BUCCHIANICO: San Camillo de Lellis. Riformatore della Sanita' Il Papa Benedetto XIV ha riconosciuto ufficialmente in Camillo de Lellis un iniziatore e maestro di "una nuova scuola di carità". I Pontefici successivi l'hanno confermato come patrono degli ospedali - oltre che degli infermi - e come modello ed esempio degli operatori sanitari.
La situazione degli ospedali italiani alla fine del '500 lasciava alquanto a desiderare, l'assistenza era largamente inadeguata o del tutto carente, i malati subivano la sorte spesso della più completa emarginazione.
San Camillo si sentì chiamato a un'opera di riforma che lo impegnò personalmente e "contagiò" beneficamente la società del suo tempo.
Lo possiamo quindi definire un "riformatore sanitario" in piena regola, capace ancor oggi di suggerire ai cristiani del mondo attuale i principi basilari e i modi operativi per attuare una "riforma sanitaria" che risponda alle fondamentali esigenze evangeliche.
Come S. Camillo realizzò la "sua" riforma sanitaria?
La sua opera è stata molteplice e ha avuto varietà di obiettivi, dettati dalle situazioni concrete e affrontati con una volontà illuminata e tenace.
Cambia il concetto di "malato"
Ai tempi di S. Camillo, a Roma come altrove, l'ospedale era un estremo rifugio per disperati. Mentre infatti i ricchi o benestanti erano assistiti nelle loro case da medici privati, all'ospedale affluivano poveri di ogni genere, abbandonati, vagabondi, gente affamata e macilenta, nonché una marea di contagiosi rifiutati dalla società. E quando questi non potevano o non volevano entrare nell'ospedale si trattenevano nelle loro misere abitazioni o, se non ne avevano, si rifugiavano nelle "grotte romane" cioè negli anfratti dei ruderi dell'antichità classica o sotto gli archi dell'acquedotto dell'agro romano.
La società rinascimentale li ignorava, li riteneva gli ultimi e li emarginava. S. Camillo li cerca, li assiste, ne fa "i primi" in senso assoluto.
La cultura umanistica - si sa - esaltava l'"uomo" come essere sommo e centro dell'universo. Ma quale uomo? L'uomo ideale e l'uomo eccezionale: l'individuo geniale, l'artista creatore, il principe astuto e forte, l'invitto capitano di ventura, lo scopritore di nuovi mondi. Ma il poveraccio senza prestigio e senza potere, e per di più malato o malandato, non trovava in questa cultura alcuna considerazione.
S. Camillo scopre "questo" uomo, scopre che costui è un uomo. Voleva dedicarsi a Dio nella preghiera e nella penitenza e Dio lo mette di fronte al malato e al povero. Voleva "servire" Dio in convento secondo la tradizione ascetico-monacale, e Dio lo porta all'ospedale al servizio di questa misera gente.
"Servire i poveri infermi, figlioli di Dio e miei fratelli".
Da buon convertito vede innanzitutto i "figli di Dio", ma assai spesso li chiama "miei fratelli", con una commozione umana e immedesimazione con la loro sorte che supera tutte le teorizzazioni sul concetto di uomo che facciamo spesso noi moderni.
Il malato è per S. Camillo veramente "un uomo", un uomo concreto, un pover'uomo, povero di beni ma povero soprattutto del bene della salute. Prima "vede" quest'uomo e poi "discute" sui suoi diritti.
I "diritti" dei malati non sono per lui dei principi ideali stampati sulle costituzioni o nelle leggi, ma sono i "bisogni concreti" che esigono risposta da chi sta attorno ai malati stessi. Così il concetto di "persona" non è per Camillo un'astrazione filosofica, ma qualcosa di incarnato e di sofferto.
Il malato - per usare le sue espressioni - è "la persona stessa di Cristo", è "pupilla e cuore di Dio", è "mio signore e padrone". Anche al miscredente, al blasfemo, a quello che l'insulta, Camillo dice: "Tu mi puoi comandare ciò che vuoi...!".
La visione cristiana arricchisce ma non offusca la integrale percezione umana del malato come uomo, dell'individuo che anche nella sua povertà e infermità resta sempre di una "dignità" unica e insopprimibile.
È al servizio di quest'uomo che Camillo dedica la sua vita.