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ARTE E LITURGIA
Oggetti eucaristici non più in uso

di MICAELA SORANZO  Agosto 2005 da Vita Pastorale
   
 
    Forse saranno curiosità del passato, ma gli oggetti liturgici fuori serie segnano anche il divenire storico della liturgia.
   
«La Chiesa, maestra di vita, non può non assumersi anche il ministero di aiutare l’uomo contemporaneo a ritrovare lo stupore religioso dal fascino della bellezza e della sapienza che si sprigiona da quanto ci ha consegnato la storia» (Giovanni Paolo II, 1997).
È questo forse il motivo per cui, dopo aver esaminato e riflettuto sull’evoluzione storica e il significato simbolico degli oggetti liturgici attualmente in uso nelle nostre celebrazioni, si vuole proporre una lettura di alcune suppellettili sacre, che nel corso dei secoli sono diventate obsolete e che arricchiscono il patrimonio di molti musei ecclesiastici. Proprio perché questi musei, continua Giovanni Paolo II, «non sono depositi di reperti inanimati, ma perenni vivai, nei quali si tramandano nel tempo il genio e la spiritualità della comunità dei credenti», è necessario scoprire e rivivere la testimonianza della fede delle passate generazioni.

Fra gli oggetti liturgici più importanti, e sicuramente più interessanti, vi è la colomba eucaristica, recipiente ornitomorfo di moderate dimensioni, usato per conservare le ostie consacrate e generalmente collocato sopra l’altare, pendente dalla volta del ciborio. In alcuni casi era posta anche dentro una specie di tabernacolo detto "colombario" ed era coperta da un velo. Sul dorso presenta una cavità, chiusa da un coperchietto, in cui era inserita la teca con le ostie; se invece si trovava nel battistero racchiudeva il sacro crisma. Le prime notizie risalgono al IV secolo; infatti la colomba eucaristica è citata nel Liber Pontificalis di papa Silvestro come arredo dell’altare, ma è probabile che avesse solo funzione decorativa. Solo a partire dal IX secolo si ha testimonianza esplicita dell’uso eucaristico prima in Francia e poi, dal secolo XII, anche in Italia e in Inghilterra. Cadde in disuso in seguito alle prescrizioni che imponevano di conservare le ostie consacrate in luoghi chiusi, ma in Francia questi vasi vennero ancora prodotti, anche se raramente, fino al ‘700.




Colomba eucaristica, XII-XIII secolo
 (MUSEO DEL DUOMO DI FIDENZA).


Vi sono due oggetti strettamente legati all’eucaristia che, pur essendo oggi sconosciuti alla maggior parte dei fedeli, erano ampiamente citati fra le diverse possibilità di comunione sotto le due specie e ora, anche se marginalmente, sono comunque menzionati dai Praenotanda al Messale romano del 2004 (PNMR 245): si tratta del cucchiaio eucaristico e della cannuccia o fistola. Da principio il cucchiaio era un utensile complementare al calice per versare alcune gocce d’acqua nel vino da consacrare, ma in Italia ebbe scarsa diffusione, preferendosi le ampolline. Il rito latino praticò raramente la distribuzione eucaristica con il cucchiaio, anche se sono stati rinvenuti alcuni esemplari anteriori al Mille sia in argento che in osso, con incisioni e ornamenti. La forma è analoga a quella dei cucchiai profani, con l’aggiunta di qualche elemento decorativo simbolico, come il monogramma cristologico, il pesce o la croce. Con la cannuccia d’argento o d’oro anticamente ci si comunicava con il sangue di Gesù. Infatti, quando l’eucaristia veniva distribuita sotto le due specie, il sacerdote, dopo aver preso il pane consacrato, sorbiva il vino mediante una cannuccia metallica, tenuta con due dita; poi la passava al diacono e al suddiacono, che facevano comunicare i fedeli. Il suo uso risale almeno a Gregorio Magno (VI secolo) e la diffusione fu molto ampia, ma sparì dopo il concilio di Costanza del 1415 col decadere della comunione sotto le due specie. Oggi gli esemplari sono molto rari.

Dai nuovi Praenotanda è scomparso anche il piattino da tenere sotto il mento mentre si riceve l’eucaristia. Anticamente era nato per impedire che qualche frammento consacrato cadesse a terra e anzi nell’XI secolo a Liegi, ma anche in altre zone, alcuni chierici tendevano una tovaglia inter sacerdotem et communicantem extensam. Legato sempre al sacramento eucaristico vi era l’uso del forcipes o pinze per prendere la particola dalla patena. Si tratta di uno strumento di eccezionale rarità, certamente utilizzato nella liturgia papale, data la quantità di citazioni riscontrabili negli inventari del periodo avignonese, ma comunque riservato alle solennità o agli alti prelati. A Roma le pinze liturgiche sono ricordate nell’Ordo del vescovo Pietro Amelio, nella seconda metà del XIV secolo, che conferma l’uso papale di trasferire le ostie consacrate dal calice alla pisside mediante le pinze d’oro e precisa che è stato introdotto per rispetto verso le sacre specie e per non toccarle direttamente. Probabilmente era anche strumento per dare la comunione ai lebbrosi.

