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Da: Soprannome MSN°Teofilo  (Messaggio originale)Inviato: 04/04/2003 17.08
ELLA CARITAS ANTONIANA

 UN ORGANISMO A SERVIZIO DEI BISOGNI DI OGNI GENERE

La Caritas antoniana è nata nel 1976 ma ha alle spalle una tradizione centenaria. Deriva dall'opera del Pane dei poveri, la prima opera di carità, istituita presso la Basilica del Santo nel 1898 in concomitanza con la prima uscita del Messaggero di sant'Antonio. La parola e l'azione, il Vangelo e la carità, cioè il cuore dei valori antoniani, diverranno i cardini del nuovo periodico
Il Pane dei poveri si rifà a un episodio riportato dalla Rigaldina, la più antica vita di sant'Antonio. Una madre padovana, che vive nei pressi della basilica in costruzione, ha lasciato Tommasino, il figlio di 20 mesi, solo in cucina. Il bambino, giocando, finisce a testa in giù in un mastello d'acqua. La madre lo ritrova senza vita. Urla disperata ma poi non si arrende. Invoca il Santo. Fa un voto: se otterrà la grazia donerà per i poveri tanto pane quanto è il peso del bambino. È esaudita
Quando in basilica si istituisce il Pane dei poveri, l’opera è già una tradizione consolidata in tutto il mondo. Anzi prima del 1898, i pellegrini si stupiscono di non trovarlo proprio nel luogo che custodisce le spoglie del Santo. Tuttavia quando il Messaggero di sant'Antonio se ne assume il patrocinio, l'opera si diffonde a macchia d'olio in molte parrocchie italiane e straniere.
Sono tempi di grande povertà ma anche d'incredibile generosità. Il Messaggero annota la lista delle offerte dei lettori per il pane dei poveri. Sono sempre di più. In cinquant'anni, l'opera riesce a distribuire più di 50 mila chili di pane e in misura minore di altri generi alimentari. La carità non viene meno neppure nei momenti più difficili come le due guerre

I bisogni dei poveri si evolvono nel tempo e presto accanto al pane dei poveri nascono la Pia opera delle minestre dei poveri (1947) e l'Opera della legna dei poveri (1948). Cibo più completo e possibilità di riscaldarsi sono le due necessità più impellenti nel dopoguerra.
La nascita della Caritas antoniana, come oggi la intendiamo, è preceduta da uno sviluppo di interessi all'interno del Pane dei poveri. Nel 1951, l'opera versa tre milioni di lire agli alluvionati del Polesine. Non è un caso isolato. Nel 1956 seguono finanziamenti per i profughi ungheresi, dal 1964 al 1966 per la fame nel mondo, nel 1966 per gli alluvionati di Firenze, nel 1967 per gli alluvionati di Lisbona e nel 1971 per il Pakistan. Sta cambiando qualcosa: aumenta il benessere in Italia. Grazie all'informazione dei mass media, l'attenzione si sposta verso il terzo mondo.

Verso la metà degli anni ‘70, le opere di carità della basilica sono molte ed eterogenee. Si fa strada l’esigenza di creare una realtà unitaria che le gestisca tutte e che abbia un respiro nazionale e internazionale. E non più solo padovano. Il capitolo dei frati del 1976 è il punto di svolta: si decide di istituire una realtà apposita, la Caritas antoniana appunto. Dal 1976 al 1979 essa è ancora un’organizzazione informale. Se ne occupano due frati, Guido Masnovo e Franco Bonafè. Il primo progetto è in favore dei terremotati del Friuli (1976).

La Caritas antoniana ha la prima investitura ufficiale nel successivo statuto e regolamento interno, approvato dal definitorio provinciale  – cioè l'organo di autogoverno dei frati minori conventuali – il 29 ottobre 1979:

«Le opere caritativo-assistenziali della Provincia siano organizzate in maniera più unitaria, ispirantesi a criteri di prevenzione dei bisogni di promozione sistemica delle persone in stato di difficoltà, sia con interventi di carattere urgente, che con programmi a lunga scadenza, scegliendo delle aree specifiche».


Appare espresso per la prima volta un fondamentale principio: non limitarsi all’assistenza ma prevedere progetti a lungo termine, capaci di eliminare le cause di povertà.

Lo scopo è quello «di attuare, in modo organico e adeguato alle esigenze sociali del tempo, gli impegni che la Provincia stessa dei frati del Santo si assume verso gli associati del "Messaggero di sant'Antonio", e altri eventuali offerenti, che la delegano a devolvere in aiuto caritativo-promozionale quanto essi in nome di sant'Antonio possono offrire».

