesa Cattolica, ha cioè una consistenza più ampia, della sola Chiesa Cattolica. La differenza è costituita proprio dalle anime di chi è riuscito a salvarsi “ex opere operato”, si potrebbe dire, grazie ai propri meriti, alla buona fede, e alla mancanza di colpa. Si comprende che sia la nozione di buona fede, che quella di colpa, sottendono al principio che tale via per la salvezza è comunque residuale ed irregolare, oltre che imperfetta, poiché la vera salvezza è solo in Cristo e nella Chiesa.

 
Infatti anche coloro che si salvano fuori dalla Chiesa cattolica, e sono dunque nella Chiesa di Cristo, possono ben dirsi cristiani: lo sono certamente nella beatitudine, dove non potrebbe essere diversamente, lo furono “in voto”, durante la loro vita, tant’è che si potrebbe dire che il loro ingresso nella cristianità, è avvenuto con un battesimo di desiderio. Ciò dimostra come Lumen Gentium n°8 sia assolutamente concorde con l’articolo “Nulla salus extra ecclesia”, riuscendo a determinarne la portata pratica concreta.

 
Ne consegue il fatto che è assolutamente falsa ed erronea l’accusa tradizionalista al “subsistit in”, come foriero di indifferentismo religioso, allo stesso modo in cui è falso e pericoloso l’esclusivismo cattolico sulla salvezza, propugnato dai tradizionalisti, per i sui risvolti gnostici, cui accennavo all’inizio di questo discorso. La avversione alla gerarchia, al papato, alla autorità, ecc. confermano che la pianta non è certo piantata da Gesù, piuttosto dal Baphometto.

 
Si pensi anche solo al concetto di episcopato: per loro il vescovo è la negazione del dogma cattolico, il successore degli apostoli che pasce ovvero insegna-governa-santifica (tria munera ecclesiae). Il concilio lo afferma in modo netto in Lumen Gentium e soprattutto con la dottrina della collegialità. Il collegio è l'insieme dei vescovi che sono nello stato di sottomissione ed obbedienza, e comunione gerarchica col papa (quando dicono che la Chiesa non ha mai affermato tale dottrina, mi chiedo davvero se si riferiscano a Roma o a Mosca; certo, se loro devono fare la figura di quelli che “fanno ciò che fa la Chiesa”, quando insegnano e quando ordinano, è più semplice falsificare l’insegnamento di quest’ultima e fare bella figura, piuttosto che dire “è sbagliato, ma ci va di farlo”).

La consacrazione è l'introduzione nel collegio, ovvero la sottomissione gerarchica, che si compie nel rito stesso. La consacrazione, al pari della riconciliazione ha due aspetti, sessio e missio, ordine e giurisdizione, ma sebbene distinti, essi si compenetrano a tal punto che risulta impossibile avere uno senza avere l'altro, poichè uno è ordinato all’altro, in modo che si rendono vicendevolmente indispensabili. Uno è creato vescovo per il collegio, come il collegio, cioè la giurisdizione, che viene dalla sottomissione al papa (ovvero l'autorità da Dio mediata dal papa, con la sottomissione) esiste per chi è vescovo salvo casi particolari, quali abati nullius, protonotari, legati pontifici, ma si capisce che sono una eccezione di miserrime proporzioni, che comunque a poco c’entra con tale discorso: il fatto non è che uno non vescovo possa esercitare una giurisdizione, o che esista una giurisdizione fuori dal collegio episcopale, ma che non esistono vescovi senza giurisdizione.

 
 A tal proposito ricordo che non esercitare giurisdizione, non significa non averla: sono membri del collegio anche i vescovi in partibus, sebbene non abbiano diocesi, poiché la loro missione di pascere il gregge di Cristo, si esercita semplicemente in modi diversi da quelli dell’ordinario, quali ad esempio la direzione di uffici di Curia, di Congregazioni, di organi, ecc. Mentre esercitare una giurisdizione, senza essere vescovo, è una deroga al principio generale, che Cristo ha affidato agli apostoli il compito di pascere il gregge.

 
La figura dell’abate, come del legato pontificio, sono innovazioni rispetto all’uso antico della Chiesa, permessi che la Chiesa ha affidato, in nome e per conto di essa, di pascere in modo limitato, una porzione di gregge. Dico limitato, poiché ad esempio, nel compito di santificare, esiste anche l’amministrazione dei sacramenti, tra cui Ordine Sacro e Confermazione, che un abate, o un prelato nullius, evidentemente non può dare, e dunque non può sostituirsi ad un vescovo nel pascolo del popolo di Dio.

 
Ma considerando anche i casi in cui non vescovi sono ordinari, si capisce perché ciò sia permesso: un abate è ordinario della propria abbazia (qualora grande, per ragioni logistiche, anche dei limitrofi), non ha bisogno di espletare tutte le possibilità della missione, ma solo quelle legate ai bisogni reali dei suoi monaci.