Vi è poi il coltello eucaristico per tagliare il pane e separare i frammenti da consacrare: questa cerimonia era accompagnata da preghiere alludenti al sacrificio di Cristo, con riferimento ad alcuni testi patristici; era a forma di piccola lancia con manico cruciforme, ma venne abbandonato quasi subito. Allo stesso modo è scomparso ben presto dalla liturgia il colatorium o colum vinarium, cioè il passino che serviva alla purificazione del vino prima dell’eucaristia. Era un cucchiaio forato attraverso il quale si versava nel calice il vino da consacrare offerto dai fedeli, in modo che non vi si depositassero delle impurità. Questo utensile, documentato già nel V secolo (tesoro di Canoscio), col cessare dell’offerta del vino perse anche la sua utilità, ma rimase in uso, seppure sporadicamente, fino al XVIII secolo.

Sempre legata all’eucaristia è la pace, detta anche osculum pacis o tabella pacis, una tavoletta eucaristica che veniva baciata dal sacerdote celebrante e dai fedeli prima della comunione. Entrò in uso in Inghilterra nel XIII secolo in sostituzione del bacio o abbraccio di pace al momento dell’Agnus Dei, ma poi si diffuse in tutto il mondo cristiano tra il XIV e il XVI secolo. Solitamente era di forma rettangolare, con una piccola base e un manico sul lato posteriore e dentro la cornice c’era un’immagine sacra a rilievo o dipinta. Le paci potevano essere in oro, argento, bronzo, avorio o vetro e quelle tardogotiche erano spesso ornate con pietre dure, cammei e smalti. L’iconografia si orientava sul tema della passione, ma anche sulle feste liturgiche o sui santi patroni e nel Rinascimento grandi artisti si dedicarono alla loro realizzazione; vi fu una ripresa artistica anche nel Neoclassicismo e nel XIX secolo, ma già a partire dalla metà del ‘700 il suo uso cominciava gradualmente a decadere.




Mentre per alcune suppellettili il simbolismo investe la configurazione stessa dell’oggetto come, ad esempio, la colomba, in altri casi si tratta di oggetti che entrano solo marginalmente nella liturgia e non hanno relazione iconografica o evocativa rispetto alla loro funzione.

Un oggetto, nato in un particolare contesto storico, ma che è stato usato fino a pochi anni fa (PNMR 150 ne fa solo un accenno), è il campanello. Alla fine del XIII secolo il momento della consacrazione e dell’elevazione era diventato il punto culminante di tutte le devozioni durante la celebrazione. Il desiderio di vedere l’ostia, infatti, portava i fedeli ad attendere con ansia il momento dell’elevazione per contemplare il corpo del Signore. Al suono della "campana dell’elevazione", chi era lontano piegava le ginocchia in adorazione, chi era vicino interrompeva le sue occupazioni per correre in chiesa a fissare l’ostia santa. La prima prescrizione di suonare una campana della torre quando Corpus Christi elevatur risale al 1203, ma nel 1240 già si parla di una campanella ut per hoc devotio excitetur. Per analogia più tardi ci fu anche l’elevazione del calice e divenne di uso comune suonare il campanello durante la messa al Sanctus e all’elevazione, in segno di onore, ma, dal XVII secolo in poi, soprattutto per attirare l’attenzione dei fedeli, che immersi nelle loro devozioni, potevano così capire "a che punto si era".

Come materia e forma non differisce da analoghi strumenti profani, se non per eventuali motivi decorativi sacri o simbolici. In sostituzione del campanello, durante la Settimana santa, si usavano dei sonagli in legno che, secondo le prescrizioni di san Carlo Borromeo, dovevano essere delle tavolette di noce o quercia con un’impugnatura munita di lamina di ferro e dalle parti quattro o cinque lamine di bronzo o ferro o altrettante sfere di legno appese a una funicella, per risuonare alla percussione.




Campanello, Bartolomeo da Imola,1549.