A tutt’oggi, la Caritas antoniana ha come presidente il ministro provinciale in carica. Chi però gestisce in concreto le attività è il segretario, aiutato da un consiglio direttivo di religiosi e volontari laici.

Nonostante le intenzioni di allargare l'area degli interventi all’estero, nei primi dieci anni di vita la Caritas antoniana fa fatica a oltrepassare i confini nazionali. I libri dei conti annotano lunghissimi elenchi di somme di danaro dati a singoli in stato di bisogno per cibo, bollette, affitti, rette scolastiche, ecc. Gli interventi di respiro più ampio sono legati alla Caritas italiana. C'è timore di fare da soli.

Ma qualcosa si sta muovendo. Un articolo del giugno del 1985, uscito in uno speciale per celebrare il numero mille del «Messaggero di sant'Antonio», elenca i paesi già toccati dalla Caritas antoniana: Uganda, Ghana, Tailandia, Corea, India, Filippine, America Latina, Polonia. La novità è che padre Stefano Poletto, segretario della Caritas antoniana dal 1979 al 1989, incomincia a creare reti di solidarietà con i missionari, in particolare con quelli dell'Ordine. È la base per un ulteriore salto di qualità.
Una spinta in questo senso viene dal successivo segretario della Caritas antoniana, padre Pietro Beltrame (1989-1994). Missionario per molti anni in America Latina, egli conosce da vicino l'estrema povertà. Sa che l'indigenza di casa nostra, anche se è grave, non è mai disperata. Altri possono farsene carico: i comuni, le parrocchie, le caritas diocesane, le san Vincenzo... Ci sono zone del mondo completamente abbandonate, i cui abitanti non hanno neppure le minime condizioni di vita. Essere là dove non c'è speranza, questa può essere la vera peculiarità della Caritas antoniana. C'è da ripensare un'altra volta i modi della carità.

Innanzitutto padre Pietro ridefinisce gli ambiti di azione del Pane dei poveri e della Caritas antoniana, che spesso finivano per confondersi. Il cambiamento comincia con la separazione fisica delle sedi: il Pane dei poveri rimane in via Orto Botanico, la Caritas antoniana, viene spostata nella vicina via Donatello. L’uno si occuperà dei poveri che bussano alle porte della basilica: barboni, anziani, immigrati, famiglie in difficoltà; l’altra di progetti di sviluppo nei paesi del terzo mondo.

La Caritas antoniana a tutt’oggi non è una realtà istituzionalizzata. La volontà dei frati è di farla restare un’organizzazione agile, snella, senza un pesante apparato burocratico che sottrarrebbe fondi alla solidarietà. Opera solo grazie ai frati e ai volontari. Tre volte all’anno, i membri del consiglio direttivo s’incontrano e valutano le richieste di aiuto. L’atmosfera è amichevole e conviviale, ma i criteri di selezione dei progetti sono ben precisi:

1. Raggiungere gli ultimi.  Non significa solo preferire i paesi poveri sui paesi ricchi, ma individuare le zone più depresse di un paese e, all’interno di queste zone, le persone più emarginate: i bambini rispetto agli adulti, le donne rispetto agli uomini, gli indigeni rispetto al resto della popolazione.

2. Sostenere progetti richiesti, organizzati e sentiti dalla gente. Pretendere il loro aiuto nella realizzazione e nel recupero delle risorse. Evitare le imposizioni del modello di sviluppo. Ogni popolo ha in sé la forza del proprio riscatto e meglio di ogni altro conosce i propri bisogni e limiti.

3. Preferire progetti piccoli e sostenibili. Evitare le realizzazioni lontane dal livello di sviluppo e dalla sensibilità della gente. Meglio la scuoletta popolare che il grande collegio, il piccolo ambulatorio che il dispendioso ospedale, i laboratori artigianali che la fabbrichetta con tecnologie non facilmente disponibili.

4. Preferire i progetti di sviluppo sui progetti di assistenza. È fondamentale abbattere le cause di povertà, dando alle persone i mezzi per camminare con le proprie gambe. Nei casi di urgenza, quando le soluzioni sono difficili e lontane rispetto alle necessità di alleviare la sofferenza, l’intervento di assistenza è comunque assicurato. Come nei casi di guerre, epidemie o catastrofi naturali.

