00 02/09/2009 10:46
Comunione al calice e abluzione


Si sarà notata la comunione sotto le due specie del diacono e del suddiacono alla messa papale. Costoro, seguendo l’antica disciplina, sono tenuti a partecipare alla consumazione del sacrificio, di cui sono stati ministri all’altare. Si comunicano col sangue attraverso la cannuccia. Il cerimoniale del Patrizi non prevede affatto che si possa dare il preziosissimo sangue ad altri, oltre che ai ministri sacri, neppure all’imperatore.
Si racconta dell’episodio di Federico III, giunto a Roma in pellegrinaggio nel 1468. L’imperatore canta le lezioni del matutino di Natale, e procede alla sinistra del Papa, Paolo II, ciononostante, durante la messa solenne del giorno, non viene ammesso alla comunione col calice, a maggior ragione perché
Dom Martene ha distinto tre differenti modi d’amministrare la comunione al sangue. Il più antico consiste nel bere direttamente dal calice. Tuttavia l’Ordo Romanus menziona già un pugillaris, primo nome del calamus, con l’aiuto del quale il popolo prenderà la comunione. Si conosce infine il rito dell’intinzione, ancora praticato dalla maggior parte dei riti orientali, tornato in auge dopo alterne vicende in occidente, dove fortemente praticato al Nord, sarà invece condannato dai concili di Braga (675) e di Clermont (1096).

Si deve tuttavia ricordare che il calice o la coppa (schyphus), dalla quale, attraverso il pugillaris i fedeli dell’Ordo romanus si sono comunicati, contiene del vino, al quale l’arcidiacono aveva mischiato un po’ di preziosissimo sangue. Si praticava infatti na certa santificazione o benedizione di vino non consacrato per l’immistione di una particola di pane consacrato (rito che si ritrova il venerdì santo nella messa tridentina dei presantificati, purtroppo sacrificato nel 1955); si praticava infatti fino al VII secolo e fino al XII secolo, un rito di santificazione del vino, questa volta mescolando del Preziosissimo sangue, ad confirmandum populum.

All’epoca delle prime grandi sintesi dogmatiche, l’abbandono della comunione al calice che, sul modello della comunione sulla mano scomparsa precedentemente, non era avvenuto senza generare incidenti, pose fine al rito di santificazione del vino tramite l’aggiunta di preziosissimo sangue. Ma questo stesso rito, non costituiva già una restrizione? Come perlatro era percepito:comunione eucaristica o rito di purificazione? Qualsiasi cosa fosse, nel XIII secolo si va generalizzando l’uso dell’ablutio oris, ossia la purificazione della bocca col vino. Il principio di prendere un po’ d’acqua, di vino o di altri alimenti dopo la comunione eucaristica, costituisce una tradizione molto antica, segnalata tra gli altri, in occidente da san Benedetto, e da san Giovanni crisostomo in oriente. Si credeva infatti che una particella di pane consacrato (che non era ancora azzimo) o qualche goccia di preziosissimo sangue, sfuggissero dalla bocca tramite la saliva.
 
L’uso scemerà dopo l’adozione del pane azimo e l’abolizione della comunione al calice. Un decreto di Innocenzo III, obbligherà i preti all’abluzione della bocca con il vino. Questa abluzione fu compiuta generalmente da tutti i comunicandi, ai quali si presentava una coppa di vino. Certamente questa pratica si confuse col modo di comunione al calice col vino mescolato al sangue, poiché tale nuova forma gli succedè praticamente. Quando si smise di distribuire la comunione al calice, scrive il padre Lebrun, si credette di dover offrire del vino ai fedeli, poiché potevano aver bisogno di qualcosa di liquido per assumere completamente la santa ostia, che poteva attaccarsi ai denti e al palato.

Si vede ancora alla messa papale il diacono e il suddiacono prendere l’abluzione nel calice da cui si sono comunicati, mentre il papa si purifica la bocca col vino versato nel secondo calice. Questa abluzione o purificazione della bocca dei comunicanti non è affatto una particolarità della messa papale.

Essa è genericamente citata al capitolo degli usi rari del Ritus servandus del messale di san Pio V, caduta in desuetudine. Tuttavia Jungmann cita diversi esempi recenti di tale pratica. Poiché il messale la descrive: fuori dall’altare, il ministro tiene nella mano destra un calice di vino con l’acqua, ed un panno bianco nella mano sinistra; presenta la purificazione alle labbra di colui che si è comunicato, e il panno per asciugare. Il pontificale romano del 1595 la menziona espressamente per le sacre ordinazioni, non solo per i neosacerdoti, ma per tutti gli ordinati. Il cerimoniale dei vescovi la descrive per la comunione del clero e del popolo.


Non si purificherà solo la bocca, ma tutto ciò che è entrato in contatto con le sacre specie: dita e calice. il papa si purificherà le dita con del vino ad una coppa d’oro. Non berrà questa abluzione. si siederà, riceverà la mitria, si laverà le mani secondo il cerimoniale minuziosamente descritto, e tornerà all’altare per il postcommunio e la benedizione. Il cardinale vescovo assistente pubblica subito la formula d’indulgenza, poi, il cardinale diacono ministrante ritira il pallio al pontefice. Così parato dei sacri paramenti, il papa fa il suo ritorno al suo palazzo.



Oltre alcuni simboli d’onore ed altri usi arcaici seconari è la comunione ad sedem eminentem che costituisce una notevole differenza con la messa pontificale. Non sono mancate le spiegazioni. Già l’ordo Romanus sottolineava di come il papa compiva la frazione al trono. Innocenzo III spiegò dicendo “Christus in Emmaus coram duobus fregit, et in jerusalem coram decem apostolis manducavit”.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)