Tornando a trattare della consacrazione, dopo questo piccolo excursus, dico che lo stesso rito, prevede come parte integrante, la lettura del mandato. Falsa è la tesi di Ricossa, secondo cui il concilio attribuirebbe alla consacrazione, come sacramento, il potere di giurisdizione, in alternativa alla posizione classica che la vorrebbe mediata dal pontefice.

 
 La giurisdizione si ottiene NELLA consacrazione, attraverso la sottomissine al pontefice, e cioè l’inserimento nel collegio, e non PER la consacrazione, come se automaticamente generasse nel consacrato la potestà, la sola imposizione delle mani del consacrante. Questa è la tesi dei gallicani e degli scismatici, in generale, non della Chiesa, come lui sa bene. Proprio perché sa bene che chi non crede alla legittimità di una consacrazione che con la lettura del mandato, interga l’eletto nel collegio, in modo dunque mediato, è scismatico, si è dovuto prendere la briga di dimostrare che si possa scindere sessio e missio, senza essere scismatici.

 
 E invero non è che ci sia riuscito molto. Sul tema della giurisdizione si dovette fare una eccezione per gli orientali, per giustificare la loro successione apostolica valida: per loro si parla infatti di una supplenza materiale della giurisdizione, per il fatto che amministrano una porzione di popolo e non hanno l'espresso divieto a farlo del pontefice, pur essendo in situazione di irregolarità, e un tempo anche di scomunica. Questa è l'opinione di padre Dragone s.s.p., come scriveva nel ‘37 sull'Enciclopedia Apologetica delle Paoline.

 
Il concetto tradizionalista dell'episcopato è invece sempre di usurpazione della giurisdizione, o esplicitamente, tipo lefebvriani o conclavisti, o negazionista, tipo Verrua, la quale si arroga una giurisdizione nell'atto stesso della consacrazione (che ricordo ha compenetrati sessio e missio, e ciò anche se Ricossa, con dovizia di particolari, fa vedere come una vada fin lì e l'altra vada fin là.

 
 Tuttavia se è vero che si possono vedere distinte, è falso che si possano scindere, così come non si può scindere l'anima dal corpo, e avere ancora un corpo vivo, o una anima in terra: a parte le forme pure, non si può separare la potenza dall’atto, senza distruggere l’ente stesso), che poi però rifiuta di usare, ma questa è una scelta posteriore.

 
Tutti però, indistintamente vedono il vescovo come un fuco, che pronuncia parole magiche su di un altro, e gli conferisce il suo potere magico di creare altri “eletti cohen” (sacerdoti), che abbiano a loro volta il potere magico di tramutare l’ ostia sacrificale in divinità, e di tramutare uomini normali in pontefici, ossia in interlocutori con l'occulto, col trascendente, o meglio, iniziati, nell'ambito di una concezione gnostica, ovvero uomini “completi”, che a differenza degli altri, hanno un carattere magico, poiché oltretutto a loro è preclusa qualunque forma di insegnamento, santificazione, governo, rimane il dato sacramentale dell’ordine, che svincolato dalle potestà sue proprie, date dalla giurisdizione, decade nel magico e questo, indipendentemente che sia avvertito o meno da tutti, od anche dai più.

 
Non dubito della buona fede dei più, senz’altro la quasi totalità, ma certo gli iniziatori del tradizionalismo avevano tale concezione, pertanto il prete tradizionalista è una sorta di massone, cioè iniziato ad una ars regia (3) , nel nostro caso la arte reale è quella della potestà su Dio, che altro non è che la cabala, la quale con l'uso del nome di Dio, del sacro tetragramma YHWH, vuole avere la potestà sul potere divino stesso. Così il tradizionalismo, che a differenza dei giudei, i quali conoscevano e “possedevano” Dio solo dal nome, anzi, dalla letteralità del nome (4) , non ha bisogno di scrivere il tetragramma sui propri turbanti o su magiche tavolette, ha potestà sul corpo di cristo attraverso la celebrazione eucaristica.

 
Esiste una dimostrazione pratica della natura maligna del tradizionalismo e della loro pratica sacramentale: è il fatto che tutto ciò che di sacro fanno è un sacrilegio, poiché loro stessi fanno sacramenti da scismatici, da eretici e in un qualche modo da apostati, poiché arrivano a negare lo stesso Dio, negando nella pratica la sua presenza salvifica nella Chiesa, che ammettono solo teoricamente con ragionamenti bislacchi. Se dunque dai frutti li riconosceremo.... li abbiamo riconosciuti.