5. Agire nelle stesse zone con più progetti. Ciò permette di eliminare più cause di povertà, agevolando uno sviluppo complessivo della persona. I progetti multipli sono anche i più sicuri perché si basano su rapporti consolidati con le persone del posto e con una conoscenza dei problemi più profonda.

Il rapporto tra Caritas antoniana e Messaggero di sant’Antonio è strettissimo. Le due realtà, pur avendo una vita propria, sono in simbiosi. La rivista è oggi il mezzo di legame tra l’organizzazione di solidarietà e i suoi sostenitori. Ed ha assunto un ruolo ancora più importante negli ultimi 14 anni.
Prima di allora, la Caritas antoniana, pur amministrando le offerte per la solidarietà che arrivavano al Messaggero, appariva raramente sulle pagine della rivista. Sembrava più importante il fare che il dire.
Bisognerà aspettare il 1988 per avere uno speciale interamente dedicato alle sue attività.
Proprio dal 1988 inizia una nuova tradizione. Ogni 13 giugno, in occasione della festa del Santo, la Caritas antoniana propone ai lettori del Messaggero i tre progetti di solidarietà più impegnativi dell’anno, invitandoli a partecipare alla loro realizzazione. È un adattamento ai tempi: la miseria è ormai un fenomeno planetario e ci si sente impotenti rispetto alle sofferenze di molti popoli del mondo. Attraverso il Messaggero, i lettori diventano artefici di sviluppo e riscatto, il nuovo modo di applicare il Vangelo secondo l’insegnamento di Antonio-
Fino al 1990, gli articoli che riguardano la Caritas antoniana si concentrano in maggio, con i resoconto dei progetti 13 giugno dell’anno precedente, e in giugno con la presentazione dei nuovi progetti. In realtà, i progetti della Caritas antoniana sono molti di più. L’istituzione è sottorappresentata agli occhi dei suoi stessi sostenitori. Se ne accorge padre Pietro Beltrame che dal 1991fa inserire nel Messaggero una rubrica fissa.

La maggiore informazione innesca un rapporto di fiducia e partecipazione ancora più profondo con i sostenitori. Del tutto inaspettatamente, lievitano le offerte destinate alla solidarietà, e di conseguenza i progetti realizzati. Alcuni sono piccolissimi, del valore di qualche milione: un pozzo, un pulmino usato, qualche animale per la pastorizia; altri sono molto complessi perché cercano di sconfiggere più cause di povertà e di innescare un percorso di autosviluppo. Cresce l’impegno di valutazione e di controllo.

 È padre Luciano Marini (1994-1997), il successore di padre Pietro Beltrame, a tracciare il primo esaltante bilancio del triennio 1994-1996, il più proficuo, fino a quel momento, della Caritas antoniana. 170 progetti, portati avanti a staffetta da lui e da padre Pietro, in un crescendo di impegno e di coinvolgimento: 30 progetti nel 1994, 55 nel 1995 e 85 nel 1996. Sono anni caratterizzati soprattutto da un grande impegno a favore dei bambini di strada del Brasile e del recupero delle bambine prostitute: vengono finanziate case di accoglienza e di recupero che ripropongono il modello familiare, scuole professionali, piccole imprese artigiane, istituti che si fanno carico di bambini con precedenti penali.

Ma la solidarietà antoniana segue altri importanti filoni:

  • la formazione professionale e l’avvio di microimprese per le famiglie povere;
  • i diritti degli indios e delle donne;
  • la cura degli anziani e degli handicappati in stato di abbandono;
  • la salute
  • la casa per i senzatetto;
  • l’accesso all’acqua potabile;


I progetti toccano moltissimi paesi del mondo, soprattutto in America latina, in Asia e in Africa fino all’Europa dei paesi dell’est e in qualche caso all’Italia. Con l’immigrazione i poveri sono tra noi. È importante dare un segno contro due piaghe dei nostri giorni: la mancanza di alloggi per le famiglie immigrate e il recupero delle ragazze schiave della prostituzione.
Oggi il segretario è padre Luciano Massarotto (dal 1997), uno dei fondatori della Caritas antoniana. Con lui inizia una fase di ripensamento, che già si respirava nei mandati dei suoi predecessori. I progetti realizzati sono moltissimi, eppure bisogna avere il coraggio di fare un passo in più, di mettersi in discussione, di cercare di arrivare alle cause prime della povertà. Le soluzioni sono difficili e spesso al di sopra della portata di questa piccola istituzione. Eppure qualcosa si può fare da subito

