00 09/07/2010 00:20
In seguito ad una discussione su Oriensforum, riporto da Daniele :

 per chiarire meglio anche a noi certi argomenti, intendo aggiungere qualche specificazione.

1. Un rito più antico non è necessariamente migliore di un rito più recente. Errata, dunque, è la posizione di chi sostiene che il ripristino di forme liturgiche primitive e desuete da secoli comporti un progresso per il rito e un vantaggio per la pastorale. Nella Chiesa, infatti, la liturgia, al pari del dogma, è sottoposta ad uno sviluppo organico che non si pone in discontinuità col passato ma lo integra con i legittimi risultati della scienza teologica. La prima attestazione di una riforma liturgica derivante da un'evoluzione nella conoscenza del dogma l'abbiamo in S. Paolo, il quale riprova l'uso, fino ad allora vigente, di celebrare il sacrificio eucaristico nel contesto di un banchetto, poiché in questo modo i fedeli non percepivano o percepivano male il mistero della presenza reale. L'atteggiamento archeologista, che vede nel recupero di forme rituali antiche la chiave per la riforma della liturgia, fu condannato da Pio XII nell'enciclica Mediator Dei:

"Quando si tratta della sacra Liturgia, non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per le mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del «deposito della fede» affidatole dal suo Divino Fondatore, a buon diritto condannò. Siffatti deplorevoli propositi ed iniziative tendono a paralizzare l'azione santificatrice con la quale la sacra Liturgia indirizza salutarmente al Padre celeste i figli di adozione".

Di conseguenza, insistere sul fatto che il rito di Paolo VI sia più simile alla Messa gregoriana del rito precedentemente in uso non è affatto una dimostrazione del suo valore liturgico. Esistono studiosi assai più radicali secondo i quali bisognerebbe tornare ai riti dell'epoca delle persecuzioni, nei quali essi vedono soltanto spontaneità e improvvisazione. Del resto, una volta adottato l'archeologismo come forma mentale, non v'è più alcun limite. Qualcuno ha proposto di tornare a celebrare il sacrificio eucaristico all'interno di una riproposizione dell'ultima cena, evidentemente considerando troppo moderna perfino la riforma di S. Paolo.


2. L'espressione "Messa gregoriana" applicata alla Messa romana in uso fino al 1969 è effettivamente impropria e per quanto mi riguarda mi sono sempre guardato dall'usarla. È innegabile, infatti, che ai tempi di S. Gregorio la Messa seguisse un rito diverso rispetto a quello che, codificato in epoca bassomedievale, divenne poi il rito universale della Chiesa romana. Impropria, tuttavia, non equivale a scorretta. La Messa cosiddetta di S. Pio V, infatti, conserva la struttura fondamentale della Messa gregoriana, con la sola aggiunta di preghiere private del sacerdote. Questo concetto risulta chiarissimo se si pongono a confronto le parti della Messa gregoriana e le parti pubbliche (cioè cantate o recitate ad alta voce) della Messa "tridentina" cantata (la forma cantata, infatti, è la forma primitiva e originaria della Messa).

Messa gregoriana: antifona all'Introito - Kyrie - Gloria - orazione - epistola - canti interlezionari - vangelo - Credo - preghiera dei fedeli - antifona all'Offertorio - orazione sopra le offerte - prefazio - Canone - Pater noster - Agnus Dei e pace - antifona alla Comunione - orazione dopo la Comunione - Ite, missa est.

Nella Messa "tridentina" le parti pubbliche sono esattamente le stesse. Ad esse sono state aggiunte, per ragioni devozionali e teologiche, diverse parti private (le preghiere ai piedi dell'altare, le apologie all'offertorio, le orazioni che precedono la Comunione, ecc.) che però, essendo recitate sottovoce dal celebrante e dai ministri, non alterano la struttura fondamentale della Messa. Se ci limitiamo alla parte pubblica, la Messa cantata del 1962 è identica alla Messa gregoriana. L'unica differenza è la preghiera dei fedeli, la quale, ai tempi di S. Gregorio, utilizzava un formulario fisso e di grande bellezza spirituale. Tale formulario fu reintrodotto nella riforma del 1965, ma oggi nessuno lo utilizza più, preferendogli la più bizzarra creatività.

Non così si può dire della Messa cantata di Paolo VI, che nella sua struttura pubblica si caratterizza per molte aggiunte e modifiche rispetto alla Messa gregoriana. In neretto sono evidenziate le differenze.

Messa di Paolo VI: antifona all'Introito - preghiere di introduzione - Kyrie - Gloria - prima lettura - salmo responsoriale o graduale - seconda lettura - Alleluia - vangelo - Credo - preghiera dei fedeli - canto all'Offertorio (ad libitum, poiché l'antifona nel messale non c'è) - orazione sopra le offerte - prefazio - preghiera eucaristica a scelta, con acclamazione dopo la consacrazione - Pater noster con dossologia dopo l'embolismo - pace - Agnus Dei (posizioni invertite) - antifona alla Comunione - orazione dopo la Comunione - Ite, missa est.