Per leggere il messale o impartire la benedizione nei riti solenni, il vescovo o il celebrante avevano diritto alla palmatoria o bugia, basso candeliere sopra un piattello con piccolo manico ad anello per infilare il pollice, che veniva tenuto sul palmo della mano. Oltre che per facilitare la lettura, era anche un segno onorifico per cardinali, vescovi e alti prelati. Se non poggiava sull’altare veniva sostenuto da un chierico alla sinistra del celebrante, detto minister bugiarius o de candela e assistito dall’"accolito del libro". Generalmente realizzato con metalli nobili, l’oggetto non è ricordato da nessun liturgista prima del XIV secolo ed entra in uso durante il periodo avignonese, come testimonia il termine "bugia", derivato dall’omonima città algerina, che era il più importante centro di cererie del Medioevo.

Sempre legato alla mensa eucaristica, anche se con una funzione piuttosto "pratica", è il flabello o muscarium, strumento per allontanare gli insetti dalle sacre specie o per rinfrescare il celebrante durante il rito eucaristico. Risalente al periodo apostolico, fu usato soprattutto nel rito orientale e poi introdotto nella liturgia latina. Il flabello presenta due diverse tipologie a seconda delle funzioni pratiche o decorative attribuitegli. Il primo tipo, documentato fin dal VI secolo, e usato in alcuni luoghi fino al XVI secolo, era formato da un manico che sorreggeva un disco circolare o semicircolare in stoffa, carta pieghettata o pergamena, piume. La sua funzione è facilmente deducibile dalla scritta che appare su un flabello del IX secolo, proveniente dall’abbazia di Tournus: Sunt duo quae modicum confert aestate flabellum: infestas abigit muscas et mitigat aestum. Flabelli tondi, con fregi dorati, anche a rilievo, o con armatura in avorio si trovano, invece, ad Aquileia, ma, decaduta la comunione sotto le due specie, il flabello perse la sua utilità pratica e mantenne solo quella decorativa. Il secondo tipo aveva una forma simile, ma era in argento, ornato da smalti, perle o gemme e accompagnava l’entrata del celebrante. Da quest’ultimo sono derivati poi gli imponenti ventagli in piume di struzzo usati nel corteo papale.




Dal parasole, un tempo impiegato per gli spostamenti papali o di alti prelati, ha tratto origine, invece, l’ombrello liturgico, in seta o in panno intessuto d’argento, per coprire il sacerdote che teneva l’eucaristia nelle processioni più solenni in segno di riverenza. Dalla processione l’uso si estese anche al trasporto dell’eucarestia all’interno della chiesa, mentre un terzo ombrello, rotondo e di piccole dimensioni, serviva a portare il Santissimo Sacramento attraverso sentieri e stretti passaggi. Non differiva dagli ombrelli comuni se non per i colori: bianco o rosso (nel rito ambrosiano) nelle processioni eucaristiche e per il Papa, rosso o viola per i cardinali, viola e verde per i vescovi e celeste per alcuni dignitari della corte pontificia.

Fra gli oggetti liturgici più curiosi vi è indubbiamente il pomo scaldamani, dove solo la decorazione distingue gli esemplari profani dagli scaldini usati dai sacerdoti per stiepidirsi le mani durante le funzioni religiose. Era una sfera di metallo traforata contenente la brace o un ferro rovente. Molto comune nel Medioevo, è spesso citata fino al XVII secolo, quando cadde in disuso dopo la consuetudine di scaldare le chiese. Molto rari in Italia sono gli esemplari di sicura destinazione liturgica (tesoro di San Pietro).



Flabello, 1170-80, Stift Kremsmünster, Austria.


Durante il Medioevo, inoltre, il vescovo o il sacerdote, prima di avviarsi all’altare diceva una particolare orazione e si ravviava i capelli con un apposito pettine liturgico, mentre il diacono copriva loro le spalle con una mantelletta, detta pectinarium, perché non se le sporcassero. Il pettine poteva essere di legno, d’avorio o di osso, e si distingueva da quello profano per la decorazione della costola centrale, raffigurante scene bibliche o simboli cristiani. L’uso del pettine liturgico risale al V secolo (tesoro della cattedrale di Sens) ed è spesso ricordato negli inventari delle chiese, tanto che se ne conservano numerosi esemplari nei musei.

Ed è proprio sui musei che questo breve excursus su alcuni fra i molti oggetti legati alla celebrazione eucaristica nel corso dei secoli vuol ritornare a riflettere, poiché questi oggetti sono «segno del divenire storico, dei cambiamenti culturali [...]. In coerenza con la logica dell’incarnazione, rappresentano una "reliquia" del precedente vissuto ecclesiale, ordinata all’odierno sviluppo dell’opera di inculturazione della fede. Narrano la storia della comunità cristiana attraverso ciò che testimoniano le diverse ritualizzazioni, le molteplici forme di pietà, le specifiche situazioni ambientali» (Lettera circolare La funzione pastorale dei musei ecclesiastici della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa, 2001).

Micaela Soranzo



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)