Il primo punto di arrivo era già in embrione in molti progetti della Caritas antoniana. Se molti bambini, vecchi, malati e handicappati sono abbandonati, se l’analfabetismo è dilagante, se molti poveri muoiono per malattie banali o per mancanza delle minime misure igieniche e altro ancora le case individuabili sono molteplici, ma una le supera tutte: la debolezza economica, sociale, culturale della donna.<

 Questa conclusione, maturata dall’esperienza dei missionari, oggi è convalidata dalle stime delle Nazioni Unite: sono donne il 70 per cento dei poveri, il 75 per cento dei rifugiati e i due terzi degli analfabeti del mondo eppure 828 milioni di donne nel mondo svolgono i due terzi del lavoro mondiale ricevendo in cambio 1 decimo del reddito mondiale e 1 centesimo dei beni disponibili. Sulle loro spalle grava il mantenimento dei figli e delle persone deboli ma anche il lavoro nei campi e in molti altri settori produttivi. E chiaro che rafforzare le donne significa migliorare la condizione di tutte le persone che dipendono da loro. Il lavoro per le donne e con le donne sta di fatto diventando una costante dei progetti Caritas antoniana.

L’altro modo di affinare l’aiuto ai poveri è quello di appoggiare la finanza etica e di diffondere il più possibile le informazioni su un modo di vivere più sobrio, rispettoso della natura e della giustizia tra i popoli. La Caritas antoniana lo sta facendo in più modi: prendendo a prestito il modello del microcredito per alcuni progetti di sviluppo, affidando la raccolta fondi alla Banca Etica, contribuendo alle informazioni di questo sitoOggi i progetti della Caritas antoniana sono più di cento all’anno, per una spesa totale di 3 miliardi e mezzo di lire circa. In 25 anni la solidarietà antoniana ha fatto molta strada, imparando dall’esperienza che la vera solidarietà deve essere sempre disposta a mettersi in discussione, ad aggiornarsi, a trovare le strade più giuste. Nel rispetto dei popoli e del loro modo di percepire lo sviluppo.




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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 05/04/2003 18.14

La Caritas è impegnata da più di 25 anni nella formazione degli Obiettori di Coscienza e nella gestione del Servizio Civile -sostitutivo al militare- che essi svolgono.

Sensibilità e disponibilità
Per la Caritas, la cui finalità chiaramente espressa nel primo articolo del suo statuto è quella pedagogica e Normativa, questo impegno è volto soprattutto a creare nei giovani che le vengono assegnati, una sensibilità, una disponibilità ed una serie di valori che li possano accompagnare e guidare, oltre al breve periodo del Servizio Civile, per il resto della loro vita.
Questo avviene, certamente, attraverso la molteplicità di servizi essi svolgono a favore delle persone e delle fasce più povere e più deboli della nostra società italiana (e solo da pochi mesi e limitatamente alla Bosnia, anche di altri Paesi).
Ma non c'è solo il servizio. Esso fa parte di un progetto più complessivo di impegno e formazione che comprende un tirocinio teorico-pratico di preparazione, incontri e corsi residenziali di formazione prima e durante l'anno di servizio, la vita comunitaria come segno di una disponibilità e di un coinvolgimento più profondo e allargato e, infine, anche un impegno di sensibilizzazione, di animazione, di testimonianza verso la società e, sopratutto, verso altri giovani sui valori della pace, della non-violenza, della difesa e dell'aiuto ai più deboli e del dialogo per affrontare i diversi conflitti tra persone, gruppi, popoli.

Povertà e sofferenza
Gli Obiettori operano in Centri Operativi dove vengono accolte e assistite persone che sperimentano la povertà e le sofferenze della vita sotto diverse forme (anziani, minori a rischio, tossicodipendenti, immigrati, detenuti e loro familiari, portatori di handicap, persone senza fissa dimora). I Centri operativi sono attualmente 14 e in essi possono essere inseriti 28 Obiettori. Dal 1980 ad oggi, circa 160 giovani livornesi hanno svolto il Servizio Civile presso la Caritas Diocesana di Livorno e, scorrendo la lista dei loro nomi, fa piacere trovarvi il nome di tanti di loro (oggi adulti) che hanno fatto scelte professionali socialmente qualificanti e sono tuttora impegnati nelle realtà sociali ed ecclesiali più, sensibili e vicino ai poveri.