Questo solo per ciò che riguarda la struttura. Non mi addentro nella sostanza delle singole cerimonie.

Le informazioni relative alla Messa gregoriana e "tridentina", perché risulti chiaro che non le maneggio ad usum delphini, sono tratte da un testo scientifico di liturgia: J. Schmidt, Introductio in liturgiam occidentalem, Herder 1961, p. 361 (tabella di confronto tra i due riti), il quale, per inciso, è tutt'altro che conservatore.

Riassumendo: sebbene sia improprio definire "gregoriana" la Messa romana antica, questo termine si addice molto più a lei che alla Messa di Paolo VI, la quale, come abbiamo visto, presenta numerose differenze strutturali.


3. L'espressione "Messa di sempre", se correttamente intesa, non ha nulla di errato. Come ho detto nel mio precedente intervento, la Messa imposta da S. Pio V a tutto l'orbe cattolico non è altro che la Messa romana nel suo ultimo stadio di evoluzione. Rispetto all'epoca delle catacompe o all'evo di S. Gregorio, il rito era variato nella forma, ma non nell'essenza, e la prova sta nel fatto che tutte le riforme avvennero per piccoli passi, in modo organico e senza creare attriti. Per tale ragione si giustifica pure l'espressione "Messa tradizionale". La Messa che oggi conosciamo come "forma straordinaria" è la Messa della tradizione rituale romana, proprio come la Messa bizantina, pur non essendo identica alla Messa greca dei primi secoli, è la Messa della tradizione rituale bizantina. La tradizione, come dice la parola stessa, implica sviluppo organico, mai rottura. L'espressione scientificamente più corretta sarebbe "Messa romana". Poiché tuttavia essa è usata anche per designare la Messa scaturita dal lavoro della commissione liturgica postconciliare (che può chiamarsi romana solo lato sensu, non corrispondendo alla tradizione liturgica romana ed essendo stata composta a partire da elementi sia romani sia non romani), è giocoforza aggiungervi l'aggettivo "antica" o "tradizionale". Tecnicamente, però, ciò non sarebbe necessario.


4. La multiformità del rito nuovo, derivante dall'enorme congerie di scelte alternative, e la sua conseguente predisposizione agli abusi sono state più volte rilevate dal Sommo Pontefice, sia prima (cfr. Rapporto sulla fede, 1985) che dopo (cfr. Lettera ai Vescovi che accompagna il motu proprio Summorum Pontificum) la Sua elevazione al soglio.

L'istruzione Redemptionis Sacramentum (2004) rileva la situazione senza mezzi termini: Non si possono, pertanto, passare sotto silenzio gli abusi, anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche. In alcuni luoghi gli abusi commessi in materia liturgica sono all’ordine del giorno, il che ovviamente non può essere ammesso e deve cessare" (4).

Che in passato il fenomeno avesse molto meno rilievo è dimostrato, da un lato, dal contenuto degli opuscoli che ne parlano, i quali si concentrano su problemi che oggi farebbero quasi sorridere, e dall'altro dai provvedimenti della Congregazione dei Riti, che fino agli anni Sessanta non si è mai trovata a dover denunciare o reprimere abusi molto gravi. Ne fanno fede gli atti della stessa Congregazione. Non si può dire che essi non diano un quadro globale della realtà. Se in un paese, in cento anni, nessuno è stato condannato per omicidio, significa che in quel paese l'omicidio non costituisce un problema. È possibile, ovviamente, che alla magistratura siano sfuggiti uno o due casi isolati, ma sarebbero l'eccezione che conferma la regola. Del resto, un problema imponente viene sempre affrontato, in un modo o nell'altro.

5. La liberalizzazione del rito tradizionale non ha fatto altro che portare allo scoperto un problema che evidentemente esisteva già da tempo. Non è pensabile, infatti, che un numero notevole e scelto di persone abbiano cominciato a interessarsi di liturgia e di riforme liturgiche dall'oggi al domani e senza una valida ragione. Il problema è costituito dal piattume della liturgia attuale e dalla sua propensione agli abusi. Naturalmente si poteva continuare a far finta di nulla, lasciare che le funzioni fossero trasformate in para-discoteche (come ho visto coi miei occhi ai Salesiani di Livorno) e aspettare che le chiese finissero di svuotarsi. Qualcuno invece ha pensato che era meglio lasciare da parte il proprio quieto vivere e darsi da fare perché la situazione cambiasse. Ricordo che il Salvatore, quando vide il tempio profanato dai mercanti, non cercò un compromesso, una pacificazione, un accordo, ma distrusse i banchi dei venditori. Gli sporchi tradizionalisti alla distruzione dei tavolini usati come altari, degli stracci di plastica adoperati come paramenti, degli impianti di amplificazione sostituiti all'organo, a tutto questo, dico, non sono ancora arrivati. Ci si vorrà consentire, almeno, di difendere la nostra causa con lo scritto e con la parola?


Questo intervento l'ho scritto per mostrare la fondatezza e la solidità razionale delle opinioni di alcuni in merito ai "tradizionalisti". Si esprima con onestà il proprio dissenso, ma non si accusino gli altri dei propri difetti intellettuali.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)