 
 Ovviamente non c'è dolo in tutti, ripeto, come d'altronde nemmeno in tutti i massoni esiste la cognizione del proprio status di adoratori del diavolo, però. Ci sono anche massoni che credono di fare solo cose culturali e massoni cattolici, e anche ferventi devoti, meglio di tanti altri profani, eppure con ciò non voglio accusare tutti i singoli tradizionalisti, fedeli e preti, per molti nutro amicizia e stima (sempre meno a dire il vero), ma critico il tradizionalismo in sé, e coloro che scientemente vi soggiacciono, così come non voglio dire che il mio amico Giuseppe, massone, è un uomo cattivo, come si dedurrebbe dall’insegnamento che abbiamo ricevuto su cosa è tale setta, perché so invece essere un uomo buono, che dice addirittura il rosario la sera, quasi sempre, a differenza di tanti (anche mia), ma la massoneria è da condannare, senza se e senza ma.

 
Questo è fare come diceva Giovanni XXIII, distinguere l'errore dall'errante, condannare senza tregua l'errore, combatterlo con ogni mezzo, ma non dimenticare che chi sbaglia, indipendentemente dalla gravità, è sempre un uomo, creato ad immagine di Dio ed un fratello e dunque non può mancare la carità, e ciò è VANGELO, non buonismo, ed imitazione di Cristo. Oltretutto sbagliano ancora i tradizionalisti che affermano che Giovanni XXIII ha esautorato i cattolici dal redarguire chi sbaglia, semplicemente la carità impone anche la correzione fraterna evangelica, l'insegnamento, l'aiuto, la solidarietà cristiana, e pertanto occorre aiutare chi sbaglia a non sbagliare più, senza per fare ciò offendere e rovinare tutto, per manie di protagonismo superbo e saccente.



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Note:

(1) Paolo VI e Giovanni Paolo II parlano entrambi di concilio da interpretare alla luce della santa tradizione.

(2) Non dimentichiamo Paolo VI: se Giovanni Paolo II è stato a ragione definito figura di Cristo, per averne testimoniato la sofferenza, possiamo ben dire che Paolo VI è figura del Cristo deriso ed ingiustamente accusato e offeso.

(3) Si rifletta a tal proposito, sul disprezzo che il mondo tradizionalista nutre nei confronti del laicato, dei profani dunque, e sul travisamento di “carattere” sacramentale, per arrivare a Dire che il sacerdote, è in pratica un migliore uomo e cristiano del semplice laico, specialmente se non sposato, il quale così appare inutile ed inferiore, poiché oltretutto non procrea. Da queste considerazioni si può capire come il tradizionalismo abbia in odio l’Opus Dei in particolare, che a detta di un tradizionalista piuttosto noto, “osa santificare la società senza passare dalla missio”. Il che oltretutto è falso.

(4) Secondo una fredda ed erronea interpretazione: poiché Dio che rivela il suo nome, non è altro che Dio che affida all’uomo la sua parola, il Verbo, Cristo, ovvero se stesso. Questo non hanno capito, né tuttora capiscono gli ebrei.


Nota Explicativa Praevia



In questo mio scritto ho usato indifferentemente il termine "tradizionalismo", per alludere a variegate realtà, che spaziano dal lefebvrismo più estremista (non quello dialogante), al sedevacantismo, con tutte le sfumature intermedie che possono esistervi. Ho voluto parlare solo di quel tradizionalismo infedele a Roma e alla Chiesa Cattolica, che merita solo esecrazione ed indignazione. Certamente non volevo irritare i tanti cattolici tradizionalisti, che amano il Papa, il magistero della Chiesa ed il Concilio Vaticano II. La mia scelta ha voluto sottolineare invece una precisa osservazione di carattere semantico ed ermeneutico.

Ogni vero cattolico è tradizionalista. Un cattolico che non amasse la tradizione, sarebbe un eretico, e degno delle peggiori censure. La tradizione è infatti una fonte della Rivelazione, senza di essa non ci è possibile giungere a Dio per Gesù Cristo suo Figlio. Tale affermazione è talmente grave che se ne intuisce la portata: chi non venera la tradizione cattolica, non può salvarsi e non è nella Chiesa, poichè non potendo attingere alla Rivelazione, non può gingere a Dio, vero fine di ogni uomo.

Mi è sembrato pertanto un pleonasma irriguardoso nei confronti dei veri cattolici, che si sottolineasse il loro essere "tradizionalisti", come se si potesse essere diversamente (e va da se che coloro che si vantano di esserlo, disprezzando la tradizione, NON SONO NELLA CHIESA).

Invece ho associato tale termine, agli eretici e scismatici cultori di una mitica età dell'oro, che va perdendosi sempre di più.
Questa dottrina noi infatti bene la conosciamo già. E' la gnosi, o tradizionalismo. Vede come suoi esponenti di spicco il Guenon, l'Evola, ed altri personaggi parimenti poco raccomandabili, quanto invece rispettati e venerati da una certa parte religiosa (che chissà perchè, combacia anche con una certa parte politica). E' dunque un concetto deviato e depravato di tradizione che ottenebra la dottrina e le intenzioni di questi sventurati, e per questo ho voluto descriverli col termine che li identifica meglio.


Pertanto la mia descrizione, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta: ma se invece fossi riuscito ad annoiarvi o ad offendervi, credete che non s'è fatto apposta.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)